• Lavoro pubblico


    L’abilitazione scientifica nazionale a professore universitario si consegue con la maggioranza semplice dei voti favorevoli

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    N. 06567/2016 REG.PROV.COLL.

    N. 01372/2015 REG.RIC.

     

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

    (Sezione Terza Bis)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 1372 del 2015, proposto da:
    Rosamaria D'Amore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Storzieri, con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, Via Flaminia, 189;

    contro

    Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca, Anvur Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

    nei confronti di

    Roberto Iorio;

    per l'annullamento

    del verbale del 28 gennaio 2013 della Commissione nominata per l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di II fascia (tornata 2013) - settore concorsuale 13/A4 - economia applicata, unitamente agli ulteriori atti indicati in ricorso, nochè dell’elenco degli abilitati nella parte in cui non è inserito il nominativo della ricorrente;

     

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca e di Anvur Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2016 il dott. Riccardo Savoia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

     

    Considerato:

    che la Sezione si è già espressa sulla questione , con la recentissima sentenza del 03 novembre 2015 n. 12407/2015, con la quale ha accolto il ricorso sulla base della considerazione per cui: “Siffatta previsione regolamentare, assolutamente innovativa rispetto a tutta la pregressa legislazione in materia di concorsi universitari, risulta in contrasto con quelle di legge sotto due profili: in primo luogo, in quanto un’innovazione tanto significativa e contrastante con le regole generali di funzionamento degli organi collegiali avrebbe dovuto essere esplicitamente indicata dal legislatore nei dettagliatissimi criteri che esso ha fornito per l’adozione del regolamento disciplinante la procedura abilitativa; - in secondo luogo e comunque, perché la previsione di maggioranze qualificate risulta incompatibile con quella – specificamente inserita dal legislatore tra i criteri direttivi per l’adozione del regolamento (art. 16, comma 3, lett. a), della legge n. 240/2010) – secondo cui la Commissione deve in ogni caso (cioè: sia se il giudizio è positivo, sia se è negativo) rendere un “motivato giudizio fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche”. Risulta infatti, all’evidenza, impossibile pervenire ad un congruo e motivato giudizio negativo per una Commissione a maggioranza convinta del contrario.”, orientamento ribadito dalla sentenza n.13121/2015, confermata con sentenza n.470/2016 dal giudice d’appello;

    Rilevato che deve ritenersi illegittimo l’art. 8, comma 5, del D.P.R. n. 222/2011, secondo il quale la Commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, anziché a maggioranza dei componenti, come del resto previsto dalla previgente normativa (v., da ultimo, art. 9, comma 9, del D.Lg.vo n. 164/2006);

    che dall’illegittimità della regola di computo della maggioranza discende quella del giudizio negativo reso nella fattispecie dalla Commissione, e siccome a favore dell’abilitazione della ricorrente, invero, ha votato la maggioranza dei commissari (tre su cinque), il giudizio reso collegialmente non può che considerarsi favorevole, con conseguente conseguimento dell’abilitazione a professore di II fascia da parte dell’interessata;

    Ritenuto in conclusione che il ricorso in epigrafe debba essere accolto, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati;

    Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

    P.Q.M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis)

    definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

    Condanna il M.I.U.R. al pagamento delle spese di causa a favore della ricorrente, liquidate in € 1.500,00 oltre rimborso del contributo unificato ed accessori di legge.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:

    Riccardo Savoia, Presidente, Estensore

    Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere

    Emanuela Loria, Consigliere

     

     

    IL PRESIDENTE, ESTENSORE

     

     

     

     

     

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 07/06/2016

    IL SEGRETARIO

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

    Ultimo aggiornamento Giovedì 09 Giugno 2016 11:21
     

    Il Consiglio di Stato si è pronunciato anche sullo schema di decreto legislativo recante: “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”

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    L'Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato, col parere n. 1183 del 12 maggio 2016, si è pronunciata anche sullo schema di decreto legislativo recante: “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato”, approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 gennaio 2016, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge delega n.124/2015, di "Riforma della P.A." (c.d. Legge Madia).

    Ultimo aggiornamento Martedì 17 Maggio 2016 16:30
     

    Modifiche in materia di licenziamento disciplinare

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    Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 gennaio 2016 ha approvato il testo dello Schema di decreto delegato su “Modifiche in materia di licenziamento disciplinare”, recante modifiche all'articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001 numero 165, in attuazione dell’articolo 17, comma 1, lettera s) della Legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, meglio conosciuta come Legge Madia di Riforma della PA (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015 ).

    Ultimo aggiornamento Sabato 23 Aprile 2016 11:42
     

    Dirigenti "illegittimi" dell'Agenzia delle Entrate

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    SENTENZA N. 37

    ANNO 2015

     

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    composta dai signori:

    -           Alessandro                 CRISCUOLO                                   Presidente

    -           Paolo Maria                NAPOLITANO                                  Giudice

    -           Giuseppe                    FRIGO                                                      ”

    -           Paolo                          GROSSI                                                    ”

    -           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

    -           Aldo                           CAROSI                                                    ”

    -           Marta                          CARTABIA                                              ”

    -           Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

    -           Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

    -           Giuliano                      AMATO                                                    ”

    -           Silvana                        SCIARRA                                                 ”

    -           Daria                           de PRETIS                                                ”

    -           Nicolò                         ZANON                                                    ”

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, diefficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, promosso dal Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, nei procedimenti riuniti vertenti tra l’Agenzia delle entrate e Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego (già Dirpubblica − Federazione dei funzionari, delle elevate professionalità, dei professionisti e dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e delle Agenzie) ed altri, con ordinanza del 26 novembre 2013, iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014.

    Visti l’atto di costituzione di Dirpubblica, nonchè gli atti di intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

    uditi gli avvocati Gino Giuliano per il Codacons, Carmine Medici per Dirpubblica e l’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

    Ritenuto in fatto

    1.− Con ordinanza del 26 novembre 2013 (r.o. n. 9 del 2014), il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 351 e97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

    La disposizione impugnata, fatti salvi i limiti previsti dalla legislazione vigente per le assunzioni nel pubblico impiego, autorizza l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio ad espletare procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e all’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248. Tale autorizzazione è posta in relazione «all’esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione», disposte da altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

    La disposizione prevede, inoltre, che «[n]elle more dell’espletamento di dette procedure l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso». Dopo aver stabilito che gli incarichi in questione sono attribuiti «con apposita procedura selettiva applicando l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», e che «[a]i funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti», la norma precisa che «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l’Agenzia delle dogane, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». I periodi finali indicano le modalità attraverso le quali si provvede agli oneri finanziari derivanti dall’attuazione delle misure ricordate.

