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    Anche i servizi sanitari non tollerano il precariato

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    SENTENZA DELLA CORTE (Decima Sezione)

    14 settembre 2016 ()

    «Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausole da 3 a 5 – Contratti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore della pubblica sanità – Misure volte a prevenire il ricorso abusivo a successivi rapporti di lavoro a tempo determinato – Sanzioni – Riqualificazione del rapporto di lavoro – Diritto ad un’indennità»

    Nella causa C‑16/15,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 4 de Madrid (tribunale amministrativo n. 4 di Madrid, Spagna), con decisione del 16 gennaio 2015, pervenuta in cancelleria il 19 gennaio 2015, nel procedimento

    María Elena Pérez López

    contro

    Servicio Madrileño de Salud (Comunidad de Madrid),

    LA CORTE (Decima Sezione),

    composta da F. Biltgen (relatore), presidente di sezione, A. Borg Barthet e M. Berger, giudici,

    avvocato generale: M. Bobek

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    considerate le osservazioni presentate:

    –        per M.E. Pérez López, da L. García Botella, abogado;

    –        per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis, in qualità di agente;

    –        per la Commissione europea, da M. van Beek e J. Guillem Carrau, in qualità di agenti,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole da 3 a 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra María Elena Pérez López ed il Servicio Madrileño de Salud, Comunidad de Madrid (servizio sanitario di Madrid, Spagna), in merito all’inquadramento giuridico del suo rapporto di lavoro che ha assunto la forma di successive nomine in qualità di membro del personale con inquadramento statutario occasionale.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 1999/70, quest’ultima mira ad «attuare l’accordo quadro (...), concluso (...) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

    I punti 6, 7 e 8 delle considerazioni generali dell’accordo quadro sono redatti come segue:

    «6.      considerando che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento;

    7.      considerando che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi;

    8.      considerando che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività att[i] a soddisfare sia i datori di lavoro sia i lavoratori».

    Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, esso intende, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del divieto di discriminazione e, dall’altro lato, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

    La clausola 2 dell’accordo quadro, intitolata «Campo d’applicazione», al punto 1 prevede quanto segue:

    «Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».

    La clausola 3 dell’accordo quadro, intitolata «Definizioni», così dispone:

    «1.      Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico;

    2.      Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze (...)».

    La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede, al suo punto 1, quanto segue:

    «Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

    La clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», prevede, al suo punto 1, quanto segue:

    «Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

    a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

    b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

    c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti».

    Diritto spagnolo

    L’articolo 9 della Ley 55/2003 del Estatuto Marco del personal estatutario de los servicios de salud (legge 55/2003, recante lo statuto quadro del personale con inquadramento statutario dei servizi sanitari), del 16 dicembre 2003 (BOE n. 301, del 17 dicembre 2003, pag. 44742; in prosieguo: lo «statuto quadro»), prevede quanto segue:

    «1.      Per motivi di necessità, di urgenza o per lo sviluppo di programmi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, i servizi sanitari possono nominare personale con inquadramento statutario a termine.

    Le nomine del personale con inquadramento statutario a tempo determinato possono avere natura di reclutamento per copertura di posto, occasionale o di sostituzione.

    2.      La nomina per copertura di posto è effettuata per occupare un posto vacante nei centri o servizi sanitari, quando sia necessario svolgere le funzioni corrispondenti.

    La cessazione delle funzioni del personale con inquadramento statutario nominato per copertura di posto si realizza quando, mediante il procedimento stabilito per via di legge o regolamentare, sia inserito personale con inquadramento statutario a tempo indeterminato nel posto di lavoro occupato, nonché quando il suddetto posto risulti soppresso.

    3.      La nomina a carattere occasionale si effettua nei seguenti casi:

    a)      quando si tratti di prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria;

    b)      quando sia necessario per garantire il funzionamento permanente e continuato dei centri sanitari;

    c)      per la prestazione di servizi complementari per compensare la riduzione del normale orario lavorativo.

    La cessazione dalle funzioni del personale con inquadramento statutario occasionale si realizza ove si verifichi la causa o la scadenza del termine espressamente stabilito nella nomina, nonché quando siano soppresse le funzioni che a suo tempo l’hanno motivata.

    Se sono effettuate più di due nomine per la prestazione dei medesimi servizi per un periodo complessivo pari o superiore a 12 mesi, nell’arco di due anni, occorre studiare le cause che hanno motivato tale situazione al fine di valutare, eventualmente, l’opportunità di creare un posto strutturale nella dotazione organica del centro.

    (...)».

    Ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, del texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, aprobado por el Real Decreto Legislativo 1/1995 (testo rifuso dello statuto dei lavoratori, risultante dal regio decreto legislativo 1/1995), del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9645), nella versione applicabile alla data dei fatti per cui è causa nel procedimento principale (in prosieguo: lo «statuto dei lavoratori»), «i contratti a termine conclusi in frode alla legge si presumono conclusi per una durata indeterminata».

    Conformemente all’articolo 3 del Real Decreto 2720/1998 por el que se desarrolla el artículo 15 del Estatuto de los Trabajadores en materia de contratos de duración determinada (regio decreto 2720/1998, che attua l’articolo 15 dello statuto dei lavoratori in ambito di contratti a durata determinata), del 18 dicembre 1998 (BOE n. 7, dell’8 gennaio 1999, pag. 568), il contratto di lavoro occasionale, compreso nel gruppo di contratti a tempo determinato, è concepito per rispondere ad una necessità congiunturale.

    L’articolo 49, paragrafo 1, lettera c), dello statuto dei lavoratori prevede che, quando un contratto di lavoro termina, ad eccezione che nel caso di contratti di «interinidad» e di contratti di formazione, il lavoratore ha il diritto di percepire un’indennità di importo pari alla parte proporzionale dell’importo corrispondente a dodici giorni di stipendio per ogni anno di servizio.

    Fatti oggetto della controversia principale e questioni pregiudiziali

    La sig.ra Pérez López è stata assunta quale personale con inquadramento statutario occasionale in qualità di infermiera all’ospedale universitario di Madrid per il periodo tra il 5 febbraio e il 31 luglio 2009. Conformemente alle disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro, la nomina indicava come causa giustificativa «la realizzazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria» e il lavoro era descritto come «lo svolgimento della sua attività nel presente ospedale al fine di garantire il servizio sanitario».

    Al termine di tale primo contratto di lavoro, la nomina della sig.ra Pérez López è stata rinnovata sette volte, mediante contratti a tempo determinato di tre, sei o nove mesi, ogni volta con formulazione identica, in modo tale che la prestazione di lavoro della sig.ra Pérez López è stata ininterrotta durante il periodo dal 5 febbraio 2009 al 31 marzo 2013.

    Durante l’ultimo dei suddetti contratti, relativo al periodo dal 1° gennaio 2013 al 31 marzo 2013, la Consejería de Economia y Hacienda de la Comunidad de Madrid (Ministero regionale dell’Economia e delle Finanze di Madrid, Spagna) ha emesso l’ordinanza del 28 gennaio 2013 che impone, al fine di ridurre la spesa pubblica, la cessazione del rapporto di lavoro del personale reclutato occasionalmente alla data di scadenza della nomina nonché la liquidazione dei pagamenti corrispondenti al periodo per il quale i servizi sono stati prestati, compresi i casi in cui sia già stata prevista, per il futuro, una nuova nomina a favore del medesimo lavoratore.

    In applicazione della suddetta ordinanza la sig.ra Pérez López è stata informata, l’8 marzo 2013, della cessazione del rapporto di lavoro che la legava al servizio sanitario di Madrid, con effetto dal 31 marzo 2013. Il 21 marzo 2013, l’amministrazione le ha tuttavia comunicato la sua nuova nomina, identica alle precedenti e senza interruzione rispetto alle stesse, per il periodo dal 1° aprile al 30 giugno 2013.

    Il 30 aprile 2013, la sig.ra Pérez López ha presentato un ricorso gerarchico avverso tale ordinanza di cessazione del rapporto di lavoro nonché avverso la sua nuova nomina in qualità di personale con inquadramento statutario occasionale. Trascorso il periodo legale per poter considerare il ricorso gerarchico come respinto in ragione del silenzio dell’amministrazione competente, la suddetta ha presentato, il 13 settembre 2013, un ricorso giurisdizionale dinanzi allo Juzgado de la Contencioso-Administrativo n. 4 de Madrid (tribunale amministrativo n. 4 di Madrid, Spagna), a sostegno del quale ha affermato, in sostanza, che le sue successive nomine non avevano quale scopo quello di rispondere ad un bisogno congiunturale o straordinario dei servizi sanitari, ma corrispondevano, in realtà, ad un’attività permanente. Pertanto, la successione di contratti a durata determinata conclusi con la medesima costituirebbe una frode alla legge e dovrebbe comportare una riqualificazione del suo rapporto di lavoro.

    Secondo il giudice del rinvio, la legislazione nazionale in causa, e più in particolare l’articolo 9 dello statuto quadro, non contengono misure che limitino in modo effettivo l’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato. Infatti, benché sia prevista una durata massima del rapporto di lavoro del personale reclutato occasionalmente, spetterebbe all’amministrazione valutare liberamente le ragioni che giustificano l’uso dei contratti a tempo determinato nonché l’opportunità di creare un posto permanente che risponda alle esigenze dei servizi sanitari. Orbene, nell’ipotesi in cui un tale posto fosse creato, la situazione di precarietà dei lavoratori permarrebbe, dal momento che l’amministrazione avrebbe la possibilità di ricorrere ai suddetti posti per l’assunzione di personale a termine per copertura di posto, senza limitazioni circa la durata o il numero di rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato di tali lavoratori.

    Il giudice del rinvio esprime parimenti dubbi per quanto riguarda la compatibilità delle disposizioni nazionali in causa rispetto al divieto di discriminazione, come formulato alla clausola 4 dell’accordo quadro. Esso rileva che il personale con inquadramento statutario occasionale dei servizi sanitari soggetto allo statuto quadro e gli impiegati con contratto di lavoro occasionale, regolato dallo statuto dei lavoratori, costituiscono rapporti di lavoro a tempo determinato comparabili. Orbene, a differenza delle disposizioni applicabili al personale con inquadramento statutario occasionale, lo statuto dei lavoratori non soltanto riconoscerebbe ai lavoratori a tempo determinato il beneficio di un’indennità pari a dodici giorni di stipendio per ogni anno di prestazione di servizio o frazione inferiore, ma inoltre includerebbe una clausola di garanzia a favore della stabilità del lavoro che consiste nel presumere come posti a tempo indeterminato i contratti a termine conclusi in frode alla legge.

    È in tali circostanze che lo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 4 de Madrid (tribunale amministrativo n. 4 di Madrid) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)      Se l’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro sia contrario all’accordo quadro, e pertanto inapplicabile, in quanto favorisce gli abusi derivanti dall’utilizzo di nomine successive come personale con inquadramento statutario occasionale, qualora:

    a)      non stabilisca la durata massima totale delle nomine successive come personale con inquadramento statutario occasionale, né il numero massimo di rinnovi delle stesse;

    b)      lascia alla discrezionalità dell’amministrazione la decisione di procedere alla creazione di posti strutturali quando vengano effettuate più di due nomine per la prestazione dei medesimi servizi, per un periodo complessivo pari o superiore a dodici mesi nell’arco di due anni;

    c)      permette di realizzare nomine di personale con inquadramento statutario occasionale senza richiedere che nelle stesse figuri la specifica causa oggettiva di natura temporanea, congiunturale o straordinaria che le giustifichi.

