N. 2103/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 3061 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3061 del 2010, proposto da:
F. M. + 7, rappresentati e difesi dagli avv. Michele Bonetti, Santi Delia, con domicilio eletto presso Tar Catania Segreteria in Catania, via Milano 42a;
contro
Università degli Studi di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ministero Università e Ricerca,in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
nei confronti di
V. MA., rappresentato e difeso dall'avv. Ferdinando Croce, con domicilio eletto presso Ferdinando Croce in Catania, c/o Segreteria Tar;
per l'annullamento
- della graduatoria del concorso per l'ammissione al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia per l'anno accademico 2010/2011, pubblicata il 16 settembre 2010, approvata dal Rettore dell'Università di Messina con D.R. n. 2719/2010, nella quale i ricorrenti risultano collocati oltre il 200^ posto e, quindi, non ammessi al corso e dei successivi scorrimenti nella parte in cui non considerano l'iscrizione dei ricorrenti;
- del bando di concorso dell'Ateneo di Messina anche nella parte in cui non prevede, così come espressamente previsto dall'art. 13, comma 7, del D.M. 11 giugno 2010, "che il modulo risposte prevede, in corrispondenza del numero progressivo di ciascun quesito, una figura circolare che lo studente deve barrare per dare certezza della volontà di non rispondere";
-- del bando di concorso dell'Ateneo di Messina, anche ove venga interpretato nel senso di non consentire la ridistribuzione ai cittadini comunitari dei posti riservati ai cittadini extracomunitari cinesi, non residenti in Italia nell'ipotesi in cui tali posti non siano stati assegnati, in tutto o in parte, ai soggetti interessati;
- del bando di concorso dell'Ateneo di Messina nella parte in cui, richiamando la deliberazione del Senato Accademico del 14 giugno 2010 e la deliberazione del Consiglio di Facoltà di Medicina e Chirurgia del 17 marzo 2010, decreta di bandire n. 200 posti per studenti comunitari oltre 25 per studenti extracomunitari di cui 5 cinesi;
- della deliberazione del Senato accademico del 20 settembre 2010 con la quale si è accolto l'invito del MIUR ad allargare il contingente dei posti banditi di venti unità poi accordato con D.M. 21 ottobre 2010.
- del verbale della Commissione del concorso del 2 settembre 2010, in particolare nella parte in cui viene disposto che "...i concorrenti sono stati invitati a porre il modulo di riposta nella busta con finestra verificando la leggibilità del codice a barra e rimanente materiale all'interno del plico rimanendo seduti al proprio posto. Successivamente in ordine alfabetico i candidati che non avevano già consegnato il compito sono stati chiamati per la consegna delle due buste".
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Messina e di Ministero Università e Ricerca e di V. MA.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2011 il dott. Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti hanno partecipato alle selezioni indette dall'Università di Messina per l'ammissione a 225 posti per l'immatricolazione al corso di laurea in medicina e Chirurgia, di cui 25 riservati a extracomunitari (di cui 5 cinesi) collocandosi oltre il 200^ posto, in particolare:
Ricorrente Punteggio Posizione
F. M. 37,75 277 (0,75 punti di differenza rispetto all'ultimo ammesso
F. S. 36,50 334 (2 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
T. D. 36,25 338 (2,25 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
M. P. 35,50 365 (3,00 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
N. PI. 35,25 378 (3,25 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
I. C. 34,25 418 (4,25 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
M. B. 32,75 482 (5,75 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
S. C. 32,50 494 (6,00 punti differenza rispetto all'ultimo ammesso)
Con ricorso introduttivo hanno impugnato gli atti della procedura concorsuale ricorso lamentando, sotto più profili, l'illegittimità dei provvedimenti e dei comportamenti relativi alla procedura di concorso in questa sede impugnata
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
I. Violazione del principio di segretezza della prova e della lex specialis di concorso. Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 7 del D.P.R. 3 maggio 1957 numero 686 e dell'articolo 14 del D.P.R. 9 maggio 1994 numero 487 - Violazione e/o falsa applicazione del Decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca dell'11 giugno 2010 e dell'allegato 1 al decreto. Violazione degli articoli 3, 4, 34 e 97 della Costituzione - Violazione della regola dell'anonimato nei pubblici concorsi e dei principi di trasparenza e par condicio dei concorrenti - Eccesso di potere per difetto di presupposti, arbitrarietà, irrazionalità, travisamento e sviamento dalla causa tipica.
I candidati hanno consegnato gli elaborati in ordine alfabetico, compromettendo, così ogni garanzia di segretezza e anonimato del compito e sono stati identificati sia in ingresso sia al momento della consegna dei moduli compilati; inoltre, i ricorrenti affermando esplicitamente la sussistenza di "gravi discriminazioni tra chi arriva al test dai 'corsi organizzati' e chi no" lamentano che i Commissari hanno chiamato i candidati presenti in ogni aula nell'ordine alfabetico risultante dai rispettivi registri, procedendo in quest'ordine preordinato al ritiro delle buste e alla loro collocazione all'interno degli appositi contenitori.
II. Violazione e/o falsa applicazione del Decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca dell'11 giugno 2010. Violazione degli articoli 3, 4, 34 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere per difetto di presupposti, arbitrarietà, irrazionalità, travisamento e sviamento dalla causa tipica.
Il bando e i relativi esiti del concorso sono evidentemente illegittimi per non aver reso edotti i partecipanti (come espressamente richiesto dal D.M. 11 giugno 2010, art. 13, comma 7) delle modalità di annullamento della risposta erroneamente contrassegnata.
E infatti, nonostante il MIUR, con D.M. 11 giugno 2010 avesse imposto agli Atenei il contenuto dei bandi da emanare in relazione alle modalità di svolgimento della prova e, in particolare, per quanto qui interessa, avesse ribadito agli Atenei di spiegare ai candidati il significato della c.d. sesta "casella circolare" nella griglia, il bando predisposto dall'Università di Messina non contiene alcun chiarimento per cui i candidati non sono stati resi edotti se fosse sufficiente annerire la casella erroneamente marcata o se si dovesse, obbligatoriamente o meno, contrassegnare tale casella circolare (che il bando non prevedeva), con conseguente rilevanza di questo fattore in termini di determinazione del tempo complessivo per il completamento della prova. Secondo i ricorrenti, quindi, la graduatoria, andrebbe rivista eliminando il valore della c.d. sesta casella circolare e aumentando o decurtando i punteggi dei candidati sulla base della lex specialis di concorso.
III. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, D.L. 16 maggio 1994, n. 293.
I ricorrenti contestano le modalità di determinazione dell'offerta potenziale effettuata dall'Università di Messina rispetto alle dotazioni organiche e logistiche a disposizione dell'Ateneo e comparato all'analisi del potenziale formativo determinato dall'Università di Catania; contestano, inoltre, l'irregolare composizione del Senato accademico e del Consiglio di Facoltà intervenuti in sede d'istruttoria (terzo e quarto motivo di ricorso)
V. Violazione degli artt. 34 e 97 della Costituzione e della legge 2 agosto 1999 n. 264. Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione e contraddittorietà tra provvedimenti provenienti dallo stesso ateneo in relazione alla mancata utilizzazione dei posti riservati agli studenti extracomunitari non coperti
VI. Violazione e falsa applicazione dell'art. 4 L. 2 agosto 1999 n. 264 e del D.M. 2 luglio 2010 in relazione alla pubblicazione del bando 55 giorni prima della celebrazione delle prove e non 60 come disposto dall'art. 4, comma 1° della legge n. 264/1999
L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio eccependo l'incompetenza territoriale del TAR adito e controdeducendo ai singoli motivi di ricorso.
Si è costituita in giudizio anche la controinteressata MA., già parte ricorrente nel ricorso recante n. rg. 2879/2010.
A seguito delle ordinanze cautelari n. 42/2011 e 514/2011 le ricorrenti F. M. e F. S. sono state ammesse con riserva al primo anno del corso di Laurea.
In accoglimento dell'istanza di anticipazione dell'udienza pubblica già fissata per il 17/11/2011, l'udienza pubblica è stata anticipata al 23 giugno 2011.
DIRITTO
1. La controversia in esame concerne la legittimità degli atti e delle procedure adottate dall'Università degli Studi di Messina nell'ambito delle selezioni per l'ammissione al primo anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia per l'anno accademico 2010-2011; si tratta di atti e provvedimenti che dispiegano i loro effetti in ambito territoriale limitato, per cui sussiste la competenza territoriale di questo T.A.R. ai sensi dell'art. 15 del D.Lgs. n. 104/2010.
2. Passando all'esame del merito, il Collegio rileva l'inammissibilità delle censure mosse avverso la determinazione da parte dell'Ateneo messinese dell'offerta potenziale, trattandosi di attività istruttoria con carattere preparatorio ed endoprocedimentale rispetto alla determinazione finale assunta dal Ministero dell'Università con D.M. 2 luglio 2010, provvedimento questo non impugnato.
3. E' infondato il sesto motivo di ricorso concernete il mancato rispetto del termine di sessanta giorni indicato dall'art. 4 della legge n. 264/1999, quale intervallo minimo tra la pubblicazione del bando e l'effettuazione delle prove selettive. La censura è infondata, poiché la data di svolgimento delle prove è determinata su base nazionale dal decreto ministeriale d'indizione della selezione; sul punto, la giurisprudenza ha avuto occasione di rilevare (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 1 agosto 2007 n. 7203), che l'art. 4, comma 1, della legge n. 264 del 1999 si riferisce al decreto ministeriale che fissa su scala nazionale la data di svolgimento delle prove, definendone anche i programmi, e non ai bandi dei singoli atenei.