    2.− La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nel corso di un giudizio riunito avente ad oggetto tre ricorsi in appello, proposti dall’Agenzia delle entrate, per la riforma di altrettante sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Era stata tra l’altro affermata, mediante uno dei provvedimenti impugnati, l’illegittimità della delibera n. 55 del 22 dicembre 2009, assunta dal Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate, di proroga al 31 dicembre 2010 dei termini contenuti nell’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Quest’ultima disposizione prevede, per inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia, ed entro un termine più volte prorogato, che le eventuali vacanze sopravvenute nelle posizioni dirigenziali possano essere provvisoriamente coperte, previo interpello e salva l’urgenza, con contratti individuali di lavoro a termine stipulati con funzionari interni, ai quali va attribuito lo stesso trattamento economico dei dirigenti.

    Il TAR del Lazio, in sintesi, aveva ritenuto che la norma regolamentare attuasse un conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, in palese violazione degli artt. 19 e 52, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Di qui l’annullamento della delibera impugnata.

    Nelle more del procedimento d’appello, è entrato in vigore l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, cioè la norma censurata nel presente giudizio, che opera una sorta di trasposizione in legge di quanto previsto nel ricordato art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate.

    Il Consiglio di Stato, respinte questioni pregiudiziali di diritto e preliminari di merito, con separata ordinanza del 26 novembre 2013, ha quindi rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

    3.− Il giudice rimettente, in punto di rilevanza, osserva che la disposizione censurata, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», determinerebbe la declaratoria di improcedibilità dei ricorsi in appello per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. Consentendo che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, le Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, fatti salvi gli incarichi già affidati, possano attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari privi della corrispondente qualifica, con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso, essa determinerebbe infatti la “salvezza” del provvedimento impugnato nel giudizio a quo, cioè la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione.

    4.− Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente, in primo luogo, ritiene che la norma censurata contrasti con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso.

    Si assume in sintesi, anche mediante richiami alla giurisprudenza costituzionale (ex plurimissentenza n. 205 del 2004), che nel concorso pubblico va riconosciuta «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione». La forma concorsuale esige – secondo il rimettente – che non siano introdotte arbitrarie ed irragionevoli restrizioni nell’ambito dei soggetti legittimati alla partecipazione, ed in particolare che, pur non essendo preclusa la previsione per legge di condizioni di accesso intese a favorire il consolidamento di pregresse esperienze lavorative maturate all’interno di un’amministrazione, non sia dato luogo, salvo circostanze eccezionali, a riserva integrale dei posti disponibili in favore del personale interno, né a scivolamenti automatici verso posizioni superiori, senza concorso o comunque senza adeguate verifiche attitudinali. Inoltre, il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporterebbe l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate e sarebbe esso stesso soggetto, pertanto, quale forma di reclutamento, alla regola del pubblico concorso (è citata la sentenza di questa Corte n. 194 del 2002).

    A fronte di questi principi, la norma impugnata consentirebbe invece a funzionari privi della relativa qualifica, di essere destinatari, senza aver superato un pubblico concorso, di incarichi dirigenziali, quindi di accedere allo svolgimento di mansioni proprie di un’area e di una qualifica afferente ad un ruolo diverso nell’ambito dell’amministrazione.

    In secondo luogo, il giudice rimettente assume che l’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe un vulnus al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente lesione, sotto questo profilo, degli artt. 3 e 97 Cost.: infatti, rappresentando il concorso la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, esso costituisce un meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione e, dunque, attuativo del principio del buon andamento.

    In terzo luogo, è prospettata una violazione degli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, la norma censurata consentirebbe la preposizione ad organi amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

    Infine, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost., in quanto consentirebbe l’accesso all’ufficio di dirigente in violazione delle condizioni di uguaglianza tra i cittadini che aspirano ad accedere ai pubblici uffici e in violazione dei requisiti stabiliti dalla legge per il conferimento degli incarichi dirigenziali, posto che l’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe un ben diverso procedimento per il conferimento degli incarichi dirigenziali.

    5.− Con atto depositato in data 4 marzo 2014 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

    Secondo l’Avvocatura generale, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, non legittima le censure prospettate dal rimettente, in quanto norma a carattere assolutamente temporaneo ed eccezionale, introdotta al solo fine di garantire, nelle more dell’espletamento del concorso, il buon andamento degli uffici dell’Agenzia delle entrate. In particolare, la disposizione non consentirebbe uno scivolamento automatico nella qualifica dirigenziale dei funzionari dell’Agenzia inquadrati nella terza area funzionale, ma si limiterebbe ad attribuire a costoro mansioni dirigenziali, per il solo tempo necessario allo svolgimento del concorso. Si ricorda dalla stessa Avvocatura generale come questa Corte, con la sentenza n. 212 del 2012, abbia dichiarato l’infondatezza di una questione di legittimità costituzionale relativa ad una disposizione di legge (regionale) di contenuto asseritamente analogo a quella ora impugnata.

    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’eccezionalità e la temporaneità della previsione contenuta nella disposizione censurata sarebbero dimostrate anche dal fatto che l’Agenzia delle entrate ha dato effettivamente avvio a procedure concorsuali per il reclutamento di personale dirigente, attualmente in corso.

    Quanto alla dedotta diminuzione delle garanzie per i cittadini, in ragione della presunta elusione della regola del concorso, l’Avvocatura generale osserva che la disposizione censurata è semmai volta ad evitare conseguenze pregiudizievoli nei riguardi delle finanze pubbliche e della collettività, che si verificherebbero qualora gli uffici delle Agenzie rimanessero privi di un responsabile.

    Infine si rileva come, nelle more del presente giudizio, l’art. 8, comma 24, primo periodo, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, sia stato modificato dall’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, che proroga al 31 dicembre 2014 il termine «per il completamento delle procedure concorsuali» e stabilisce che nelle more possono essere prorogati solo gli incarichi già attribuiti ai sensi del secondo periodo del medesimo comma 24 dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito. Secondo l’Avvocatura generale, la disposizione da ultimo richiamata non farebbe altro che confermare la volontà di garantire, da un lato, l’efficiente organizzazione degli uffici dell’Agenzia, e, dall’altro, la copertura delle vacanze organiche nel rispetto del principio generale del pubblico concorso.