    2)      Se l’articolo 11, paragrafo 7, dell’ordinanza del Ministero regionale dell’Economia e delle Finanze di Madrid, del 28 gennaio 2013, nei limiti in cui stabilisce che, “al termine della nomina si dovrà, in ogni caso, disporre la cessazione del rapporto di lavoro e la liquidazione dei pagamenti dovuti per il periodo di prestazione dei servizi, compresi i casi in cui, in seguito, sia effettuata una nuova nomina a favore del medesimo titolare” e, dunque, indipendentemente dalla realizzazione della concreta causa oggettiva che ha giustificato la nomina, come stabilito alla clausola 3, paragrafo 1, dell’accordo quadro, sia contrario all’accordo quadro e pertanto inapplicabile.

    3)      Se sia conforme all’obiettivo perseguito dall’accordo quadro interpretare l’articolo 9, paragrafo 3, terzo comma, dello statuto quadro nel senso che quando sono effettuate più di due nomine per la prestazione dei medesimi servizi, per un periodo complessivo pari o superiore a dodici mesi nell’arco di due anni, si deve procedere alla creazione di un posto strutturale nella dotazione organica del centro, e dunque il lavoratore con nomina di natura occasionale passi ad essere nominato per copertura di posto.

    4)      Se sia conforme al divieto di discriminazione sancito dall’accordo quadro applicare al personale con inquadramento statutario a termine di natura occasionale la medesima indennità prevista per i lavoratori con contratto di reclutamento occasionale, vista la sostanziale identità fra le due situazioni, atteso che non avrebbe senso che lavoratori con la medesima qualifica, che prestano servizi nella medesima impresa (servizio sanitario di Madrid) svolgendo la medesima funzione e al fine di soddisfare la medesima necessità congiunturale, ricevano un trattamento differente al momento dell’estinzione del loro rapporto di lavoro, non essendovi una ragione apparente che impedisca di confrontare fra loro contratti a tempo determinato allo scopo di evitare situazioni discriminatorie».

    Il giudice del rinvio ha del pari chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa a procedimento accelerato, in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Con ordinanza del presidente della Corte del 24 aprile 2015, tale istanza è stata respinta.

    Sulle questioni pregiudiziali

    Sulla prima e sulla terza questione

    Con la sua prima e terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria e che l’amministrazione dispone di un’ampia discrezionalità nella decisione di creare posti strutturali che mettano fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale.

    Sull’ambito di applicazione dell’accordo quadro

    In via preliminare, occorre ricordare che emerge, dalla formulazione stessa della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, che l’ambito di applicazione di quest’ultimo è concepito in senso ampio, poiché riguarda in generale i «lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, la definizione della nozione di «lavoratori a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro, figurante nella clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro e a prescindere dalla qualificazione del loro contratto in diritto interno (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 56; del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 38; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punti 28 e 29, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 67).

    Dal momento che l’accordo quadro non esclude nessun settore specifico, un lavoratore quale la ricorrente nel procedimento principale, assunta come infermiera facente parte del personale con inquadramento statutario occasionale del servizio pubblico sanitario, rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo-quadro.

    Sull’interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro

    Per quanto riguarda l’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro, è necessario ricordare che tale clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 63; del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 73; 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 25; del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 41; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 54, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 72).

    Come risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro, nonché dai punti 6 e 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 62; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 55, e del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 73).

    Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima complessiva degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi e al numero di rinnovi di questi ultimi (v., segnatamente, sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 74; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 26; del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 42; del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 56, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 74).

    Gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità a tale riguardo, dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 59 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 75).

    Così facendo, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, che consiste nella prevenzione di siffatti abusi, lasciando loro nel contempo la scelta dei mezzi per conseguire tale obiettivo, purché essi non rimettano in discussione l’obiettivo o l’efficacia pratica dell’accordo quadro (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 60, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 76).

    Inoltre, quando, come nel procedimento principale, il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 62 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 77).

    Seppure, in mancanza di una specifica disciplina dell’Unione in materia, le modalità di applicazione di tali norme spettino all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in forza del principio dell’autonomia processuale di questi ultimi, esse non devono essere però meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 63 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 78).

    Da ciò discende che, quando sia avvenuto un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, dev’essere possibile applicare una misura dotata di garanzie effettive ed equivalenti di protezione dei lavoratori per punire debitamente detto abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 64 e giurisprudenza ivi citata, nonchè del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 79).

    Del resto, occorre ricordare che la Corte non è competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni del diritto interno, dato che questo compito spetta esclusivamente al giudice del rinvio o, se del caso, ai competenti organi giurisdizionali nazionali, che devono determinare se gli obblighi dettati dalla clausola 5 dell’accordo quadro siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale applicabile (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 66 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 81).

    Spetta pertanto, in via di principio, al giudice del rinvio valutare in che misura i presupposti per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione delle disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscano una misura adeguata per prevenire e, se del caso, punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 67 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 82).

    Tuttavia, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può fornire, ove necessario, precisazioni dirette a guidare il giudice del rinvio nella sua valutazione (sentenze del 3 luglio 2014, Fiamingo e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 68 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 83).

    In tale contesto occorre verificare se le disposizioni della normativa nazionale in causa nel procedimento principale, che permettono il rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato nell’ambito dei servizi sanitari, siano suscettibili di costituire le misure elencate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, e, più precisamente, ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.

    Per quanto riguarda l’esistenza di una «ragione obiettiva», risulta dalla giurisprudenza che la medesima nozione deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in quest’ultimo peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 96 e giurisprudenza ivi citata; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 27, nonché del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 45).

    Al contrario, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto, attraverso una norma legislativa o regolamentare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, non sarebbe conforme agli obblighi precisati al precedente punto della presente sentenza (sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 97 e giurisprudenza ivi citata; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 28, nonché del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 46).

    Invero, una tale disposizione di natura puramente formale non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tale effetto. La suddetta disposizione comporta dunque un rischio concreto di determinare un ricorso abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con lo scopo e l’effettività dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punti 98 e 100 nonché giurisprudenza ivi citata; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 29, nonché del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 47).

    Per quanto riguarda la controversia oggetto del procedimento principale, occorre rilevare che la normativa nazionale pertinente determina in modo preciso le condizioni nelle quali contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi possono essere conclusi. Infatti, il ricorso a tali contratti è permesso, in forza dell’articolo 9, paragrafo 3, dello statuto quadro, secondo i casi, qualora si tratti di prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, quando ciò sia necessario per garantire il funzionamento permanente e continuato di centri sanitari o qualora si tratti di fornire servizi complementari per compensare la riduzione del normale orario di lavoro.

    La suddetta disposizione precisa ulteriormente che, se sono effettuate più di due nomine per la prestazione dei medesimi servizi per un periodo complessivo pari o superiore a dodici mesi nell’arco di due anni, l’amministrazione competente deve studiare le cause di tali nomine e valuta l’opportunità di creare un ulteriore posto strutturale.

    Ne deriva che la normativa nazionale in causa nel procedimento principale non detta un’autorizzazione generale e astratta a ricorrere a successivi contratti di lavoro a tempo determinato, ma limita la conclusione di tali contratti al fine di soddisfare, in sostanza, esigenze provvisorie.

    A tale riguardo, occorre ricordare che una sostituzione temporanea di un altro dipendente al fine di soddisfare le esigenze provvisorie del datore di lavoro in termini di personale può, in via di principio, costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenze del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punti 101 e 102; del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 30, nonchè del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 91).

    Infatti, occorre constatare che, in un’amministrazione, quale il settore della sanità pubblica, che dispone di un organico significativo, è inevitabile che si rendano necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale sostitutivo, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 31, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 92).

    Inoltre, è necessario ricordare che l’obbligo di organizzare i servizi sanitari in modo tale da assicurare un costante adeguamento tra il numero dei membri del personale assistenziale e il numero di pazienti incombe all’amministrazione pubblica e dipende da una moltitudine di fattori suscettibili di riflettere una particolare esigenza di flessibilità che, conformemente alla giurisprudenza menzionata al punto 40 della presente sentenza, è idonea, in tale specifico settore, a giustificare obiettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

    Al contrario, non si può ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nel servizio sanitario che appartengono alla normale attività del servizio ospedaliero ordinario (v., per analogia, sentenza del 13 marzo 2014, Márquez Samohano, C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 58).

    Infatti, il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato per far fronte alle esigenze che, di fatto, hanno carattere non già provvisorio ma permanente e durevole non è giustificato ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, dal momento che un tale utilizzo dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato è incompatibile con la premessa sulla quale si fonda il suddetto accordo quadro, vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività (v., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punti 36 e 37, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 100).

    L’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esige pertanto che sia verificato concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale quale quella in causa nel procedimento principale non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durature del datore di lavoro in materia di personale (v., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 39 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 101).

    A tale riguardo, emerge dalla situazione della ricorrente nel procedimento principale, come descritta nella decisione di rinvio, che le successive nomine della sig.ra Pérez López al fine di garantire servizi sanitari ospedalieri non sembravano costituire mere esigenze provvisorie del datore di lavoro.

    Tale constatazione è corroborata dalla valutazione del giudice del rinvio che qualifica la copertura di posti nel settore dei servizi sanitari mediante nomine di personale con inquadramento statutario a termine un «male endemico», e che stima che circa il 25% dei 50 000 posti della dotazione organica del personale medico e sanitario della regione madrilena siano occupati da personale assunto con nomine di carattere occasionale di durata media da cinque a sei anni, ma che alcune di queste superano i quindici anni di prestazioni ininterrotte di servizi.

    Ciò posto, occorre considerare che la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durature.

    Inoltre, per quanto riguarda la discrezionalità dell’amministrazione quando si tratta di creare posti strutturali, occorre ricordare che l’esistenza di una tale modalità, che permette di creare un posto fisso, analogamente a quella di convertire un contratto a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è suscettibile di costituire un rimedio efficace contro l’uso abusivo dei contratti temporanei (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, Angelidaki e a., da C‑378/07 a C‑380/07, EU:C:2009:250, punto 170).

    Orbene, anche se una normativa nazionale che permette il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi per sostituire il personale in attesa dell’assegnazione dei posti strutturali creati, in via di principio, è suscettibile di essere giustificata da una ragione oggettiva, l’applicazione concreta di tale ragione deve, tuttavia, tenuto conto delle particolarità dell’attività di cui trattasi e delle condizioni del suo esercizio, essere conforme agli obblighi dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenze del 26 gennaio 2012, Kücük, C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13, C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 99).

    Nel caso di specie, occorre constatare che la normativa nazionale in causa nel procedimento principale non comporta nessun obbligo per l’amministrazione competente di creare ulteriori posti strutturali per mettere fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale. Al contrario, dalle constatazioni fatte dal giudice del rinvio emerge che i posti strutturali creati saranno destinati a personale nominato per la copertura di posti «a termine», senza che, nei loro riguardi, esista una limitazione relativa alla durata dei contratti sostitutivi né al numero dei loro rinnovi, di modo tale che la situazione di precarietà dei lavoratori, in realtà, è perpetuata. Orbene, la natura di una tale normativa, in violazione della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, permette il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che hanno un carattere permanente e duraturo, mentre, dalle constatazioni fatte al punto 52 della presente sentenza, emerge che sussiste un deficit strutturale di posti per il personale di ruolo nello Stato membro interessato.