4. Sono infondate anche le censure articolare nel secondo motivo di ricorso riguardanti la circostanza di non aver fornito chiarimenti circa le modalità di annullamento della risposta erroneamente contrassegnata, espressamente richiesto dal D.M. 11 giugno 2010, art. 13, comma 7, (e in particolare se fosse sufficiente annerire la casella erroneamente marcata o se si dovesse, obbligatoriamente o meno, contrassegnare tale casella circolare). Dalla documentazione in atti si evince chiaramente come il bando predisposto dall'Università di Messina si sia pedissequamente conformato alle disposizioni contenute all'art. 13 punto 7 del decreto ministeriale secondo il quale "I bandi di concorso predisposti dagli Atenei devono indicare (...) che è offerta la possibilità di correggere una (e una sola) risposta eventualmente già data ad un quesito, avendo cura di annerire completamente la casella precedentemente tracciata e scegliendone un'altra: deve risultare in ogni caso un contrassegno in una delle cinque caselle poiché posa essere attribuito il relativo punteggio (...) il modulo risposte prevede, in corrispondenza del numero progressivo di ciascun quesito, una figura circolare che lo studente deve barrare per dare certezza della volontà di non rispondere. Tale indicazione, una volta apposta, non è più modificabile". Il bando predisposto dall'Università di Messina all'art 6 (svolgimento della prova di ammissione) dispone, infatti, testualmente: "I candidati (...) hanno la possibilità di correggere una (e una sola) risposta eventualmente già data ad un quesito avendo cura di annerire completamente la casella precedentemente tracciata e scegliendone un'altra: deve risultare in ogni caso un contrassegno in una delle cinque caselle poiché posa essere attribuito il relativo punteggio; (...) IL MODULO RISPOSTE PREVEDE, IN CORRISPONDENZA DEL NUMERO PROGRESSIVO DI CIASCUN QUESITO, UNA FIGURA CIRCOLARE CHE LO STUDENTE DEVE BARRARE, PER DARE CERTEZZA DELLA VOLONTÀ DI NON RISPONDERE. TALE INDICAZIONE UNA VOLTA APPOSTA, NON È PIÙ MODIFICABILE (...) Il presente avviso ha valore di convocazione ufficiale e gli interessati non riceveranno alcuna ulteriore comunicazione". Ora a fronte di una chiara e inequivoca disposizione contenuta sia del decreto ministeriale, sia nel bando di concorso predisposto dall'Università di Messina che impone di "barrare" (quindi - secondo l'ordinaria diligenza - viene richiesto di contrassegnare la figura circolare) risultano infondate e pretestuose le argomentazioni di parte ricorrente e risulta smentita, in punto di fatto, la contesta circostanza dell'omessa previsione della cd. casella circolare da parte del bando.
5. Si può adesso passare all'esame delle censure concernenti la violazione del principio di anonimato conseguenti all'identificazione in ingresso e in uscita dei candidati e alle modalità d consegna degli elaborati in ordine alfabetico che secondo i ricorrenti avrebbero costituito i presupposti per "manomissioni postume dei test già consegnati". Ora - in disparte le articolate ricostruzioni di parte ricorrente operate nel ricorso introduttivo, nel ricorso per motivi aggiunti e nelle memorie difensive, tutte finalizzate a mettere in luce l'uso distorto della gestione dello svolgimento della prova da parte della commissione e lo stretto collegamento tra violazione delle regole di anonimato e la possibilità di dolose manomissioni del contenuto degli elaborati, circostanza questa che, ovviamente, esula dalla cognizione del giudice amministrativo - ciò che rileva in questa sede è l'accertamento della violazione delle regole di segretezza e di anonimato della procedura e l'incidenza della predetta violazione sulla legittimità di una procedura caratterizzata da procedure di correzione elettroniche anche alla luce del principio giurisprudenziale secondo il quale la violazione della regola procedimentale dell' anonimato in un procedimento amministrativo relativo a un concorso è irrilevante quando la prova concorsuale consista nella soluzione di quesiti a risposta multipla e non risultino, perciò, riconosciuti all'amministrazione margini di discrezionalità valutativa, se non sia stata fornita prova del fatto che l'osservanza della regola procedimentale dell'anonimato avrebbe determinato un differente esito procedimentale (Consiglio Stato, sez. VI, 19 aprile 2005, n. 1950).
A tal fine è necessario richiamare le norme che regolano lo svolgimento della prova e le modalità di correzione degli elaborati. Rilevano, per quanto di interesse:
a) l'art. 11 del D.M. 10/06/2010 (Trasparenza delle fasi del procedimento):
"1. I bandi di concorso prevedono disposizioni atte a garantire la trasparenza di tutte le fasi del procedimento e indicano i criteri e le procedure per la nomina delle Commissioni preposte agli esami di ammissione e dei responsabili del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990 e successive modificazioni.
2. I bandi di concorso definiscono le modalità relative agli adempimenti per il riconoscimento dell'identità degli studenti, gli obblighi degli stessi nel corso dello svolgimento delle prove, nonché le modalità in ordine all'esercizio della vigilanza sui candidati, tenuto conto di quanto previsto dagli articoli 5, 6 e 8 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, ove non diversamente disposto dagli atenei."
b) l'art. 13 del medesimo decreto (Adempimenti e Note tecniche per le prove di ammissione di cui agli articoli 2, 3 e 5):
"1. Gli atenei provvedono, secondo le indicazioni che verranno a suo tempo comunicate dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (M.I.U.R.), al ritiro presso la sede del CINECA - alla presenza della rappresentanza del MIUR - delle scatole sigillate in cui sono contenuti i plichi destinati agli studenti che partecipano alle prove, nonché della scatola/e contenente i "fogli di istruzione alla compilazione del modulo risposte".
2. A decorrere dall'avvenuta consegna, ciascuna Università appronta idonee misure cautelari per la custodia e la sicurezza delle scatole contenenti i plichi che devono risultare integre all'atto dello svolgimento della prova di ammissione. La o le scatole contenenti i "fogli di istruzione alla compilazione di risposte" sono messe a disposizione della Commissione anche prima dell'effettuazione della prova.
3. Prima dell'inizio della prova, il Presidente della Commissione d'esame o il responsabile d'aula sorteggia due studenti fra i candidati presenti in aula e verifica con loro l'integrità delle scatole; provvede quindi all'apertura delle stesse e alla distribuzione dei plichi in relazione al numero dei partecipanti; consegna a ciascun candidato il "foglio di istruzione alla compilazione del modulo risposte". Ha cura di redigere, quindi, una dichiarazione dalla quale risulti l'integrità delle scatole, il numero dei plichi assegnati e il numero di quelli eventualmente non utilizzati. Tale dichiarazione è sottoscritta a margine anche dai due studenti sorteggiati.
4. Nel caso in cui uno o più candidati segnalino eventuali irregolarità in merito al plico ricevuto, il Presidente della Commissione d'esame o il responsabile d'aula ne verifica l'attendibilità e, se necessario, provvede alla sostituzione del plico stesso. Detta operazione deve risultare a verbale d'aula unitamente alle relative motivazioni. I plichi sostituiti non sono da considerare materiale di scarto, ma devono essere restituiti nella stessa giornata d'esame unitamente al materiale descritto al successivo punto 9.
5. Ogni plico contiene:
a) un modulo anagrafica, che presenta un codice a barre di identificazione univoca;
b) i quesiti relativi alla prova di ammissione;
c) due moduli di risposte, ciascuno dei quali presenta lo stesso codice a barre di identificazione posto sul modulo anagrafica;
d) un foglio sul quale risultano prestampati:
- il codice identificativo della prova;
- l'indirizzo del sito web del MIUR (www.accessoprogrammato.miur.it);
- le chiavi personali (username e password) per accedere all'area riservata del sito.
e) una busta vuota, provvista di finestra trasparente.
6. La sostituzione che si dovesse rendere necessaria nel corso della prova anche di uno solo dei documenti indicati ai punti b), c) e d) comporta la sostituzione integrale del plico in quanto contraddistinti dal medesimo codice identificativo. Relativamente al modulo anagrafica, eventuali correzioni o segni effettuati dal candidato, non comportano la sostituzione dell'intero plico, a meno che non si creino difficoltà di identificazione del candidato: ciò in quanto trattasi di documento che rimane agli atti dell'Ateneo.
7. I bandi di concorso, predisposti dagli Atenei, devono indicare:
- (...omissis)
- che gli studenti, in caso di utilizzo di più aule, vengono distribuiti per età anagrafica, eccezione fatta per i gemelli;
- che per la compilazione del modulo risposte deve essere utilizzata una penna nera;
- che è fatto divieto di tenere nelle aule cellulari, palmari o altra strumentazione similare, a pena di annullamento della prova;
- che lo studente deve obbligatoriamente compilare il modulo anagrafica e sottoscriverlo;
- (...omissis)
- che lo studente deve annullare, barrando l'intero foglio, il secondo modulo di risposte non destinato al CINECA;
- che lo studente, a conclusione della prova, deve aver cura di inserire, non piegato, nella busta vuota, provvista di finestra trasparente, il solo modulo di risposte, destinato al CINECA per la determinazione del punteggio provvedendo, al momento della consegna, alla sua chiusura;
(... omissis)
8. Il Presidente della Commissione o il responsabile d'aula, al momento della consegna dei moduli risposta, deve trattenere, in presenza del candidato:
- il secondo modulo di risposte non utilizzato e annullato dal candidato;
- i fogli in cui risultano stampati i quesiti relativi alla prova;
- il foglio anagrafica.