    6.− Nel giudizio innanzi alla Corte, con atto depositato il 4 marzo 2014, si è costituita Dirpubblica − Federazione del Pubblico Impiego, parte nel procedimento a quo, chiedendo, in primo luogo, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost. A tal fine, richiamati adesivamente gli argomenti del rimettente, la parte ricorda come la giurisprudenza consideri illegittimo, distinguendolo dalla reggenza, lo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario, al fine di porre in evidenza che la norma censurata avrebbe fatto “salva”, perpetuandola, una prassi contra legem, impedendo la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti attraverso procedure concorsuali.

    In secondo luogo, Dirpubblica chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, entrato in vigore nelle more del presente giudizio di costituzionalità, in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost. Assume, in proposito, che tale disposizione incorrerebbe nelle medesime censure già evidenziate con riguardo all’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, in quanto proroga di un anno il termine per il completamento di procedure concorsuali – per altro, a far data dall’entrata in vigore del richiamato d.l. n. 150 del 2013, non ancora avviate – e, nel frattempo, consente di prorogare o modificare gli incarichi dirigenziali già attribuiti ai sensi dell’art. 8, comma 24, secondo periodo, del d.l. n. 16 del 2012.

    In terzo luogo, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, anche per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU), ritenendo che la disposizione sarebbe stata adottata al fine di risolvere ex auctoritate legis una controversia pendente dinnanzi al giudice amministrativo, con ciò pregiudicando il principio di parità delle armi e il diritto di difesa e incidendo sull’esercizio della funzione giurisdizionale.

    Infine, chiede che la Corte costituzionale sollevi di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale della legge n. 15 del 2014, nella parte in cui ha modificato l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, in riferimento agli artt. 64, primo comma, e 81, terzo comma, Cost., allegando che nel procedimento di conversione sarebbero stati violati gli artt. 40, comma 2, e 102-bis, comma 1, del Regolamento del Senato della Repubblica.

    7.− Con atto depositato in data 3 marzo 2014, è intervenuto in giudizio il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), chiedendo, in adesione alle argomentazioni del rimettente Consiglio di Stato, l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

    In ordine all’ammissibilità del proprio intervento, osserva che l’Associazione, per espressa previsione statutaria, «[t]utela il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni». Rileva, inoltre, di aver spiegato intervento ad opponendum nel giudizio a quo, notificato in data 18 febbraio 2014 e depositato in data 20 febbraio 2014.

    8.− Nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato ulteriore memoria l’Avvocatura generale dello Stato. Oltre a ribadire le argomentazioni già illustrate, eccepisce l’inammissibilità delle censure sollevate da Dirpubblica sull’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, in relazione a tutti i parametri non evocati nell’ordinanza di rimessione.

    9.− Dirpubblica, in data 3 febbraio 2015, ha depositato a sua volta una memoria in cui, dopo aver illustrato le vicende successive alla proposizione della questione di costituzionalità, ribadisce la richiesta di accoglimento della questione sollevata e di estensione della dichiarazione d’incostituzionalità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 1, comma 14, del d.l. n. 150 del 2013, come convertito, sia in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., già evocati nella memoria depositata in data 4 marzo 2014, sia in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione alla norma interposta di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU.

    Chiede, inoltre, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale sia estesa, per gli stessi motivi, all’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

    10.− In data 2 febbraio 2015, ha depositato memoria il Codacons, insistendo sia per la propria legittimazione ad intervenire in giudizio, sia per l’accoglimento della questione.

    Considerato in diritto

    1.− Il Consiglio di Stato, sezione quarta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44.

    La disposizione censurata, in relazione alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio, e per «garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n.16 del 2012, come convertito, autorizza le Agenzie ricordate ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248.

    In questo contesto, la disposizione censurata aggiunge una specifica previsione, che costituisce l’effettivo oggetto delle censure del giudice a quo, e che opera in due distinte direzioni: fa salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari, e consente, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali prima richiamate, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Questi incarichi sono attribuiti, afferma la disposizione censurata, con «apposita procedura selettiva», applicandosi l’art. 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Dopo aver precisato che ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti, la disposizione in questione conclude che le Agenzie ricordate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali, secondo le modalità appena descritte e fatto salvo quanto previsto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, dal momento della «assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma».

    1.1.− Il giudice a quo è investito, tra l’altro, dell’impugnazione di una sentenza di annullamento della delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle entrate (n. 55 del 22 dicembre 2009), con la quale è stato modificato l’art. 24 del regolamento di amministrazione della stessa Agenzia. Tale ultima norma, regolando la «copertura provvisoria di posizioni dirigenziali», consente la stipulazione di contratti a termine con i funzionari interni, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e comunque non oltre una scadenza che – al momento dell’impugnativa – era fissata al 31 dicembre 2010. Il giudice rimettente pone in evidenza come la norma censurata – entrata in vigore nelle more del giudizio principale – operi una trasposizione in legge di quanto stabilito nella disposizione regolamentare cui si riferisce l’impugnativa, e condizioni dunque l’esito del giudizio a quo, ponendosi «quale factum principis sopravvenuto», che determinerebbe una declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

    1.2.− Ad avviso del giudice a quo, consentendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, aggirerebbe la regola costituzionale di accesso ai pubblici uffici mediante concorso, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza costituzionale che riconosce nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, quale procedura strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione, ciò che, riguardo all’assegnazione di funzioni direttive, priverebbe di legittimazione arbitrarie preclusioni di accesso, riserve integrali di posti o forme di attribuzione automatica in favore del personale interno. La norma censurata, sempre secondo il giudice a quo, consentirebbe invece a funzionari, privi della relativa qualifica, di accedere, senza aver superato un pubblico concorso, ad un «ruolo» diverso nell’ambito della propria amministrazione.

