- Giurisprudenza
Istanza di rinnovo del permesso di soggiorno
N. 496/2011 Reg. Prov. Coll.N. 1358 Reg. Ric.ANNO 2009REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1358 del 2009, proposto da:I. D., rappresentato e difeso dall'avv. Michele Ciannameo, con domicilio ex lege presso il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Segreteria Sezione III, in Bari, Piazza Massari, nn. 6-14;controMinistero dell'Interno - Questura della Provincia di Foggia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata per legge in Bari, via Melo, 97;per l'annullamento,previa sospensiva dell'efficacia,"del Decreto di rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno n. B9995 per motivi di lavoro subordinato emesso in data 16/04/2009 e notificato in data 26/06/2009."Visti il ricorso e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Vista l'ordinanza n. 593 dell'1 ottobre 2009, di accoglimento dell'istanza incidentale di sospensione cautelare;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2011 la dott.ssa Rosalba Giansante; nessuno è comparso per le parti;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTOEspone in fatto il sig. I. D. di aver inoltrato istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. B9995 per motivi di lavoro subordinato al competente Ufficio Immigrazione di Foggia con assicurata postale in data 20 febbraio 2008; aggiunge che in data 8 agosto 2008 gli veniva comunicato il preavviso di rigetto per aver presentato l'istanza oltre sessanta giorni dalla scadenza del titolo in suo possesso, senza giustificato motivo e che in data 26 giugno 2009 gli veniva notificato il provvedimento di rifiuto adottato dalla Questura della Provincia di Foggia in data 16 aprile 2009.Il sig. I. D. ha quindi proposto il presente ricorso, ritualmente notificato il 21 agosto 2009 e depositato nella Segreteria del Tribunale nella medesima data, con il quale ha chiesto l'annullamento del suddetto decreto di rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno Cat. A.12/2009 emesso in data 16 aprile 2009 dalla Questura della Provincia di Foggia.A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto la violazione nei suoi confronti del diritto di difesa, previsto e riconosciuto dall'art. 24 Cost.; il sig. I. lamenta che la comunicazione di avvio del procedimento finalizzata al rifiuto del rinnovo del titolo richiesto sarebbe stata redatta solo in lingua italiana e non nella lingua dello Stato di provenienza di esso ricorrente e in altra lingua da esso conosciuta e tale circostanza non gli avrebbe consentito di inviare la certificazione medica attestante la propria malattia, né il competente Ufficio lo aveva edotto sulla necessità di inviare la documentazione medica in suo possesso per attestare il proprio impedimento a presentarsi presso lo sportello Ufficio Immigrazione di Foggia.Parte ricorrente ha prodotto in giudizio il provvedimento impugnato e la suddetta certificazione medica.Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero dell'Interno, a mezzo dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, chiedendo il rigetto del gravame.Alla camera di consiglio del 30 settembre 2009, con ordinanza n. 593, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare.L'Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 5 marzo 2011 ha depositato la relazione illustrativa della Questura della Provincia di Foggia del 9 febbraio 2011.Alla udienza pubblica del 10 marzo 2011 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.Il Collegio deve rilevare preliminarmente la tardività del deposito della relazione illustrativa di parte resistente, ai sensi dell'art. 73, comma 1, del Decreto Legislativo 2 luglio 2010 n. 104, essendo stata prodotta in data 5 marzo 2011 e, quindi, oltre il termine previsto di trenta giorni liberi prima dell'udienza di discussione celebrata il 10 marzo 2011.Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.Il Collegio, aderendo al prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, ritiene che il rinnovo del permesso di soggiorno non possa essere negato se l'istanza è stata presentata dopo la scadenza dei termini di legge per cause di forza maggiore (cfr. T.A.R. Toscana Firenze, Sez. I, 05 giugno 2008, n. 1553) e che in presenza di una domanda di rinnovo presentata dopo la scadenza del termine di legge, l'amministrazione dell'Interno debba valutare l'eventuale sussistenza di una situazione di obbiettiva difficoltà a provvedere nel termine prescritto, e se dunque il ritardo trovi una valida giustificazione (cfr. Consiglio Stato, Sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5240).Passando ad analizzare la fattispecie concreta oggetto di gravame, il Collegio, concordando con le motivazioni contenute nell'ordinanza di accoglimento della domanda incidentale di sospensione cautelare, ritiene che la mancata presentazione nei termini della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno da parte del ricorrente sia imputabile a motivi di forza maggiore.Il ricorrente ha prodotto in giudizio due certificati medici del dott. A. G. della A.S.L. FG/3 datati 13 gennaio 2008 e 2 febbraio 2008; dal primo certificato risulta che il sig. I. necessitava di accertamenti clinici-diagnostici e venti giorni di riposo e cure salvo complicazioni e nel secondo che abbisognava di ulteriori venti giorni di riposo e cure salvo complicazioni; a conferma del proprio stato di malattia il ricorrente ha altresì prodotto copia del verbale di pronto soccorso dell'Ospedale "S. Timoteo" di Termoli (CB) del 7 giugno 2009.Il Collegio, considerato che dai suddetti certificati medici prodotti in giudizio il sig. I. risultava malato ed abbisognava di riposo e cure almeno dal 13 gennaio 2008, data del primo certificato, e quindi nei sessanta giorni successivi alla scadenza del permesso di soggiorno di cui era titolare il ricorrente, 16 novembre 2007 e che il ricorrente, come risulta dallo stesso provvedimento impugnato, ha trasmesso l'istanza di rinnovo in data 20 febbraio 2008, immediatamente prima della scadenza degli ulteriori venti giorni di riposo e cure prescritte dal secondo certificato medico, ritiene che il ritardo nella trasmissione della istanza di rinnovo sia validamente giustificato dal suo stato di malattia.Il Collegio ritiene che la circostanza che la comunicazione di avvio del procedimento finalizzata al rifiuto del rinnovo del titolo richiesto sarebbe stata redatta solo in lingua italiana e non nella lingua dello Stato di provenienza di esso ricorrente e in altra lingua da esso conosciuta e l'ulteriore circostanza riferita che il competente Ufficio non lo avrebbe edotto sulla necessità di inviare la documentazione medica in suo possesso per attestare il proprio impedimento a presentarsi presso lo sportello Ufficio Immigrazione di Foggia, non consentendogli di inviare la certificazione medica in suo possesso attestante la propria malattia, trattandosi di fatti non specificamente contestati dall'amministrazione costituita, devono ritenersi provati ai sensi dell'art. 64 del c.p.a..Alla luce di quanto sopra coglie nel segno la censura con la quale il ricorrente ha dedotto che i suddetti fatti abbiano determinato la violazione del suo diritto di difesa.Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere accolto.Il Collegio, in considerazione della natura della presente controversia e della qualità delle parti, ritiene che sussistono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEPietro MoreaL'ESTENSORERosalba GiansanteIL REFERENDARIOPaolo AmovilliDepositata in Segreteria il 25 marzo 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Accesso alle dichiarazioni dei lavoratori
N. 2550/2011 Reg. Prov. Coll.N. 8387 Reg. Ric.ANNO 2010REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso n. 8387/10, proposto dalla S. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco presso il cui studio i Roma, viale Regina Margherita n. 294 è elettivamente domiciliata,control'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Armando Luci, Patrizia Ciacci e Antonino Sgroi e con questi elettivamente domiciliato presso il proprio ufficio legale in Roma, via Amba Aradam n. 5, nonchél'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Direzione provinciale di Torino, non costituito in giudizio,nei confronti diDitta G., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,per l'accessoai documenti contenuti nel fascicolo del procedimento amministrativo concluso con il verbale del 3 giugno 2010, dal quale risulta l'attribuzione del numero di matricola e della classificazione di fini previdenziali ed assistenziali ai sensi dell'art. 49 L. n. 88 del 1989, notificato quale soggetto obbligato in solido alla ditta G., nonchéper l'annullamentodel diniego tacito opposto dall'I.N.P.S. di Torino sull'istanza di accesso ai documenti del 23 luglio 2010,e per la condannadell'Amministrazione resistente all'esibizione degli atti e dei documenti tutti contenuti nel fascicolo