Il materiale sopra descritto, è conservato dall'Università sia ai fini della formulazione della graduatoria finale di merito sia per ogni eventuale futura richiesta di accesso ai documenti.
Al termine di ciascuna prova, provvede inoltre a:
a) inserire tutte le buste contenenti il modulo di risposte, in uno o più contenitori che devono essere chiusi alla presenza degli stessi studenti chiamati a verificare l'integrità delle scatole o, comunque di altri due candidati estratti a sorte;
b) apporre una firma sui lembi di chiusura del o dei contenitori;
c) invitare i due studenti a firmare sugli stessi lembi;
d) provvedere a confezionare altri contenitori in cui racchiudere: i plichi aperti perché oggetto di sostituzione; la dichiarazione di cui al punto 3 e la copia del o dei verbali d'aula qualora, nel corso della prova, si siano verificate situazioni degne di essere descritte in quanto influenti sul suo regolare svolgimento o, nel caso si fosse reso necessario sostituire dei plichi.
9. Ogni Università, a cura del responsabile amministrativo, nella stessa giornata dello svolgimento della prova di ammissione, consegna presso la sede del CINECA, alla rappresentanza del MIUR il materiale di cui al punto 8, lettere a) e d).
Le Università con sede nelle Isole, tenuto conto delle oggettive difficoltà delle vie di comunicazione, sono autorizzate alla consegna del materiale sopra indicato, entro le 24 ore successive alla conclusione di ogni singola prova di ammissione.
(... omissis)"
Le predette disposizioni sono state pedissequamente riportate nel bando di concorso predisposto dall'Università di Messina
Quanto allo svolgimento in concreto della prova risulta dalla documentazione versata in atti dai ricorrenti e dalla relazione del Presidente della Commissione depositata in adempimento dell'ordinanza istruttoria n. 612/2010 (resa nell'ambito del giudizio recante n. r.g. 2879/2010 avverso i medesimi provvedimenti) che è stato predisposto una sorta di elenco dei concorrenti denominato "foglio firma" costituito da una tabella composta da: numero progressivo, nominativo del candidato corredato da numero di codice e dati anagrafici, numero del posto, codice identificativo del test (cd numero seriale), estremi del documento di identificazione, firma del candidato in entrata e in uscita.
Si tratta di modalità che sebbene da una parte possano assumere caratteri lesivi del principio di segretezza e della regola dell'anonimato, così come già affermato da questo Tribunale nella sentenza n. 1528/2008, dall'altra parte potrebbero essere astrattamente ricondotte agli "adempimenti per il riconoscimento dell'identità degli studenti" di cui all'art. 11, comma 2^ del D.M. 11/06/2010, anche al fine di controllare che "ogni singolo studente consegni il medesimo elaborato che gli è stato consegnato e per facilitare le operazioni di abbinamento tra i "dati cineca" e i dati del candidato" (esigenze queste sottolineate nella relazione del Presidente della Commissione). Del resto, a prescindere dall'abbinamento candidato/ codice identificativo della prova effettuato dalla commissione attraverso la redazione del predetto elenco, va, in ogni caso osservato, come il predetto codice identificativo non sia segreto o riservato essendo a conoscenza del candidato e della commissione sin dal momento della consegna del plico, così come disposto dall'art. 13 comma 5^ del D.M.; pertanto, ciò che incide concretamente sul regolare svolgimento della prova non è tanto la circostanza della preventiva conoscenza dell'abbinamento candidato/ codice identificativo quanto piuttosto l'astratta ipotesi di fraudolenta sostituzione dell'elaborato con un "falso" recante lo stesso codice identificativo e il cui accertamento è comunque rimesso alla valutazione del giudice penale. Va, comunque, rilevato che a fronte della predetta circostanza (e cioè che il candidato e la commissione sono a conoscenza del codice identificativo sin dall'inizio della prova) sono state predisposte tutta una serie di adempimenti a tutela dell'integrità dei plichi prima della loro apertura e dopo la chiusura della prova, operazione che viene eseguita alla presenza di candidati estratti a sorte e non risulta alcuna contestazione sul punto.
Fatta questa premessa, e tornando alla legittimità dell'operato della commissione, il Collegio, tuttavia, non può fare a meno di rilevare come non risulti logica e coerente con le sopra citate esigenze di regolare svolgimento delle prove invocate dalla commissione (in particolare sotto il profilo delle verifica che ogni candidato rediga il proprio elaborato) la documentata circostanza che la consegna dei moduli non è stata casuale, ma è stata eseguita in modo progressivo nei confronti dei candidati effettivamente partecipanti alla selezione; i test sono stati, infatti, consegnati secondo lo stretto ordine già assegnato secondo l'elenco predisposto, omettendo quindi la consegna dei test che sarebbero stati assegnati ai candidati assenti (cfr., a titolo esemplificativo, numeri progressivi 2, 22, 29. 38,39, 43,46 ), nonostante il chiaro contenuto dispositivo dell'art 13 citato, in base al quale la distribuzione dei plichi va eseguita "in relazione al numero dei partecipanti" e quindi ai candidati effettivamente presenti alle prove e non anche agli assenti (art 13, comma 3° dm 10 giugno 2011). E' evidente che tale anomala modalità di distribuzione dei plichi ai candidati, non giustificata da alcuna valida ragione coerente con le finalità di trasparenza delle procedure concorsuali è sintomatica di un non corretto svolgimento della procedura concorsuale, anche se in concreto non è possibile stabile - in assenza di alcun accertamento dei fatti in sede penale - "se" ed eventualmente "in quale misura" il predetto modus operandi abbia falsato lo svolgimento delle prove.
Sul punto va ribadito il principio giurisprudenziale secondo cui l'eventuale, astratta riconoscibilità dei candidati non può costituire ex se causa di invalidazione di una procedura concorsuale, allorché, come nella specie, non risulti in alcun modo dimostrato che tale evenienza abbia oggettivamente determinato condizioni di vantaggio rispetto ad altro candidati, incidendo negativamente sui risultati della selezione effettuata (cfr. Consiglio di stato, sez. V, 20 ottobre 2008, n. 5114; ciò in quanto "nelle procedure concorsuali la regola dell'anonimato degli elaborati scritti, anche se essenziale, non può essere intesa in modo assoluto e tassativo tale da comportare l'invalidità delle prove ogni volta che sia ipotizzabile il riconoscimento" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5220/2006).
Infine, in attuazione del principio di effettività della tutela di cui all'art. 1 del c.p.a., non possono essere sottaciute le possibili conseguenze di un annullamento della procedura derivanti da eventuali illegittimità basate solo su vizi sintomatici e analisi probabilistiche che sarebbero satisfattive delle pretese dei ricorrenti solo nelle misura dell'interesse strumentale alla riedizione della prova, mentre gli stessi potrebbero trarre più ampio vantaggio dall'accoglimento di altre censure ( in particolare quelle che hanno condotto all'accoglimento delle domande cautelari e all'ammissione con riserva di alcuni ricorrenti). Inoltre, nella fattispecie in esame caratterizzata dall'incerta incidenza della presunta violazione procedimentale sullo svolgimento delle prove, l'esigenza di effettività della tutela giurisdizionale impone l'individuazione di un punto di equilibrio per evitare che il rimedio ad un'ingiustizia si traduca in una generalizzata e più grave ingiustizia nei confronti dei candidati che hanno regolarmente svolto le prove e si collocati in posizione utile per l'immatricolazione al primo anno del Corso di Laurea.
6. Con il quinto motivo di ricorso, i ricorrenti censurano il mancato utilizzo dei posti riservati agli studenti extracomunitari e non utilizzati in favore di questi.
A tale riguardo, il Collegio, a fronte di una giurisprudenza oscillante (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 10 marzo 2010, n. 3652;T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 13 ottobre 2008, n. 1817), ritiene - a conferma dell'orientamento già espresso in sede cautelare - che la piena utilizzabilità dei posti predeterminati (anche in termini di fabbisogno sociale) sia più aderente ai principi costituzionali enunciati negli articoli 33 e 34 della Costituzione e ai canoni di logica e ragionevolezza dell'operato della pubblica amministrazione (cfr. in tal senso Cons. Stato, sez. VI, 10 settembre 2009, n. 5434 che privilegia la tesi volta ad assicurare lo scorrimento degli studenti comunitari, utilmente collocati in graduatoria, nei posti assegnati agli studenti extracomunitari restati non utilizzati, poiché "...la garanzia del diritto allo studio sancita dall'art. 34, primo comma della Costituzione si qualifica come diritto della persona e non soffre limitazioni in relazione al grado di istruzione").
Per le considerazioni che precedono e limitatamente a questo ultimo profilo di censura il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di assegnare, ai concorrenti che non abbiano prestato acquiescenza alla determinazione universitaria impugnata, e secondo l'ordine di graduatoria, tutti i posti resisi disponibili per l'immatricolazione al primo anno del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia a seguito della selezione indetta con il bando indicato in epigrafe.