    Tenuto conto dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni prima e terza dichiarando che la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che:

    –        il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durature;

    –        non esista alcun obbligo per l’amministrazione competente di creare posti strutturali che mettano fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale e che gli sia permesso di destinare i posti strutturali creati all’assunzione di personale «a termine», in modo tale che la situazione di precarietà dei lavoratori perduri, mentre lo Stato interessato conosce un deficit strutturale di posti per il personale di ruolo in tale settore.

    Sulla seconda questione

    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa si oppone ad una normativa nazionale, quale quella in causa nel procedimento principale, che impone che il rapporto contrattuale termini alla data prevista dal contratto a tempo determinato e che si proceda alla liquidazione di ogni pagamento, senza che ciò escluda un’eventuale nuova nomina.

    A tale riguardo, occorre ricordare che l’accordo quadro non fissa le condizioni in presenza delle quali è consentito fare ricorso ai contratti di lavoro a tempo indeterminato e non è finalizzato ad armonizzare l’insieme delle norme nazionali relative ai contratti di lavoro a tempo determinato. Infatti, detto accordo quadro, mediante la fissazione di principi generali e di prescrizioni minime, mira unicamente ad istituire un quadro generale per garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di rapporti di lavoro o di contratti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C‑302/11 a C‑305/11, EU:C:2012:646, punto 63 nonché giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del 7 marzo 2013, Bertazzi e a., C‑393/11, non pubblicata, EU:C:2013:143, punto 48).

    Resta il fatto che il potere riconosciuto agli Stati membri per definire il contenuto delle loro norme nazionali riguardanti i contratti di lavoro non può spingersi fino a consentire loro di rimettere in discussione l’obiettivo o l’efficacia pratica dell’accordo quadro (sentenza del 18 ottobre 2012, Valenza e a., da C‑302/11 a C‑305/11, EU:C:2012:646, punto 64 nonché giurisprudenza ivi citata, e ordinanza del 7 marzo 2013, Bertazzi e a., C‑393/11, non pubblicata, EU:C:2013:143, punto 49).

    Orbene, l’obiettivo perseguito dalla clausola 5 dell’accordo quadro, che consiste nel limitare i ricorsi ripetuti a contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato, sarebbe del tutto privo di contenuti se il solo carattere nuovo di un rapporto di lavoro secondo il diritto nazionale fosse suscettibile di costituire una «ragione obiettiva» ai sensi di detta clausola, di natura tale da autorizzare un rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato.

    Conseguentemente occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa non si oppone, in via di principio, ad una normativa nazionale che impone che il rapporto contrattuale termini alla data prevista dal contratto a tempo determinato e che si proceda alla liquidazione di ogni pagamento, senza che ciò escluda un’eventuale nuova nomina, a condizione che detta normativa non sia di natura tale da rimettere in causa l’obiettivo o l’efficacia pratica dell’accordo quadro, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

    Sulla quarta questione

    Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se la clausola 4 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa si oppone ad una normativa nazionale, quale quella in causa nel procedimento principale, che nega ogni indennità di risoluzione del contratto di lavoro del personale con inquadramento statutario occasionale mentre una tale indennità è concessa ai lavoratori comparabili nell’ambito dei contratti di lavoro occasionali.

    A tale riguardo, occorre ricordare che la clausola 4 dell’accordo quadro vieta, al suo punto 1, che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive.

    Secondo una costante giurisprudenza, il divieto di discriminazione impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo dissimile e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza dell’8 settembre 2011, Rosado Santana, C‑177/10, EU:C:2011:557, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

    A tale riguardo occorre precisare che il divieto di discriminazione è stato attuato e concretizzato mediante l’accordo quadro unicamente per quanto riguarda le differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile (ordinanze dell’11 novembre 2010, Vino, C‑20/10, non pubblicata, EU:C:2010:677, punto 56; del 22 giugno 2011, Vino, C‑161/11, non pubblicata, EU:C:2011:420, punto 28, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‑178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punto 43).

    Al contrario, un’eventuale differenza di trattamento tra alcune categorie di personale a tempo determinato, quale quella presentata dal giudice del rinvio, che si basa non sulla durata determinata o indeterminata del rapporto di lavoro, ma sul suo carattere statutario o contrattuale, non rientra nel divieto di discriminazione consacrato da tale accordo quadro (v., in tal senso, ordinanze dell’11 novembre 2010, Vino, C‑20/10, non pubblicata, EU:C:2010:677, punto 57, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‑178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punti 44 e 45).

    Solo nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio debba constatare che i lavoratori assunti in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato e che effettuano un lavoro comparabile percepiscono un’indennità di risoluzione del contratto di lavoro, mentre una tale indennità è rifiutata al personale con inquadramento statutario occasionale, tale differenza di trattamento è suscettibile di rientrare nel divieto di discriminazione consacrato alla clausola 4 dell’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza pronunciata in data odierna, De Diego Porras, punti 37 e 38).

    Orbene, nella misura in cui nessun elemento del fascicolo sottoposto alla Corte fa emergere che, nel procedimento principale, sussista una differenza di trattamento tra il personale con inquadramento statutario occasionale e il personale a tempo indeterminato, la differenza di trattamento oggetto della quarta questione posta dal giudice del rinvio non rientra nell’ambito della normativa dell’Unione (ordinanze dell’11 novembre 2010, Vino, C‑20/10, non pubblicata, EU:C:2010:677, punto 64; del 22 giugno 2011, Vino, C‑161/11, non pubblicata, EU:C:2011:420, punto 30, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‑178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punto 52). Pertanto, tale differenza di trattamento rientra unicamente nel diritto nazionale, la cui interpretazione appartiene solo al giudice del rinvio (ordinanze del 22 giugno 2011, Vino, C‑161/11, non pubblicata, EU:C:2011:420, punto 35, e del 7 marzo 2013, Rivas Montes, C‑178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punto 53).

    Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre dichiarare che la Corte è manifestamente incompetente a rispondere alla quarta questione proposta.

    Sulle spese

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

    Per questi motivi, la Corte (Decima Sezione) dichiara:

    1)      La clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, sia applicata dalle autorità dello Stato membro interessato in modo tale che:

    –        il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, nel settore pubblico sanitario, sia considerato giustificato da «ragioni obiettive» ai sensi di tale clausola poiché detti contratti sono basati su disposizioni di legge che consentono il rinnovo per assicurare la prestazione di specifici servizi di natura temporanea, congiunturale o straordinaria, mentre, in realtà, tali esigenze sono permanenti e durature;

    –        non esista alcun obbligo per l’amministrazione competente di creare posti strutturali che mettano fine all’assunzione di personale con inquadramento statutario occasionale e che gli sia permesso di destinare i posti strutturali creati all’assunzione di personale «a termine», in modo tale che la situazione di precarietà dei lavoratori perduri, mentre lo Stato interessato conosce un deficit strutturale di posti per il personale di ruolo in tale settore.

    2)      La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che compare in allegato alla direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa non si oppone, in via di principio, ad una normativa nazionale che impone che il rapporto contrattuale termini alla data prevista dal contratto a tempo determinato e che si proceda alla liquidazione di ogni pagamento, senza che ciò escluda un’eventuale nuova nomina, a condizione che detta normativa non sia di natura tale da rimettere in causa l’obiettivo o l’efficacia pratica di tale accordo quadro, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

    3)      La Corte di giustizia dell’Unione europea è manifestamente incompetente a rispondere alla quarta questione proposta dallo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 4 de Madrid (tribunale amministrativo n. 4 di Madrid, Spagna).

    Firme

    Ultimo aggiornamento Mercoledì 21 Settembre 2016 15:48
     

    Indennità sostitutiva per ferie non godute: interviene la Consulta

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    SENTENZA N. 95

    ANNO 2016

     

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

     

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dal Tribunale ordinario di Roma nel procedimento vertente tra S.F. e l’Azienda USL Roma E, con ordinanza del 5 maggio 2015, iscritta al n. 193 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2015.

    Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra.


    Ritenuto in fatto

    1.– Con ordinanza del 5 maggio 2015, iscritta al n. 193 del registro ordinanze 2015, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, prospettando la violazione degli artt. 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro).

    Il giudice rimettente espone di dover decidere il ricorso promosso da S.F. contro l’Azienda USL Roma E, allo scopo di conseguire l’indennità sostitutiva per ferie non godute, negata dall’amministrazione con provvedimento del 22 aprile 2013.

    Il ricorrente nel giudizio principale, dirigente medico collocato a riposo il 1° febbraio 2013, ha dedotto di non aver fruito, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, di 222 giorni di ferie, a causa delle patologie dalle quali era affetto.

    A sostegno della domanda, il ricorrente ha invocato la garanzia costituzionale del diritto alle ferie (art. 36, primo e terzo comma, Cost.), la tutela riconosciuta dalla normativa comunitaria (direttiva n. 2003/88/CE), la natura retributiva dell’indennità sostitutiva delle ferie, l’interpretazione offerta dalla prassi amministrativa (nota del Dipartimento della funzione pubblica dell’8 ottobre 2012), che consente di corrispondere il trattamento sostitutivo quando le ferie non siano state godute per causa non imputabile alle parti.

    1.1.– In punto di rilevanza, il giudice a quo afferma di dover applicare l’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012, che così recita: «Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile».

    Ad avviso del giudice rimettente, tale disposizione, entrata in vigore il 7 luglio 2012, si applica de plano alle ferie non godute da un dipendente cessato dal servizio il 7 febbraio 2013 e non contempla alcuna facoltà di “monetizzazione” per le ferie non godute per causa non imputabile alle parti del rapporto di lavoro.

    1.2.– Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 «nel suo complesso», anche eventualmente con riguardo alla previsione della responsabilità disciplinare e amministrativa del dirigente che violi tali prescrizioni, o, in subordine, nella sola parte in cui la disposizione preclude in ogni caso, anche per l’ipotesi di mancato godimento per causa non imputabile al lavoratore, l’erogazione dei trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute.

    Nell’avvalorare la non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente richiama la giurisprudenza comunitaria sull’art. 7, comma 2, della direttiva n. 2003/88/CE, che impone di riconoscere una riparazione pecuniaria quando le ferie non siano godute per causa non imputabile al lavoratore, e pone l’accento sulla natura retributiva dell’indennità sostitutiva per ferie non godute.

    Poste tali premesse, il giudice assume che il divieto assoluto di convertire in denaro le ferie non godute, anche quando il mancato godimento non sia imputabile al lavoratore, si ponga in contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., che statuisce l’obbligo di retribuire il lavoro prestato in eccedenza rispetto a quanto stabilito dal contratto, tenendo conto del diritto ai riposi feriali.

    Tale divieto entrerebbe in conflitto con l’art. 36, terzo comma, Cost., in quanto il diritto a ferie annuali retribuite impone il riconoscimento di un ristoro economico in caso di lesione irreversibile del diritto a godere delle ferie «in natura».

    La disciplina censurata contravverrebbe, inoltre, all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7, comma 2, della direttiva n. 2003/88/CE, che prescrive di compensare economicamente la mancata fruizione delle ferie per causa non imputabile al lavoratore.

    Il giudice rimettente denuncia, infine, la violazione del canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.): sarebbe manifestamente irragionevole il divieto assoluto di “monetizzazione”, svincolato da ogni valutazione dell’imputabilità del mancato godimento delle ferie.

    2.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.

    Secondo la difesa dello Stato, la norma può essere interpretata in modo armonico con i princípi di rilievo costituzionale che il giudice rimettente ritiene violati.

    In particolare, la magistratura contabile e il Dipartimento della funzione pubblica hanno escluso che il divieto di monetizzazione si applichi alle ferie maturate prima dell’entrata in vigore della normativa del 2012 e alle situazioni in cui il mancato godimento delle ferie non sia imputabile al lavoratore.

