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    Night club a luci rosse? Il questore può sospendere la licenza

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    N. 248/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 343 Reg. Ric.

    ANNO 2009

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 343 del 2009, proposto da:

    N. C., rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo Di Noi, con domicilio eletto presso il proprio difensore in Pescara, v.le V.Colonna, 11;

    contro

    Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo C/ S. Domenico;

    per l'annullamento

    del decreto 3 aprile 2009, cat. 10A/09-PASI, con il quale il Questore della Provincia di Pescara ha sospeso per giorni 15 l'attività del night club "...omissis...", gestita dal ricorrente; nonché degli atti presupposti e connessi, tra cui il decreto dello stesso Questore 17 aprile 2009, cat. Q2/2-PAS/09, con il quale è stata disposta la riapertura dell'esercizio con decorrenza 18 aprile 2009.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2012 il dott. Michele Eliantonio e uditi l'avv. Mirko Collevecchio, su delega dell'avv. Vincenzo Di Noi, per il ricorrente e l'avv. distrettuale dello Stato Anna Buscemi per il Ministero resistente;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Il Questore della Provincia di Pescara con decreto del 3 aprile 2009 ha sospeso per giorni 15 l'attività del night club "...omissis..." in ragione del fatto che nel locale si svolgevano attività ed intrattenimenti a sfondo erotico. In particolare, poiché nel c.d. privè erano state rinvenute ragazze in abiti succinti con le quali i frequentatori potevano appartarsi mediante il pagamento di speciali consumazioni, il Questore ha ritenuto che il locale era "luogo di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione". I gestori sono stati segnalati per tali reati alla competente Autorità giudiziaria.

    Con il ricorso in esame il legale rappresentate della società che gestisce detto night club è insorto dinanzi questo Tribunale avverso tale atto, deducendo le seguenti censure:

    1) che il Questore non era competente ad adottare l'atto di sospensione impugnato;

    2) che l'esercente il locale non avrebbe potuto rifiutare ai clienti le prestazioni del proprio esercizio, per cui non avrebbe potuto svolgere un'adeguata attività di prevenzione;

    3) che non gli era stata data comunicazione dell'avvio del procedimento;

    4) che la revoca parziale dell'atto impugnato, disposta con il successivo decreto del 17 aprile 2009, doveva prevedere un adeguato indennizzo;

    5) che l'atto si basava sulla sola segnalazione da parte dei Carabinieri, insufficiente a sorreggere con adeguata motivazione l'atto impugnato.

    Infine, è stata anche chiesta la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento dei danni derivanti dalla chiusura del locale.

    Il Ministero dell'Interno si è costituito in giudizio, depositando, oltre a tutti gli atti del procedimento, anche un'analitica relazione dell'8 marzo 2010 della Questura di Pescara.

    Alla pubblica udienza del 24 maggio 2012 la causa è stata trattenuta a decisione.

    DIRITTO

    L'impugnato decreto, con il quale il Questore della Provincia di Pescara ha sospeso per giorni 15 l'attività del night club "...omissis...", gestita dal ricorrente, è nella sostanza motivato con riferimento alla considerazione che nel locale si svolgevano attività ed intrattenimenti a sfondo erotico. In particolare, tale atto fa riferimento alla circostanza che nel c.d. privè erano state rinvenute ragazze in abiti succinti con le quali i frequentatori potevano appartarsi mediante il pagamento di speciali consumazioni, per cui il Questore ha ritenuto che il locale era "luogo di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione".

    Successivamente, lo stesso Questore, in accoglimento di specifica richiesta presentata dallo stesso ricorrente - che aveva chiesto la riduzione del periodo di sospensione "per le disagiate condizioni economiche" - con il decreto del 17 aprile 2009, ha disposto la riapertura dell'esercizio con decorrenza 18 aprile 2009.

    Così meglio puntualizzato l'oggetto dell'impugnativa, va subito precisato che il ricorso non è fondato.

    Va al riguardo premesso che l'atto impugnato trova la sua fonte normativa nell'art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il quale testualmente dispone che "il Questore può sospendere la licenza di un esercizio nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini".

    Con i cinque motivi di gravame, sopra sommariamente indicati, il ricorrente si è lamentato nella sostanza delle seguenti circostanze:

    a) che il Questore non era competente ad adottare l'atto di sospensione impugnato (motivo n. 1);

    b) che non gli era stata data comunicazione dell'avvio del procedimento (motivo n. 3);

    c) che l'esercente il locale non avrebbe potuto rifiutare ai clienti le prestazioni del proprio esercizio, per cui non avrebbe potuto svolgere un'adeguata attività di prevenzione, e che l'atto si basava sulla sola segnalazione da parte dei Carabinieri, insufficiente a sorreggere con adeguata motivazione l'atto impugnato (motivi n. 2 e 5);

    d) che la revoca parziale dell'atto impugnato, disposta con il successivo decreto del 17 aprile 2009, doveva prevedere un adeguato indennizzo (motivo n. 4.).

    Tali doglianze sono tutte prive di pregio.

    Quanto alla competenza del Questore, va ricordato che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente chiarito che la delega ai Comuni del rilascio della licenza per esercizi pubblici per la vendita di alcolici e superalcolici (art. 19 del D.P.R. n. 616 del 1977) non sottrae lo svolgimento dell'attività autorizzata ai controlli di pubblica sicurezza da parte del competente organo dello Stato, per cui oggi resta ferma la competenza assegnata al Questore dal predetto art. 100 del t.u.l.p.s. di sospendere la licenza di esercizio in tutte le ipotesi elencate nella disposizione medesima (Cons. St., sez. VI, 29 luglio 2009 n. 4720, T.A.R. Calabria, sede Catanzaro, sez. II, 22 marzo 2010, n. 329, e T.A.R. Basilicata, 10 settembre 2010, n. 597).

    Quanto, poi, all'avvio del procedimento va ugualmente ricordato che la stessa giurisprudenza ha anche precisato che la natura cautelare e di immediato presidio alle condizioni di ordine pubblico e di sicurezza, peculiare al provvedimento previsto dall'art. 100 del t.u.l.p.s., esclude, per le evidenti ragioni di celerità, l'obbligo del preventivo avviso previsto dall'art. 7 della L. 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. St., sez. VI, 19 agosto 2009, n. 4986, T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 23 marzo 2011, n. 203, T.A.R. Campania, sede Napoli, sez. III, 8 giugno 2010, n. 13047, e T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. III, 3 marzo 2010, n. 520).

    E da tale costante orientamento degli organi di giustizia amministrativa il Collegio non rinviene motivi per discostarsi.

    Quanto poi alle ulteriori censure dedotte va premesso, in via generale, che, come è noto, è precluso al giudice amministrativo sindacare le scelte di merito effettuate dall'Amministrazione, per cui la sostituzione da parte del giudice amministrativo della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell'amministrazione costituisce, in via generale, una ipotesi di sconfinamento vietato nelle ipotesi di giurisdizione di legittimità. Di conseguenza - come è stato di recente anche chiarito dal giudice della giurisdizione, chiamato a meglio definire il c.d. "eccesso di potere giurisdizionale" (cfr., da ultimo, Cass. Civ. SS.UU., 17 febbraio 2012, nn. 2312 e 2313) - il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto ab estrinseco e non può essere mai sostitutivo.

    Ora, poiché il Questore dispone nell'assumere gli atti come quello ora all'esame di una discrezionalità oggettivamente ampia nel valutare i fatti di potenziale pericolo per la sicurezza dei cittadini e l'ordine pubblico, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo (salvi i casi di macroscopica irrazionalità o disomogeneità della misura cautelare adottata rispetto all'oggettiva tenuità dei fatti rilevati) l'apprezzamento di merito che conduce alla specifica e puntuale commisurazione del numero di giorni di sospensione cautelativa del locale che ha dato oggettivamente luogo agli episodi di pericolo per i valori di pubblica sicurezza (T.A.R. Campania, sede Napoli, sez. III, 8 giugno 2010, n. 13047).

    Ciò premesso, va anche osservato il provvedimento con cui il questore sospende la licenza di un esercizio per motivi di ordine pubblico ha prevalentemente natura di misura cautelare, con finalità di prevenzione rispetto ai pericoli che possono minacciare l'ordine e la sicurezza pubblica, e prescinde pertanto dall'accertamento della colpa del titolare, prevalendo la finalità dissuasiva della frequentazione malavitosa durante il periodo di chiusura obbligatoria dell'esercizio stesso (Cons. St., sez. VI, 11 dicembre 2009, n. 7777, T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 23 marzo 2011, n. 203, e T.A.R. Lombardia, sede Milano, sez. III, 4 febbraio 2011, n. 352, e 3 marzo 2010, n. 520).

    Tale art. 100, peraltro, non richiede necessariamente, ai fini della sospensione della licenza, che siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che l'esercizio sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o comunque costituisca un pericolo per l'ordine pubblico e per la sicurezza dei cittadini, ma ammette e consente questa misura di prevenzione anche nelle ipotesi in cui - come nel caso di specie - l'esercizio comunque costituisca un pericolo per la moralità pubblica ed il buon costume.

    Con riferimento a quanto sopra esposto, ritiene, pertanto, il Collegio che l'atto impugnato sia immune dalle censure dedotte, in relazione a quanto emerge dai verbali dei carabinieri e dagli interrogatori versati in atti dall'Amministrazione.

    Quanto, infine, alla circostanza che, in accoglimento di una specifica richiesta dell'interessato, il Questore aveva ridotto i giorni di sospensione, sembra evidente che il ricorrente non abbia allo stato alcun interesse ad impugnare tale atto di riforma, che ha comportato un ritiro parziale e limitato dall'atto originariamente assunto. Peraltro, il provvedimento originario - che, come già detto, appare immune dalle censure dedotte - è stato riformato in senso favorevole all'istanza del ricorrente nella sola parte relativa ai giorni di sospensione ancora da scontare, per cui sembra evidente che tale atto sopravvenuto non doveva prevedere alcun indennizzo.

    Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere respinto.

    Le spese, come di regola, seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Condanna il ricorrente al pagamento a favore dell'Amministrazione resistente delle spese e degli onorari di giudizio che liquida nella complessiva somma di euro 2.000 (duemila) oltre agli accessori di legge (IVA, CAP e spese generali).