del procedimento amministrativo concluso con il verbale del 3 giugno 2010, nonché per la condanna al risarcimento del danno nella misura che verrà determinata in corso di causa, pari al lucro cessante, alla perdita di chance, al mancato possibile esercizio del diritto alla difesa e al danno morale-esistenziale subito.Visti il ricorso e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore alla pubblica udienza del giorno 9 marzo 2011 il consigliere Giulia Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:FATTO1. Con ricorso notificato in data 20 settembre 2010 e depositato il successivo 5 ottobre 2010 la S. s.p.a. ha impugnato il diniego tacito, opposto dall'I.N.P.S. di Torino sull'istanza di accesso ai documenti del 23 luglio 2010 e chiede la condanna all'esibizione dei documenti contenuti nel fascicolo del procedimento amministrativo concluso con il verbale del 3 giugno 2010, dal quale risulta l'attribuzione del numero di matricola e della classificazione di fini previdenziali ed assistenziali ai sensi dell'art. 49 L. n. 88 del 1989, notificato quale soggetto obbligato in solido alla ditta G.. Con detto verbale sono state altresì cointestate inadempienze non specificate, per un importo totale non riportato.2. La ricorrente deduce l'illegittimità del diniego, essendo titolare di un interesse concreto ed attuale all'ostensione documentale. Gli atti richiesti sono infatti necessari per potersi difendere. Chiede altresì la condanna dell'Amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti.3. Si è costituito in giudizio l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che ha preliminarmente eccepito il difetto di competenza del giudice adito, mentre nel merito ha sostenuto l'infondatezza del ricorso.4. L'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, Direzione provinciale di Torino non si è costituito in giudizio.5. La Ditta G. non si è costituita in giudizio.6. All'udienza pubblica del 9 marzo 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.DIRITTO1. Preliminarmente il Collegio dà atto che la presente causa è trattata in pubblica udienza e non in camera di consiglio, avendo ad oggetto non solo il diniego di accesso ai documenti ma anche la richiesta di condanna dell'Amministrazione al risarcimento danni, la cui cognizione deve avvenire in udienza pubblica. Trova infatti applicazione l'art. 32, primo comma, c.p.a., secondo cui è sempre possibile il cumulo di azioni e se queste sono soggette a riti diversi si applica quello ordinario.Ancora in via preliminare il Collegio afferma l'ammissibilità del ricorso sebbene non sia stato notificato ad alcun lavoratore. E' sufficiente sul punto richiamare la sentenza della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 9102 del 16 dicembre 2010, secondo cui la S. s.p.a. ha ricevuto la notifica del menzionato verbale (per cui era stato chiesto l'accesso) soltanto quale chiamata in solido ("a titolo di solidarietà") e non anche nella qualità di datrice di lavoro di soggetti da essa dipendenti, essendo i detti "lavoratori coinvolti" appartenenti a distinte società; sicché non sussiste la necessità che il gravame dovesse essere notificato anche ai lavoratori dipendenti dalle società anzidette, non potendosi questi considerare come controinteressati; detti dipendenti, d'altro canto, non avrebbero potuto ricevere alcun immediato pregiudizio alla loro posizione soggettiva dalla conoscenza degli elementi oggetto della richiesta di accesso da parte della società istante.Nella memoria depositata il 21 ottobre 2010 l'I.N.P.S. ha dato atto che nelle more del giudizio la richiesta di rilascio della documentazione è stata accolta con nota del 19 ottobre 2010.Nella pubblica udienza la ricorrente ha affermato che tra la documentazione cui fa riferimento l'I.N.P.S. non sono contemplate le dichiarazioni dei lavoratori, oggetto dell'istanza di accesso.Il ricorso, limitatamente alla parte in cui residua l'interesse, è fondato, mentre in relazione alla restante parte, per la quale l'I.N.P.S. ha accolto la richiesta di accesso, va dichiarata cessata la materia del contendere.Come ha recentemente chiarito la Sezione VI del Consiglio di Stato con sentenza n. 9102 del 16 dicembre 2010 in relazione ad una fattispecie analoga, l'accesso agli atti amministrativi previsto dall'art. 22 L. 7 agosto 1990 n. 241 può essere negato solo ed esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge stessa (art. 24 L. n. 241 del 1990; art. 8 D.P.R. n. 352 del 1992 