    Nel caso di specie, peraltro, il lavoratore avrebbe potuto godere delle ferie, in quanto il periodo di malattia non è stato ininterrotto.

    In vista della camera di consiglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, in cui ha ribadito le conclusioni rassegnate e le argomentazioni svolte con riguardo alla praticabilità di un’interpretazione rispettosa del dettato costituzionale, recepita anche dal giudice delle leggi con la sentenza n. 286 del 2013.


    Considerato in diritto

    1.– L’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, stabilisce, nell’àmbito del lavoro pubblico, che le ferie, i riposi e i permessi siano obbligatoriamente goduti secondo le previsioni dei rispettivi ordinamenti e che non si possano corrispondere «in nessun caso» trattamenti economici sostitutivi.

    L’inefficacia delle disposizioni contrattuali e normative più favorevoli e la responsabilità disciplinare e amministrativa dei dirigenti, i quali non ottemperino a tali prescrizioni di legge, completano la disciplina restrittiva così congegnata.

    Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ravvisa in tali disposizioni la lesione del diritto irrinunciabile alle ferie, che impone, per un verso, di retribuire il lavoro prestato in misura superiore a quanto stabilito dal contratto (art. 36, primo comma, della Costituzione), considerando anche il diritto ai riposi feriali, e, per altro verso, di compensare il mancato godimento delle ferie per causa non imputabile al lavoratore (art. 36, terzo comma, Cost.).

    Tale compensazione – soggiunge il giudice rimettente – è prescritta anche dalle fonti comunitarie (art. 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE recante «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro»), che integrano il parametro di costituzionalità alla stregua dell’art. 117, primo comma, Cost.

    Ad avviso del giudice rimettente, l’assetto delineato dalla norma impugnata, che preclude ogni valutazione circa l’imputabilità del mancato godimento delle ferie, sarebbe manifestamente irragionevole (art. 3 Cost.).

    La disciplina è censurata «nel suo complesso», «eventualmente» anche nella parte in cui prefigura la responsabilità disciplinare e amministrativa dei dirigenti, e, in subordine, nella parte in cui vieta in maniera indiscriminata il pagamento di trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute.

    2.– Il nucleo delle censure investe il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute, anche quando il mancato godimento non sia riconducibile alla volontà del lavoratore.

    Le questioni di legittimità costituzionale si sottraggono alle eccezioni di inammissibilità, formulate dalla difesa dello Stato.

    2.1.– Deve essere disattesa, in primo luogo, l’eccezione di irrilevanza della questione di costituzionalità.

    Il giudice rimettente, con motivazione non implausibile, chiarisce che le ferie, almeno in parte, non sono state godute per causa non imputabile al lavoratore, in un periodo in cui era già in vigore la disciplina impugnata. Il fatto che il periodo di malattia non sia stato ininterrotto è ininfluente quanto alla rilevanza della questione.

    La difesa dello Stato non confuta tali argomenti, corroborati da una precisa ricostruzione dei fatti di causa.

    2.2.– È ugualmente da disattendere l’eccezione di inammissibilità per mancata sperimentazione di un’interpretazione conforme alla Carta fondamentale.

    Il giudice rimettente, difatti, si cimenta con il tentativo di conferire alla disposizione censurata un significato compatibile con i princípi costituzionali e, dopo una disamina della lettera e dello spirito della legge, reputa tale tentativo impraticabile.

    Se l’interpretazione prescelta dal giudice rimettente sia da considerare la sola persuasiva, è profilo che esula dall’ammissibilità e attiene, per contro, al merito, che è ora possibile scrutinare (sentenze n. 45 del 2016 e n. 262 del 2015).

    3.– La questione non è fondata.

    Il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo che il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute si applichi anche quando il lavoratore non abbia potuto godere delle ferie per malattia o per altra causa non imputabile.

    Il dato letterale e la ratio che ispira l’intervento riformatore rivelano l’erroneità di tale presupposto interpretativo.

    3.1.– Quanto al dato letterale, non è senza significato che il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.

    3.2.– Il dato testuale è coerente con le finalità della disciplina restrittiva, che si prefigge di reprimere il ricorso incontrollato alla “monetizzazione” delle ferie non godute.

    Affiancata ad altre misure di contenimento della spesa, la disciplina in questione mira a riaffermare la preminenza del godimento effettivo delle ferie, per incentivare una razionale programmazione del periodo feriale e favorire comportamenti virtuosi delle parti nel rapporto di lavoro.

    In questo contesto si inquadra il divieto rigoroso di corrispondere trattamenti economici sostitutivi, volto a contrastare gli abusi, senza arrecare pregiudizio al lavoratore incolpevole.

    4.– Questa Corte, con riferimento al contenzioso tra lo Stato e le Regioni, ha già avuto occasione di analizzare la disciplina impugnata, specificando che essa non sopprime la «tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole» (sentenza n. 286 del 2013, punto 9.3. del Considerato in diritto).

    Su questa linea si attestano le prime applicazioni che l’amministrazione ha dato della normativa (INPS, messaggio n. 2364 del 6 febbraio 2013; Ragioneria generale dello Stato, nota n. 94806 del 9 novembre 2012; Dipartimento della funzione pubblica, nota n. 40033 dell’8 ottobre 2012) e l’interpretazione delineata dalla magistratura contabile in sede di controllo (Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Campania, delibera dell’11 dicembre 2014, n. 249; Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Veneto, delibera del 12 novembre 2013, n. 342; Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Valle d’Aosta, delibera del 12 novembre 2013, n. 20; Corte dei conti, sezione di controllo per Regione Sicilia, delibera del 5 giugno 2014, n. 77).

    La prassi amministrativa e la magistratura contabile convergono nell’escludere dall’àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.

    Questa interpretazione si colloca, peraltro, nel solco tracciato dalle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, che riconoscono al lavoratore il diritto di beneficiare di un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti una previsione negoziale esplicita che consacri tale diritto, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di “monetizzare” le ferie (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 ottobre 2000, n. 13860; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 ottobre 2010, n. 7360).

    5.– Così correttamente interpretata, la disciplina impugnata non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).

    Il diritto alle ferie, riconosciuto a ogni lavoratore, senza distinzioni di sorta (sentenza n. 189 del 1980), mira a reintegrare le energie psico-fisiche del lavoratore e a consentirgli lo svolgimento di attività ricreative e culturali, nell’ottica di un equilibrato «contemperamento delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore» (sentenza n. 66 del 1963).

    La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha rafforzato i connotati di questo diritto fondamentale del lavoratore e ne ha ribadito la natura inderogabile, in quanto finalizzato a «una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute» (ex plurimis, Corte di giustizia, sentenza 26 giugno 2001, in causa C-173/99, BECTU, punti 43 e 44; Grande Sezione, sentenza 24 gennaio 2012, in causa C-282/10, Dominguez).

    La garanzia di un effettivo godimento delle ferie traspare, secondo prospettive convergenti, dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 297 del 1990 e n. 616 del 1987) e da quella europea (ex plurimis, Corte di giustizia, Grande Sezione, sentenza 20 gennaio 2009, in cause riunite C-350/106 e C-520/06, Schultz-Hoff e Stringer ed altri).

    Tale diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.

    6.– Non si può ritenere, pertanto, che una normativa settoriale, introdotta al precipuo scopo di arginare un possibile uso distorto della “monetizzazione”, si ponga in antitesi con princípi ormai radicati nell’esperienza giuridica italiana ed europea. Da qui, dunque, la non fondatezza della questione.


    per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2016.

    F.to:

    Giorgio LATTANZI, Presidente

    Silvana SCIARRA, Redattore

    Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2016.

    Il Cancelliere

    F.to: Roberto MILANA

    Ultimo aggiornamento Lunedì 16 Maggio 2016 08:19
     

    Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del corpo forestale dello Stato

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    Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 20 gennaio 2016, ha approvato il testo dello Schema di decreto delegato sulla “razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del corpo forestale dello Stato” in attuazione dell’articolo 8, comma 1, lettera A) della Legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015).

    Allegati:
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    Ultimo aggiornamento Martedì 26 Aprile 2016 15:24
     

    Indennità di trasferimento per i militari

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    N. 00001/2016REG.PROV.COLL.

    N. 00008/2015 REG.RIC.A.P.

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    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato

    in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2015, proposto dal Ministero dell'economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di finanza – in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

    contro

    i signori Luciano Giamberardino, Demetrio Dosa, Giacomo Ficchì, Giulio Ciociola, Gabriele Rizzi, Nunzio Marmorea, Andrea Rizza, Marco Colombo, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Aldo Travi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabrizio Ravidà in Roma, via Attilio Bertoloni n. 44/46;

    per la riforma

    della sentenza del T.a.r. per la Lombardia – Milano - Sezione I, n. 569 del 28 febbraio 2014.

     


    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

    Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Luciano Giamberardino, Demetrio Dosa, Giacomo Ficchì, Giulio Ciociola, Gabriele Rizzi, Nunzio Marmorea, Andrea Rizza, Marco Colombo;

    Viste le memorie difensive depositate dall’Amministrazione e dagli intimati;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2015 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Aldo Travi (in sede di chiamata preliminare) e Maurizio Greco (per l’Avvocatura generale dello Stato);

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

     


    FATTO e DIRITTO

    1. L’ OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO.

    1.1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla domanda di corresponsione dell’indennità di trasferimento, prevista dall’art. 1, legge n. 86 del 29 marzo 2001, proposta da alcuni militari appartenenti al Corpo della Guardia di finanza.

    1.2. Più in dettaglio, giova evidenziare in fatto che:

    a) nell’ambito di una più vasta manovra di revisione dell’organizzazione territoriale del Corpo della Guardia di finanza, il Comandante generale del Corpo ha soppresso la Tenenza ubicata nel Comune di Sesto Calende (in provincia di Varese) con decorrenza 1° agosto 2011 (cfr. determinazione 15 giugno 2011);

    b) con nota del Comando regionale Lombardia in data 22 giugno 2011, i militari in servizio presso la Tenenza di Sesto Calende sono stati invitati a proporre domanda di trasferimento presso altri reparti ubicati all’interno della circoscrizione territoriale ricompresa nel Comando interregionale dell’Italia Nord-occidentale con la previsione dell’assegnazione alla sede prescelta anche in soprannumero;

    c) i signori Luciano Giamberardino, Demetrio Dosa, Giacomo Ficchì, Giulio Ciociola, Gabriele Rizzi, Nunzio Marmorea e Andrea Rizza, hanno indicato quale nuova sede di servizio la Compagnia di Gallarate, mentre il signor Marco Colombo ha indicato il Gruppo della G.d.f. di Malpensa (cfr. le corrispondenti otto istanze di trasferimento a domanda, tutte datate 13 luglio 2011, ed espressamente motivate, conformemente alla modulistica di riferimento, in relazione alla soppressione della Tenenza di Sesto Calende);

    d) con determinazioni del Comando regionale Lombardia, tutte datate 21 luglio 2011, i su menzionati militari sono stati trasferiti a domanda nelle sedi prescelte.

    2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.

    2.1. Ricusata dall’Amministrazione la richiesta stragiudiziale di corresponsione dell’indennità di trasferimento ex art. 1, l. n. 86 del 2001, gli istanti hanno proposto ricorso davanti al T.a.r. per la Lombardia – allibrato al nrg. 2646 del 2012 - per l’accertamento del relativo diritto e la condanna al pagamento della sorte capitale maggiorata dagli interessi legali dalla data del trasferimento e sino all’effettivo soddisfo.