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Umberto Zuballi

    L'ESTENSORE

    Michele Eliantonio

    IL CONSIGLIERE

    Dino Nazzaro

     

    Depositata in Segreteria il 4 giugno 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

     

    Stato di emergenza: può il legislatore statale intervenire "spodestando" le Regioni?

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    N. 3672/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 7832 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 7832 del 2010, proposto da:
    Condominio M., in persona dell'amministratore L. C., e L. CI., singolo condomino, rappresentati e difesi dall'avv. Vincenzo Antonucci, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gigliola Mazza Ricci in Roma, via di Pietralata, n. 320;
    contro
    Prefetto della Provincia di Foggia - Commissario delegato ex OPCM 3750/2009, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
    per l'annullamento
    dell'ordinanza n. 188 prot. n. 87 del 25.2.2009, notificata il 20.7.2010, del Prefetto della Provincia di Foggia, in qualità di Commissario delegato per il superamento dei danni conseguenti ai gravi dissesti idrologici che interessano il territorio del Comune di Marina di Lesina, nominato con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri - O.P.C.M. n. 3750 del 30.3.2009 dell'1.8.2009 e di tutti gli atti comunque connessi, presupposti e sequenziali.
    Visto il ricorso;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Prefetto della Provincia di Foggia - Commissario delegato ex OPCM 3750/09;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del 21 marzo 2012 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
    FATTO
    I ricorrenti, amministratore condominiale e singolo condomino di un fabbricato sito in Marina di Lesina, frazione del Comune di Lesina (FG), espongono che in tale località, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 31 ottobre 2008, veniva dichiarato lo stato di emergenza, in relazione ai gravi dissesti idrogeologici che interessano tale territorio.
    A tale ordinanza faceva seguito l'ordinanza dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2009, n. 3750, con la quale il Prefetto di Foggia veniva nominato Commissario delegato a provvedere alla realizzazione di interventi urgenti diretti alla rimozione delle situazioni di pericolo in atto nel Comune di Lesina.
    Con l'impugnata ordinanza il Prefetto di Foggia intimava e ordinava al condominio ricorrente ed ai singoli proprietari di effettuare, per il detto stabile, entro e non oltre 60 giorni dalla data di notifica del provvedimento, il monitoraggio visivo periodico delle strutture e la redazione di una relazione tecnica da aggiornarsi con cadenza annuale, con contenuto stabilito dall'Autorità di bacino della Puglia con nota n. 13076 del 27 ottobre 2009.
    Detto adempimento sarebbe consistito in una relazione di un tecnico abilitato di verifica, a cura e spese dei proprietari, delle condizioni di sicurezza dell'edificio, con la proposta, in caso di pericolo, delle azioni idonee a rimuoverlo e a condurre l'edificio in sicurezza, nonché nel comunicare agli organi competenti, nel caso di rischio accertato grave e lesivo dell'incolumità pubblica, la necessità di emettere i provvedimenti di urgenza.
    Di tale ordinanza, previamente esposta la competenza di questo Tribunale e riferito che essa è identica ad altre adottate in relazione ad altri stabili della stessa zona, i ricorrenti domandano l'annullamento, deducendo, a sostegno, le doglianze di seguito descritte.
    1) Eccesso di potere per violazione dell'OPCM n. 3570 del 30 marzo 2009.
    In base all'art. 1 dell'ordinanza in epigrafe sarebbe il Commissario delegato a dover provvedere alla "realizzazione di opere e interventi diretti alla mitigazione e alla rimozione della situazione di pericolo e al consolidamento dei terreni".
    Tant'è che l'art. 6 dell'ordinanza assegnerebbe al Commissario delegato appositi fondi e disporrebbe che il medesimo, per l'attuazione degli interventi, possa avvalersi di strutture pubbliche e di liberi professionisti.
    2) Eccesso di poter per difetto di istruttoria, per mancanza di accertamento della situazione di pericolo - Eccesso di potere per motivazione erronea.
    Si assumerebbe che l'edificio condominiale di proprietà dei ricorrenti sarebbe inserito tra quelli a "bassa criticità" indicati nella relazione dell'Autorità di bacino della Puglia, n. 41 del 29 luglio 2009, laddove, invece, nella detta relazione si affermerebbe, in realtà, che il giudizio inerente la staticità dei fabbricati in alta criticità rimane del tutto aleatorio sino all'espletamento di un'accurata indagine diretta alla verifica della tipologia di fondazione.
    Mancherebbe, dunque, allo stato, una precisa indagine da parte degli organi competenti che accerti il pericolo di crollo.
    3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della l. 24 febbraio 1992, n. 225 - Eccesso di potere per contraddittorietà e per violazione dell'art. 5, n. 1 dell'OPCM 3750/2009 - Violazione dei principi generali dell'ordinamento giuridico - Violazione dell'art. 2697 c.c. - Eccesso di potere per carenza assoluta del presupposto - Difetto di motivazione.
    Non risulterebbe autorizzata la deroga né all'art. 26 del T.U. Edilizia (D.P.R. 380/2001) né all'art. 222 del R.D. 1265/1934, relativi allo stato di inagibilità dei fabbricati, né, ancora, all'art. 2697 c.c., in materia di onere della prova.
    L'onere di provare lo stato di pericolo effettivamente derivante dagli immobili dei ricorrenti incomberebbe all'autorità procedente.
    Vi sarebbe stata una palese violazione dei principi generali dell'ordinamento giuridico.
    Non vi sarebbe comunque nell'ordinanza un puntuale riferimento alle norme derogate e alle ragioni della deroga.
    4) Violazione dei principi di proporzionalità dell'azione amministrativa e di precauzione -Violazione dell'art. 1, della l. 241/1990.
    Vi sarebbe assoluta sproporzione tra l'interesse pubblico perseguito e il sacrificio imposto ai privati, soprattutto ove si consideri che, secondo l'Autorità di bacino, non vi sarebbe un rischio imminente di crollo dei fabbricati di cui trattasi.
    Gli accertamenti richiesti avrebbero potuto essere effettuati dalle strutture pubbliche aventi competenze in materia o dall'Ufficio tecnico del Comune di Lesina.
    5) Violazione degli artt. 7 e 8 della l. 241/1990.
    Sarebbero stati imposti pesanti oneri economici ai ricorrenti senza assicurare loro la fondamentale garanzia di partecipazione al procedimento amministrativo.
    L'amministrazione intimata, costituitasi in resistenza, deposita una relazione del Commissario delegato.
    Parte ricorrente affida a memoria lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive.
    Alla pubblica udienza del 21 marzo 2012 il ricorso viene trattenuto per la decisione.
    DIRITTO
    1. Il ricorso è fondato.
    Il Collegio ritiene, invero, di uniformarsi alla sentenza della Sezione 8 febbraio 2010, n. 1650, resa su analoga fattispecie, non sussistendo alcun motivo per discostarsene e tenuto anche conto che la stessa è stata confermata dal Consiglio di Stato, con sentenza 18 marzo 2011, n. 1689.
    2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 31 ottobre 2008 è stato dichiarato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, fino al 31 dicembre 2009, lo stato di emergenza nel territorio del Comune di Marina di Lesina in provincia di Foggia, interessato da gravi dissesti idrogeologici.
    Successivamente, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3750 del 30 marzo 2009, il Prefetto della Provincia di Foggia è stato nominato Commissario delegato, con il compito di provvedere alla realizzazione "dei primi interventi urgenti diretti alla rimozione delle situazioni di pericolo in atto nel Comune di Marina di Lesina" (art. 1, comma 1).
    Per l'adozione di "tutte le iniziative necessarie al superamento dell'emergenza", il Commissario delegato è stato autorizzato ad avvalersi "dell'opera di due o più soggetti attuatori, all'uopo nominati, cui affidare determinati settori di intervento sulla base di specifiche direttive e indicazioni, nonché della collaborazione degli uffici regionali, degli enti locali, anche territoriali, e delle amministrazioni periferiche dello Stato".
    Secondo la predetta ordinanza, il Commissario delegato (art. 1, comma 3) "provvede, attraverso la predisposizione di un apposito piano degli interventi:
    a) alla prosecuzione, d'intesa con il comune di Lesina, dei lavori appaltati e finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico;
    b) alla prosecuzione, d'intesa con l'Autorità di bacino della Puglia, della campagna di indagini geognostiche in corso, nonché di ulteriori indagini necessarie alla identificazione delle cause che hanno determinato la situazione emergenziale, finalizzate alla individuazione degli interventi urgenti da realizzare per il contenimento del dissesto idrogeologico in atto ed alla attuazione dei relativi interventi;
    c) alla realizzazione di opere ed interventi diretti alla mitigazione e alla rimozione delle situazioni di pericolo, al consolidamento dei terreni ed ove necessario all'individuazione di appositi siti di stoccaggio temporaneo e successivamente siti per il definitivo smaltimento o trattamento dei fanghi, dei detriti e dei materiali rivenienti dalla situazione emergenziale in atto.".
    L'amministrazione resistente riferisce che è emersa, in primo luogo, la necessità di procedere allo screening delle condizioni di sicurezza e di potenziale rischio per ciascuno degli edifici di Lesina Marina, con riguardo alla tipologia di fondazione degli edifici, ritenendosi opportuno intervenire, prioritariamente, sugli edifici aventi fondazione c.d. " a plinti isolati".
    E' stato quindi conferito mandato alla Segreteria tecnica dell'Autorità di bacino pugliese di procedere agli accertamenti tecnici necessari.
    Sulla scorta della conseguente relazione, che ha messo in evidenza la necessità di procedere, per gli edifici classificati a bassa pericolosità, indipendentemente dalla tipologia di fondazione, al "monitoraggio visivo periodico delle strutture ed alla redazione del fascicolo di fabbricato da aggiornarsi con cadenza annuale", il Prefetto di Foggia ha adottato, tra altre, l'ordinanza impugnata con il presente ricorso, con cui ha imposto anche agli odierni ricorrenti di provvedere, a propria cura e spese, a tali adempimenti.
    3. Tanto premesso, si osserva che in relazione ai presupposti e alle finalità della legislazione c.d. "emergenziale", la Corte Costituzionale ha ricordato che, con la legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile), il legislatore statale «ha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico» (sentenze n. 129 del 2006 e n. 327 del 2003).
    In tale prospettiva, le competenze e le relative responsabilità sono state ripartite tra i diversi livelli istituzionali di governo in relazione alle seguenti tipologie di eventi che possono venire in rilievo: eventi da fronteggiare mediante interventi attuabili dagli enti e dalle amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera a); eventi che impongono l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera b); calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità o estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c).
    In particolare, lo Stato, sulla base di quanto previsto dall'art. 5 della legge n. 225 del 1992, ha una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al citato art. 2, comma 1, lettera c).
    Tale competenza si sostanzia nel potere del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, di deliberare e revocare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi.
    L'esercizio di questi poteri - come è stato specificato dalla normativa successivamente intervenuta - deve avvenire d'intesa con le Regioni interessate, sulla base di quanto disposto dall'art. 107 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonché dall'art. 5, comma 4-bis, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile) convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 9 novembre 2001, n. 401.
    Per l'attuazione dei predetti interventi di emergenza possono essere adottate ordinanze - anche da parte di Commissari delegati (art. 5, comma 4, della legge n. 225 del 1992; sentenza n. 418 del 1992) - in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico (art. 5, comma 2, della stessa legge n. 225 del 1992).
    L'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n. 112 del 1998 ha chiarito che tali funzioni hanno rilievo nazionale, data la sussistenza di esigenze di unitarietà, coordinamento e direzione, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte della legge regionale (sentenza n. 82 del 2006).
    La Corte Costituzionale ha anche avuto modo di rilevare che le previsioni contemplate nei richiamati articoli 5 della legge 225/1992 e 107 del d.lgs. 112/1998 sono «espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicché deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione)» (sentenze nn. 82 del 2006 e 327 del 2003).
    Lo Stato è, dunque, legittimato a regolamentare - in considerazione della peculiare connotazione che assumono i "principi fondamentali" quando sussistono ragioni di urgenza che giustificano l'intervento unitario del legislatore statale - gli eventi di natura straordinaria di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, anche mediante l'adozione di specifiche ordinanze autorizzate a derogare, in presenza di determinati presupposti, alle norme primarie.