e art. 4 D.L.vo n. 39 del 1997), casi che non ricorrono nella fattispecie in esame nella quale non è stato ravvisato alcun segreto epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale ovvero commerciale riguardante la vita privata e la riservatezza dei lavoratori suddetti.Ciò posto, non emergono motivi rilevanti per discostarsi dalla giurisprudenza consolidata della VI Sezione del Consiglio di Stato in tema di diniego di accesso opposto dall'Amministrazione sulla base di norme (nel caso di specie l'art. 17, comma 2, del regolamento dell'I.N.P.S. n. 1951 del 1994) che precludono l'accesso alla documentazione contenente le dichiarazioni rese in sede ispettiva da dipendenti delle imprese che richiedono l'accesso. In tali ipotesi, le finalità che sostengono tale tipo di disposizioni preclusive - fondate su un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè attinente all'esigenza di preservare l'identità dei dipendenti autori delle dichiarazioni allo scopo di sottrarli a potenziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte del datore di lavoro - recedono a fronte dell'esigenza contrapposta di tutela della "difesa" dei propri interessi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita "comunque" dall'art. 24, settimo comma, L. n. 241 del 1990 (tra le tante, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2003 n. 1923; 3 maggio 2002 n. 2366 e 26 gennaio 1999 n. 59).Va rilevato, infine, che la prevalenza del diritto di difesa, in proiezione giurisdizionale, dei propri interessi giuridicamente rilevanti non necessita, nel caso, di specificazione ulteriore delle concrete esigenze di difesa perseguite, essendo tale specificazione sufficientemente contenuta nell'allegazione, a base della richiesta di accesso effettivamente inoltrata, che la conoscenza delle dichiarazioni è necessaria per approntare la difesa in sede di azione di accertamento della legittimità dell'operato dell'Amministrazione.L'accoglimento del ricorso, nei limiti in cui persiste l'interesse, comporta l'obbligo dell'I.N.P.S. di rilasciare i documenti richiesti entro venti giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.3. Deve essere invece rigettata l'istanza di risarcimento danni, non essendo accompagnata da alcuna prova del danno effettivamente subito.Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite, in considerazione i precedenti di questa Sezione (solo recentemente annullati dal giudice di secondo grado) di rigetto dei gravami proposti dalla stessa ricorrente, che possono aver ingenerato nell'I.N.P.S. la convinzione di agire correttamente.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte dichiara cessata la materia del contendere; in parte accoglie il ricorso stesso e, per l'effetto, ordina il rilascio dei documenti richiesti nel termine indicato in motivazione.Respinge la richiesta di risarcimento dei danni.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEItalo RiggioL'ESTENSOREGiulia FerrariIL CONSIGLIEREMaria Luisa De LeoniDepositata in Segreteria il 22 marzo 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Accesso agli atti di associazioni riconosciute dal Codice del Consumo
N. 129/2011 Reg. Prov. Coll.N. 76 Reg. Ric.ANNO 2011REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZAai sensi dell'art. 116 cod.proc.amm.sul ricorso n. 76 del 2011 proposto dall'Ass.ne C. e da CO. Emilia-Romagna, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, difesi e rappresentati dall'avv. Fausto Pucillo, con domicilio presso la Segreteria della Sezione;control'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia, in persona del Presidente Mirko Tutino, rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Coli ed elettivamente domiciliata in Parma, b.go G. Tommasini n. 20, presso lo studio dell'avv. Mario Ramis;nei confronti diRegione Emilia-Romagna e Provincia di Reggio Emilia, non costituite in giudizio;per l'annullamentodel rifiuto/inadempimento in relazione alla richiesta di accesso agli atti relativi agli elenchi degli utenti non serviti da impianti di depurazione nonché agli atti relativi alle procedure di restituzione poste in essere ai sensi del d.m. 30 settembre 2009 (in attuazione della legge n. 13/2009).Visto il ricorso con i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia;Visti gli atti tutti della causa;Nominato relatore il dott. Italo Caso;Uditi, per le parti, alla Camera di Consiglio del 20 aprile 2011 i difensori come specificato nel verbale;Considerato