    2.2 Radicatosi il contraddittorio, l’impugnata sentenza - T.a.r. per la Lombardia – Milano - Sezione I, n. 569 del 28 febbraio 2014 -:

    a) ha ritenuto che il movimento di personale in questione, poiché disposto nell’interesse dell’Amministrazione, fosse da sussumersi nel genus del trasferimento d’ufficio e sotto tale angolazione perdesse rilevanza la presentazione di una domanda di assegnazione alla sede prescelta da parte di ciascuno dei militari ricorrenti perché comunque costretti ad abbandonare l’originaria sede di servizio;

    b) ha considerato non retroattiva, e quindi ininfluente, la norma sopravvenuta nel corso del giudizio - sancita dall’art. 1, co. 163, legge n. 228 del 24 dicembre 2012 che ha introdotto nel corpo dell’art. 1, l. n. 86 del 2001, il comma 1-bis - in forza della quale è vietato corrispondere l’indennità in questione ai militari trasferiti ad altra sede di servizio a seguito della soppressione del reparto di appartenenza;

    c) ha condannato l’Amministrazione al pagamento della sorte capitale maggiorata degli interessi legali;

    d) ha respinto la richiesta di rivalutazione monetaria delle somme dovute (tale capo non è stato impugnato);

    e) ha compensato fra le parti le spese di lite.

    3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI ALLA IV SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.

    3.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il Ministero dell'economia e delle finanze - Comando generale della Guardia di finanza – ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza articolando due connessi motivi di gravame:

    a) con il primo (pagine 3 – 7 del ricorso), è stata lamentata la violazione e falsa applicazione della legge n. 86 del 2001 nonché l’erronea valutazione degli atti di causa; in particolare, richiamata la disciplina dei trasferimenti (d’autorità e a domanda) e la novella introdotta dall'art. 1, co. 163 della l. n. 228 del 2012, ed evidenziato il suo carattere innovativo e non interpretativo, si nega che il criterio ermeneutico dell’argumentum a contrario possa comportare il riconoscimento legale del diritto all’indennità, in caso di trasferimenti conseguenti a soppressione di reparti o articolazioni, per il periodo precedente e secondo la disciplina ante vigente al 1° gennaio 2013;

    b) con il secondo motivo (pagine 7 – 12), è stata messa in luce la rilevanza della dichiarazione di gradimento nell'ipotesi di trasferimento conseguente alla soppressione del reparto; secondo l’Amministrazione militare, la presentazione di istanza, contenente comunque una opzione preferenziale di gradimento per una sede, esclude in radice, secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali, la configurabilità di un trasferimento d’autorità.

    3.2. Si sono costituiti in giudizio gli intimati confutando, con dovizia di argomenti ma nel rispetto del dovere di sinteticità, la fondatezza dell’appello di cui hanno chiesto il rigetto.

    3.3. Con ordinanza n. 5407 del 26 novembre 2014 è stata accolta la richiesta di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza .

    4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DELLA CAUSA ALL’ADUNANZA PLENARIA.

    4.1. Con ordinanza n. 3269 del 1 luglio 2015, la IV Sezione del Consiglio di Stato:

    a) ha ricostruito analiticamente, in chiave storica e sistematica, l’istituto dell’indennità di trasferimento di cui al più volte menzionato art. 1, l. n. 86 del 2001;

    b) ha dato atto del contrasto registratosi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (anche in sede consultiva) e del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, circa la possibilità di considerare sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’indennità, in presenza di clausole di gradimento accessive al provvedimento di trasferimento (situazione cui ha assimilato quella in cui sia stata presentata una vera e propria domanda di trasferimento);

    c) ha manifestato univocamente la preferenza per la tesi – che ha fatto risalire alla decisione della Quarta Sezione n. 5201 del 23 ottobre 2008 – secondo cui <<…..la dichiarazione di gradimento e cioè la dichiarazione di accettazione del trasferimento a domanda impedisce la configurabilità di un trasferimento d’ufficio, in quanto non si è in presenza di una mera dichiarazione di disponibilità al trasferimento; né ha alcun autonomo rilievo la circostanza che con il predetto trasferimento l’Amministrazione ha perseguito un interesse proprio: attivando le procedure di reperimento del personale con la richiesta di espressa disponibilità al trasferimento a domanda, essa ha inteso far coincidere, nel pieno rispetto dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità che devono guidare l’azione amministrativa, l’interesse privato con quello pubblico, senza che quest’ultimo in concreto possa considerarsi prevalente…. Collegandosi alle incisive argomentazioni della decisione n. 5201 del 23 ottobre 2008, risulta, ad avviso di questo Collegio, assai difficile negare la sostanziale consensualizzazione del movimento, e che questo quindi non giunga, per dir così "a sorpresa", sebbene in un quadro in cui all'interessato è stato offerto di poter valutare la soluzione preferibile nell'ambito delle sedi viciniori disponibili, e di poter calibrare la sua indicazione in funzione delle sue esigenze di vita, familiare e relazionale.

    Non ritiene, invece, il Collegio che possa annettersi alcun rilievo esegetico alla disciplina novativa di cui al comma 1 bis, poiché l'argomento a contrario, in senso proprio e stretto, e quello che equivale al criterio esegetico "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit", laddove non pare che una norma sopravvenuta che disciplina in modo precipuo una fattispecie, e in quella disciplina esaurisce la sua portata e i suoi effetti, possa avere valore interpretativo retroattivo della fattispecie medesima.

    In altri termini, la circostanza che i trasferimenti per soppressione di reparto siano ora collocati fuori dall'ambito applicativo entro il quale opera il riconoscimento del beneficio, non può condurre a sostenere, che invece, per il passato, vi ricadessero, o quantomeno a riconoscere valore risolutivo della questione esegetica, trascurando peraltro la circostanza che la nuova disciplina prescinde affatto da qualsiasi consensualizzazione del movimento.>>;

    d) ha sottoposto all’Adunanza planaria la seguente questione ovvero .

    4.2. All’udienza pubblica del 18 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

    5. NATURA GIURIDICA E PRESUPPOSTI APPLICATIVI DELL’INDENNITA’ EX ART. 1, L. N. 86 DEL 2001.

    5.1. E’ da premettersi che la questione che deve essere affrontata dall’Adunanza plenaria riguarda sotto il profilo soggettivo il personale militare e sotto quello cronologico situazioni ad esaurimento perché, dal 1° gennaio 2013, la soppressione (o la diversa dislocazione) dei reparti (e delle relative articolazioni), cui consegua il trasferimento d’autorità del personale interessato alla movimentazione, ai sensi del menzionato comma 1-bis, in nessun caso può consentire il pagamento di qualsivoglia emolumento (previsto a titolo di rimborso spese o indennità), collegato a tale mutamento di sede di servizio.

    5.2. Si riporta per comodità di lettura il più volte menzionato art. 1, l. n. 86 del 2001, rubricato Indennità di trasferimento, nel testo vigente - evidenziando che il comma 1-bis è stato introdotto dall’art. 1, co. 163, della l. n. 228 del 2012, a decorrere dal 1° gennaio 2013 ai sensi del comma 561 del medesimo articolo -: <<1. Al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, agli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui al Codice dell'ordinamento militare emanato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 , e, fatto salvo quanto previsto dall' articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, al personale appartenente alla carriera prefettizia, trasferiti d'autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi.

    1- bis. L'indennità di cui al comma 1 nonché ogni altra indennità o rimborso previsti nei casi di trasferimento d'autorità non competono al personale trasferito ad altra sede di servizio limitrofa, anche se distante oltre dieci chilometri, a seguito della soppressione o dislocazione dei reparti o relative articolazioni.

    2. L'indennità di cui al comma 1 è ridotta del 20 per cento per il personale che fruisce nella nuova sede di alloggio gratuito di servizio.

    3. Il personale che non fruisce nella nuova sede di alloggio di servizio può optare, in luogo del trattamento di cui al comma 1, per il rimborso del 90 per cento del canone mensile corrisposto per l'alloggio privato fino ad un importo massimo di lire 1.000.000 mensili per un periodo non superiore a trentasei mesi. Al rimborso di cui al presente comma si applica l'articolo 48, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.>>.

    5.3. La tesi propugnata dall’Amministrazione e fatta propria dall’ordinanza di rimessione - secondo cui anche prima dell’entrata in vigore della novella al più volte menzionato art. 1, l. n. 86 cit., la mobilità del personale militare dovuta alla soppressione (ovvero alla diversa dislocazione) del reparto di appartenenza se conseguente a domande di trasferimento o clausole di gradimento accessive al provvedimento di trasferimento non integra il presupposto del trasferimento d’autorità richiesto dalla legge – è suffragata da una parte della giurisprudenza della Quarta, della Prima e della Seconda Sezione del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo Sez. IV, n. 3835 del 28 giugno 2012; Sez. I, n. 1290 del 14 marzo 2013; Sez. II, n. 4407 del 25 ottobre 2013), e si basa, in sintesi, oltre che sugli argomenti utilizzati dall’ordinanza di rimessione (retro § 4.1.), sulle ulteriori rationes decidendi, di seguito sintetizzate:

    a) la clausola di gradimento si risolve in una formale manifestazione di acquiescenza al provvedimento di trasferimento con tutte le relative conseguenze di carattere economico;

    b) la presentazione dell’istanza di trasferimento nella sede prescelta, a seguito della soppressione del reparto di appartenenza, interrompe il nesso di causalità fra la scelta organizzativa dell’Amministrazione e il successivo movimento del militare interessato;

    c) la soppressione del reparto sostituito con un altro non dà luogo ad un vero e proprio trasferimento d’autorità (che presuppone la permanenza della sede a quo), ma ad un fenomeno di c.d. riorganizzazione necessitata.

    5.4. Tale tesi non può trovare accoglimento alla stregua delle seguenti considerazioni.

    5.4.1. Storicamente, l’esigenza di sovvenire ai disagi personali e familiari legati ai trasferimenti di sede di speciali categorie di personale statale (fisiologicamente destinato a frequenti avvicendamenti) e, in particolare, del personale militare – in relazione al quale il trasferimento d’autorità, assumendo la veste di un vero e proprio ordine militare (ex art. 976 d.lgs. n. 66 del 15 marzo 2010, codice dell’ordinamento militare, che ha positivizzato il diritto vivente), finisce per accentuarne l’onerosità quantomeno sotto il profilo giuridico - ha costituito il presupposto di numerose interventi normativi ad hoc, l’ultimo dei quali, per rilevanza sistematica, è rappresentato dalla l. n. 86 del 2001 cit., che, in parte qua, ha sostituito la disciplina recata dall’art. 1, l. n. 100 del 10 marzo 1987.

    Circa la natura giuridica, l’oggetto, i presupposti e gli effetti innovativi dettati dalla l. n. 86 cit., si rinvia ai principi enucleati dall’Adunanza plenaria n. 23 del 14 dicembre 2011, senza tralasciare di osservare, specie in relazione a quanto si dirà nel successivo § 5.4.4., che tale sentenza ha evidenziato come il trend normativo, in modo innovativo, è nel senso di restringere .