7. In conclusione, il ricorso è inammissibile in parte qua secondo quanto precisato in motivazione sub 2); é infondato in parte qua secondo quanto precisato in motivazione sub 3) e 4); é fondato nei termini di cui in motivazione e va accolto, secondo quanto precisato in motivazione sub 6 )
8. In relazione alla reciprocità dei capi soccombenza può disporsi la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
9. Infine, in relazione alle considerazioni svolte sub 5) va disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina, competente per territorio in relazione al luogo di svolgimento del concorso, per la valutazione della sussistenza di eventuali ipotesi di reato nei fatti descritti.
P. Q. M.
- dichiara in parte inammissibile il ricorso indicato in epigrafe;
- rigetta in parte il ricorso indicato in epigrafe;
- accoglie in parte il ricorso indicato in epigrafe e per l'effetto annulla, per quanto di ragione, il bando di concorso ove venga interpretato nel senso di non consentire la ridistribuzione ai cittadini comunitari dei posti riservati ai cittadini extracomunitari, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di assegnare, ai concorrenti che non abbiano prestato acquiescenza alla determinazione universitaria impugnata, e secondo l'ordine di graduatoria, tutti i posti resisi disponibili per l'immatricolazione al primo anno del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia a seguito della selezione indetta con il bando indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Manda alla Segreteria per la trasmissione di copia della presente sentenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina per le eventuali determinazioni di competenza, conservando copia degli atti a disposizione delle Procura medesima.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Biagio Campanella
L'ESTENSORE
Agnese Anna Barone
IL CONSIGLIERE
Salvatore Schillaci
Depositata in Segreteria il 24 agosto 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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- Giurisprudenza
Concorso pubblico: "anonimato" necessario?
Fruizione delle prestazioni dei centri di servizio da parte delle organizzazioni di volontariato
N. 802/2011 Reg. Prov. Coll.N. 1002 Reg. Ric.ANNO 2008REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1002 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:Coordinamento P. della Provincia di Biella, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandra Guarini, Alberto Savatteri, con domicilio eletto presso Alberto Savatteri in Torino, via Pietro Micca, 3;controComitato F. in Piemonte, rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Angeletti, Luigi M. Angeletti, con domicilio eletto presso Carlo Angeletti in Torino, via Bertola, 2; Regione Piemonte, Centro di Servizio Per il Volontariato della Prov.Di Biella, Associazione dei Centri di Servizio Per il Volontariato;nei confronti diCentro I., Associazione V.-Vigliano Biellese;per l'annullamento1. della deliberazione del Comitato F. in Piemonte del 10 aprile 2008 avente ad oggetto l'erogazione dei servizi dei centri di servizio agli organismi di collegamento e coordinamento iscritti nel registro regionale del volontariato e della successiva comunicazione del 16 aprile 2008 (prot. 59/08); 2. dell'atto del Centro di Servizio per il volontariato della provincia di Biella del 30 aprile 2008 (prot. n. 621), avente ad oggetto il diniego di richiesta di servizi; ed anche 3. dell'atto del centro di servizio per il volontariato della Provincia di Biella del 24 settembre 2008 (prot. n. 1156) avente ad oggetto un nuovo diniego alla richiesta di servizi a favore del coordinamento delle organizzazioni di volontariato di protezione civile della Provincia di Biella; 4. di tutti gli atti presupposti, preparatori, consequenziali o comunque connessi del relativo procedimento e per ogni ulteriore relativa statuizione.Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comitato F. in Piemonte;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2011 il dott. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTO1. Con il ricorso in epigrafe, implementato di motivi aggiunti depositati il 4.11.2008, il Coordinamento delle organizzazioni di volontariato della provincia di Biella impugna la deliberazione del Comitato F. in Piemonte del 10.4.2008 con la quale è stata negata l'erogazione di servizi a favore del predetto organismo, nonché l'atto del Centro di servizio per il volontariato del 30.4.2008 avente ad oggetto il diniego di richiesta di servizi.Si costituiva l'Amministrazione producendo memorie del 1.9.2008, 14.11.2008, 21.1.2011 e replica il 10.6.2011.Con Ordinanza cautelare n. 952/2008, dopo precedente ordinanza n. 686/2008 la Sezione respingeva la richiesta di sospensiva motivando diffusamente l'assenza di fumus del ricorso.La causa perveniva alla pubblica Udienza del 24.2.2011 ma veniva rinviata per impedimento del Relatore per causa di malattia.Il ricorrente produceva memoria difensiva il 24.1.2011.Pervenuto alla pubblica Udienza del 13.7.2011 il gravame veniva ritenuto in decisione sulle conclusioni delle parti e la Relazione del Referendario Avv. Alfonso Graziano.2.1. Deve il Collegio confermare la valutazione di infondatezza dell'azione già delibata profusamente con la richiamata ordinanza cautelare n. 952.2008.Il gravame è affidato a tre motivi che vengono illustrati in uno con il loro distinto scrutinio.Con il primo mezzo il ricorrente rubrica violazione dell'art. 3 della L. n. 2411990, eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e difetto di motivazione, violazione della l. reg. Piemonte n. 38/1994, art. 3, comma 3 lamentando che l'iscrizione, da esso conseguita, nell'Albo regionale parifica gli organismi di coordinamento e di collegamento alle associazioni di volontariato di base, ritenendo conseguentemente illegittimo il diniego di servizi pronunciato in loro danno.2.2. L'assunto è destituito di fondamento.L'art. 15 della legge quadro sul volontariato n. 266/1991 stabilisce che le fondazioni bancarie devono devolvere una quota dei loro proventi per la "costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da questi gestiti".A sua volta l'art. 4, comma 1 del D.M. del Tesoro 8.10.1997 stabilisce che "i centri di servizio hanno lo scopo di sostenere e qualificare l'attività di volontariato. A tal fine erogano le proprie prestazioni sotto forma di servizi, a favore delle organizzazioni di volontariato iscritte e non iscritte nei registri regionali".2.3. Da siffatte norme emerge ad avviso del Collegio che il legislatore ha voluto che i centri di servizi gestori dei fondi del volontariato prestino i propri servizi unicamente a favore delle associazioni di volontariato.Per il vero il Comitato di Gestione resistente, con deliberazione 10.4.2008 impugnata (doc. 1 resistente) ha stabilito che i servizi possano essere erogati anche agli organismi di collegamento e coordinamento purché composti unicamente da associazioni del volontariato.Una simile prescrizione appare conforme con il dettato normativo appena riportato, che postula l'essenzialità dell'esistenza di una organizzazione di volontariato sia di prima istanza che può essere anche rappresentata da un organismo di secondo livello quale quello di coordinamento e collegamento.Ne consegue che la circostanza che l'organismo ricorrente è iscritto nel registro regionale, istituito con L.Reg. Piemonte 29.8.1994, n. 38 e poi modificato con delibera della giunta regionale 5.3.2001 n. 382389, nella sezione organismi di collegamento e coordinamento, non vale a conferire al medesimo la natura di organizzazione di volontariato, atteso che esso è un coordinamento delle organizzazioni di volontariato di protezione civile e non un'organizzazione di volontariato in senso proprio.Come già indicato con l'ordinanza n. 952/2008 la deliberazione impugnata appare dunque immune da vizi di legittimità.3.1. Al secondo motivo è invece affidata la deduzione della violazione dell'art. 3, coma 3 della L. Reg. Piemonte n. 38/1994 nonché della D.G.R. 5.3.2001 ed eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, rammentandosi come la norma di legge richiamata istituiva il registro delle organizzazioni di volontariato mentre con la delibera di giunta regionale di cui si assume la violazione veniva istituita del predetto registro la sezione "organismi di collegamento e coordinamento" a cui il centro ricorrente è regolarmente iscritto. Si sostiene che le predette associazioni di secondo livello sono destinatarie, al apri della o.d.v., dei fondi di cui alla L. n. 266/2001.Di conseguenza sarebbe illegittima l'impugnata deliberazione del Comitato di Gestione laddove esclude dall'erogazione dei servizi offerti dai centri di servizio gli organismi di collegamento e coordinamento iscritti nell'apposito registro che non siano però composti unicamente da organizzazioni di volontariato.3.2. La doglianza è infondata, per il motivo sufficientemente tratteggiato con l'ordinanza cautelare, ovverosia in quanto, in sintesi il diritto ad essere iscritto nel registro regionale del volontariato nell'apposita sezione dedicata agli organismi di secondo livello non equivale a riconoscimento del possesso dei requisiti generali imposti dalla legislazione statale ai fini del riconoscimento della qualità di associazione di volontariato.Ribadisce ancora il Collegio che la l. n. 266/2001 stabilisce expressis verbis che i Centri di servizio debbano essere a disposizione delle organizzazioni di volontariato. Coglie nel segno l'assunto di cui a pag. 15 della memoria 1.9.2008 del resistente secondo cui ove i servizi venissero offerti all'organizzazione di coordinamento e da questa alle associazioni che la compongono e se queste ultime non fossero unicamente di volontariato si incorrerebbe nel rischio che i servizi in causa vengano erogati anche ad associazioni non di volontariato, in aperta collisione con il dettato normativo che istituisce un vincolo di esclusività tra le provvidenze erogate dai centri di servizio e le organizzazioni di volontariato.Affinché si abbia organizzazione di volontariato, per la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, occorre che all'associazione partecipino persone fisiche e non anche persone giuridiche o altre associazioni (T.A.R. Milano, Sez. III, 1.12.1998, n. 2793; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. III, 23.4.2002, n. 693).Ne consegue che il ricorrente organismo è a sua volta costituito da associazioni quindi non può rivendicare la qualità di organizzazione di volontariato.4.1. Con