    Lo Stato rinviene, altresì, un ulteriore titolo a legiferare in ragione della propria competenza legislativa in materia di "tutela dell'ambiente", nel cui ambito si colloca il settore relativo alla gestione dei rifiuti (Corte Costituzionale, sentenze nn. 161 e 62 del 2005; nn. 312 e 96 del 2003).
    Quanto sopra osservato non implica, tuttavia, che l'emergenza possa giustificare «un sacrificio illimitato dell'autonomia regionale»: la salvaguardia delle attribuzioni legislative regionali viene garantita, infatti, attraverso la configurazione di un potere di ordinanza, eccezionalmente autorizzato dal legislatore statale, ben definito nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio (Corte Costituzionale, sentenze n. 127 del 1995 e n. 418 del 1992).
    La legge n. 225 del 1992, in relazione ai profili indicati, risponde a queste esigenze, circoscrivendo il predetto potere in modo da non compromettere il nucleo essenziale delle attribuzioni regionali, attraverso il riconoscimento della sussistenza di un nesso di adeguatezza e proporzione tra le misure adottate e la qualità e natura degli eventi, la previsione di adeguate forme di leale collaborazione e di concertazione nella fase di attuazione e organizzazione delle attività di protezione civile (art. 5, comma 4-bis, del decreto-legge 343/2001), nonché la fissazione di precisi limiti, di tempo e di contenuto, all'attività del Commissario delegato.
    4. Con riguardo ad analoga situazione di emergenza a quella qui in esame, la Sezione ha chiarito il rapporto esistente tra potere di deroga al quadro normativo primario e provvedimenti attuativi emessi dal soggetto delegato (Tar per il Lazio, Roma, sez. I, 28 dicembre 2007, n. 14155).
    Si è in particolare evidenziato che l'art. 5 della legge 225/1992, ai commi 2 e seguenti, disciplina nel seguente modo la situazione determinata dalla deliberazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri:
    - "2. Per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel quadro di quanto previsto dagli articoli 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico [...];
    - 4. Il Presidente del Consiglio dei ministri,...per l'attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, può avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio;
    - 5. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate".
    Risulta indi evidente dalla lettura dell'art. 5 che i provvedimenti che devono contenere l'indicazione delle "principali norme a cui si intende derogare" sono, appunto, "le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti" adottate nella fase di attuazione degli interventi, vale a dire gli atti da emanarsi da parte del commissario delegato.
    Non appare infatti dubbio che il contenuto delle citate ordinanze presidenziali non riguarda, ex se considerato, l'"attuazione degli interventi di emergenza": non disponendo esse alcuno degli interventi indicati, piuttosto affidati al designato organismo commissariale.
    I provvedimenti del Presidente del Consiglio si inquadrano, piuttosto, nell'ambito del comma 4 dell'art. 5 della legge 225/1992, essendo il relativo contenuto interamente diretto a delegare le funzioni ad un commissario individuando "i tempi e le modalità" dello svolgimento dell'incarico.
    Le ordinanze in questione, dunque, nello stabilire che il commissario, nell'espletamento dell'incarico al medesimo delegato, può adottare provvedimenti in deroga alla vigente normativa, non sono dirette ad ottemperare a quanto prescritto dal comma 5 dell'art. 5 della legge 225, bensì ad adempiere all'esigenza di "indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio", di cui al precedente comma 4.
    Il Presidente del Consiglio delimita, in tal modo, il campo del potere di deroga alla legislazione vigente indicando il novero delle leggi alla quali il Commissario può derogare, nei limiti strettamente necessari alla realizzazione degli interventi.
    In altri termini, l'O.P.C.M. delimita l'eventuale esercizio del potere di deroga, mentre il provvedimento che in concreto procede a "commisurare" siffatta consentita derogabilità alla normativa vigente è l'atto commissariale.
    Né potrebbe essere altrimenti, ha ancora osservato la Sezione, visto che la deroga è funzionale alla "realizzazione degli interventi" affidati al Commissario delegato.
    L'ordinanza presidenziale impone un uso della deroga accorto e limitato ai casi in cui sussista un nesso di strumentalità tra la temporanea sospensione delle norme e l'attuazione degli interventi.
    Deve, conseguentemente, darsi atto che la possibilità di deroga alla legislazione vigente si atteggia quale misura estrema, pur nell'ambito di una situazione intrinsecamente emergenziale: con la conseguenza che, affinché l'eccezionale potere di deroga possa considerarsi esercitato nell'ambito dei suddetti limiti (e possa dirsi scongiurato "qualsiasi pericolo di alterazione del sistema delle fonti": Corte Costituzionale, 5-14 aprile 1995 n. 127), è imprescindibile che l'autorità amministrativa si faccia carico ex ante di individuare "le principali norme" che, applicabili in via ordinaria, pregiudicherebbero invece l'attuazione degli interventi di emergenza.
    L'onere di motivazione (art. 5, comma 5, della legge) di cui il commissario deve principalmente farsi carico è quello diretto ad evidenziare il nesso di strumentalità necessaria tra l'esercizio del potere di deroga e l'attuazione degli interventi.
    5. Il convincimento così espresso dalla Sezione trova puntuale conferma nell'orientamento ripetutamente osservato dalla giurisprudenza, la quale muove dal fondamentale assunto propugnato dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 127/1995, con la quale è stato escluso che spetti "allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei Ministri, introdurre prescrizioni per fronteggiare (lo) stato di emergenza che conferiscano ad organi amministrativi poteri d'ordinanza non adeguatamente circoscritti nell'oggetto, tali da derogare a settori di normazione primaria richiamati in termini assolutamente generici, e a leggi fondamentali per la salvaguardia dell'autonomia regionale, senza prevedere, inoltre, l'intesa per la programmazione generale degli interventi".
    Il precipitato logico-assertivo di tale decisione è stato confermato e puntualizzato dalla Sezione IV del Consiglio di Stato (sentenza n. 197 del 16 aprile 1998), la quale:
    - ha ribadito il carattere eccezionale del potere di deroga della normativa primaria, conferito ad Autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione legislativa, recata dalla citata legge n. 225 del 1992;
    - ed ha, ulteriormente, sottolineato che, poiché trattasi di deroghe temporalmente delimitate, e non di abrogazione o modifica di norme vigenti, i poteri degli organi amministrativi devono essere ben definiti nel contenuto, nei tempi e nelle modalità di esercizio: in proposito evidenziando come l'art. 5, comma 5, della citata legge n. 225 del 1992 disponga che le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui intendono derogare e devono essere motivate.
    A tale premessa interpretativa (relativa al corretto ambito applicativo della disposizione dell'art. 5, secondo la lettura del giudice costituzionale) accede che il potere di ordinanza non può incidere su settori dell'ordinamento menzionati con approssimatività, senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione.
    Una corretta interpretazione degli ambiti di legittima esercitabilità del potere di deroga alla legislazione vigente, quale riconosciuto al Commissario delegato dal Presidente del Consiglio dei ministri in sede di attuazione degli interventi emergenziali ex art. 5 della legge 225/1992 impone, dunque, la circostanziata individuazione ex ante delle principali norme che, applicabili in via ordinaria, pregiudicherebbero l'attuazione degli interventi stessi; con la conseguenza che l'onere di motivazione, di cui il commissario deve farsi carico, deve obbligatoriamente volgersi ad evidenziare, con valutazione preventiva, il nesso di strumentalità necessaria tra l'esercizio del potere di deroga e l'attuazione dei detti interventi (Tar Lombardia, Milano, I, 27 gennaio 1998 n. 96).
    Può quindi ragionevolmente, e in definitiva, sostenersi che:
    - o le ordinanze presidenziali, adottate ai sensi dell'art. 5 della legge 225/1992, recano una puntuale indicazione delle norme suscettibili di deroga (con ciò consentendo una immediata percezione delle esigenze sottese alla disposta derogabilità di una particolare disposizione, in ragione del soddisfacimento del pubblico interesse riveniente dal dichiarato stato emergenziale e dalla necessità di attuare in conseguenti interventi);
    - ovvero, laddove la derogabilità venga consentita con riferimento ad interi corpi legislativi allora l'esigenza giustificativa (in ordine alla derogabilità di disposizioni normative di rango primario) viene a transitare sui provvedimenti attuativi, nei quali dovrà essere necessariamente contenuta la motivata indicazione del nesso di strumentalità tra l'esercizio della deroga e l'emergenza da soddisfare, così da giustificare il ricorso alla deroga normativa.
    6. Alla luce delle coordinate normative, e interpretative, appena evidenziate, emerge con nettezza l'illegittimità del provvedimento impugnato, non avendo il Prefetto indicato quali norme (tra quelle contemplate dall'art. 5 della citata ordinanza n. 3750/2009), abbia inteso derogare, e per quali ragioni.
    Si rammenta che i provvedimenti attuativi dell'O.P.C.M. 3750/2009 non sono ordinanze c.d. "libere" (alla stregua di quelle, ad esempio, adottabili dal Sindaco, ai sensi dell'art. 54 del TUEL, d.lgs. n. 267/2000, vincolate dalla sola necessità di rispettare i principi generali dell'ordinamento giuridico e finalizzate a fronteggiare accadimenti materiali, non previamente determinati, che mettano in pericolo la collettività), quanto provvedimenti che, pur nel contesto di una situazione emergenziale, debbono comunque inquadrarsi nel "disegno" complessivamente delineato dalla dichiarazione dello stato di emergenza e dalle successive ordinanze attuative.
    E se inoltre si pone mente alla circostanza che il Commissario delegato, come affermato nella relazione versata in atti dall'amministrazione resistente, ritiene che gli accertamenti tecnici posti a carico della parte ricorrente non rientrerebbero neanche nel perimetro delle indagini necessarie alla identificazione delle cause che hanno determinato la situazione emergenziale in atto, né atterrebbero in alcun modo agli interventi diretti alla mitigazione ed alla rimozione delle situazioni di pericolo (ai quali soltanto sarebbero destinati i fondi stanziati dall'ordinanza n. 3750/2009) di sua competenza, non è nemmeno chiaro quale potere il Commissario stesso abbia inteso esercitare, se, come già evidenziato, siffatto potere è delimitato proprio dall'ordinanza citata.
    Può anche aggiungersi, sulla specifica questione, che il Collegio reputa che il Commissario delegato abbia interpretato in maniera estremamente riduttiva l'ambito oggettivo degli interventi finalizzati "alla rimozione delle situazioni di pericolo in atto".
    Dal contesto dell'ordinanza n. 3750/2009 emerge, infatti, che i poteri commissariali si estendono all'adozione di "tutte le iniziative necessarie al superamento dell'emergenza" (sempre, si intende, nel quadro dei poteri derogatori conferiti dall'art. 5 della predetta ordinanza) ed in particolare (art. 1, comma 2, lett. b) "alla prosecuzione, d'intesa con l'Autorità di bacino della Puglia, della campagna di indagini geognostiche in corso, nonché di ulteriori indagini necessarie alla identificazione delle cause che hanno determinato la situazione emergenziale, finalizzate alla individuazione degli interventi urgenti da realizzare per il contenimento del dissesto idrogeologico in atto ed alla attuazione dei relativi interventi".
    Ne deriva che tra le indagini geognostiche propedutiche alla realizzazione degli interventi di contenimento del rischio non possono non rientrare anche quegli accertamenti tecnici preliminari che l'Autorità di bacino ha ritenuto indispensabili al fine di pianificare le priorità di intervento.
    Ciò senza dire che, ai fini della coerenza della complessiva azione amministrativa, appare problematico che accertamenti tecnici essenziali vengano affidati a strutture la cui individuazione è rimessa agli stessi privati, piuttosto che ad organi tecnici pubblici, già debitamente allertati e coinvolti dal Prefetto di Foggia all'indomani della dichiarazione dello stato di emergenza, o comunque a professionisti scelti dalla stessa Autorità procedente.
    7. Per tutto quanto precede, di valenza assorbente ogni altra censura pure avanzata, il ricorso deve essere accolto, disponendosi, per l'effetto, l'annullamento dell'impugnata ordinanza.
    Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi e nei termini di cui in motivazione.
    Condanna la parte resistente alle spese di lite in favore dei ricorrenti, che liquida in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00 euro) oltre IVA e CPA.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Roberto Politi
    L'ESTENSORE
    Anna Bottiglieri
    IL CONSIGLIERE
    Angelo Gabbricci
     