che, con istanza pervenuta il 9 dicembre 2010 all'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia, l'Ass.ne C. chiedeva di prendere visione ed estrarre copia degli elenchi degli utenti non serviti da impianti di depurazione nonché degli atti relativi alle conseguenti procedure di restituzione della quota di tariffa non dovuta, ai sensi degli artt. 4 e 7 del decreto 30 settembre 2009 del Ministero dell'Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare;che, rimasta inerte l'Amministrazione, le ricorrenti hanno esercitato l'actio ad exhibendum, ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 116 cod.proc.amm., con richiesta al giudice amministrativo delle misure utili a garantirne il diritto a prendere visione ed estrarre copia della documentazione oggetto dell'istanza di accesso tacitamente respinta;che si è costituita in giudizio l'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia, opponendosi all'accoglimento del ricorso;che alla Camera di Consiglio del 20 aprile 2011, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione;Ritenuto, quanto all'eccepito difetto di legittimazione dell'associazione ricorrente, che il Collegio concorda con i precedenti giurisprudenziali favorevoli al riconoscimento del diritto di accesso di detta associazione relativamente agli atti di che trattasi, e ciò alla luce della circostanza che essa è associazione riconosciuta ai sensi dell'art. 137 del Codice del consumo e che, ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241 del 1990, il diritto di accesso è garantito a tutti i soggetti "interessati", intendendosi per tali i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento in relazione al quale è chiesto l'accesso, sicché l'associazione ricorrente, in quanto ente esponenziale degli interessi dei consumatori, ha un interesse immediato e diretto alla conoscenza dei documenti richiesti per tutelare la pretesa al rimborso spettante agli utenti del servizio di depurazione, ai sensi degli artt. 4 e 7 del d.m. 30 settembre 2009 (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 15 aprile 2011 n. 605; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 23 marzo 2011 n. 1628);che, del resto, tale conclusione è coerente con l'orientamento secondo cui, se da un lato deve essere negato alle associazioni dei consumatori iscritte nel registro di cui all'art. 137 del Codice del consumo un potere di vigilanza a tutto campo da esercitare a mezzo del diritto all'acquisizione conoscitiva di atti e documenti che consentano preliminari verifiche in ordine al corretto esercizio di una funzione amministrativa, deve tuttavia ammettersi, ai sensi dell'art. 22 e segg. della legge n. 241 del 1990, l'ostensione in loro favore dei documenti amministrativi, relativi a pubbliche funzioni o servizi pubblici rivolti ai consumatori e utenti, che incidono in via diretta e immediata, e non in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi delle categorie rappresentate (v., tra le altre, TAR Lazio, Sez. II, 2 settembre 2010 n. 32099);che neppure rende inammissibile la domanda giudiziale proposta il rilievo per cui la disciplina contenuta nel d.m. 30 settembre 2009 imporrebbe al Gestore e non all'Autorità d'Ambito il compito di informare gli utenti delle determinazioni assunte, posto che l'art. 25, comma 2, della legge n. 241 del 1990 prevede che la "...richiesta di accesso ai documenti ... deve essere rivolta all'Amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente ..." e che l'Autorità d'Ambito di Reggio Emilia, costituitasi in giudizio, non ha negato di detenere, perché ad essa trasmessi dal gestore, gli elenchi di cui all'art. 4 del d.m. 30 settembre 2009;che sono, infine, da escludere profili di inammissibilità legati alla mancata notificazione del ricorso agli utenti - quali controinteressati la cui riservatezza verrebbe pregiudicata dall'ostensione dei dati loro relativi -, in quanto, indipendentemente da ogni ulteriore considerazione, è sufficiente rilevare come, a norma dell'art. 22, comma 1, lett. c), della legge n. 241 del 1990, siano controinteressati i "...soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza ...", mentre nella fattispecie, ignorandosi quali utenti siano realmente compresi negli elenchi di quelli non serviti da impianti di depurazione attivi, non sarebbe evidentemente possibile individuare ex ante i soggetti da evocare in giudizio;Considerato, in conclusione, che non è legittimo il diniego tacito opposto dall'Amministrazione