il terzo ed ultimo motivo il deducente lamenta che alle organizzazioni di volontariato e alla relativa disciplina in materia di fruizione delle prestazioni dei centri di servizio possono essere sicuramente ricondotti i c.d. "Gruppi comunali di volontari di protezione civile", ossia organismi costituiti presso i comuni, da cittadini che offrono la propria attività volontaria e gratuita finalizzata nell'ambito della protezione civile. Ciò sarebbe suffragato dal riconoscimento normativo attribuito ad essi dal D.P.. n. 194/2001 che all'art. 1 stabilisce che "è considerata organizzazione di volontariato di protezione civile, ogni organismo liberamente costituito, senza fini di lucro, ivi compresi i gruppi comunali di protezione civile".4.2. La doglianza non persuade il Collegio. Come già evidenziato con l'Ordinanza n. 952/2008 l'invocato D.P.R. n. 194/2001 ha un ambito applicativo settoriale, chiaramente delimitato già dalla sua rubrica, "Regolamento recante nuova disciplina della partecipazione delle organizzazioni di volontariato alle attività di protezione civile" e maggiormente emergente dal preambolo, indicante "l'esigenza di una riformulazione organica del regolamento, per quanto riguarda la partecipazione alle attività di protezione civile delle organizzazioni di volontariato" (preambolo), dal che consegue che la finalità e l'ambito di tale regolamento è la partecipazione alle attività di protezione civile di organizzazioni che già rivestano i requisiti di associazioni di volontariato.Si rimarca inoltre che la definizione recata dall'art. 1 del D.P.R. cit. sopra riportato, secondo cui "è considerata organizzazione di volontariato di protezione civile, ogni organismo liberamente costituito, senza fini di lucro, ivi compresi i gruppi comunali di protezione civile" è chiaramente circoscritta alle "organizzazioni di volontariato di protezione civile" e non può valere per ogni organizzazione di volontariato operante anche in altri e diversi ambiti.Rileva ancora il Collegio che la qualificazione di associazioni di volontariato, definita dall'art. 1, comma 2 del citato regolamento, è delimitata dall'incipit della norma "Ai fini dell'applicazione del presente regolamento" non potendo dunque valere a livello generale.4.3. Ad un tale livello,a parere del Collegio, non appare predicabile siffatta natura nei gruppi comunali di protezione civile, in quanto promananti dalle amministrazioni comunali e privi dell'attributo dell'autonomia, ritenuto imprescindibile dalla Corte Costituzionale, che, pronunciatasi sull'art. 3, l. 266/2001 ha affermato trattarsi,"più precisamente, della previsione dei requisiti essenziali attinenti ai caratteri strutturali, all'autonomia interna e alla trasparenza delle organizzazioni di volontariato, la cui ricorrenza è configurata come condizione necessaria perché tali organizzazioni possano beneficiare delle agevolazioni e delle strutture di servizio o di sostegno previste dalla legge medesima" (Corte Cost. 28.2.1992, n. 75.).Nessuna equiparazione dei gruppi comunali di protezione civile alle organizzazioni di volontariato tout court si profila dunque consentita al lume della normativa di settore.4.4. In definitiva, sulla scorta delle considerazioni fino ad ora svolte traspare l'assenza di elementi di fondatezza nel ricorso che va pertanto respinto unitamente ai motivi aggiunti estensivi dell'impugnazione.4.5. La natura degli interessi azionati suggerisce di disporre la compensazione delle spese di lite tra le costituite parti.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.Compensa le spese di lite.Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEFranco BianchiL'ESTENSOREAlfonso GrazianoIL PRIMO REFERENDARIORichard GosoDepositata in Segreteria il 21 luglio 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Avvocati specialisti: per ora non se ne fa nulla!
N. 05151/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08807/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8807 del 2010, proposto da:
Marcello Anastasio Pugliese, Daniele Berardi, Riccardo Bolognesi, Alberto Bonu, Fabrizio Bruni, Federico Bucci, Fabiana Canale, Silvia Cappelli, Adalberto Carrozzini, Gloria Caruso, Luigi Castriota, Giandomenico Catalano, Settimio Catalisano, Donatella Cere', Luigi Chilelli, Irma Conti, Andrea Costanzo, Francesca D'Alessio, David Del Gigante, Pietro Di Tosto, Caterina Flik, Carlo Fontana, Clemente Frascari, Antonino Galletti, Massimo Gruarin, Alessia Guerra, Pierluigi Guerriero, Valentina Guzzanti, Antonella Iannotta, Onorio Laurenti, Tiziano Lepone, Giorgio Lombardi, Giuseppe Lombardi, Walter Lombardi, Samantha Luponio, Claudio Macioci, Vittorio Amedeo Marinelli, Mauro Monaco, Roberto Nicodemi, Francesco Notari, Fabrizio Pacileo, Stefano Rubeo, Stefano Ruggiero, Antonella Sannino, Mauro Vaglio, rappresentati e difesi dall'avv. Antonino Galletti, presso lo studio del quale elettivamente domiciliano in Roma, via Lucrezio Caro, n. 63;
contro
Consiglio nazionale forense - CNF, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fabio Merusi e Raffaele Izzo, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3;
Autorita' garante della concorrenza e del mercato, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
nei confronti di
Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani - AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA, rappresentate e difese dagli avv.ti Benedetta Lubrano, Enrico Lubrano e Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, via Flaminia, n. 79;
Unione Nazionale Camere Civili- UNCC;
per l'annullamento:
- del “regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista” approvato dal CNF nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010;
- di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale ed in ogni caso lesivo dei diritti e degli interessi dei ricorrenti.
Visto il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio nazionale forense;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia, Unione Camere Penali Italiane, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi e Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorita' garante della concorrenza e del mercato;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 6 aprile 2011 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 15 ottobre 2010, depositato il successivo 19 ottobre, gli istanti, premesso di essere tutti avvocati iscritti all’albo professionale tenuto presso l’Ordine di Roma, espongono che il regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi individuate, è lesivo della loro professionalità.
Ciò in quanto, proseguono i ricorrenti, il provvedimento, senza alcuna base normativa, realizza una vera e propria riforma dell’ordinamento professionale, incidente, sia pur su base volontaria, sul lavoro di ciascun professionista, con ricadute anche economiche di assoluto rilievo sul piano della concorrenza, poichè, da un lato, convoglia l’offerta al pubblico delle prestazioni professionali, dall’altro istituisce il nuovo mercato della formazione dell’avvocato specialista. I ricorrenti stigmatizzano anche che a mezzo del provvedimento il CNF, che attualmente gestisce il solo albo degli avvocati cassazionisti, si è indebitamente auto-assegnato la tenuta di undici elenchi di specialisti nelle predette materie, nonché di un registro delle associazioni, costituite tra avvocati specialisti, abilitati all’istituzione e gestione delle scuole e dei corsi di alta formazione propedeutici al conseguimento della specializzazione.
Di tale regolamento i ricorrenti espongono indi l’illegittimità e domandano l’annullamento, deducendo, a sostegno della domanda, le doglianze di seguito illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, 4, comma 2, del d. lgs. 30/2006, 54 e 91 del r.d. 1578/1933, convertito dalla l. 36/1934, 48 del d. lgs. 59/2010, con riferimento all’art. 1 delle preleggi – nullità ex art. 21 septies della l. 241/90 per difetto di attribuzione ed incompetenza assoluta.
Il CNF, organo giurisdizionale con limitate funzioni amministrative, è del tutto carente di potestà regolamentare nella materia de qua, attribuita con la riforma del Titolo V della Costituzione alla legislazione concorrente, spettando alla legge dello Stato, in sede di determinazione dei principi fondamentali, la individuazione delle figure professionali, con conseguente nullità e comunque annullabilità del provvedimento impugnato. Del resto, il divieto posto dall’art. 91 del r.d. 1578/1933, secondo il quale alle professioni di avvocato e procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale, può essere superato esclusivamente a mezzo di una legge dello Stato, ed è in corso di esame da parte del Parlamento il d.d.l. recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, il quale, pur facendo venir meno il divieto in parola, non attribuisce affatto al CNF poteri quali quelli previsti dal regolamento.
2) Eccesso di potere per sviamento – violazione dei principi di libera concorrenza nei servizi – carenza di attività istruttoria
Non sussiste una norma che attribuisce al CNF, che è organo giurisdizionale, la facoltà di regolamentare l’interesse pubblico, addotto dal regolamento, a tutelare l’affidamento della collettività e garantire la qualità delle prestazioni professionali mediante l’istituto delle specializzazioni, vieppiù senza alcun criterio e parametro predeterminato ovvero senza una effettiva e oggettiva attività istruttoria. Il regolamento, anche mediante l’introduzione di un regime transitorio arbitrario ed illogico, legittima pratiche distorsive, restrittive e discriminative della concorrenza, in violazione del principio comunitario di concorrenza, che esige una distinzione tra la regolazione autoritativa delle attività private, appannaggio di soggetti pubblici, espressivi di interessi generali, e le norme di autodisciplina degli interessi che possono essere dettate dagli stessi privati interessati. Il regolamento viola il principio di concorrenza come delineato in sede comunitaria anche perché in detta sede sono tollerate esclusivamente misure restrittive di grado minimo, imprescindibili per raggiungere l’obiettivo di interesse generale assunto dal soggetto pubblico, secondo un criterio di proporzionalità, nella specie totalmente carente. Il regolamento, oltre ad essere stato assunto anche in palese sviamento di potere, è altresì inopportuno, tenuto conto che esso è intervenuto a soli tre mesi di distanza dal rinnovo dei componenti del CNF, e senza aver atteso le determinazioni del XXX Congresso nazionale forense.