    Depositata in Segreteria il 24 aprile 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Autotutela... può essere disposta da un organo della P.A. nominato illegittimamente?

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    N. 437/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 932 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 932 del 2011, proposto da:
    F. F. + 9, rappresentati e difesi dagli avvocati Emanuela Vargiu e Giovanni Luigi Machiavelli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Cagliari, via Peschiera n. 18;
    contro
    A.S.L. n. 3 di Nuoro, in persona del direttore generale e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Mocci, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Romina Usai in Cagliari, via Milano n. 1/B;
    Regione Autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente, non costituitasi in giudizio;
    nei confronti di
    A. S., rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Mereu, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Massimo Massa in Cagliari, piazza del Carmine n. 22;
    M. A., rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Mereu, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Massimo Massa in Cagliari, piazza del Carmine n. 22;
    D. P., rappresentata e difesa dall'avv. Antonello Rossi, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, via Andrea Galassi n. 2;
    G. A., A. B.;
    per l'annullamento
    - della deliberazione n. 792 del 15 luglio 2011, con cui il Direttore Generale dell'Azienda sanitaria Locale n. 3 di Nuoro ha annullato d'ufficio gli atti relativi al concorso per titoli ed esami per la copertura a tempo indeterminato di 20 posti di Operatore Socio Sanitario;
    - della deliberazione n. 17 /05 del 31 marzo 2011, con la quale la Giunta Regionale ha nominato direttore generale della A.S.L. n. 3 di Nuoro il dott. A. S.;
    - della deliberazione della deliberazione n. 688 del 13 giugno 2011, con la quale il direttore generale della A.S.L. n. 3 di Nuoro ha nominato direttore amministrativo della medesima ASL l'avv. M. A..
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della A.S.L. n. 3 di Nuoro, di A. S., di M. A. e di D. P.;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2012 il dott. Giorgio Manca e uditi l'avv. Emanuela Vargiu in proprio e in sostituzione dell'avv. G.L. Machiavelli per i ricorrenti, l'avv. Angelo Mocci per la A.S.L. n. 3 di Nuoro, l'avv. Antonello Rossi per la controinteressata P. e l'avv. Marcello Mereu per i controinteressati S. e A.;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    1. - I ricorrenti hanno partecipato al concorso, per titoli ed esami, per la copertura, con contratto a tempo indeterminato, di 20 posti di operatore socio-sanitario (cat. B), indetto dalla A.S.L. n. 3 di Nuoro con deliberazione del Commissario Straordinario n. 507 del 29 dicembre 2009.
    All'esito delle prove concorsuali, con deliberazione del Commissario Straordinario n. 401 del 31 marzo 2011 è stata approvata la graduatoria di merito, nella quale i ricorrenti risultavano compresi nel novero dei vincitori.
    Con deliberazione del 15 luglio 2011, n. 792, il Direttore Generale della ASL, sul presupposto della fondatezza di una serie di vizi di legittimità formulati da diversi partecipanti alla procedura concorsuale, ha disposto l'annullamento d'ufficio degli atti del concorso pubblico di cui trattasi, compresa la deliberazione n. 401 del 31 marzo 2011 concernente l'approvazione della graduatoria finale.
    2. - Con ricorso, avviato alla notifica il 21 ottobre 2011 e depositato il successivo 28 ottobre, i ricorrenti chiedono l'annullamento della predetta deliberazione di annullamento d'ufficio della procedura concorsuale, nonché dell'atto di nomina del dr. S. a direttore generale e dell'avv. A. a direttore amministrativo, della ASL n. 3, deducendo articolate censure.
    3. - Si è costituita in giudizio l'Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Nuoro, chiedendo che il ricorso sia respinto.
    4. - Si sono costituiti i controinteressati dr. S. e avv. A., eccependo in via preliminare l'inammissibilità del ricorso, nella parte in cui con esso si impugnano i rispettivi atti di nomina, sia per difetto di giurisdizione sia per carenza di interesse. Inoltre, sollevano eccezione di inammissibilità per la mancata notifica ai controinteressati, da individuarsi nei soggetti che hanno presentato le istanze di riesame in autotutela, poste dall'amministrazione alla base dell'avvio del procedimento di secondo grado sfociato nella deliberazione di annullamento impugnata.
    Nel merito, concludono per il rigetto del ricorso in quanto infondato.
    5. - Si è costituita anche la controinteressata D. P., chiedendo che il ricorso sia respinto.
    Propone, altresì, ricorso incidentale, avviato alla notifica il 1^ dicembre 2011 e depositato il successivo 9 dicembre, con il quale, al fine di paralizzare il ricorso principale, impugna la deliberazione di nomina del Commissario Straordinario della A.S.L., organo che ha provveduto ad approvare la graduatoria finale del concorso.
    6. - All'udienza pubblica del 22 febbraio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    1. - Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la illegittimità del provvedimento di annullamento d'ufficio della graduatoria concorsuale di cui trattasi, perché disposto da un soggetto (il direttore generale della ASL) illegittimamente nominato dalla Giunta Regionale (con la deliberazione n. 17/5 del 31 marzo 2011) in composizione illegittima poiché nessuna donna era presente in tale organo collegiale.
    1.1. - Con il terzo motivo, i ricorrenti fanno valere, altresì, la invalidità dell'annullamento d'ufficio anche per la illegittimità della nomina del direttore amministrativo, che ha sottoscritto il provvedimento impugnato insieme al direttore generale della A.S.L. n. 3 di Nuoro, in quanto non aveva i requisiti richiesti dalla legge per ricoprire tale incarico. A tal fine i ricorrenti impugnano, come accennato in fatto, la relativa deliberazione di nomina del direttore amministrativo.
    1.2. - I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto pongono una medesima questione giuridica.
    1.3. - Essi sono, peraltro, inammissibili; e non è, pertanto, necessario esaminare nel merito i vizi dedotti contro le deliberazioni di nomina dei controinteressati.
    1.4. - Ne deriva che, per questo motivo, va respinta anche l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del controinteressato avv. A..
    1.5. - Per quanto concerne le ragioni della inammissibilità, va osservato che secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, 21 maggio 2008, n. 2407, esattamente richiamata in termini anche dalla difesa del controinteressato), dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, allorquando la nomina di un soggetto ad organo della p.a. si appalesi illegittima (e, in ipotesi, venga anche annullata), ciò nondimeno gli atti medio tempore adottati da tale soggetto restano efficaci, essendo di norma irrilevante per i terzi il rapporto in essere fra la p.a. e la persona fisica dell'organo che agisce. Proprio nella sentenza citata si richiamano i «principi applicabili nel diritto pubblico, quando in sede giurisdizionale sono annullati - anche se parzialmente - gli atti di investitura degli organi che esercitano pubbliche funzioni. Qualora il giudice amministrativo abbia annullato la nomina del titolare di un organo monocratico o di un componente di un organo collegiale avente competenze di ordine generale, la riscontrata invalidità dell'atto di investitura non ha di per sé alcuna conseguenza sugli atti emessi in precedenza. Infatti, quando l'organo è investito di funzioni di carattere generale, il relativo procedimento di nomina ha una sua piena autonomia, sicché i vizi della nomina non si riverberano sugli atti rimessi alla sua competenza generale (Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232). (...) principio - rispetto al quale è del tutto ininfluente l'art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, che non ha diversamente disciplinato le conseguenze dell'annullamento dell'atto di investitura ».
    Ne discende, come anticipato, che l'impugnazione delle citate deliberazioni e le censure di invalidità derivata che i ricorrenti intendono far valere avverso il provvedimento di annullamento d'ufficio per cui è controversia, sono inammissibili per difetto di interesse.
    2. - Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano che l'impugnato provvedimento di annullamento d'ufficio è viziato in quanto adottato senza il necessario e previo parere del Direttore Sanitario della ASL, ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 3 dicembre 1992, n. 502.