    L’elusione della regola del pubblico concorso determinerebbe anche un vulnus al principio del buon andamento, con conseguente ulteriore lesione, sotto questo diverso profilo, degli artt. 3 e 97 Cost. Ancora, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3 e 97, primo comma, Cost., in relazione ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poiché, permettendo l’attribuzione di incarichi a funzionari privi della relativa qualifica, consentirebbe la preposizione ad uffici amministrativi di soggetti privi dei requisiti necessari, determinando una diminuzione delle garanzie dei cittadini che confidano in una amministrazione competente, imparziale ed efficiente.

    Il rimettente prospetta, infine, una violazione degli artt. 3 e 51 Cost., poiché l’accesso a funzioni dirigenziali sarebbe consentito, in deroga al principio di uguaglianza, pur nell’assenza dei requisiti stabiliti dalla legge (e, in particolare, dall’art. 19 del citato d.lgs. n. 165 del 2011).

    2.− In via preliminare, va ribadito quanto stabilito nell’ordinanza della quale è stata data lettura in udienza, allegata alla presente sentenza, in ordine all’inammissibilità dell’intervento del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) nel presente giudizio di legittimità costituzionale.

    3.− La questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato dall’ordinanza di rimessione, dato che non possono essere prese in considerazione le censure svolte dalla parte del giudizio principale, con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 211n. 198 del 2014n. 275 del 2013n. 310n. 227n. 50 del 2010).

    4.− La questione è fondata.

    4.1.− Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012n. 7 del 2011n. 150 del 2010n. 293 del 2009).

    In apparenza, la disposizione impugnata non si pone in contrasto diretto con tali principi. Essa non conferisce in via definitiva incarichi dirigenziali a soggetti privi della relativa qualifica, bensì consente, in via asseritamente temporanea, l’assunzione di tali incarichi da parte di funzionari, in attesa del completamento delle procedure concorsuali.

    Tuttavia, l’aggiramento della regola del concorso pubblico per l’accesso alle posizioni dirigenziali in parola si rivela, sia alla luce delle circostanze di fatto, precedenti e successive alla proposizione della questione di costituzionalità, nelle quali la disposizione impugnata si inserisce, sia all’esito di un più attento esame della fattispecie delineata dall’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012.

    4.2.− Per colmare le carenze nell’organico dei propri dirigenti, l’Agenzia delle entrate ha, negli anni, fatto ampio ricorso ad un istituto previsto dall’art. 24 del proprio regolamento di amministrazione. Tale disposizione consente, «[p]er inderogabili esigenze di funzionamento dell’Agenzia», la copertura provvisoria delle eventuali vacanze verificatesi nelle posizioni dirigenziali, previo interpello e previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti, mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, «fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza» e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, a partire dal 2006, con apposite delibere del Comitato di gestione dell’Agenzia. Al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, esso risultava fissato al 31 dicembre 2010. Successivamente alla proposizione della questione, il termine è stato prorogato altre due volte, da ultimo (con delibera n. 51 del 29 dicembre 2011) «al 31 maggio 2012».

    Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti. Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità, né al modello dell’affidamento di mansioni superiori a impiegati appartenenti ad un livello inferiore, né all’istituto della cosiddetta reggenza. Il primo modello, disciplinato dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, prevede l’affidamento al lavoratore di mansioni superiori, nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi prorogabili fino a dodici, qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, ma è applicabile solo nell’ambito del sistema di classificazione del personale dei livelli, non già delle qualifiche, e in particolare non è applicabile (ed è illegittimo se applicato) laddove sia necessario il passaggio dalla qualifica di funzionario a quella di dirigente (sentenza di questa Corte n. 17 del 2014; nella giurisprudenza di legittimità, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 12 aprile 2006, n. 8529, e 26 marzo 2010, n. 7342).

    Invero, l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413). Ebbene, le reiterate proroghe del termine previsto dal regolamento di organizzazione dell’Agenzia delle entrate per l’espletamento del concorso per dirigenti e, conseguentemente, per l’attribuzione di funzioni dirigenziali mediante la stipula di contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, hanno indotto la giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, seconda sezione, sentenze 30 settembre 2011, n. 7636, e 1° agosto 2011, n. 6884) a ritenere carenti, nella fattispecie prevista dall’art. 24 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, i due presupposti ricordati della straordinarietà e della temporaneità, a non configurarla come un’ipotesi di reggenza e quindi a considerarla in contrasto con la disciplina generale di cui agli artt. 19 e 52 del d.lgs. n. 165 del 2001.

    In questo quadro normativo e giurisprudenziale, e nella relativa vicenda processuale, interviene il legislatore, attraverso la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale.

    La norma impugnata esordisce autorizzando le Agenzie delle entrate, del territorio e delle dogane ad espletare procedure concorsuali, da completarsi entro il 31 dicembre 2013, per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, attraverso il richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 1, comma 530, della l. n. 296 del 2006 e nell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito. L’autorizzazione in parola è rafforzata attraverso un riferimento alla «esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità» delle strutture delle Agenzie e alla necessità di garantire «una efficace attuazione delle misure di contrasto all’evasione» contenute in altri commi dello stesso art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, come convertito.

    In realtà, del tutto indipendentemente dalla norma impugnata, l’indizione di concorsi per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti è resa possibile da norme già vigenti, che lo stesso art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, si limita a richiamare senza aggiungervi nulla (si veda l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 203 del 2005, come convertito). Inoltre, considerando le regole organizzative interne dell’Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all’istituto della delega, anche a funzionari, per l’adozione di atti a competenza dirigenziale − come affermato dalla giurisprudenza tributaria di legittimità sulla provenienza dell’atto dall’ufficio e sulla sua idoneità ad esprimerne all’esterno la volontà (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenze 9 gennaio 2014, n. 220; 10 luglio 2013, n. 17044; 10 agosto 2010, n. 18515; sezione sesta civile − T, 11 ottobre 25012, n. 17400) – la funzionalità delle Agenzie non è condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla disposizione censurata. Sicché l’obbiettivo reale della disposizione in esame è rivelato dal secondo periodo della norma in questione, ove, da un lato, si fanno salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie e i propri funzionari, dall’altro si consente ulteriormente che, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, le Agenzie attribuiscano incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso.

    Dopo la proposizione della questione di legittimità costituzionale, il termine originariamente fissato per il «completamento» delle procedure concorsuali viene prorogato due volte. Dapprima, l’art. 1, comma 14, primo periodo, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15, lo ha spostato al 31 dicembre 2014, purché le procedure fossero indette entro il 30 giugno 2014, con la precisazione che, nelle more, era possibile prorogare o modificare solo gli incarichi dirigenziali già attribuiti, non invece conferirne di nuovi. Successivamente, l’art. 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), lo ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2015.