3) Violazione di legge per la distorsione dei principi di libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., nonché di quelli anche di matrice comunitaria relativi alla tutela della concorrenza – violazione dell’art. 97 Cost. e dei principi d’imparzialità, sviamento per cinismo amministrativo per la definizione gerontocratica del titolo di specialista ai danni degli avvocati con minore anzianità d’iscrizione all’albo – violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1 del d. lgs. 30/2006 – eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza.
Il regolamento, adottando una obsoleta visione gerontocratica della professione, introduce una disciplina distorsiva della concorrenza, in quanto prevede tout court il divieto per i giovani avvocati nei primi sei anni di professione di conseguire il titolo di specialista.
4) Violazione e falsa applicazione di legge per la distorsione dei principi di libera iniziativa economica, di quelli anche di matrice comunitaria in tema di concorrenza, eccesso di potere per sviamento e per cinismo amministrativo per la possibilità prevista, con disciplina di diritto transitorio, di semplificare il conseguimento di titolo di specialista soltanto in capo ai professionisti con maggior anzianità di iscrizione all’albo – eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di istruttoria.
Il regolamento per un verso penalizza in modo irrazionale i giovani avvocati, per altro verso introduce un regime transitorio per gli avvocati iscritti all’albo da più di venti anni, che, ancorchè vessatorio ed inutile, risulta per essi semplificato e vantaggioso, in quanto consente di conseguire il titolo di specialista per il solo fatto della anzianità di iscrizione, senza alcuna motivazione o ragione logica e razionale. Il termine di venti anni per accedere automaticamente alla specializzazione risulta irrazionale ed illogico anche nei confronti degli avvocati in possesso del titolo di cassazionista, per conseguire il quale occorrono dodici anni.
5) Violazione di legge per la distorsione dei principi di libera iniziativa economica e di quelli anche di matrice comunitaria di concorrenza, eccesso di potere per cinismo amministrativo per la illogica, irrazionale e non motivata predeterminazione di un numero massimo di specializzazioni in astratto conseguibili da ciascun professionista – violazione dell’art. 3 della l. 241/90.
Il regolamento disciplina, senza trovare alcun eguale negli ordinamenti di altre professioni (ad. es. nella professione medica), una illogica limitazione del numero massimo (due) di specializzazioni conseguibili dai professionisti, i quali, vieppiù, ricorrendone le condizioni, possono avvantaggiarsi della disciplina transitoria agevolata per il conseguimento di una sola di esse.
6) Eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento.
Il regolamento indica tra le specializzazioni aree del diritto effettivamente specialistiche e macroaree o settori di diritto (amministrativo, penale), con conseguente disparità di trattamento tra professionisti ed indebito vantaggio di quelli che, conseguendo la specializzazione in una di tali macroaree, possono fregiarsi del titolo per tutte le aree in essa ricomprese.
7) Eccesso di potere per la violazione del principio di sussidiarietà.
Il regolamento, nell’affidare ai consigli dell’ordine compiti molto limitati, viola il principio di sussidiarietà fatto proprio dal vigente ordinamento professionale, incentrato proprio sul ruolo centrale degli ordini professionali, nonché esprime una visione accentrata ed autarchica dell’ordinamento professionale.
8) Eccesso di potere in ordine ai criteri per la verifica delle qualità delle prestazioni assicurate dagli enti formatori.
Il regolamento, laddove elargisce l’iscrizione immediata e di diritto all’elenco dei formatori a sole sei associazioni (riconosciute maggiormente rappresentative dal Congresso nazionale forense), e, al contempo, non riconosce immediata validità ed efficacia alle specializzazioni universitarie, lede il principio della pluralità dell’offerta.
9) Eccesso di potere per l’irrazionalità e la irragionevolezza dei criteri fissati nel regolamento per la nomina dei componenti della commissione esaminatrice.
Il regolamento viola le garanzie di imparzialità e terzietà delle commissioni esaminatrici, laddove determina l’inammissibile commistione consistente nella previsione che due dei cinque componenti delle commissioni incaricate dell’esame propedeutico al rilascio del titolo di specializzazione siano nominati dall’associazione specialistica competente.
10) Eccesso di potere per genericità, illogicità ed irrazionalità dei requisiti richiesti alle associazioni.
Il requisito della diffusione territoriale posto alle associazioni specialistiche ai fini dell’iscrizione al registro dei formatori premia, in violazione del principio di sussidiarietà, le organizzazioni più imponenti, e nulla dice in ordine alla qualità dell’offerta formativa.
11) Eccesso di potere per illogicità ed irrazionalità dei requisiti richiesti alle associazioni.
Il regolamento aggrava irrazionalmente gli obblighi formativi in capo al coloro che hanno conseguito il diploma di specialista, prevedendo per il mantenimento della specializzazione il conseguimento di 120 crediti formativi nel triennio, in luogo dei 90 crediti richiesti agli altri professionisti.
12) Eccesso di potere per il contrasto tra il regolamento sulle specializzazioni ed il vigente codice deontologico forense – eccesso di potere per sviamento e per l’illogica e irrazionale proliferazione delle aggettivazioni in capo al titolo di avvocato – eccesso di potere per il mancato riconoscimento del titolo di specialista ai soggetti così qualificati in ambito universitario in contrasto con la vigente previsione del codice deontologico – illegittimità del regolamento nella parte in cui esclude di fatto gli iscritti all’albo speciale della possibilità di conseguire il titolo di specialista.
Nel vigente ordinamento della professione legale il titolo di specialista stride con le previsioni deontologiche, generando confusione e distorsioni concorrenziali, in violazione anche dei principi di libertà di stabilimento ed esercizio professionale da parte degli avvocati comunitari. Il ruolo assegnato alla formazione post universitaria è irrisorio. Nei fatti è impedito agli iscritti all’albo speciale il conseguimento del titolo di avvocato specialista, per l’impossibilità di ottenere dalle amministrazioni di appartenenza permessi per almeno 200 ore/anno.
Conclude parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente annullamento del regolamento oggetto di censure.
Si è costituita in resistenza senza formulare specifiche difese l’Autorita' garante della concorrenza e del mercato.
Si è costituito in giudizio il Consiglio nazionale forense, eccependo l'infondatezza delle esposte doglianze ed instando per la reiezione dell'impugnativa.
Analoghe conclusioni sono state rassegnate anche dalle controinteressate Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani - AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA, individuate nel regolamento in questione come soggetti aventi tiolo, sin dall’anno accademico 2010-2011, ad espletare il corso di durata biennale, per un minimo di 200 ore complessive di frequenza, propedeutico all’esame di specialista presso il CNF.
Nell’ambito delle predette difese, sono state spiegate anche varie eccezioni di carattere pregiudiziale.
Le parti hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.
DIRITTO
1. Si controverte in ordine alla legittimità del regolamento, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta amministrativa del 24 settembre 2010, che, a partire dal 30 giugno 2011, introduce e disciplina, anche a mezzo di un regime transitorio, le condizioni e le modalità per il riconoscimento ed il mantenimento in capo agli avvocati, a domanda, del titolo di avvocato specialista, in un massimo di due materie tra le undici aree del diritto ivi indicate, suscettibili di successivi aggiornamenti.
Limitando, per economicità di mezzi espositivi, la descrizione del provvedimento impugnato, composto di 14 disposizioni molto articolate, va rappresentato che, a regime, secondo il regolamento, il titolo di avvocato specialista, che consiste nel rilascio di un diploma e nell’inserimento in appositi registri pubblici tenuti dal Consiglio nazionale forense, attesta l’acquisizione nelle predette aree di diritto, in capo all’avvocato ininterrottamente iscritto all’albo da almeno sei anni, ed in possesso di ulteriori requisiti, tra cui la frequenza biennale di una scuola o di un corso di alta formazione riconosciuti dal CNF e tenuti da enti o soggetti iscritti in apposito registro del CNF, per un minimo di 200 ore complessive, nonché all’esito di apposito esame sostenuto con esito favorevole presso il CNF, di una “specifica e significativa competenza teorica e pratica, il cui possesso è attestato da apposito diploma rilasciato esclusivamente dal Consiglio nazionale forense e che deve essere conservata nel tempo secondo il principio della formazione continua” (art. 2).
La controversia è proposta dagli avvocati ricorrenti, iscritti all’albo professionale tenuto presso l’Ordine di Roma, che, esposta la lesività del provvedimento nei confronti della loro professionalità, ne deducono la nullità e l’annullabilità per vari profili, tra cui, in primis, il difetto di attribuzione in capo al CNF di potestà regolamentare nella materia de qua.
Resiste il Consiglio nazionale forense.
Resistono, altresì, le controinteressate Associazione Avvocati Giuslavoristi Italiani - AGI, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia - AIAF, Unione Camere Penali Italiane – UCPI, Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi – UNCAT, Societa' Italiana Avvocati Amministrativisti – SIAA.