    Il motivo è infondato, sia perché l'art. 3 cit., comma 1- quinquies (il quale prevede che «il direttore amministrativo e il direttore sanitario (...) partecipano, unitamente al direttore generale, che ne ha la responsabilità, alla direzione dell'azienda (e) assumono diretta responsabilità delle funzioni attribuite alla loro competenza e concorrono, con la formulazione di proposte e di pareri, alla formazione delle decisioni della direzione generale») va letto alla luce del principio generale secondo cui il parere va reso in relazione alle materie e alle funzioni attribuite alla competenza dell'organo, sia perché lo stesso atto aziendale dell'ASL di Nuoro prescrive che il direttore sanitario partecipi alla direzione dell'azienda svolgendo una serie di funzioni, fra le quali non è compresa la gestione del personale (cui evidentemente attengono le procedure concorsuali).
    3. - Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la insussistenza delle illegittimità della procedura concorsuale, poste dall'amministrazione a fondamento dell'annullamento d'ufficio, sotto diversi profili.
    3.1. - Tuttavia, in senso contrario si osservi come una delle ragioni di illegittimità della procedura concorsuale è stata individuata dall'amministrazione nella violazione dell'art. 28, comma 2, del D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale) il quale, con riguardo alla composizione e alla nomina della commissione esaminatrice, prevede che i due operatori ("appartenenti a categoria non inferiore alla "B" - livello economico super di profilo corrispondente a quello messo a concorso") siano scelti uno dal Direttore generale ed uno "designato dal collegio di direzione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, fra il personale in servizio presso le unità sanitarie locali o le aziende ospedaliere o gli enti di cui all'articolo 21, comma 1, situati nel territorio della regione".
    3.2. - Nel caso di specie, non risulta che i due operatori siano stati designati dal Collegio di Direzione della ASL n. 3 di Nuoro, quantomeno non risultano designati secondo le regole e i principi che disciplinano la formazione degli atti degli organi amministrativi collegiali (quale indubbiamente è il Collegio di Direzione); e ciò è implicitamente ammesso dagli stessi ricorrenti i quali finiscono col ritenere equivalente all'atto di designazione formale dei soggetti da nominare nella commissione esaminatrice, una sorta di "atto complesso" che si sarebbe formato per effetto delle note del direttore sanitario (del 31 agosto 2010, n. 9986; e del 16 novembre 2010, n. 13916), con le quali si è chiesto un parere sui nominandi componenti della commissione esaminatrice del concorso, e del silenzio serbato sul punto dai membri del Collegio di Direzione.
    3.3. - Né può essere condivisa la ricostruzione operata nel ricorso, secondo cui - in base all'art. 17 del d.lgs. n. 502 del 1992, dell'art. 20 della legge regionale Sardegna n° 10 del 2006 e all'atto aziendale approvato dall'ASL n. 3 - la disposizione regolamentare di cui all'art. 28 del D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220 non sarebbe applicabile nella Regione Sardegna; e il Collegio di Direzione non avrebbe alcuna competenza in ordine alla nomina dei componenti della commissione esaminatrice. E' sufficiente osservare, infatti, come sia una espressa disposizione contenuta nel bando di concorso a prevedere che «la Commissione esaminatrice sarà nominata secondo le modalità previste dal D.P.R. 220/2001 ai sensi degli artt. 6 e 28». In tal modo il bando rinvia alla disciplina contenuta nel «Regolamento recante disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale», attribuendo al «collegio di direzione di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502» la designazione dei due operatori.
    3.4. - Il vizio di legittimità dell'atto di nomina della commissione esaminatrice, di cui si è detto, è autonomamente idoneo (secondo noti principi) a travolgere l'intera procedura selettiva; ed è, conseguentemente, idoneo a sorreggere l'annullamento d'ufficio disposto con il provvedimento impugnato.
    4. - Peraltro, come esattamente fanno rilevare i ricorrenti con il sesto motivo, l'illegittimità dell'atto non è sufficiente per l'esercizio dell'autotutela, essendo necessario anche un interesse pubblico concreto al ripristino della legalità, secondo la disciplina di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, in base alla quale il potere di autotutela può essere esercitato sul presupposto della ricorrenza di un interesse pubblico al ritiro dell'atto illegittimo, della sua prevalenza su eventuali interessi, pubblici e privati, antagonisti, e sempreché sia decorso dall'adozione dell'atto un lasso temporale ragionevole. Tutti elementi che, come noto, caratterizzano e differenziano l'annullamento (discrezionale) pronunciato dall'amministrazione all'esito di un procedimento di riesame, nell'esercizio di poteri di autotutela, rispetto all'annullamento contenzioso e all'annullamento giurisdizionale.
    4.1. - Nel provvedimento impugnato, la motivazione circa la sussistenza di tale interesse fa leva su una serie di rilievi, alcuni dei quali sono del tutto generici (la "garanzia di un corretto espletamento del concorso" ovvero "l'assunzione di personale con requisiti effettivamente verificabili"). Peraltro, è manifestata anche "l'esigenza di evitare all'Azienda di essere esposta agli oneri derivanti dal fondato rischio di soccombenza nell'eventualità del preannunciato ricorso" da parte dei candidati che hanno presentato l'istanza di riesame. E dunque anche al rischio dell'eventuale risarcimento del danno.
    4.2. - Motivazione che appare, oltre che pertinente ad una valutazione concreta ed attuale dell'interesse pubblico ad annullare, anche sufficiente, ove si consideri (in conformità alla pacifica giurisprudenza sul punto) che il dovere di motivazione si attenua quando l'annullamento d'ufficio intervenga entro breve tempo dall'adozione del provvedimento annullabile e le situazioni giuridiche coinvolte non si siano consolidate.
    4.3. - Nel caso di specie, l'approvazione della graduatoria finale è del 31 marzo 2011; il procedimento di riesame è stato avviato dall'amministrazione a poca distanza di tempo (la comunicazione di avvio è del 25 maggio 2011) e l'annullamento d'ufficio è stato disposto con provvedimento del 15 luglio 2011; né si può affermare che, in questo breve lasso di tempo gli effetti prodottisi per coloro i quali sono risultati utilmente collocati nella graduatoria possano ritenersi consolidati.
    4.4. - Anche sotto questi aspetti, in conclusione, il motivo in esame non può essere accolto.
    5. - Con il quinto motivo, i ricorrenti deducono eccesso di potere per disparità di trattamento, sviamento e contraddittorietà tra atti della medesima amministrazione, che per altri concorsi affetti dai medesimi vizi non avrebbe agito in autotutela.
    5.1. - Il motivo, che per la genericità delle allegazioni deve essere ritenuto inammissibile, è anche infondato nella parte in cui richiama la procedura concorsuale relativa alla copertura dei posti di assistente amministrativo (cat. C), annullata con le sentenze TAR Sardegna, sez. I, n. 1201 e n. 1202 del 15 dicembre 2011, per il medesimo vizio di legittimità nella composizione e nomina della commissione esaminatrice accertato nella presente controversia. Pertanto, nessuna disparità di trattamento, né contraddittorietà, è riconoscibile nell'azione dell'amministrazione, che, tra l'altro, nel corso dei giudizi definiti con le richiamate sentenze di questo TAR, ha infine assunto una posizione processuale del tutto conforme alle statuizioni poste a base dell'annullamento d'ufficio di cui al presente giudizio, come risulta dalle medesime sentenze.
    6. - In conclusione, il ricorso deve essere in parte rigettato, in parte dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
    7. - Ne consegue, altresì, la improcedibilità del ricorso incidentale.
    8. - Considerato il peculiare svolgimento delle vicende esaminate, si giustifica l'integrale compensazione delle spese giudiziali tra le parti.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo rigetta, in parte lo dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione.
    Dichiara la improcedibilità del ricorso incidentale proposto dalla controinteressata P. Donatella.
    Spese compensate tra le parti.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Aldo Ravalli
    L'ESTENSORE
    Giorgio Manca
    IL CONSIGLIERE
    Grazia Flaim
     
    Depositata in Segreteria il 8 maggio 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Preavviso di rigetto e diniego definitivo: la motivazione deve essere "affine"?