    Sintetizzando le condivisibili conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di questo Consiglio in ordine all’indennità di cui alla l. n. 86 cit. (che pure si pone, per molti aspetti, in continuità con quella di cui alla l. n. 100 del 1987 ), si osserva quanto segue:

    a) gli elementi costitutivi del diritto di credito alla corresponsione della indennità di trasferimento sono: I) un provvedimento di trasferimento d’ufficio; II) una distanza fra la vecchia e la nuova sede di oltre 10 chilometri; III) l’ubicazione della nuova sede in un comune diverso;

    b) è qualificabile come d’ufficio il trasferimento diretto a soddisfare in via primaria l’interesse pubblico, da ritenersi prioritario nei casi di assegnazione di funzioni superiori o spiccatamente diverse o di maggiore responsabilità rispetto a quelle precedentemente ricoperte senza che rilevino le eventuali dichiarazioni di assenso o di disponibilità dell’interessato; la considerazione del requisito della permanenza del disagio arrecato dal nuovo incarico a causa del mutamento, in senso proprio, della sede di servizio, induce ad escludere, in linea generale, che in caso di comando o distacco possa essere attribuita l’indennità con la conseguenza che la destinazione alla prima sede di servizio al termine della stessa fase addestrativa non costituisce trasferimento d’autorità (come risulta oggi esplicitato dall’art. 976, co.1, cod. ord. mil.);

    c) in linea generale, e salve le specifiche deroghe normative, l’indennità di trasferimento mutua lo stesso regime giuridico dell’indennità di missione; da qui gli ulteriori conseguenti corollari: I) la decorrenza retroattiva delle promozioni, eventualmente conseguite dal personale destinatario dell’indennità, non comporta l’attribuzione ex novo del compenso ovvero il ricalcolo per i periodi già decorsi alla data del decreto di promozione (ex art. 4, l. n. 836 del 1973); II) non spetta il beneficio in ogni caso di assegnazione solo temporanea ad altra sede di servizio (ad esempio in caso di assegnazione ad una diversa sede per facilitare l’esercizio del mandato elettorale), ovvero, atteso il carattere novativo del rapporto, nel caso di superamento di concorso pubblico con il conferimento di posti di ruolo non rientranti nella quota riservata al personale militare già in servizio;

    d) anche nella vigenza della l. n. 100 del 1987, il trasferimento del militare ad altra sede, disposto a seguito della soppressione dell’ente o della struttura alla quale il suddetto dipendente era originariamente assegnato, si qualificava necessariamente come trasferimento d’ufficio in quanto palesemente preordinato alla soluzione di un problema insorto a seguito di una scelta organizzativa della stessa Amministrazione e, quindi, alla tutela di un pubblico interesse, risultando ininfluente la circostanza che gli interessati fossero stati invitati a presentare istanza di trasferimento e che agli stessi fosse stata contestualmente offerta la possibilità d’indicare, per altro entro ben definiti ambiti territoriali, le nuove sedi di gradimento (Cons. Stato, Sez. IV, 12 luglio 2007, n. 3964; successivamente, nello stesso senso, Cons. gist. amm., 18 giugno 2014, n. 333).

    5.4.2. Seguendo un approccio sostanziale all’interpretazione della disciplina di riferimento, assume un valore decisivo la circostanza che il mutamento di sede origina da una scelta esclusiva dell’Amministrazione militare che, per la miglior cura dell’interesse pubblico, decide di sopprimere un reparto (o una sua articolazione) obbligando inderogabilmente i militari di stanza a trasferirsi presso la nuova sede, ubicata in un altro luogo, onde prestare il proprio servizio.

    Viene integrato, dunque, il primo indefettibile presupposto divisato dalla legge quale elemento costitutivo del diritto di credito alla corresponsione della relativa indennità di trasferimento e, al contempo, si disvela la natura e la portata della clausola di gradimento che ad esso eventualmente accede (ovvero dell’istanza di trasferimento sollecitata in conseguenza della soppressione del reparto di appartenenza del richiedente).

    Tale clausola, infatti, incide solo sugli effetti ubicazionali ovvero lato sensu geografici dell’ordine di trasferimento; essa comporta acquiescenza in senso proprio a tali effetti perché implica rinuncia al proprio diritto di agire in giudizio, nel rispetto di tutti i rigorosi presupposti richiesti dalla consolidata e condivisa giurisprudenza di questo Consiglio onde evitare l’elusione dei valori costituzionali tutelati dagli artt. 24, co.1, e 113, co. 1, Cost. (sin da Ad. plen., 20 novembre 1972, n. 12; successivamente e da ultimo, cfr. Cons. giust. amm., 28 gennaio 2015, n. 75; Cons. Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 74); in sintesi: condotta (espressa o tacita) univoca sulla irrefutabile volontà di accettare gli effetti e l’operatività del provvedimento; volizione libera, successiva o contestuale all’emanazione del provvedimento astrattamente lesivo; irrilevanza della contingente tolleranza manifestata anche attraverso il compimento di attività necessarie per fronteggiare gli effetti del provvedimento lesivo in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio.

    L’acquiescenza rende dunque irretrattabile l’individuazione della sede prescelta rendendo inammissibili, per carenza di interesse ad agire, le eventuali iniziative contenziose intraprese dal militare che subisce il trasferimento, ma non incide sul diritto di credito (a percepire l’indennità) che scaturisce direttamente dalla legge al ricorrere di determinati presupposti; certamente anche il diritto di credito in questione può essere oggetto di rinuncia (rectius rimessione del debito nel linguaggio dell’art. 1236 c.c.), ma al verificarsi di tutte le condizioni previste dalla richiamata disposizione che sono diverse e non sovrapponibili rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie dell’acquiescenza, non fosse altro che per la diversa indole della situazione soggettiva coinvolta (diritto soggettivo in relazione alla spettanza dell’indennità, interesse legittimo in relazione all’esercizio del potere organizzatorio e gerarchico da parte dell’Autorità militare).

    5.4.3. Anche il precedente valorizzato nell’ordinanza di rimessione (Cons. Stato, Sez. IV, n. 5201 del 2008, capostipite di una lunga serie di analoghe sentenze), non ha mai affermato che le clausole di gradimento accessive ad ordini di trasferimento consensualizzino l’ordine militare nell’ipotesi di soppressione delle sedi a quo; tale precedente, invero, conformemente all’indirizzo esegetico assolutamente prevalente formatosi sotto l’egida della abrogata l. n. 100 del 1987, ha correttamente ritenuto che non si dovesse consentire l’erogazione della pertinente indennità a seguito di un trasferimento d’autorità (cui accedeva una clausola di gradimento della nuova sede), disposto in relazione ad un normale movimento di personale militare della G. di f. (nella specie il militare ricorrente era stato trasferito dal Comando regionale di Catanzaro al Comando di Compagnia di Catanzaro, sezione di Sellia Marina ubicata nell’omonimo comune); tanto nel decisivo presupposto che, in questo caso, non fosse rinvenibile un reale interesse pubblico (prevalente rispetto a quello del militare) al mutamento di sede, perché .

    Detto altrimenti, il Consiglio di Stato ha inteso evitare un ingiustificato esborso erariale in presenza di un trasferimento che, formalmente emanato come ordine militare, nella sostanza dissimulava un trasferimento a domanda; evenienza questa che non può mai verificarsi nel caso di soppressione del reparto (o diversa dislocazione delle sue articolazioni), perché il militare è, per forza di cose, obbligato ad abbandonare la precedente sede di servizio che non esiste più.

    5.4.4. La norma introdotta dal più volte menzionato comma 1-bis non ha natura di interpretazione autentica (già in questo senso cfr. l’indirizzo inaugurato da Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4159; successivamente, Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5553; Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2088).

    Una siffatta conclusione si impone perché non si rinvengono tutti gli indici rivelatori di tale peculiare categoria di norme, elaborati dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, europea ed amministrativa (cfr., da ultimo e fra le tante, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 7 giugno 2011, Agrati; Corte cost., 11 giugno 2010, n. 209; 6 dicembre 2004, n. 376; Cons. St., Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9; 24 maggio 2011, n. 9).

    In particolare, pur verificatosi il presupposto dell’incertezza applicativa della norma antecedente quella asseritamente di interpretazione autentica - ancorché si registri la presenza di un indirizzo largamente maggioritario in favore della tesi sostenuta dagli odierni appellati - difetta non solo il (pur non vincolante per l’interprete) requisito formale dato dalla auto qualificazione della norma come di interpretazione autentica, ma soprattutto, non si riscontra l’effetto tipico insito in tutte le norme di interpretazione autentica, ovvero l’incidere su rapporti pendenti.

    Sul punto è dirimente quanto stabilito dai commi 163 e 561 del più volte menzionato art. 1, l. n. 228 cit., secondo cui la nuova più restrittiva disciplina trova applicazione a partire dal 1 gennaio 2013 e dunque si rende applicabile ai soli movimenti di personale successivi a tale data, in base ad un’esegesi improntata al principio generalissimo, codificato dall’art. 11 disp. prel. c.c., secondo cui  ; il ché significa, in applicazione del corollario applicativo tempus regit actum, che deve escludersi in radice ogni possibilità di applicazione della innovativa disposizione ai provvedimenti che (come quelli oggetto del presente giudizio) dispongono il trasferimento del militare con decorrenza antecedente all’entrata in vigore del più volte menzionato comma 1-bis.

    Rafforza tale conclusione anche il dato sistematico enucleabile dal raffronto del comma 1-bis, con l’art. 3, co., 74, l. 24 dicembre 2003, n. 350 – secondo cui  - perché emerge con immediatezza che quando la legge ha voluto dettare una norma di interpretazione autentica, in materia di indennità di trasferimento con finalità di contenimento della spesa e risoluzione dei contrasti giurisprudenziali, ha utilizzato le consuete clausole normative tradizionalmente impiegate al perseguimento di tali obbiettivi.

    Una volta assodata la portata non retroattiva della nuova disciplina, è consequenziale ritenere, analizzando in chiave storica l’evoluzione della legge sul punto controverso, che assume rilievo il criterio esegetico fondato sul c.d. argumentum a contrario: la nuova norma presuppone logicamente che la pregressa disciplina abbia attribuito, in caso di soppressione del reparto di appartenenza e nel concorso di tutti gli altri presupposti di legge, l’indennità di trasferimento anche al militare che avesse espresso il gradimento circa la nuova sede di servizio in quanto privo di alternativa alla movimentazione (non esistendo più la pregressa sede di servizio) ed astretto al dovere di obbedienza.

    6. LA FORMULAZIONE DEL PRINCIPIO DI DIRITTO E LA DECISIONE DELLA CAUSA.

    6.1. Alla stregua delle su esposte argomentazioni, l’Adunanza plenaria formula il seguente principio di diritto:.

    6.2. Ai sensi dell’art. 99, co. 1. e 4, c.p.a., l’Adunanza plenaria decide l’intera controversia alla stregua del principio di diritto formulato e, conseguentemente, respinge l’appello proposto dall’Amministrazione non essendo stata contestata (e non essendo contestabile sulla scorta della documentazione versata in atti), nel particolare caso di specie, la sussistenza degli altri presupposti individuati dall’art. 1, l. n. 86 del 2001 per il sorgere del diritto di credito all’indennità ivi prevista.

    6.3. Nei mutamenti e contrasti giurisprudenziali registratisi sulla questione sottoposta all’Adunanza plenaria, il Collegio ravvisa le eccezionali ragioni che, a mente del combinato disposto degli artt. 26, co.1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., consentono di compensare integralmente fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma l’impugnata sentenza.

    Dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2015 con l'intervento dei magistrati:

     

     

    Riccardo Virgilio, Presidente

    Pier Giorgio Lignani, Presidente

    Stefano Baccarini, Presidente

    Alessandro Pajno, Presidente

    Paolo Numerico, Presidente

    Vito Poli, Consigliere, Estensore

    Francesco Caringella, Consigliere

    Carlo Deodato, Consigliere

    Nicola Russo, Consigliere

    Bruno Rosario Polito, Consigliere

    Sandro Aureli, Consigliere

    Roberto Giovagnoli, Consigliere

    Claudio Contessa, Consigliere

     

     

     

     

    IL PRESIDENTE
    L'ESTENSORE IL SEGRETARIO

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 29/01/2016

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

    Il Dirigente della Sezione

    Ultimo aggiornamento Martedì 26 Aprile 2016 14:32
     

    Attribuzione della indennità di "supercampagna": un privilegio raro...

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    N. 8576/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 11565 Reg. Ric.

    ANNO 2006

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 11565 del 2006, proposto da: F. F., rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Michele Romano, con domicilio eletto presso M. P. in Roma, via ...omissis...;

    contro

    Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

    per l'annullamento

    del provvedimento di soppressione dell'indennità di supercampagna - recupero somme

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2012 il dott. Domenico Landi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Con il ricorso in esame, il ricorrente - premesso di essere arruolato presso la banda musicale della Marina Militare, alle dipendenze di Maricapitale - impugna la nota con la quale l'intimata Amministrazione gli ha denegato il beneficio dell'indennità di supercampagna, disponendo il recupero delle somme già corrispostegli a far data 1 gennaio 2004.

    L'Amministrazione ha denegato l'attribuzione dell'indennità in parola con la seguente motivazione: "Il Comando Militare Autonomo della Capitale è stato inserito nell'elenco delle unità operative destinatarie della indennità di supercampagna a decorrere dal 1 gennaio 2004. Per quanto riguarda la Banda Musicale questo S.M. ha elaborato una specifica T.O. di recente emanazione (marzo 2006) cosicché essa, cessando di far parte integrante di Maricapitale, costituisce un elemento autonomo di organizzazione a sé stante al quale, in assenza di apposita determinazione del Capo di S.M.D. è stata attribuita l'indennità di impiego operativo prevista dall'art. 5, c. 7 del D.P.R. 163/02 ...".

    L'interessato deduce violazione degli artt. 3, 32 e 97 Cost. nonché eccesso di potere.

    Con memoria depositata l' 8 giugno 2012, egli insiste per l'accoglimento del ricorso chiedendo il riconoscimento: 1) della indennità di supercampagna per 90,00 euro mensili x 13 mesi x 6 anni; 2) del danno morale e psicofisico (danno riflesso e non patrimoniale) per fatto illecito ex art. 2043 c.c.; 3) del danno come conseguenza del comportamento delle parti processuali stante il combinato disposto della l. n. 69/2009 e del D.Lvo n. 104/2010 desumibile dal comportamento della parte resistente.

    All'udienza del 10 luglio 2012, la causa è passata in decisione.

    DIRITTO

    Come esposto in fatto, il ricorrente ha impugnato la nota con la quale l'intimata Amministrazione gli ha denegato il beneficio dell'indennità di supercampagna, disponendo il recupero delle somme già corrispostegli a far data 1 gennaio 2004.

    L'interessato sostiene, a fondamento della propria pretesa, che:

    - l'indennità di che trattasi è riconosciuta a tutti i militari in servizio nel nucleo territoriale Maricapitale (Roma);

    - la sede della banda musicale, ove egli presta servizio, è Roma (La Storta);

    - sono state emesse delle disposizioni di servizio sia prima che dopo il settembre 2006 in cui il nucleo comando della Marina Militare "Maricapitale" annovera in organico al proprio interno, i componenti delle bande musicali.

    Il ricorso è infondato.

    Giova, in via preliminare, ricordare che l'istituto della indennità di supercampagna, secondo la giurisprudenza amministrativa, è stato ricostruito nei termini che seguono.

    Occorre partire dall'indennità di campagna istituita dall'articolo 3, comma 1, della legge 23 marzo 1983 n. 78.

    La norma ne ha previsto l'attribuzione agli ufficiali e ai sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica in servizio presso i comandi, gli enti, i reparti e le unità di campagna ivi indicati [...].

    L'articolo 5 del d.p.r. 31 luglio 1995 n. 394 (recante il recepimento del provvedimento di concertazione del 20 luglio 1995 riguardante il personale delle forze armate) ha poi stabilito, al comma 9, che "l'indennità di cui all'art. 3, comma 1, della legge n. 78 del 1983 compete anche al personale che, nella posizione di forza amministrata, è impiegato in maniera continuativa nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti che sono in forza effettiva organica presso gli Enti ed i Reparti elencati nel medesimo art. 3".

    Successivamente, è intervenuto il d.p.r. 10 maggio 1996 n. 360 (recante il recepimento del provvedimento di concertazione del 18 aprile 1996 riguardante il biennio 1996-1997, per gli aspetti retributivi, per il personale non dirigente delle forze armate), il cui articolo 4, comma 2, ha elevato, con decorrenza dal primo gennaio 1997, l'indennità in questione dal 115 al 135%, testualmente prevedendone tuttavia l'attribuzione in favore del solo personale militare dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica che presta servizio presso i comandi, i reparti e le unità di campagna ivi indicati, impiegati nell'ambito di grandi unità di pronto intervento nazionali ed internazionali: "brigate, reggimenti, battaglioni (esclusi quelli scolastico - addestrativi), gruppi, gruppi squadroni e squadroni (esclusi quelli logistici), forze speciali - reparti anfibi - reparti mobili, reparti bonifica ordigni esplosivi".

    Il comma in esame ha poi stabilito che "con decreto del Ministro della Difesa, su proposta del capo di stato maggiore della Difesa, di concerto con il Ministro del tesoro, sono annualmente determinati i contingenti massimi del personale destinatario della misura sopra prevista".

    Infine, è intervenuto il d.p.r. 13 giugno 2002 n. 163 (recante il recepimento dello schema di concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002 - 2003) che testualmente prevede, all'articolo 5, comma 12, che "a decorrere dal 1° luglio 2002 la misura percentuale prevista [...] è elevata al 150 per cento dell'indennità di impiego operativo di base".

    Alla luce delle richiamate disposizioni normative, pare evidente che gli incrementi percentuali rispettivamente previsti dall'articolo 4, comma 2, del d.p.r. n. 360/96 e dall'articolo 5, comma 12, del d.p.r. n. 163/02, che prendono il nome di indennità di "supercampagna", non ricevano applicazione generalizzata ed indifferenziata, ma un'applicazione particolare e limitata solo in favore di quel personale in servizio presso strutture aventi un particolare grado di preparazione e di addestramento operativo, peraltro nei limiti del contingente numerico annualmente determinato con decreto interministeriale (cfr. articolo 4, comma 2, del d.p.r. n. 360/96 cit.).

    E, del resto, l'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni predette - indipendentemente da ogni questione sulla natura delle indennità ivi previste - non coincide, in quanto i comandi, gli enti, le unità ed i reparti di campagna elencati dall'articolo 3 della legge n. 78/83 sono anche numericamente più estesi di quelli elencati dall'articolo 4 del d.p.r. n. 360/96 per individuare il personale beneficiario della maggiorazione ivi prevista.

    Né, per le medesime considerazioni fin qui svolte, può essere predicata alcuna disparità di trattamento; sul punto può farsi riferimento al risalente avviso del Consiglio di Stato che già ebbe a concludere affermando che: "L'inserimento nell'elenco delle unità di elevato livello operativo ed addestrativo cui spetta l'indennità di supercampagna [...] rientra nella valutazione discrezionale dello Stato maggiore e si sottrae, come è noto, al sindacato di merito [...]" (ove, come nel caso di specie, non sia palesemente illogica, irrazionale o contraddittoria), sicché "Il ricorrente, che già percepisce l'indennità di campagna, non può lamentare neppure alcuna disparità di trattamento rispetto ad altri militari in servizio presso diverse unità operative o altri Enti poiché tale diverso trattamento trova la sua legittima giustificazione nella necessità, in presenza di un contingente massimo di personale beneficiario, di circoscrivere la corresponsione dell'indennità di supercampagna proprio ad un numero limitato di unità operative" (Cons. Stato, sez. III, parere n. 72 del 16 aprile 2002).

    Le riportate conclusioni sono ormai da ritenersi consolidate alla luce dei più recenti interventi giurisprudenziali che hanno ribadito come: "Gli incrementi percentuali dell'indennità di campagna [...] non trovano applicazione generalizzata e indifferenziata, ma spettano solo al personale in servizio presso strutture impiegate nell'ambito di grandi unità di pronto intervento nazionale e internazionale, peraltro nei limiti del contingente numerico annualmente determinato con decreto interministeriale", posto che "Le due diverse indennità fanno riferimento ad un differente livello operativo delle strutture destinatarie; in particolare, quella c.d. Supercampagna è strettamente correlata a servizi impiegati nell'ambito di grandi unità di pronto intervento nazionali ed internazionali. In tal senso, l'attribuzione del beneficio va interpretata in modo rigoroso e restrittivo, stante il circoscritto limite numerico di possibili beneficiari, in relazione alle risorse economiche assegnate" (C.G.A. 23 settembre 2008, n. 784, che conferma T.a.r. Palermo, I, 13 dicembre 2005, n. 7238; negli stessi sensi, ancora più recente la pronuncia del Consiglio di Stato, IV, 19 marzo 2009, n. 1641 che conferma T.a.r. Puglia, Lecce, I, 8 maggio 2003, n. 2969)" (c.f.r. T.a.r. Campania Napoli, VII, 3 novembre 2009, n. 6810; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 31 luglio 2010, n. 1840).

    Venendo più specificamente al caso in esame, il Collegio ritiene che il comportamento dell'Amministrazione sia esente dalle censure evidenziate nel ricorso.

    In particolare, acclarato che la maggiorazione in questione non va riconosciuta a tutto il personale militare, bensì soltanto a quello impiegato presso strutture aventi un particolare grado di preparazione e di addestramento operativo, è innanzitutto da rilevare che l'individuazione concreta di detto personale è affidata a scelte di natura tecnico - discrezionale che riguardano il merito delle scelte operative militari, come tali insindacabili dal giudice amministrativo se non nei casi di manifesta illogicità ed abnormità (Consiglio di Stato, IV, 10 giugno 2004 n. 3728; 4 ottobre 2000, n. 5311; 28 dicembre 1999, n. 1972).

    Nel caso in esame non risulta irragionevole, né fonte di disparità di trattamento, l'esclusione dalla percezione dell'indennità rivendicata, atteso che la Banda Musicale ove presta servizio il ricorrente ha cessato di fare parte integrante di Maricapitale per costituire un elemento di organizzazione a sé stante.

    Essa non risulta più compresa, pertanto, nel contingente fissato annualmente con decreto del Ministro della Difesa, su proposta del Capo di Stato Maggiore della Difesa, di concerto con il Ministro del Tesoro, né risulta essere struttura avente un particolare grado di preparazione e di addestramento e come tale operante in prima linea, svolgendo essa un ruolo di mero supporto tecnico.

    Né, del resto, il ricorrente ha dimostrato di essere impiegato in maniera continuativa, nelle stesse condizioni ambientali, addestrative ed operative dei soggetti beneficiari dell'indennità in parola, laddove solo la coesistenza di tutte le suindicate condizioni avrebbe consentito il medesimo trattamento; a ciò aggiungasi che l'indennità in parola è necessariamente correlata al raggiungimento degli obiettivi istituzionali da perseguire in via autonoma e prevalente; nella specie, la cennata Banda Musicale è annoverabile tra le strutture locali di supporto, sicché la stessa non risponde direttamente del mancato raggiungimento degli obiettivi connessi all'indennità di supercampagna.