    Benché il legislatore abbia esplicitamente precisato, in questi interventi di proroga, che non è consentito conferire nuovi incarichi a funzionari interni, è indubbio che gli interventi descritti abbiano aggravato gli aspetti lesivi della disposizione impugnata. In tal modo, infatti, il legislatore apparentemente ha riaffermato, da un lato, la temporaneità della disciplina, fissando nuovi termini per il completamento delle procedure concorsuali, ma, dall’altro, allontanando sempre di nuovo nel tempo la scadenza di questi, ha operato in stridente contraddizione con l’affermata temporaneità.

    4.3.− La norma impugnata ha cura di esibire, quale caratteristica essenziale, la propria temporaneità: il ricorso alla descritta modalità di copertura delle posizioni dirigenziali vacanti sarebbe provvisorio, strettamente collegato all’indizione di regolari procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza, da completarsi entro un termine ben identificato, che la disposizione impugnata, in origine, fissava al 31 dicembre 2013.

    Tuttavia, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, inserisce in tale costruzione un elemento d’incertezza, nella parte in cui stabilisce che, fatto salvo quanto disposto dall’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, le Agenzie interessate non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari «[a] seguito dell’assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma». Questo significa che al termine, certo nell’an e nelquando, del completamento delle procedure concorsuali – nelle cui more è possibile attribuire incarichi dirigenziali con le modalità descritte – si affianca un diverso termine, certo nella sola attribuzione del diritto all’assunzione, ma incerto nel quando, perché tra il completamento delle procedure concorsuali (coincidente con l’approvazione delle graduatorie) e l’assunzione dei vincitori, può trascorrere, per i più diversi motivi, anche un notevole lasso di tempo.

    È quindi lo stesso tenore testuale della disposizione impugnata a non escludere che, pur essendo concluse le operazioni concorsuali, le Agenzie interessate possano prorogare, per periodi ulteriori, gli incarichi dirigenziali già conferiti a propri funzionari, in caso di ritardata assunzione di uno o più vincitori. In questo senso, in contraddizione con l’affermata temporaneità, il termine finale fissato dalla disposizione impugnata finisce per non essere «certo, preciso e sicuro» (sentenza n. 102 del 2013).

    Per questo, non è conferente il richiamo, effettuato dall’Avvocatura generale dello Stato, alla fattispecie normativa scrutinata con la sentenza di questa Corte n. 212 del 2012. In tale sentenza, l’infondatezza della questione derivava dalla circostanza per cui la norma di legge (regionale) impugnata consentiva, in assenza di personale con qualifica dirigenziale, che talune delle suddette funzioni potessero essere attribuite a funzionari della categoria più elevata non dirigenziale, fino all’espletamento dei relativi concorsi e, comunque, per non più di due anni. Come si vede, in quel caso il termine finale della copertura delle vacanze attraverso il conferimento d’incarichi non era ancorato ad un evento incerto nel quando come l’assunzione dei vincitori, ma era fissato perentoriamente.

    Anche considerando il tenore letterale della norma impugnata, quindi, il carattere di temporaneità della soluzione da essa prevista, sul quale insiste l’Avvocatura generale dello Stato, tende a scolorire fin quasi ad annullarsi.

    4.4.− Si aggiunga, per quanto necessario, che la regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. (sentenze n. 217 del 2012n. 150n. 149 del 2010n. 293 del 2009n. 453 del 1990).

    4.5.− In definitiva, l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, come convertito, ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Per questo, ne va dichiarata l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

    Posto che le ricordate proroghe di termini fanno corpo con la norma impugnata, producendo unitamente ad essa effetti lesivi, ed anzi aggravandoli, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale va estesa all’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150, come convertito, e all’art. 1, comma 8, del d.l. 31 dicembre 2014, n. 192. E proprio perché tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono a integrare la disciplina impugnata, non vi sono ostacoli ad estendere ad esse la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, pur trattandosi di disposizioni normative sopravvenute al giudizio a quo. Infatti, «l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali» (sentenza n. 214 del 2010).

    per questi motivi

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;

    2) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;

    3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative).

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.

    F.to:

    Alessandro CRISCUOLO, Presidente

    Nicolò ZANON, Redattore

    Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2015.

     