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    N. 826/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 2382 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2382 del 2011, proposto da G. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Nunzio Pinelli, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, piazza Virgilio 4,
    contro
    Comune di Palermo in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Impinna, con domicilio eletto presso Palermo l'Ufficio Legale del Comune di Palermo, piazza Marina n. 39,
    per l'annullamento,
    previa sospensione
    - del provvedimento n. 52 prot. n. 702669 del 7 ottobre 2011, con il quale è stata denegata l'istanza edilizia presentata il 2 settembre 2009 per l'intervento su immobile, proposto ai sensi dell'art. 20 c. 1 lett.d) della l.r. n. 71/78 e di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguenziale;
    e per la condanna
    dell'amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti e subendi.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    visti l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo in persona del sindaco pro tempore e la memoria difensiva del 6 marzo 2012;
    vista la memoria della G. s.r.l. del 24 febbraio 2012;
    visti tutti gli atti della causa;
    relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2012 il Referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1. La società G. è proprietaria di un vecchio corpo di fabbrica sito in Palermo, in via ...omissis..., avente destinazione in parte residenziale, in parte industriale (ex fabbrica del ghiaccio).
    Al fine di eseguire opere di manutenzione straordinaria e ristrutturazione, con l'eliminazione di superfetazioni e abusi, ma senza la totale demolizione e ricostruzione, senza aumento di superficie e con un parziale cambio di destinazione d'uso, la società ricorrente presentava istanza al Comune di Palermo.
    Il Comune, con nota del 30 marzo 2011, notificava l'avvio del procedimento di diniego, a seguito del quale la ricorrente produceva una memoria nella quale spiegava le proprie ragioni a sostegno dell'accoglimento dell'istanza.
    In data 10 ottobre 2011 il Comune negava definitivamente la concessione richiesta a mezzo del provvedimento impugnato.
    2. Avverso tale determinazione la G. proponeva il ricorso in epigrafe, deducendo i seguenti motivi:
    a) violazione dell'art. 10 bis della legge 241/90 come recepita con l.r. 10/91; difetto di motivazione.
    La G., infatti, dopo l'invio del preavviso di rigetto della istanza, ha presentato osservazioni tecniche e delucidazioni che non sono state menzionate dal Comune nel provvedimento negativo finale.
    b) Violazione dell'art. 2 l.r. 17/1994 e sue modificazioni (in particolare art. 19 della l.r. 5/2011). Violazione delle normativa e dei consolidati principi in materia di annullamento d'ufficio. Eccesso di potere per manifesta illogicità e perplessità della motivazione e per travisamento dei presupposti.
    Alla luce della normativa vigente, il permesso si intenderebbe rilasciato sicchè il provvedimento impugnato avrebbe dovuto, per avere una qualche validità, configurarsi come annullamento d'ufficio, la qual cosa, nel caso di specie, non si è verificata.
    c) Violazione dell'art. 20 l.r. 71/1978 ed erronea applicazione degli artt. 20 e 22 delle N.T.A. del PRG di Palermo. Violazione delle norme di cui al d.P.R.S. 27/3/2007 n. 91 approvativo del P.A.I. dell'area territoriale tra ...omissis.... Eccesso di potere per travisamento e difetto dei presupposti, della motivazione e dell'istruttoria.
    Ritiene la società ricorrente che la qualificazione, operata dal Comune, dell'intervento richiesto come "nuova edificazione" risenta di una errata interpretazione delle norme applicabili, nonché di un'istruttoria difettosa e carente, posto che gli interventi prospettati non comportano aumento di volumetria e una totale demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti, mantenendo la muratura portante dell'edificio.
    1.1. La ricorrente ha anche avanzato una generica domanda di risarcimento dei danni
    2. Il Comune di Palermo si è costituito ribadendo che la posizione dell'immobile lo rende assoggettabile ad una pluralità di vincoli edilizi ed urbanistici, che rendono molto limitati gli interventi edilizi possibili, e certamente non ammissibili quelli prospettati dalla società ricorrente.
    In via preliminare, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso, per essere decaduta la concessione edilizia tacitamente assentita (secondo la prospettazione di parte ricorrente).
    Nel merito, ha respinto le deduzioni fatte proprie dalla società G..
    3. La controversia, alla camera di consiglio del 7.12.2011, è stata rinviata al merito, sicchè in vista della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie e documentazione ulteriore.
    4. All'udienza del 27 marzo 2012, il collegio ha trattenuto la causa in decisione.
    5. Si ritiene, alla luce della peculiarità del caso, che debba essere accolto il primo motivo di ricorso della società G., relativo alla mancata applicazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 come recepito dalla legge regionale 10 del 1991.
    L'art. 11 bis di tale legge, rubricato "Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza", stabilisce che " nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate di documenti. (...). Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale."
    Si tratta di una norma identica, nel contenuto, all'art. 10 bis della legge 241/90, la cui ratio è quella di favorire il contraddittorio procedimentale in presenza di provvedimenti non vincolati, al fine di rafforzare l'interesse partecipativo del privato promotore di un'istanza al soggetto pubblico.
    Nel caso di specie, avendo l'Amministrazione ottemperato all'obbligo di comunicazione del preavviso di rigetto, la censura della parte ricorrente è rivolta all'inadempimento dell'obbligo del soggetto pubblico di dare ragione, nella motivazione del provvedimento finale, del mancato accoglimento delle osservazioni presentate.
    Si tratta di un aspetto meno trattato dalla giurisprudenza amministrativa rispetto a quello, più eclatante, della totale omissione del preavviso, in ragione della lettura sovente formalistica che viene fatta della norma in questione, ma che rischia, in determinate situazioni, di rendere priva di contenuto la portata precettiva della disposizione, in quanto consentire all'Amministrazione di violare sistematicamente l'obbligo di motivazione ivi contenuto, significa rendere sterile e inutile la fase del contraddittorio procedimentale.
    In particolar modo, è stato precisato che anche se non deve sussistere un rapporto di identità, tra il preavviso di rigetto e la determinazione conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale, di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche, occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato dalla comunicazione ex art. 10 - bis, l. n. 241 del 1990, esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell'atto endoprocedimentale, dato che altrimenti l'interessato non potrebbe interloquire con l'amministrazione anche su detti profili differenziali né presentare le proprie controdeduzioni prima della determinazione conclusiva dell'ufficio (Tar Salerno, sez. II, 07 dicembre 2011, n. 1950).
    E' quindi necessario che della valutazione effettuata resti traccia nella motivazione del provvedimento finale. Tuttavia se è vero che non sussiste alcun obbligo di specifica disamina e confutazione, in capo all'Amministrazione procedente, delle singole osservazioni presentate dagli interessati nell'ambito della partecipazione procedimentale, bastando che sia dimostrata, tramite la motivazione del provvedimento, l'intervenuta acquisizione, cognizione e valutazione di tali apporti partecipativi l'assolvimento dell'obbligo, imposto dall'art. 10 bis, di dar conto nella motivazione del provvedimento finale delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni formulate a seguito della comunicazione dei motivi ostativi, non può consistere nell'uso di formule di stile che affermino genericamente la non accoglibilità di tali osservazioni, dovendosi dare espressamente, sebbene sinteticamente, conto delle ragioni che hanno portato a disattenderle (così Tar Lazio, sez. II, 16 novembre 2011 n. 8915).
    4.1. Nel caso di specie, con il preavviso di rigetto del 30 marzo 2011 prot. n. 246910 (doc. 3 parte ricorrente), il Comune di Palermo aveva affermato che il diniego della concessione si basava sulla circostanza che l'immobile in questione ricadesse in un'area interdetta all'uso edificatorio ed urbanistico per presenza di frane (art. 3-2-25-27) delle NTA del PRG.
    La ricorrente aveva pertanto, in data 24 maggio 2011 (doc. 4-5) presentato le proprie osservazioni, ai sensi di legge, riproponendo la memoria già resa in accompagnamento alla istanza di concessione edilizia.
    Solo con il provvedimento di diniego, oggetto del presente ricorso, il Comune ha esternato alcune deduzioni completamente nuove rispetto al preavviso di rigetto, senza dare minimamente conto di quanto prospettato dalla ricorrente nel corpo delle "osservazioni", che non sono state neppure menzionate.
    In particolare, rispetto alla scarna motivazione del preavviso di rigetto, l'amministrazione locale ha motivato il diniego sulla base della disciplina di cui alla Variante Generale al P.R.G., adottata con deliberazione del C.C. n. 45 del 13 marzo 1997, della quale non era mai stata fatta menzione nella interlocuzione con la società; ha altresì argomentato sulla natura dell'intervento richiesto dalla ricorrente, qualificandolo come " nuova edificazione", circostanza, questa, formalmente resa nota solo in tale sede per la prima volta.
    E' pertanto evidente che le motivazioni assunte alla base del diniego sono diverse, nella sostanza, da quelle di cui al preavviso di rigetto, che presentava una impostazione di gran lunga meno complessa, basata esclusivamente sulle caratteristiche edificatorie della zona nella quale insiste il manufatto in questione, laddove, invece, il diniego finale è per lo più basato sulla critica all'intervento edilizio proposto dalla G. (ristrutturazione che il Comune qualifica quale "nuova edificazione").
    Sembra, in effetti, che il Comune di Palermo, lette le osservazioni " a tutto campo" della parte privata, abbia tratto ulteriori spunti per censurare, sotto altri e ben diversi profili, il progetto presentato dalla società odierna ricorrente.
    Non è tuttavia questa la ratio dell'art. 10 bis, disposizione che, nel favorire l'effettivo contraddittorio procedimentale, non può essere interpretata come strumento, per la parte pubblica, di prospettazione di qualsivoglia motivazione conclusiva una volta che sia stato assolto l'adempimento della comunicazione del preavviso di diniego.
    Al contrario, deve sempre sussistere una correlazione contenutistica tra preavviso di rigetto, osservazioni del privato e provvedimento finale, che, pur non sostanziandosi in un rapporto d'identità tra l'atto recante il preavviso di rigetto e quello recante la determinazione conclusiva del procedimento né in una corrispondenza puntuale e di dettaglio tra il contenuto dei due atti (a proposito delle ragioni ostative ivi indicate), deve far ritenere che sia precluso all'Amministrazione di fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione dell'atto endoprocedimentale, ed essendo illegittimo che in tali casi venga integrata la motivazione del provvedimento negativo con ragioni giustificative non preventivamente sottoposte al doveroso contraddittorio procedimentale (Tar Parma, sez. I, 20 ottobre 2011 n. 360).
    Sotto quest'ultimo profilo, il vizio motivazionale, rapportato alla violazione dell'art. 10 bis, emerge ancor più chiaramente se si considera che con nota del Comune di Palermo, Settore urbanistica, prot. n. 106210 dell'8 febbraio 2012, depositata dalla difesa del Comune medesimo in data 15 febbraio 2012, l'amministrazione locale ha nella sostanza fornito elementi motivazionali assenti dal contenuto del provvedimento impugnato, realizzando una motivazione postuma peraltro non passibile di impugnazione diretta da parte della G., trattandosi di una nota ad uso della sola Avvocatura comunale, cui è indirizzata.
    5. L'accoglimento del motivo in questione consente di assorbire le successive censure. La domanda risarcitoria, del tutto generica e sprovvista di prova, viene respinta.
    6. Le spese processuali possono essere compensate in ragione della soccombenza parziale.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni di cui in motivazione e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato.
    Respinge la domanda risarcitoria.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
    - Filippo Giamportone - Presidente;
    - Carlo Modica de Mohac - Consigliere;
    - Maria Barbara Cavallo - Referendario, Estensore.
    Depositata in Segreteria il 19 aprile 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