e che lo stesso va annullato;che va di conseguenza ordinata all'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia l'esibizione degli elenchi degli utenti non serviti da impianti di depurazione nonché degli atti relativi alle procedure di restituzione poste in essere ai sensi del d.m. 30 settembre 2009;che a tanto l'Amministrazione provvederà entro trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione o dalla sua notificazione, se anteriore, previa segnalazione con congruo preavviso del tempo e del luogo stabiliti per l'esame e l'estrazione di copia della documentazione;che le spese di lite seguono la soccombenza dell'Amministrazione, nella misura liquidata in dispositivoP. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, annullato il diniego tacito, ordina all'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia l'esibizione degli atti richiesti dalle ricorrenti, secondo le modalità e nel termine indicati in motivazione.Condanna l'Autorità d'Ambito per il Servizio idrico integrato ed il Servizio di Gestione dei Rifiuti urbani di Reggio Emilia al pagamento delle spese di giudizio, nella misura complessiva di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.Così deciso in Parma, nella Camera di Consiglio del 20 aprile 2011, con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEMario ArosioL'ESTENSOREItalo CasoIL PRIMO REFERENDARIOEmanuela LoriaDepositata in Segreteria il 10 maggio 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Musica ad alto volume: come interviene il Sindaco?
N. 463/2011 Reg. Prov. Coll.N. 643 Reg. Ric.ANNO 2009REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 643 del 2009, proposto da:Z. V., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della R. S.R.L., rappresentato e difeso dagli avv. Rossana Colombo, Lorenzo Parachini, con domicilio eletto presso A. N. in Torino, via ...omissis...;controCOMUNE DI BORGO TICINO;per l'annullamentodell'ordinanza a firma del Sindaco n. 24 del 05/06/09 avente ad oggetto <- da lunedì a venerdì termine massimo della somministrazione alle ore 2.00- sabato termine massimo della somministrazione ore 3.00>>interessante esercizio pubblico denominato "...omissis..." sito in Borgo Ticino via ...omissis..., unitamente agli atti preordinati, connessi e consequenziali e, per quanto occorrer possa, delle prescrizioni indicate da ARPA Piemonte ad oggi non note né notificate al ricorrente e relativamente ai quali ci si riservano motivi aggiuntiVisti il ricorso e i relativi allegati;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2011 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTO1. Con ordinanza n. 24/2009, del 5 giugno 2009, il Sindaco del Comune di Borgo Ticino (NO) ha disposto "l'immediata sospensione dell'attività musicale a decorrere dalla data di notificazione del presente atto, sino a data da destinarsi" nei confronti del sig. Z. V., quale gestore del locale "...omissis..." sito in via ...omissis....Il provvedimento prende le mosse dalle "notevoli e continue lamentele pervenute da privati cittadini in riferimento all'eccessivo rumore prodotto dalla musica erogata nel locale", e motiva nel senso che "tali rumori stanno provocando disturbo alla quiete pubblica creando disagi al riposo notturno dei cittadini". Viene precisato, inoltre, che già in passato l'ARPA Piemonte di Novara aveva "indicato alcune prescrizioni da osservare al fine di svolgere l'attività nel rispetto delle normative vigenti in merito alle limitazioni sonore e di rumore", prescrizioni che tuttavia sono rimaste "disattese".2. Avverso la descritta ordinanza ha proposto impugnazione il sig. Z. V., in proprio ed in qualità di legale rappresentante della "R." s.r.l., società che gestisce il locale "...omissis...", chiedendone l'annullamento previa sospensione cautelare, anche inaudita altera parte.I motivi di gravame possono così sintetizzarsi:1) carenza di legittimazione passiva del sig. Z., non essendo egli il titolare dell'esercizio, ma rivestendo unicamente la legale rappresentanza della società "R." attuale gestore;2) mancata comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990;3) carenza di motivazione e sviamento di potere, non essendo stato esplicitato nell'atto "quale sia il reale potere esercitato dal Sindaco" (in esso vengono unicamente, e genericamente, citati il Regolamento comunale di Polizia urbana, il r.d. n. 773 del 1931 ed il d.lgs. n. 267 del 2000);4) eccesso di potere e falsa applicazione dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto provvedimento "emesso fuori dei casi previsti dalla legge per l'esercizio del potere di contingibilità ed urgenza": nel caso di specie, non ricorrerebbero "i presupposti di urgenza né sono state adeguatamente motivate le ragioni di tutela dell'incolumità pubblica", risultando al contrario "possibile attingere ai mezzi ordinari della sanzione ex art. 10 L. 447/95"; si argomenta, inoltre, l'incompetenza del Sindaco a favore di quella del funzionario responsabile del servizio, "ai sensi degli artt 107 segg D.Lgs 267/2000 e comunque nell'esercizio di poteri di controllo ordinari e non certo eccezionali";5) travisamento ed "erronea istruttoria", posto che i rilevamenti sonori effettuati da parte delle competenti strutture pubbliche "sarebbero risalenti nel tempo [...] e quindi non attuali";6) difetto assoluto di motivazione "quanto alla fonte normativa legittimante l'ordinanza impugnata" la quale "non fornisce alcun puntuale dato normativo che giustifichi, in tesi, l'intervento repressivo";7) motivazione carente ed insufficiente, posto che l'amministrazione "avrebbe dovuto, sulla base di rilevazioni da parte delle competenti autorità, contestare il superamento (indicando in maniera precisa i Db esorbitanti il limite di zona, anch'esso non indicato) dei limiti consentiti e non riferirsi al parametro della 'quiete pubblicà che è un concetto altamente soggettivo e relativo";8) violazione dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione, laddove il provvedimento impone la sospensione dell'attività del locale sine die, ossia con carattere di continuità e stabilità di effetti.Nelle conclusioni è anche formulata la domanda di risarcimento dei danni.3. Il Comune di Borgo Ticino non si è costituito in giudizio.4. Dopo che il Presidente della Sezione ha rigettato la richiesta di misure cautelari monocratiche, non ritenendo sussistente il requisito dell'estrema gravità ed urgenza di cui all'art. 21, comma 9, della legge n. 1034 del 1971, questo TAR ha accolto la richiesta di sospensione cautelare dell'atto impugnato (con ordinanza n. 487 del 2009) individuando la fondatezza del motivo di gravame incentrato sull'art. 7 della legge n. 241 del 1990.5. Alla pubblica udienza del 13 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.6. Il ricorso è fondato, con riferimento ai dedotti motivi di gravame secondo e quarto.6.1. Osserva il Collegio, anzitutto, che il provvedimento impugnato non è stato adottato in presenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza, di cui all'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000.Da nessuna parte la motivazione dell'atto, infatti, dà contezza di simili elementi: si parla solo delle lamentele ricevute in ordine all'alto volume della musica proveniente dal locale, con conseguenti "disagi al riposo notturno dei cittadini", ma senza alcuna specificazione di particolari ragioni di urgenza o di stretta necessità idonee, come tali, a far attivare il potere straordinario del Sindaco ai sensi della richiamata disposizione di legge. Anzi, la motivazione dà conto "che già in passato erano sorte problematiche simili", mai risolte, così confermando che la situazione sulla quale il Sindaco è intervenuto era da tempo nota e, pertanto, non poteva dirsi connotata da una qualificata urgenza di intervenire.Se ne deve concludere, quindi, che il Sindaco ha esercitato un potere non inquadrabile nella clausola eccezionale di cui all'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 (la quale, peraltro, richiede anche un ulteriore requisito, qui non esistente, ossia la sussistenza di "gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana").Da ciò deriva una prima conseguenza: l'assenza di ragioni qualificate di urgenza richiedeva il rispetto dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990, norma che impone la previa comunicazione, all'interessato, dell'avvio del procedimento amministrativo destinato a concludersi con un provvedimento a lui sfavorevole. Il mancato invio di tale comunicazione - come correttamente denunciato dal ricorrente - costituisce un primo, formale vizio di illegittimità dell'ordinanza impugnata (come già divisato dalla Sezione nella sede cautelare), già di per sé sufficiente alla declaratoria di annullamento dell'atto (senza che, in proposito, possa venire in rilievo la norma di cui all'art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990, posto che l'amministrazione - che non si è nemmeno