    Ultimo aggiornamento Lunedì 18 Maggio 2015 16:58
     

    Piloti dei Vigili del fuoco: compenso per operazioni anticendio

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    N. 715/2013 Reg. Prov. Coll.
    N. 15635 Reg. Ric.
    ANNO 2000
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 15635 del 2000, proposto da:
    D. A., rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Augusto Melis, Antonia Catte, con domicilio eletto presso Marco Mariani in Roma, via Savoia, 78;
    contro
    Ministero dell'Interno, Direzione Generale Protez. Civile e dei Serv. Antincendio, Pres.Cons.Ministri - Dipartimento della Protezione Civile, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
    per l'accertamento
    del diritto alla percezione del compenso previsto nell'Ordinanza del Ministero per il Coordinamento della Protezione Civile n. 688/FPC del 21 febbraio 1986 per il servizio speciale prestato presso il Nucleo Elicotteri dei Vigili del Fuoco di Salerno, durante la campagna antincendi dal 1993 al 1996 e 1998
    per la condanna
    dell'Amministrazione alla corresponsione delle somme dovute oltre a interessi e rivalutazione monetaria;
    Visti gli atti della causa;
    Nominato relatore all'Udienza Pubblica in Camera di Consiglio del 13 dicembre 2012 il consigliere dr. Linda Sandulli e sentiti gli avvocati come da verbale d'udienza;
    ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
    FATTO
    Con ricorso notificato l-11 settembre 2000 e depositato il 15 successivo il signor D. A., sopra specificato, chiede l'accertamento del suo diritto alla percezione del compenso previsto nell'Ordinanza del Ministero per il Coordinamento della Protezione Civile n. 688/FPC del 21 febbraio 1986 per il servizio speciale prestato presso il Nucleo Elicotteri dei Vigili del Fuoco di Salerno, durante la campagna antincendi dal 1993 al 1996 e 1998, e la condanna dell'Amministrazione intimata alla corresponsione delle somme dovute oltre a interessi e rivalutazione monetaria.
    Deduce i seguenti motivi:
    1) Eccesso di potere per contraddittorietà tra più atti.
    2) Violazione dei principi di uguaglianza, giusta retribuzione e buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione. Violazione degli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione.
    Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate che hanno dedotto l'infondatezza delle censure sollevate e contestato le deduzioni svolte nel merito, chiedendo, in via conclusiva, il rigetto del ricorso.
    All'udienza pubblica in Camera di Consiglio del 13 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    Dopo aver precisato di aver prestato servizio speciale nella qualità di elicotterista addetto al Nucleo Elicotteri del Comando dei Vigili del Fuoco nelle campagne antincendi dal 1993 al 1996 e nel 1998, il ricorrente, signor D., chiede il riconoscimento del suo diritto ai compensi per l'attività svolta, che ritiene dovuti in relazione all'Ordinanza del Ministero per il Coordinamento della Protezione Civile n. 688/FPC del 21 febbraio 1986.
    Con il primo motivo di gravame viene dedotto l'eccesso di potere tra più atti atteso che la Direzione Generale della Protezione Civile avrebbe richiesto, in varie occasioni, i prospetti riepilogativi delle missioni effettuate dal personale impiegato nella campagna antincendi nel periodo d'interesse salvo, poi, escludere il diritto a tale compenso.
    La nota, nella quale si dava per scontata la spettanza delle somme pretese, sarebbe stata trasmessa dalla Direzione Generale della Protezione Civile con i dati richiesti al Dipartimento della Protezione Civile e al Ministero della Difesa per la corresponsione del dovuto.
    Stesso tenore sarebbe rilevabile dalla nota 18 agosto 1998 della Direzione generale della predetta Protezione Civile.
    Soltanto nel 2000, sorprendentemente, la predetta Direzione Generale avrebbe lasciato intendere che vi erano dubbi sulla spettanza delle somme pretese e avrebbe declinato la sua competenza al riguardo.
    Con il secondo motivo parte ricorrente contesta i profili di illegittimità costituzionale dell'interpretazione resa dalla resistente andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione.
    Preliminarmente, il Collegio osserva che l'azione proposta è un'azione di accertamento del diritto alla corresponsione di un compenso dovuto in applicazione di specifiche norme vigenti nel periodo interessato rispetto al quale non sussistono margini di apprezzamento discrezionale da parte dell'Amministrazione resistente la quale è tenuta a pagare una volta accertato il debito.
    Ne consegue che il comportamento tenuto da quest'ultima si presenta, eventualmente, come criticabile se indicativo di incertezze e incoerenze peraltro legate alle complesse vicende che hanno segnato la Protezione Civile e il suo collocamento nell'ambito del Governo, ma non rivelatore di illegittimità atteso che ciò che rileva, in ipotesi del genere, è la sussistenza o meno del diritto e quindi l'esistenza e la vigenza della fonte normativa generatrice dell'obbligo e non le eventuali e contraddittorie richieste di documentazione rivolte all'interessato.
    Contesta la sussistenza del debito per cui è causa la difesa erariale.
    Il Collegio premette che l'Ordinanza del Ministero Protezione Civile n. 688/FPC del 21.2.1986, con la quale è stato previsto il riconoscimento di una specifica indennità ai piloti che avessero effettuato un numero minimo di missioni in operazioni di spegnimento di incendi boschivi con elicotteri dotati di benna, risulta vigente nel periodo interessato, secondo quanto affermato da copiosa giurisprudenza, al riguardo (fr., in particolare, Consiglio Stato, sez. IV, 18 settembre 2007, n. 4857 Cons. St.; n. 2647/2009; Cons. St., sez. VI, 3228/2008) e che, quindi, il riordino organizzativo della Protezione Civile e la diversa distribuzione delle competenze amministrative relative ai servizi di contrasto agli incendi non sono stati ritenuti, in alcun modo incompatibili con la persistente operatività dell'indennità antincendio. Va, quindi, osservato che le somme in questione spettano agli appartenenti al Corpo dei Vigili del fuoco soltanto in ipotesi determinate secondo quanto meglio verrà precisato in appresso.