     

     

    Quesiti erronei o equivoci e par condicio

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    N. 3181/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 1252 Reg. Ric.
    ANNO 2012
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    ex art. 60 cod. proc. amm.;
    sul ricorso numero di registro generale 1252 del 2012, proposto da:
    R. A. + 31, rappresentati e difesi dall'Avv. Anna Chiara Vimborsati ed elettivamente domiciliati in Roma alla Via Cosseria, n. 2 presso lo studio professionale del dr. Alfredo Placidi;
    contro
    il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca in persona del Ministro legale rappresentante p.t., l'Ufficio Scolastico Regionale della Puglia in persona del dirigente generale legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dapprima dall'Avvocatura distrettuale dello Stato in Bari e quindi dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma Via dei Portoghesi, n. 12 domiciliano ex lege;
    nei confronti di
    P. C., controinteressato n.c.g.;
    per l'annullamento
    della nota prot. A00DRPU 9241 dell'11 novembre 2011 recante elenco dei candidati ammessi a sostenere le prove scritte del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici indetto con d.dg del 13 luglio 2011;
    dell'elenco dei candidati idonei Puglia pubblicato in data 27 ottobre 2011, nella parte in cui le ricorrenti i ricorrenti ne risultano esclusi,
    del bando di concorso di cui al Ddg del 13luglio 2011 per il reclutamento di n. 2386 dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado e per gli istituti educativi,
    nonché di ogni atto connesso, presupposto e consequenziale, ove occorra ogni istruzione impartita alla Commissione Esaminatrice in cui vi sia contrasto con le norme di cui al bando di concorso al d.P.R. n. 140/2008 e con i principi di cui all'art. 97 Cost.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e di Usr - Ufficio Scolastico Regionale Per Puglia;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2012 il dott. Pierina Biancofiore;
    Uditi altresì i difensori delle parti come da verbale di udienza, anche in relazione alla possibilità di decisione della causa mediante sentenza in forma semplificata;
    RILEVATO che il presente giudizio può essere definito nel merito ai sensi degli articoli 60 e 74 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, previo accertamento della completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, e sentite sul punto le parti costituite;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
    FATTO
    Con ricorso notificato alle amministrazioni in epigrafe e presso il TAR Puglia, Bari in data 2 dicembre 2011 e depositato il successivo 6 dicembre, i ricorrenti si sono opposti al mancato superamento delle prove preselettive tenutesi in data 12 ottobre 2011 in Puglia in relazione al bando per il reclutamento di dirigenti scolastici adottato con D.dg. del 13 luglio 2011, impugnando l'elenco dei candidati ammessi alle prove scritte e dal quale essi risultano esclusi, il bando di concorso ed ogni altro atto in contrasto con detto bando con il Regolamento per il reclutamento dei dirigenti scolastici e la Costituzione.
    Previa accurata disamina delle modalità con le quali il concorso si sarebbe dovuto svolgere, hanno opposto i seguenti motivi di gravame:
    1.Violazione di legge, art. 8 del d.dg 13 luglio 2011; art. 97 Cost., eccesso di potere per travisamento dei fatti, irrazionalità, illogicità manifesta e contraddittorietà.
    2. Violazione di legge, art. 97 Cost. eccesso di potere, irragionevolezza, carenza dei presupposti e contraddittorietà per le modalità di svolgimento della prova preselettiva.
    3. Violazione di legge, art. 8 del d.dg 13 luglio 2011; eccesso di potere per disparità di trattamento, incoerenza travisamento dei fatti e carenza dei presupposti di legge per lo svolgimento della prova a favore dei candidati portatori di handicap.
    4. Violazione di legge, art. 8 del d.dg 13 luglio 2011; eccesso di potere per travisamento dei fatti, arbitrarietà, disparità di trattamento per la correzione degli errori materiali a favore di alcuni candidati.
    Concludono chiedendo l'ammissione con riserva al prosieguo delle prove anche con provvedimento presidenziale inaudita altera parte, chiedendo altresì l'accoglimento dell'istanza cautelare nell'imminenza delle prove scritte prevista per i giorni 14 e 15 dicembre 2011 e concludendo per l'accoglimento del ricorso.
    Con decreto del Presidente del TAR Puglia n. 987 del 12 dicembre 2011 è stata rigettata la competenza di quel Tribunale Amministrativo, avuto riguardo a quanto statuito in materia dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 19 del 14 novembre 2011.
    L'Amministrazione si è costituita in giudizio.
    Con successiva ordinanza collegiale n. 122 del 12 gennaio 2012 la causa è stata, dunque, spostata al TAR del Lazio.
    Riassunto dinanzi al TAR Lazio e scambiate ulteriori memorie tra le parti, è stato, il ricorso, infine, trattenuto per la decisione in forma semplificata alla Camera di Consiglio del 5 aprile 2012, avvertitene all'uopo le parti costituite.
    DIRITTO
    1. Si prescinde dalle eccezioni proposte dall'amministrazione costituita, oltre quella di incompetenza già decisa, perché il ricorso è nel merito infondato.
    Con esso gli interessati impugnano l'esclusione per mancato superamento della prova preselettiva del concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici bandito con D.dg. del 13 luglio 2011.
    2. Avverso tale mancato superamento, previa una accurata disamina del bando di concorso, con la prima e seconda censura, gli interessati lamentano che tutto lo svolgimento delle prove è stato costellato da elementi di illegittimità, a partire dai test nell'ambito dei quali oltre un migliaio di domande, tra quelle pubblicate per la preparazione in INTERNET, erano errate, come lo stesso Ministero ha dovuto notare, eliminandole, sostanzialmente a ridosso dello svolgimento delle prove preselettive, con conseguente violazione di ogni principio di correttezza, trasparenza ed imparzialità come previsti dall'art. 97 Cost. e dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
    Il tempo a disposizione per la individuazione della risposta esatta ai 100 quesiti somministrati nel giorno della preselezione è risultato oggettivamente insufficiente, in quanto nell'arco dei 100 minuti posti a disposizione i candidati hanno dovuto scartare il libro dei quiz che era avvolto nel celofan, ricercare i quesiti estratti ed indicati sul foglio individuare le risposte, sicché il tempo si è notevolmente ridotto.
    La lettura dei quesiti ha inoltre richiesto molta attenzione perché tra essi continuavano ad esservene alcuni errati, come altri errori vi erano tra le risposte, nonostante il Ministero avesse eliminato le domande errate prima della procedura.
    Con la terza censura gli interessati lamentano che ai candidati portatori di handicap è stato attribuito un tempo superiore di 35 minuti rispetto a quello dato a tutti gli altri candidati.
    Concludono con una quarta censura con la quale osservano che a favore di alcuni candidati che avevano almeno raggiunto il punteggio di 75 e che avessero omesso di annerire la casella per la scelta della lingua o altri errori materiali, è stato consentito di correggerli, con evidente violazione del principio di par condicio.
    3. Le censure non possono essere condivise.
    Come posto in rilievo nel precedente specifico della sezione (TAR Lazio, sezione III bis, 15 marzo 2012, n. 2571) in casi analoghi, come è quello analizzato dalla sezione pure con il precedente costituito dalla sentenza n. 33368 del 10 novembre 2010 riguardante un maxi concorso presso l'amministrazione dei Beni Culturali "anche l'erroneità o l'equivocità di alcuni quesiti è inconferente atteso che, quand'anche essi fossero incerti o sbagliati nella risposta, tale incertezza non inciderebbe sulla par condicio dei concorrenti, tutti chiamati a rispondere sui medesimi quesiti bene o male confezionati".
    Sostanzialmente non appare condivisibile neppure la dedotta violazione dei principi di correttezza e trasparenza che devono presiedere alle procedure concorsuali laddove, come sarebbe avvenuto nel caso in esame secondo la ricostruzione dei ricorrenti, pur essendo stati eliminati, prima della prova preselettiva, circa un migliaio di quesiti dalla banca dati in quanto la stessa amministrazione si è resa conto della loro erroneità o della erroneità delle risposte, tuttavia sarebbero rimaste ancora domande errate nel cd. "librone" dei test somministrato il giorno dell'esame.
    Al riguardo è da rilevare che l'Amministrazione ha esaurito il suo compito di assicurare un corretto andamento della prova preselettiva proprio con la rettifica dei test; nè la contestazione postuma di ulteriori asseriti errori, in assenza del superamento della prova di resistenza, da parte della maggior parte dei ricorrenti può consentire una utile ripetizione delle prove scritte da parte degli stessi, come pure insistito nella memoria per l'udienza pubblica.
    Anche la circostanza che i ricorrenti hanno dovuto comunque imparare risposte poi errate distogliendo l'attenzione del loro studio da quelle corrette, che hanno formato la base per i quesiti successivamente somministrati loro può andare a detrimento del procedimento in termini di violazione del principio di imparzialità, perché come rilevato dal TAR la parità di trattamento nel giorno dell'esame, espressione del dovere di imparzialità che incombe sulle pubbliche amministrazioni nelle procedure selettive in genere, appare sussistere in quanto ai candidati presentatisi il giorno dell'esame è stata sottoposta la stessa banca dati di domande, nell'ambito della quale una procedura di sorteggio automatizzata ha individuato quelle di ciascuno; sono stati cioè posti tutti nella stessa condizione, di affrontare col loro bagaglio culturale le domande estratte.
    4. Quanto al tempo, ritenuto estremamente esiguo, di 100 minuti assegnato per rispondere a 100 domande, va rilevato che, come osservato in altre analoghe circostanze dalla sezione, l'esiguità del tempo a disposizione fa sì che "il candidato, il quale disponga di un lasso di tempo a volte molto limitato, proceda in via logica a rispondere prioritariamente a quiz sui quali si sente particolarmente sicuro, riservando alla parte finale della sua applicazione intellettuale la soluzione di quiz che ritiene più problematici" (TAR Lazio sezione III bis, 10 marzo 2010, n. 3652 cita TAR Campania, Napoli, sezione VIII, 14 gennaio 2010, n. 87).
    5. Ma non appare condivisibile neppure la terza doglianza con la quale i ricorrenti fanno valere che un candidato portatore di handicap avrebbe usufruito di 35 minuti in più per le operazioni di risposta ai quesiti.
    Al riguardo si palesa la contraddittorietà delle osservazioni degli interessati, laddove essi da un lato lamentano che il tempo di 100 minuti previsto per un candidato non portatore di handicap era poco, date le difficoltà pratiche di "scartare" il volume degli oltre quattromila quiz e per rispondere alle domande selezionate e poi pretendono che tale tempo sia invece sufficiente per un candidato portatore di handicap, nei confronti del quale neppure specificano di quale tipo di handicap egli fosse stato portatore, ben potendo nel caso in cui l'handicap di cui fosse sofferente non necessitasse dell'ausilio previsto dal bando, usufruire appunto di un incremento del tempo di lettura dei test.
    In sostanza la censura rimane non provata.
    6. Anche la doglianza con la quale gli interessati fanno valere che a favore di candidati che avessero superato almeno 75 quesiti è stata consentita la rettifica delle caselle del modulo che avevano omesso di annerire, come quella sulla scelta della lingua, finisce per rivestire aspetti di mera correzione di errori materiali, inadatti ad inficiare l'esito delle prove. Infatti, pur essendo annoverati tra i ricorrenti, candidati che hanno preso un punteggio superiore a 75/100, la censura non spiega in che modo la correzione degli errori materiali di coloro che hanno preso almeno 75/100 avrebbe impedito loro di superare la prova preselettiva, pur avendo conseguito alcuni di essi tra i 78/100 ed i 76/100. E la circostanza, rappresentata nella memoria per la Camera di Consiglio, con cui i ridetti ricorrenti con il punteggio più alto in assoluto tra gli altri, potrebbero essere ammessi con riserva alle prove scritte, come hanno permesso le ordinanze del Consiglio di Stato n. 64/2012 e n. 67/2012, cozza contro il principio di irripetibilità delle prove scritte, che si sono tenute in data 14 e 15 dicembre 2011.
    7. Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto.
    8. La delicatezza delle questioni trattate consente la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Evasio Speranza
    L'ESTENSORE
    Pierina Biancofiore
    IL CONSIGLIERE
    Paolo Restaino
     