costituita in giudizio - non ha fornito alcuna prova che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato).6.2. Il ricorso - per tramite del quarto motivo di gravame - è, in ogni caso, fondato anche da un punto di vista sostanziale.L'ordinanza impugnata non specifica in base a quale norma il potere del Sindaco è stato, nella specie, esercitato. Essa si limita a richiamare, genericamente, il Regolamento comunale di Polizia urbana, il r.d. n. 773 del 1931 ed il d.lgs. n. 267 del 2000, senza riferirsi a specifiche disposizioni normative.Deve osservarsi, tuttavia, che in nessuno dei richiamati testi normativi è individuabile siffatto potere del Sindaco. Non nel Regolamento comunale di Polizia urbana nel quale è pur vero che gli si attribuisce il potere di "vietare l'esercizio dell'arte, del mestiere o dell'industria" nei casi di "incompatibilità della attività esercitata con il rispetto della quiete delle civili abitazioni", ma necessariamente su "motivata proposta dei Servizi Tecnici comunali o delle Unità Sanitarie Locali" (così l'art. 42, comma 3, del Regolamento: doc. n. 6 del ricorrente): motivata proposta che, nella specie, non è dato rinvenire. Nessuna norma del genere, poi, è rinvenibile nel r.d. n. 773 del 1931. Quanto, poi, al d.lgs. n. 267 del 2000, si è già visto che l'art. 54, comma 4, richiede la sussistenza dei requisiti di contingibilità ed urgenza, nonché di "gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana", al fine di consentire l'intervento extra ordinem del Sindaco quale ufficiale di Governo.Né può ritenersi, per ragioni analoghe, che l'ordinanza sia stata emessa ai sensi della legge n. 447 del 1995 ("Legge quadro sull'inquinamento acustico"), peraltro nemmeno citata nell'atto. Essa prevede bensì, all'art. 9, che il Sindaco, nell'ambito delle proprie competenze, possa "ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività": ma ciò, pur sempre sul presupposto che la misura sia richiesta da "eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente", elementi - come detto - non sussistenti nella presente fattispecie.In ogni caso, quand'anche si volesse ritenere che sia proprio questa la norma attributiva del potere esercitato dal Sindaco del Comune resistente, l'atto impugnato è incorso in una sua evidente violazione anche da un altro punto di vista, allorché ha imposto la sospensione dell'attività musicale "sino a data da destinarsi": al contrario, l'art. 9 citato è chiaro nel consentire al Sindaco una sospensione di carattere solo "temporaneo", in linea con la situazione di urgenza e di necessità che deve comunque ricorrere.In definitiva, il provvedimento impugnato, pur prescrivendo un divieto idoneo a restringere la sfera giuridica del destinatario, non trova adeguata copertura in nessuna norma, tantomeno di rango legislativo, così finendo con il violare il disposto generale di cui all'art. 23 Cost. ("Nessuna prestazione di carattere personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"): come recentemente affermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 115 del 2011), nel concetto costituzionale di "prestazione personale" si devono far rientrare anche le imposizioni di divieti ossia l'imposizione dell'"omissione di un comportamento altrimenti riconducibile alla sfera del legalmente lecito": anche questa, al pari dell'imposizione di obblighi di fare o di dare, è un'imposizione "restrittiva della libertà dei cittadini, suscettibile di essere incisa solo dalle determinazioni di un atto legislativo, direttamente o indirettamente riconducibile al Parlamento, espressivo della sovranità popolare".7. L'impugnata ordinanza deve essere, pertanto, annullata, con assorbimento delle restanti censure.Deve, infine, essere respinta la domanda di risarcimento dei danni, formulata in modo del tutto generico da parte del ricorrente, senza alcuna allegazione né del pregiudizio sofferto né della prova del quantum.8. Si rinvengono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,Accoglieil ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla l'ordinanza n. 24/2009, del 5 giugno 2009, del Sindaco del Comune di Borgo Ticino.Respinge la domanda risarcitoria.Compensa le spese di giudizio.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEVincenzo SalamoneL'ESTENSOREAntonino MasaracchiaIL REFERENDARIOOfelia FratamicoDepositata in Segreteria il 9 maggio 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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