    A proposito della legge n. 47 del 1975 che (articolo 7) nel titolo II relativo alla "Difesa e ricostituzione del patrimonio forestale" attribuisce il compito di spegnimento degli incendi alla "collaborazione dei vigili del fuoco " il Collegio precisa quanto segue.
    La legge appena menzionata ha attribuito al Ministero dell'Agricoltura e foreste (ora delle Politiche Agricole e forestali) il compito di spegnimento degli incendi che per quanto riguarda, in particolare, le attività a terra risulta affidato al Corpo Forestale dello Stato e, in via di collaborazione, ai Vigili del fuoco.
    A partire dall'anno 1986, con l'approvazione dell' Ordinanza n. 688 di cui è stata riaffermata la vigenza dalla giurisprudenza amministrativa prima citata, il Ministero del Coordinamento della protezione Civile, nel frattempo istituito (D. L. nº 57 del 27 febbraio 1982 convertito nella legge n. 187 dello stesso anno) ha previsto la possibilità di compensare gli equipaggi impegnati in attività di soccorso aereo per lo spegnimento degli incendi boschivi, nei termini espressamente richiamati dal ricorrente.
    Con la legge n. 225 del 24 febbraio 1992, è nato, infine, il Servizio Nazionale della Protezione Civile, il quale ha previsto (art. 6) che costituiscono componenti del Servizio nazionale della protezione civile e che provvedono alle attività di protezione civile "secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze, le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, e vi concorrono gli enti pubblici..........." e che tra le strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione civile viene indicato "il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale della protezione civile"
    Motore organizzativo dell'attività area per lo spegnimento degli incendi, infine, è, fin dal 1982, il Comitato Operativo Aereo Unificato, centro di comando e controllo di tutti i mezzi aerei resi disponibili per l'attività di protezione civile, che pianifica e coordina le attività di volo, sia in ambito nazionale che internazionale, anche con il concorso del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
    Alla luce di tale quadro di competenze e di attività deve allora rilevarsi che l'appartenenza al Corpo dei Vigili del fuoco non è ragione di esclusione dal compenso per cui è causa dovendosi, soltanto, accertare se risulti provato l'effettivo svolgimento dell'attività per la quale si rivendicano le somme e, in particolare, se tale attività sia stata prestata in base a quanto stabilito dall'organizzazione dell'ufficio incaricato del Servizio in sede nazionale di coordinare gli interventi reputati necessari per lo spegnimento degli incendi, vale a dire il COAU.
    Ebbene dalla lettura della documentazione versata in atti dal ricorrente non sembra che la pretesa dal medesimo avanzata possa ritenersi fondata.
    A prescindere dalle richieste rivolte dal ricorrente all'Amministrazione resistente che sono atti di parte, assumono un rilievo decisivo al fine della definizione della vicenda in esame i documenti prodotti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in ogni caso noti al Collegio per essere stati depositati in altri ricorsi anche in quelli spediti in decisione nell'udienza pubblica odierna.
    Risulta da questi che il Centro Operativo Aereo Unificato (COAU) ha dichiarato i mezzi aerei utilizzati per spegnere gli incendi nel 1994, e le tabelle di dislocazione dei mezzi aerei antincendi per le campagne antincendi boschivi 1995, 1996, 1997 e 1998. E l'impiego di mezzi dei Vigili del Fuoco per conto del COAU risulta soltanto per gli anni 1998 e 2000, con le precisazioni che di seguito si espongono.
    Risulta, altresì, che tale situazione è stata espressamente resa nota dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all'Ufficio Affari Generali Documentazione e Volontariato- Servizio contenzioso della medesima Presidenza prot. EME/4623/A.008 dell'8 febbraio 2000 laddove si precisa per gli anni dal 1994 al 1997 "non risulta alcuna partecipazione degli equipaggi di volo del C.N. VV.F. al dispositivo aereo coordinato dal COAU per la lotta agli incendi boschivi" e successivamente con la nota EME/30924/A008 del 29 settembre 2000 dove è attestato che gli equipaggi del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco non hanno partecipato negli anni dal 1990 al 1997 ad alcuna missione di concorso aereo AIB coordinata o disposta dal COAU".
    Ne consegue che mancando un impiego dei velivoli dei VVF, disposto dall'organo deputato ad operare il coordinamento delle attività antincendio di competenza della Protezione Civile (il COAU) deve concludersi che la pretesa del ricorrente si rivela, relativamente agli anni dal 1993 al 1996, infondata.
    E tale conclusione non è scalfita dalla documentazione versata in atti dal medesimo ricorrente atteso che la stessa riguarda essenzialmente i rapporti, di carattere generale, intercorrente tra i vari settori impegnati nello spegnimento degli incendi ma nulla precisa rispetto alla posizione del ricorrente.
    La conclusione ora detta vale, peraltro, anche per l'anno1998.
    Per tale anno pur essendovi l'ammissione sull'utilizzo del Corpo dei Vigili del Fuoco per l'attività di spegnimento degli incendi boschivi risulta versato in atti, dal ricorrente, il prospetto del Ministero dell-Interno, Direzione Generale della Protezione Civile dal quale risulta che lo stesso ha svolto nell'agosto 1998 una sola giornata di attività di volo.
    Non sembra che la stessa rivesta quel carattere di continuità richiamato nell'Ordinanza della Protezione Civile della quale si chiede l'applicazione.
    Ne consegue che il ricorso si rivela infondato anche relativamente all'anno 1998.
    Le spese di lite, in considerazione della particolarità della vicenda esaminata, possono essere compensate tra le parti.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sede di Roma - Sezione I ter Respinge il ricorso proposto dal signor D. A., meglio specificato in epigrafe.
    Compensa le spese di lite tra le parti.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
    Linda Sandulli - Presidente, Estensore
    Pietro Morabito - Consigliere
    Fabio Mattei - Consigliere
     