    Depositata in Segreteria il 5 aprile 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Scuola: il "bullo" può essere trasferito?

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    N. 244/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 652 Reg. Ric.
    ANNO 2007
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 652 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
    D. E., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuliano Risi, Massimo Cocco ed Ida Germani, con domicilio eletto in Latina presso lo studio dell'avv. Pietrantonio Rizzo, via Montesanto, 46;
    contro
    Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico Provinciale di Frosinone, Scuola Media "Dante Alighieri" di Alatri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
    per l'annullamento
    del provvedimento prot. ris. n. 21 del 10 maggio 2007, in tema di allontanamento del minore dall'istituto scolastico (ricorso introduttivo);
    richiesta di risarcimento dei danni (ricorso per motivi aggiunti);
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e di Ufficio Scolastico Provinciale di Frosinone;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011 il dott. Antonio Massimo Marra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    I coniugi ricorrenti, in qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore D. E., premettono in punto di fatto che il nominato giovane è stato iscritto durante l'anno scolastico 2005-2006, presso la scuola Dante Alighieri di Alatri, frequentando il minore la classe seconda, corso "G"; che all'atto dell'ingresso nella scuola primaria il minore risultava essere certificato come portatore di handicap psico - fisico, con diagnosi clinica della USL di Frosinone UTR Alatri; che lo stato di disabilità sarebbe stato confermato nei successivi anni scolastici e corredato dalle relative diagnosi dai piani educativi personalizzati (PEP)
    In data 17 aprile 2007, in occasione del consiglio di classe II^ G, veniva comunicato ai ricorrenti che lo studente si era reso protagonista di un episodio di aggressività verbale nei riguardi dell'insegnante di lingua inglese; che la stessa insegnante sollecitava l'adozione di idonee misure per tutelare la sua incolumità.
    Soggiungono gli istanti, che il Dirigente scolastico, assimilava il comportamento del minore a quanto segnalato a tutti i Dirigenti scolastici dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone.
    Con la circolare n. 336 del 29.3.2007 avente ad oggetto "comportamenti violenti di giovani studenti nell'ambito scolastico", la Procura della Repubblica sensibilizzava, il proprio coinvolgimento, nelle ipotesi in cui i Dirigenti scolastici avessero avuto notizia di reiterati episodi di "bullismo" presso le scuole dagli stessi dirette.
    In ossequio a detta circolare il Dirigente scolastico trasmetteva alla Procura la suddetta relazione a firma del docente di lingua straniera.
    A fronte di tale denunzia, il Procuratore della Repubblica di Frosinone, notificava ai ricorrenti la nota 3.5.2007, n. 424 con cui, richiamato l'episodio ai danni dell'insegnante d'inglese disponeva l'allontanamento del minore dalla scuola.
    Con l'impugnato provvedimento il Dirigente scolastico, in esecuzione del vista nota n. 424/07 della Procura della Repubblica di Frosinone, concedeva il nulla osta ai fini dell'iscrizione del minore presso l'Istituto comprensivo di Tecchiena.
    A sostegno del prodotto ricorso deducono i seguenti vizi: 1) violazione degli artt. 2, 3, 4, 34 e 38 della Cost.; 2) violazione della convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia ratificata dell'Italia con L. 27.5.1991, n. 176; 3) violazione dell'art. 1, comma 2 del d.P.R. 24.6.1998, n. 249; 4) violazione dell'art. 2, comma 8 lett. C del d.P.R 24.6.1998, n. 249; 5) violazione dell'art. 4, comma 2 del d.P.R. 24.6.1998, n. 249; violazione degli artt. 7 3e 8 della L, 7.8.1990, n. 241, 6) violazione dell'art. 4 del d.P.R. 24.6.1998, n. 249; 7) violazione dell'art. 4, 7 comma, del d.P.R. 24.6.1998, n. 249; 8) violazione degli artt. 2, 7 e 10 della L. n. 517/77; 9) violazione dell'art. 12 della L. 104/92.; 10) eccesso di potere per difetto dei presupposti e carenza di istruttoria e di motivazione dell'atto impugnato.
    Con memoria notificata il 7.12.2010 la parte ricorrente ha dedotto motivi aggiunti, relativamente alla richiesta di risarcimento dei danni allegatamente patiti dal minore.
    Il MIUR si è costituito in giudizio, richiedendo la reiezione del presente ricorso.
    In occasione della camera di consiglio del 27.7.2007 la Sezione accoglieva la proposta domanda incidentale.
    Con ordinanza n. 5554, emessa nella camera di consiglio del 23.10.2007 la VI^ Sez. del Consiglio di Stato, in riforma della ordinanza impugnata, accoglieva il proposto appello cautelare.
    Successivamente, all'udienza dell'1.12.2011, la causa è stata trattenuta a sentenza.
    DIRITTO
    Il presente ricorso ha ad oggetto il provvedimento con cui il Dirigente scolastico, in allegata esecuzione della nota 3.5.2007, n. 424 della Procura della Repubblica di Frosinone, concedeva il nulla osta ai fini dell'iscrizione del minore presso l'Istituto comprensivo di Tecchiena.
    Il ricorso è infondato.
    Osserva, anzitutto, il Collegio che l'art. 4 del R.D. n. 653 del 1925 espressamente dispone: ... "l'alunno che intende trasferirsi ad altro istituto durante l'anno scolastico deve farne domanda (...) al Preside del nuovo istituto, unendo alla domanda stessa la pagella scolastica col nulla osta da cui risulti che la sua posizione è regolare nei rapporti della disciplina e dell'obbligo delle tasse, e una dichiarazione del preside dell'istituto di provenienza relativa alla parte di programma già svolta".
    Il nullaosta, dunque, non è atto caratterizzato da profili di discrezionalità amministrativa, dovendosi unicamente accertare da parte dell'autorità scolastica la regolarità della posizione dello studente.
    Ciò posto, come richiamato nella esposizione in fatto, la peculiarità che connota il caso in esame si incentra, essenzialmente, sull'atto di allontanamento adottato dal Procuratore della Repubblica di Frosinone, tenuto conto che il nulla osta impugnato assolve alla surriferita finalità, di accertamento della regolarità della posizione dello studente.
    Ed, invero, al di là della circostanza che la domanda di trasferimento sia stata prodotta dall'interessato o - come è avvenuto nel caso in esame - disposta "d'autorità" (rectius: a mezzo del provvedimento di allontanamento della Procura della Repubblica), il nulla osta assolve sempre alla surriferita finalità di mero accertamento.
    Il provvedimento adottato dal Dirigente scolastico, non riveste natura sanzionatoria, ma costituiva attività dovuta tenuto conto che la mancata adozione dello stesso avrebbe solo impedito al minore di iscriversi presso altro istituto.
    Come si è detto in precedenza, infatti, il provvedimento impugnato è stato adottato dal Dirigente scolastico "in obbedienza" al suindicato provvedimento del Procuratore della Repubblica, il cui tenore non lasciava in capo all'Autorità scolastica alcun margine di discrezionalità. In altri termini, il provvedimento dirigenziale non poteva essere che quello concretamente adottato, e che eventuali contestazioni andavano effettuate nei confronti dell'atto che lo aveva determinato.
    Analogamente deve essere respinto il ricorso per motivi aggiunti, stante la legittimità dell'atto impugnato.
    In relazione a quanto sopra il ricorso principale e quello per motivi aggiunti devono essere respinti.
    Sussistono peraltro giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Francesco Corsaro
    L'ESTENSORE
    Antonio Massimo Marra
    IL CONSIGLIERE
    Santino Scudeller
     
    Depositata in Segreteria il 27 marzo 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     


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