Queste ultime, unitamente alla Unione Nazionale Camere Civili-UNCC, alla luce dell’impugnato regolamento (art. 11), hanno titolo in sede di prima applicazione ad espletare i corsi propedeutici al sostenimento dell’esame di specialista presso il CNF.
2. Com’è d’uopo il Collegio deve prioritariamente affrontate le questioni pregiudiziali.
2.1. Va respinta l’eccezione di carenza di interesse all’impugnazione, formulata dalle nominate associazioni, che, sottolineato che il regolamento è destinato ad operare esclusivamente a domanda, laddove il professionista intenda fregiarsi del titolo di avvocato specialista, sostengono che il regolamento non incide ex se sull’esercizio della professione legale come disciplinata dalla vigente normativa, difettando così di potenzialità lesiva della sfera dei ricorrenti, i quali, al più, potrebbero venirne incisi sotto un profilo di mero fatto, che non può trovare tutela nella sede adita.
L’eccezione non può essere condivisa né nell’impianto né nelle conclusioni.
E’ noto che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato, dovendo il ricorso essere considerato inammissibile per carenza di interesse laddove l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente (C. Stato, V, 4 marzo 2011, n. 1734).
Tali coordinate interpretative vanno calate nella fattispecie in esame apprezzando gli effetti discendenti dal gravato provvedimento, alla cui luce verificare sia se sussiste la lesione della sfera giuridica dei ricorrenti paventata in gravame, sia se i medesimi deriverebbero un vantaggio dall’accertamento della ricorrenza dei vizi dedotti e dalla conseguente statuizione giurisdizionale demolitoria del provvedimento stesso.
In tale percorso, si osserva che il regolamento assume espressamente lo scopo di “tutela dell’affidamento della collettività” (art. 7, comma 5), e ricollega altrettanto espressamente al rilascio del titolo di specializzazione, “esclusivamente dal Consiglio nazionale forense”, l’attestazione, nei confronti del professionista già iscritto all’ordine, di “una specifica e significativa competenza teorica e pratica”, in relazione alle considerate aree di diritto (art. 2).
E’ pertanto innegabile che il regolamento introduce una nuova, ulteriore e precipua qualificazione, con carattere di esclusività, attinente all’esercizio dell’attività forense, che si aggiunge, innovandola e arricchendola, a quella già attestata dall’iscrizione all’ordine, che, laddove protrattasi ininterrottamente per un dato periodo, ne costituisce solo uno dei presupposti.
Tale qualificazione si risolve in una ben precisa differenziazione – che assume rilevanza esterna essendo pubblicata a cura del CNF e spendibile sia nei rapporti tra avvocati e clienti sia nei rapporti tra gli stessi avvocati, ed è connotata dal carattere meritocratico testimoniato dalla frequenza dei corsi e dal superamento dell’esame da svolgersi presso il CNF – della posizione dei professionisti, già abilitati all’esercizio della professione legale, i quali, sussistendone le condizioni e sottomettendosi agli oneri, anche economici, recati dal provvedimento, conseguono il titolo, vedendosi in tal modo riconoscere un ampliamento di matrice pubblicistica delle attestazioni a loro favore, rispetto a quelli che ne restano privi, o per non aver assunto gli oneri stessi o per averli assunti senza esito positivo.
Ne deriva che non può porsi fondatamente in dubbio che è l’intera classe forense ad essere destinataria della nuova conformazione dell’attività professionale recata dal provvedimento.
In particolare, l’avvocato iscritto all’ordine forense, anche laddove, essendo in possesso dei prescritti requisiti, assuma volontariamente di non dotarsi del titolo di specializzazione, non perciò stesso può ritenersi giuridicamente indifferente alle scelte operate dal provvedimento, del quale è comunque destinato a risentire direttamente gli effetti, in termini di sopraggiunta scomparsa dell’elemento di apicalità del percorso professionale precedentemente rappresentato dalla sola iscrizione all’albo, superato dal possesso del titolo di avvocato specialista.
Conseguenzialmente, risulta pienamente ammissibile la domanda avanzata in questa sede dagli avvocati ricorrenti, tutti iscritti all’ordine professionale, di verifica giudiziale della conformità a legge dell’atto impugnato, che risulta preordinata all’utilità consistente nel mantenimento delle prerogative così come discendenti dall’iscrizione all’ordine.
Ed è evidente che, risolvendosi nella richiesta di tutela di un'attività professionale il cui esercizio è dal vigente ordinamento condizionato all'iscrizione in un albo, e che è volta al mantenimento delle stesse condizioni da esso ordinamento precedentemente assicurate, va anche escluso che, come in subordine sostenuto dagli eccepenti, il sottostante interesse possa qualificarsi come di mero fatto.
2.2. Le controinteressate associazioni ed il CNF eccepiscono altresì l’inammissibilità del gravame per la sussistenza di posizioni autonome e configgenti tra i ricorrenti (con particolare riferimento alla presenza o meno in capo ai ricorrenti dei requisiti che consentono di avvalersi della procedura prevista dal regolamento impugnato).
Neanche tale eccezione è conducente.
Rilevato che, in un ricorso collettivo, la ricorrenza dell’eventuale conflitto tra le posizioni dei ricorrenti va scrutinata in relazione all'interesse astrattamente perseguito (C. Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 710), osserva il Collegio che nella fattispecie non ricorre alcun conflitto, avendo i ricorrenti tutti adito la tutela giudiziale vantando la stessa qualità di iscritti all’ordine professionale, ed a difesa delle prerogative allo stato da tale iscrizione discendenti per ciascuno di essi.
La identità dell’interesse, di rilievo giuridico, speso in giudizio rende del tutto indifferente la eventuale diversificazione della concreta posizione dei ricorrenti rispetto alle disposizioni introdotte con il regolamento impugnato.
Tale elemento, infatti, viene in rilievo esclusivamente in sede di applicazione del regolamento impugnato, ed è pertanto suscettibile di essere travolto dall’accoglimento del gravame e dal conseguente annullamento dell’atto.
3. Ulteriori eccezioni pregiudiziali sono state dalle parti resistenti spiegate in relazione a singoli motivi di ricorso.
Il Collegio può, peraltro, senz’altro prescindere dal loro esame, atteso che il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti denunziano la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF a regolare la materia de qua, per il quale non si pone alcuna questione pregiudiziale, e che presenta carattere assorbente, è fondato.
4. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni.
Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001.
L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato al comma 4, il Governo ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, Cost..
La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è intervenuta con d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30.
In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato “Tutela della concorrenza e del mercato”, che l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale (comma 1), recita l’art. 4, comma 2, che “La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato”.
Resta pertanto affermato che, anche in relazione alla tutela della concorrenza, è la legge statale a dover individuare i requisiti tecnico-professionali ed i titoli professionali necessari per l’esercizio delle attività che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali.
In particolare, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, principio fondamentale in materia di professioni è la riserva a favore dello Stato per l’individuazione di nuove figure professionali e la disciplina dei relativi profili e titoli abilitanti, nonché della istituzione di registri professionali e la previsione delle condizioni per l’iscrizione ad essi" (da ultimo, Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 132).
5. Chiarito il quadro normativo in cui si inserisce la controversia, il Collegio ritiene anzitutto di precisare, in via preliminare, che nella presente fattispecie va tenuta in disparte ogni questione di merito attinente l’opportunità o l’utilità della introduzione di una disciplina delle specializzazioni dell’attività forense, notoriamente non rimessa a questa sede.
Altrettanto è a dirsi in ordine alla necessità che l’ordinamento appresti utili misure per affrontare le “auto-proclamazioni” pubblicitarie di inesistenti specializzazioni forensi, descritto dalle parti resistenti: la problematica, di cui non si intende sminuire né la portata né la negativa incidenza sull’interesse pubblico generale all’amministrazione della giustizia e sul diritto di difesa in giudizio, non può, però, evidentemente rilevare in tema di individuazione del soggetto pubblico competente all’individuazione ed all’adozione delle misure stesse.
6. Tanto premesso, ed in relazione al sopra descritto quadro normativo, dal quale emerge graniticamente che la materia de qua è riservata al legislatore statale, osserva il Collegio che non risulta che il medesimo abbia esercitato detta riserva, né riformando direttamente l’ordinamento della professione forense, sede propria per l’introduzione di un istituto, quale quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato ad innovare profondamente i termini dello svolgimento dell’attività, né attribuendo al CNF la competenza ad adottare in via regolamentare la disciplina delle specializzazioni della professione legale.
Di talchè al Collegio non è dato comprendere da quale fonte normativa il CNF abbia derivato la potestà, esercitata con l’atto impugnato, di creare ex novo una figura professionale precedentemente non contemplata dal vigente ordinamento – quella dell’avvocato specialista – che si aggiunge alle figure dell’avvocato iscritto all’albo e dell’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
6.1. Al riguardo, infatti, a nulla vale sostenere, come fanno le parti resistenti, che la figura professionale dell’avvocato, anche dopo l’introduzione delle specializzazioni, “rimane assolutamente unica”, potendo comunque il professionista forense, dopo il superamento dell’esame di Stato, e l’iscrizione all’albo degli avvocati, “svolgere la propria attività professionale in tutti i settori dell’ordinamento indipendentemente dall’aver partecipato alla procedura prevista per il conseguimento del titolo qualificante di specialista”.