    IL PRESIDENTE, ESTENSORE
    Linda Sandulli
     
    Depositata in Segreteria il 22 gennaio 2013
     

    Dirigenza medica: basta la laurea o occorre la specializzazione?

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    N. 2189/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 1820 Reg. Ric.
    ANNO 2012
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1820 del 2012, proposto da: G. S. + 6, rappresentati e difesi dall'avv. Sergio Busacca, con domicilio eletto presso lo stesso in Catania, via Teatro Greco 76;
    contro
    Azienda Ospedaliero Universitaria "Policlinico - Vittorio Emanuele" di Catania, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Currao, con domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore in Catania, via Gallo 25;
    per l'annullamento
    della deliberazione n. 677 del 21-05-2012, di esclusione dal concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di tre posti di Dirigente di odontoiatria nonchè avverso le relativa clausole del bando contenute nella delibera n. 363 del 20-11-2009 di indizione del concorso, configgente con l'interesse dei ricorrenti a partecipare al concorso predetto;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria "Policlinico - Vittorio Emanuele" di Catania;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 settembre 2012 il dott. Giovanni Milana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
    1. Con ricorso notificato il 19/7/2012 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 20 luglio, i ricorrenti, laureati in odontoiatria, hanno impugnato, chiedendone l'annullamento, la deliberazione citata in epigrafe, con cui l'Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Vittorio Emanuele di Catania ha disposto la loro esclusione dal concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di tre posti di dirigente odontoiatra - disciplina odontoiatria - indetto con provvedimento deliberazione n. 677 del 21-05-2012, perché non in possesso di alcuna specializzazione né nella disciplina a concorso né in disciplina equipollente.
    2. A sostegno del ricorso hanno presentato le seguenti censure:Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 e dell'art. 4 del Bando, nonché dell'art. 28 del DPR n. 483 del 1997; carenza di motivazione,. eccesso di potere per errore nei presupposti, contraddittorietà per illogicità ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento.
    Ad avviso dei ricorrenti ai sensi del disposto dell'articolo 28 del D.P.R. 10.12.1997, n. 483, essi avrebbero pieno titolo a partecipare al concorso di cui in causa in quanto in possesso della relativa specializzazione conseguita unitamente al diploma di laurea; avuto riguardo al fatto che detto concorso è stato bandito per l'area odontoiatrica, disciplina odontoiatria, disciplina, questa in cui essi sono laureati e, pertanto, in forza del conseguimento di detta laurea già, a pieno titolo, titolari della specializzazione in odontoiatria.
    Inoltre, il bando di concorso non prescriverebbe in nessuna parte espressamente per gli odontoiatri partecipanti al concorso di cui in causa il possesso di ulteriori titoli oltre il diploma di laurea in Odontoiatria.
    Nei termini di legge si è costituita in giudizio l'Azienda Ospedaliera intimata, eccependo l'inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della clausola del bando e chiedendone comunque la reiezione in quanto infondato nel merito
    Il Collegio reputa che il ricorso debba essere disatteso, per cui è possibile prescindere dalla definizione delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della resistente Azienda sanitaria.
    Il postulato sul quale si fondano le censure dei ricorrenti,secondo cui essi avrebbero avuto pieno titolo a partecipare al concorso de quo in forza dell'art. 28 del DPR n. 483/1997. se correttamente interpretato, in quanto già in possesso della specializzazione nella disciplina di odontoiatria che hanno conseguito unitamente al diploma di laurea, non è fondato.
    La Sezione ritiene di non doversi discostare dall'orientamento espresso dalla giurisprudenza in materia (con eccezione di una decisione difforme dall'orientamento prevalente, invocata dai ricorrente, costituita dalla sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana del 14 settembre 2007, n. 816/2007) e ritiene di aderire all'orientamento della IV Sezione del Consiglio di Stato in s.g. (7 giugno 2004, n. 3597 e 3598), già condiviso dal parere reso all'Adunanza del 12 novembre 2008, secondo cui il decreto legislativo n. 502 del 1992 ha impresso un nuovo assetto alla dirigenza del ruolo sanitario del S.S.N. In particolare, l'art. 15, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 ha previsto che al concorso pubblico per l'accesso al primo livello della dirigenza possano partecipare coloro che abbiano conseguito la laurea nel corrispondente profilo professionale, siano iscritti all'albo dei rispettivi ordini ed abbiamo conseguito il diploma di specializzazione nella disciplina. L'art. 18 del decreto legislativo suddetto ha riservato ad un atto regolamentare l'adeguamento della vigente disciplina concorsuale del personale del S.S.N. e, in attuazione di tale disposizione, è stato emanato il d.P.R. n. 483 del 10 dicembre 1997. Per i vari concorsi delle categorie professionali appartenenti al ruolo sanitario il regolamento ha stabilito così come previsti dall'art. 15 del citato d.lgs. n. 502 del 1992 e tra i titoli è compresa la specializzazione.
    L'assunto secondo cui la laurea in odontoiatria è di per sé abilitante all'esercizio della professione e che, quindi, non ha bisogno di specializzazione è ad avviso della Sezione irrilevante, posto che la laurea in medicina e chirurgia, in nesso inscindibile con l'abilitazione professionale, è un titolo abilitante alla professione medica, per cui il medico, prescindendo da specializzazioni, potrebbe, in teoria, compiere (non certo nel servizio pubblico) tutti gli atti medici derivanti dalla laurea. Sta di fatto che l'ordinamento previsto dal S.S.N., per l'instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente, occorre non solo la laurea ma anche la specializzazione.
    Il principio contenuto nell'art. 15, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992 è un principio non derogabile, né lo stesso vale a togliere valore alla laurea in odontoiatria. Anche sotto il profilo dell'iter logico-giuridico la scelta del legislatore di richiedere il possesso della specializzazione non appare censurabile. Infatti il titolo abilitante all'esercizio della professione di odontoiatra non è sufficiente a garantire la necessaria professionalità che si richiede a coloro che vogliono accedere al livello dirigenziale del S.S.N.
    Tutto il sistema di riordino della disciplina in materia sanitaria voluto dal legislatore con il d.lgs. n. 502 del 1992 si base sui principi della managerialità e dell'efficienza, che vogliono garantire un corretto svolgimento delle attività proprie delle varie figure professionali che operano all'interno di enti e strutture del S.S.N. Ne consegue che la laurea in odontoiatria può essere abilitante per lo svolgimento della professione, ma non è un requisito sufficiente per far acquisire il secondo livello dirigenziale nel sistema concorsuale del Sistema Sanitario nazionale. La norma regolamentare ha dato applicazione nella specifica fattispecie all'art. 15 del citato d.lgs. n. 502 del 1992, mantenendo la posizione della laurea e della specializzazione come due requisiti distinti ed entrambi essenziali per l'ammissione ai concorsi.
    Coerentemente al predetto quadro normativo, in cui è inserito, l'art. 28 del DPR483/1997 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale) dispone:
    28. Concorso, per titoli ed esami, per il primo livello dirigenziale odontoiatra - Requisiti specifici di ammissione.
    1. I requisiti specifici di ammissione al concorso sono i seguenti:
    a) laurea in odontoiatria e protesi dentaria, nonché laurea in medicina per i laureati in medicina e chirurgia legittimati all'esercizio della professione di odontoiatra;
    b) specializzazione nella disciplina;
    c) iscrizione secondo le modalità indicate dalla legge 24 luglio 1985, n. 409, al rispettivo albo dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, attestata da certificato in data non anteriore a sei mesi rispetto a quella di scadenza del bando.
    "2. La specializzazione fatta valere come titolo legittimante l'esercizio della professione di odontoiatra non è valida ai fini dell'ammissione al concorso."
    Pertanto il chiaro disposto del comma 2 dell'art. su riportato smentisce il postulato dei ricorrenti secondo cui la disciplina normativa introdotta con il DPR n. 483/1997 non inibirebbe la partecipazione al concorso di cui in causa ai sanitari laureati in Odontoiatria sforniti di specializzazioni nella disciplina.
    Per quanto attiene alla censura afferente la mancata presenza nel bando di una previsione espressa di esclusione dal concorso dei sanitari laureati in odontoiatria, ma privi di specializzazione va rilevato che, avuto riguardo al chiaro disposto dell'art. 28 del DPR n. 483/1997 detta previsione sarebbe stata superflua atteso che il DPR, atto avente natura normativa, costituisce di per se fonte etero integrativa del bando, pertanto la censura si appalesa infondata.
    4. Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere di conseguenza respinto.
    Quanto alle spese di lite, visto la il contrasto giurisprudenziale indicato nella sentenza, il Collegio ritiene che possano rimanere integralmente compensate fra le parti in causa.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo rigetta.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 settembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Salvatore Veneziano
    L'ESTENSORE
    Giovanni Milana
    IL REFERENDARIO
    Diego Spampinato
     
    Depositata in Segreteria il 20 settembre 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     
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