    In conclusione, la pretesa del ricorrente non trova fondamento.

    Aggiungasi l'assenza, in capo al ricorrente, di alcun diritto soggettivo al riconoscimento dell'indennità in questione, risultando lo stesso soggetto ai citati presupposti legislativi ed amministrativi.

    Per quanto riguarda l'azione risarcitoria, la stessa, oltre che inammissibile perché introdotta con semplice memoria non notificata, è infondata sia per mancanza di danno ingiusto, attesa la legittimità dell'operato amministrativo che per mancanza di minimo principio di prova in ordine alla consistenza ed alla quantificazione dei danni assertivamente subiti.

    In conclusione, il ricorso in esame va respinto.

    Si rinvengono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio, attesa la particolare natura della controversia.

    P. Q. M.

    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Silvio Ignazio Silvestri

    L'ESTENSORE

    Domenico Landi

    IL CONSIGLIERE

    Giancarlo Luttazi

     

    Depositata in Segreteria il 18 ottobre 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

    Forze di polizia e assistenza al congiunto disabile

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    N. 427/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 1000 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 1000 del 2011, proposto da:
    D. V., rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Discepolo, Viviana Valletta, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte Segreteria in Torino, corso Stati Uniti, 45;
    contro
    Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45; Dipartimento Per L'Amministrazione Penitenziaria, Direzione della Casa Circondariale di Saluzzo (Cn);
    per l'annullamento:
    - della nota prot. n. GDAP - 0208162 - 2011 - PU - GDAP - 2000 - 24/5/2011 -0208162 - 2011, fasc. n. 38026, notificata il 30/5/2011, con la quale il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione, non ha accolto l'istanza di trasferimento dell'interessato prodotta in data 31/3/11;
    - di ogni altro atto e provvedimento comunque presupposto, connesso, inerente o consequenziale;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2012 il dott. Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Il ricorrente D. V., dipendente del Corpo di Polizia penitenziaria, in servizio a Saluzzo ma originario della provincia di Caserta, ha chiesto alla Amministrazione da cui dipende di essere trasferito presso la sede più vicina al proprio domicilio originario allo scopo di prestare assistenza alla nonna, affetta da handicap grave: l'istanza, presentata vanamente più volte nel passato, é stata ripresentata dopo l'entrata in vigore della L. 183/2010 sul presupposto che le modifiche da essa apportate all'art. 33 della L. 104/92 consentissero il soddisfacimento della richiesta. Con il provvedimento oggetto di gravame é stata tuttavia respinta anche l'ultima istanza di trasferimento sul rilievo che lo stato di handicap della ascendente del ricorrente era stato accertato in epoca successiva al trasferimento di costui a Saluzzo, che il beneficio poteva essere richiesto al fine di garantire la continuità di una assistenza già in atto, e che questa ultima non poteva essersi instaurata proprio a cagione della distanza esistente tra la sede di servizio ed il domicilio della persona da assistere. Il Ministero rilevava inoltre che non era provato il requisito della esclusività della assistenza.
    Avverso il citato provvedimento il sig. V. ha spiegato impugnazione, deducendone l'illegittimità per i seguenti motivi:
    I) violazione e falsa applicazione della L. 104/92, degli artt. 19 e 24 L. 183/10, difetto di motivazione: la riforma dell'istituto operata a mezzo della L. 183/10 ha fatto venir meno il requisito della continuità e della esclusività della assistenza; in ogni caso il ricorrente é l'unico referente per la anziana signora, alla quale il sig. V. ha sempre assicurato l'assistenza, sia prima che dopo il trasferimento, in maniera sistematica e adeguata; in ogni caso non si vede perché il sig. V., che potrebbe usufruire dei permessi di cui all'art. 33 comma 5 L. 104/92, non possa vedersi riconosciuto il trasferimento a sede più vicina;
    II) illegittimità costituzionale della L. 183/10 e incompatibilità con la Convenzione ONU sui diritti dei disabili del 13.12.06 e con la L. 18/09 di ratifica della stessa, violazione delle direttive 2006/54/CEE e 2000/73/CE nonché con gli artt. 21 e 23 della CARTA di Nizza: la persona che deve prestare assistenza deve poter essere scelta dalla persona disabile.
    Alla camera di consiglio dell'8 settembre 2011 il Collegio, con ordinanza n. 586/11, accoglieva la domanda cautelare e per l'effetto sospendeva il provvedimento impugnato. Tale ordinanza veniva tuttavia riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 5259/2011, con la seguente motivazione: "ritenuto che, allo stato, la pretesa della Amministrazione appellante appare fondata alla luce della giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui le innovazioni apportate dall'art. 24 della legge 183 del 2010 al regime dei trasferimenti ex artt. 33 comma 5 della legge 104 del 1992 richiedono, per poter essere applicate agli appartenenti alle Forze di polizia (tra le quali rientra la Polizia penitenziaria), l'adozione dei successivi provvedimenti legislativi cui fa rinvio l'art. 19 della medesima legge 183 del 2010, "in dipendenza della peculiarietà dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti"; e ciò anche per "stanziare le occorrenti risorse finanziarie" (cfr. IV Sez., 5 maggio 2011, n. 2707);".
    Il ricorso é stato infine introitato a decisione alla pubblica udienza del 9 febbraio 2012.
    Il ricorso non può essere accolto.
    Le modifiche apportate dall'art. 24 della L. 183/2010 all'art. 33 comma 5 della L. 104/92 hanno indubbiamente aumentato le possibilità, per un lavoratore dipendente pubblico o privato che assiste un congiunto affetto da handicap grave, di ottenere il trasferimento alla sede più vicina al luogo in cui dimora la persona assistita.
    L'art. 33 comma 5 citato prevedeva, nella versione previgente, che l'assistenza alla persona disabile dovesse avere il carattere della continuità e quindi che dovesse preesistere alla domanda di trasferimento. Inoltre la norma richiedeva che la persona assistita fosse convivente con quella oggetto della assistenza.
    Tali limiti sono venuti meno con le modifiche introdotte dall'art. 24 della L. 183/2010, per effetto della quale il diritto al trasferimento presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere viene ora riconosciuto al lavoratore che assista, sia pure senza continuità, una persona con handicap in situazione di gravità; coerentemente la norma neppure indica più, quale condizione, la convivenza tra lavoratore e persona assistita.
    Il ricorrente ha dimostrato, con la documentazione allegata al fascicolo, che non esistono altre persone viventi che possano occuparsi della anziana nonna, affetta da demenza senile, o persone che abbiano l'obbligo di prestare tale assistenza in sua vece. Tuttavia la sua appartenenza al corpo della Polizia penitenziaria impedisce, allo stato, che egli possa usufruire di tale beneficio essendo che - come il Consiglio di Stato ha precisato ancora recentemente nella sentenza n. 66/2012 - la legge 183/2010 all'art. 19 statuisce che l'ordinamento, la carriera e il contenuto del rapporto di impiego nonché la tutela economica, pensionistica e previdenziale del personale dipendente dalle Forze armate e di polizia é rimesso ad una separata regolamentazione in ragione della specificità del lavoro svolto dai dipendenti statali appartenenti alle menzionate categorie.
    Conseguentemente allo stato per i dipendenti delle Forze di polizia trova applicazione la disciplina previgente, in ossequio alla quale il trasferimento può essere concesso al fine di garantire e/o favorire una assistenza già in atto, connotata dalla convivenza e, secondo consolidata giurisprudenza, anche dalla esclusività. Orbene, tali requisiti nel caso di specie non possono riconoscersi sussistenti dal momento che l'assistenza che il ricorrente può prestare dalla sede di Saluzzo alla nonna, residente in provincia di Caserta, non può concretarsi in una attività personale, se non nei limiti del tenere il contatto telefonico con la assistita e con le persone incaricate di seguirla in modo diretto, e dell'effettuare visite periodiche. Tanto non basta a far ritenere già in atto quella assistenza che, secondo la normativa previgente alla L. 183/2010, innesta il diritto del lavoratore ad ottenere il trasferimento, compatibilmente con le esigenze di servizio.
    Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.
    E' peraltro priva di fondamento anche la seconda doglianza, articolata con riferimento alla supposta violazione di norme di carattere internazionale.
    Inconferente é il richiamo che la difesa del ricorrente ha effettuato alla direttiva 2006/54/CEE, il cui oggetto é circoscritto alla tutela delle pari opportunità tra uomini e donne nell'accesso al mercato del lavoro; lo stesso dicasi quanto al richiamo alla direttiva 2000/73/CE, che disciplina certi dispositivi luminosi.
    Per quanto riguarda la Carta Europea dei Diritti dell'Uomo appare inappropriato il richiamo all'art. 21 - oltre che all'art. 24, che si occupa solo della parità tra uomini e donne -, il quale si limita a stabilire il divieto di qualsiasi discriminazione che possa fondarsi, tra l'altro, sullo stato di disabilità di una persona: infatti non si comprende in che senso la ascendente del sig. V. sarebbe discriminata. Più pertinente sarebbe, al limite, il richiamo all'art. 26 della Carta, il quale riconosce il diritto delle persone disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale, la partecipazione alla vita della comunità: ma come ognun vede tale norma non garantisce affatto alla persona disabile il diritto di vedersi assegnare quale assistente, sempre e comunque, una determinata persona. La norma parla genericamente di "misure intese a garantirne l'autonomia", e fra queste vi é certamente l'assegnazione di un assistente e/o accompagnatore, che non deve necessariamente essere quello indicato dalla persona disabile, ove l'assistente non voglia o - come nel caso di specie - non possa prestarvisi.
    Infine, la convenzione ONU sui diritti dei disabili enuncia, all'art. 19, il principio per cui le persone disabili devono avere la possibilità di scegliere il luogo di residenza e le persone con cui vivere; ma non pare proprio che tale disposizione possa essere interpretata nel senso che si debba garantire alla persona disabile l'assistenza da parte di una certa persona quando ciò non sia possibile per varie ragioni; é tanto vero questo che l'art. 19 prosegue affermando che alle persone disabili deve essere assicurato un adeguato servizio di sostegno domiciliare, nella propria residenza o in comunità, ciò che implicitamente attribuisce agli stati la possibilità di assicurare l'assistenza ai disabili con qualsiasi mezzo adeguato, e non necessariamente secondo le indicazioni della persona assistita, la cui volontà deve certamente essere tenuta in conto ma non può prevalere incondizionatamente ed in ogni situazione, tanto più quando sia affetta da patologie che ne compromettano la capacità di intendere o di volere.
    Conclusivamente si deve rilevare che le norme della legge 104/92 non appaiono, anche nella versione previgente alla L. 183/2010, lesive dei diritti riconosciuti ai disabili dalle norme internazionali sopra ricordate, giacché nel complesso le menzionate leggi assicurano alle persone affette da handicap la necessaria assistenza senza tra lasciare un opportuno contemperamento con le opposte esigenze delle amministrazioni da cui dipendono i lavoratori chiamati a prestare l'assistenza.
    Per le sovra esposte ragioni il ricorso deve essere respinto.
    Tenuto conto del fatto che esso si fonda sulla L. 183/2010, sulla cui intepretazione i precedenti giurisprudenziali sono molto recenti, si giustifica la compensazione delle spese.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
    IL PRESIDENTE F.F.-ESTENSORE
    Roberta Ravasio
    IL REFERENDARIO
    Paola Malanetto
    IL REFERENDARIO
    Ariberto Sabino Limongelli
    Depositata in Segreteria il 4 aprile /2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


     

     
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