La valenza istitutiva di nuove figure professionali della impugnata normativa si desume infatti pacificamente dalla circostanza che il gravato regolamento prevede l’istituzione da parte del CNF di appositi registri pubblici ove possono iscriversi, sulla base del verificato possesso di specifici requisiti attestanti una determinata qualificazione professionale, gli avvocati specialisti nelle considerate aree di diritto (art. 5, comma 2).
Come ripetutamente chiarito dalla Corte Costituzionale, la stessa istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l'iscrizione ad esso, prescindendosi dalla circostanza che tale iscrizione si caratterizzi o meno per essere necessaria ai fini dello svolgimento della attività cui l'elenco fa riferimento, hanno, già di per sé, “una funzione individuatrice della professione” (sentenze n. 57 del 2007; n. 355 del 2005; n. 300 del 2007).
6.2. Né, ai fini dell’esame della presente controversia, occorre spendere molte parole in punto di accertamento della natura, e dei poteri, anche amministrativi, del CNF, ovvero in ordine ai c.d. regolamenti “liberi” previsti dall'art. 17, comma 1, lett. c), della l. 23 agosto 1988, n. 400 [ovvero di quei regolamenti che derogano al principio generale secondo cui il potere regolamentare, espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinante in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell'astrattezza, rispondendo a regole di stretta tipicità, deve sempre trovare nella legge la propria legittimazione (C. Stato, Atti norm., 7 giugno 1999, n. 107)], ovvero dei regolamenti “indipendenti” o “autonomi” (perché promananti da enti dotati, come il CNF, di indipendenza od autonomia), manifestazione di un potere di autoregolamentazione o autogoverno, invocati dal CNF, ma comunque ascrivibili alla compagine dei primi.
Invero, da un lato, si versa, come già sopra chiarito, in una materia riservata alla legge dello Stato, ciò che fa escludere ab origine l’astratta operatività degli strumenti invocati dalla parte resistente, in forza della prescrizione dettata dalla lett. c) del sopraccitato art. 17, quanto ai regolamenti “liberi”, e, oltre a ciò, in forza del principio di unitarietà dell’ordinamento giuridico, quanto ai regolamenti “indipendenti”.
Dall’altro, ed in ogni caso, alla luce della perdurante vigenza dell’art. 91 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, recante “Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore”, convertito dalla l. 22 gennaio 1934, n. 36, che dispone che “Alle professioni di avvocato e di procuratore non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale”, non è consentito dubitare che la via regolamentare è assolutamente inidonea ad incidere autonomamente su tale preclusione, posta da fonte di rango normativo primario.
E, quanto a quest’ultimo profilo, non è privo di significato che le difese resistenti neanche tentino di illustrare la compatibilità delle norme regolamentari di cui si discute con l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933.
Infine, merita comunque di essere segnalato che neanche è condivisibile l’argomentazione relativa alla rilevanza meramente interna delle norme regolamentari impugnate, spesa dalle parti resistenti in uno alle considerazioni relative alla potestà di autonoma regolamentazione: essa, infatti, per quanto sin qui esposto, si risolve in una mera asserzione teorica, ovvero priva di qualsiasi riscontro nell’impianto dispositivo oggetto di giudizio.
6.3. Le parti resistenti tentano infine di aggirare l’ostacolo costituito dalla carenza di una norma che attribuisca specificamente in capo al CNF la regolazione della materia de qua invocando recenti statuizioni di questo Tribunale (per tutte, Tar Lazio, III-quater, 17 luglio 2009, n. 7081), in forza delle quali, in tema di formazione forense, è stata riconosciuta la sussistenza del potere di normazione interna del CNF, e ciò ai sensi dell’art. 2 (“Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali”), comma 3, del d. l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Recita la invocata disposizione dell’art. 2 del d. l. 223/2006:
“1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali:
a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'ordine;
c) il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità…..
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle”.
Alla luce della norma, però, neanche tale argomentazione risulta conducente.
Infatti:
- l’avvenuta abrogazione, da parte del riportato art. 2, comma 1, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, in riferimento a tutte le attività libero professionali ed intellettuali, il divieto anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, nulla dice in ordine alla necessarietà o all’opportunità dell’introduzione in uno di tali settori dell’istituto delle specializzazioni, espressamente vietate dal relativo ordinamento a mezzo di una previsione di perdurante vigenza alla data della norma, costituita dall’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;
- nell’art. 2 del d.l. 223/2006 non vi è traccia né esplicita né implicita di una volontà o di un ratio abrogatrice del suddetto art. 91;
- la valorizzazione delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisciplina emergente dal comma 3 dell’art. 2 in parola è chiaramente una misura adeguatrice, o di accompagnamento, con effetti interni allo stesso ambito regolatorio interno, di quanto già direttamente disposto dal comma 1 della norma primaria, in applicazione di un principio di tendenziale rispetto della eterogeneità e della separatezza delle fonti;
- il meccanismo contemplato al comma 3 del ridetto art. 2, con l’apposizione di un termine perentorio all’attività adeguatrice deontologica o pattizia o dei codici di autoregolamentazione, scaduto il quale subentra la previsione della nullità ope legis delle norme deontologiche o pattizie o codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, sottolinea, piuttosto che annullare, la primazia nella materia della legge statale sulla fonte pattizia;
- la comminatoria della nullità ope legis di cui al ripetuto comma 3 è testualmente riferita alle sole previsioni deontologiche, pattizie e codicistiche in contrasto con il comma 1 dello stesso articolo, e non può certamente essere estesa alla norma di fonte primaria di cui all’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933;
- alla già detta valorizzazione della sede pattizia e deontologica operata dal comma 3 viene senz’altro riconnessa, oltre che una pars destruens, una pars costruens, ma alla stessa non può ascriversi una portata generale od illimitata, ovvero travalicante il mero ordinamento a valenza meramente interna, attesa la carenza di qualsiasi indicazione del legislatore che legittimi le sedi deontologiche e pattizie al compimento di scelte di portata riformatrice della struttura portante delle considerate professioni, in sostituzione del legislatore stesso;
- in particolare, il richiamo operato dal ridetto comma 3 alla “qualità delle prestazioni professionali”, riferito, com’è, al (normativamente) variegato ambito delle attività libero professionali ed intellettuali contemplato dall’art. 2 che lo contiene, non risulta suscettibile, sotto il profilo ermeneutico, di una considerazione che lo renda talmente avulso dal complessivo contesto nel quale il rimando si pone, da farlo involvere, prima, in una manifestazione di volontà del legislatore statale di recedere dalla regolazione di tutte le attività professionali, ed in particolare dell’attività forense, quasi alla stregua di una loro “liberalizzazione”, poi, segnatamente, in una delega in bianco al CNF: entrambe tali conclusioni, che le difese resistenti sembrano propugnare, si profilano infatti abnormi rispetto sia al dato testuale che allo spirito della considerata disposizione dell’art. 2.
Infine, è appena il caso di osservare che l’art. 91 del r.d.l. n. 1578 del 1933 è rimasto del tutto estraneo alla congerie normativa considerata dalle sentenze amministrative di primo grado come appena sopra invocate da parte resistente. La circostanza, unitamente alla valenza meramente interna della regolazione della materia della formazione ivi considerata, fa escludere la sussistenza di qualsiasi profilo di sovrapponibilità, anche in relazione all’esito, delle relative controversie rispetto alla questione all’odierno esame.
6. Per tutto quanto precede, in accoglimento del primo motivo di doglianza, il ricorso deve essere accolto.
Per l’effetto, accertata la assoluta carenza di attribuzione in capo al CNF della regolamentazione assunta con il gravato provvedimento, lo stesso deve essere dichiarato nullo ai sensi dell'art. 21- septies, l. 7 agosto 1990, n. 241, categoria di invalidità dell’atto amministrativo per la quale l’art. 31, comma 4 del codice della giustizia amministrativa facoltizza il Collegio al rilievo d’ufficio.
Nella specie, comunque, la doglianza accolta, seppur senza trovare precisa corrispondenza nelle conclusioni rassegnate in ricorso, ha lamentato la nullità dell’atto impugnato.
La novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, dichiarando, per l’effetto, la nullità del regolamento impugnato di cui in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Informative prefettizie antimafia
N. 878/2011 Reg. Prov. Coll.N. 1073 Reg. Ric.ANNO 2006REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1073 del 2006, proposto da:B. A., rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Assisi, con domicilio eletto presso M. R. in Catanzaro, via ...omissis...controComune di Stefanaconi, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Sorace, con domicilio eletto presso Domenico Sorace in Catanzaro, v.le De Filippis, n. 28/A; Responsabile Ufficio Tecnico Comune di Stefanaconi; Prefetto di Vibo Valentia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distr.le Catanzaro, domiciliata per legge in Catanzaro, via G. Da Fioreper l'annullamentodel provvedimento del 23 giugno 2006 di non conferma dell'aggiudicazione della gara di appalto del servizio di manutenzione della rete idrica comunale.Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Stefanaconi e di Prefetto di Vibo Valentia;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2011 il dott. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTO1.- L'impresa ricorrente, «L. sas», espone di operare in alcuni settori relativi a lavori pubblici e privati in forma di società in accomandita semplice, i cui unici soci sono B. A., socia accomandataria, e il figlio, socio accomandante.La predetta impresa è stata aggiudicataria della gara indetta, in data 13 gennaio 2006, dal Comune di Stefanaconi riguardante l'appalto del servizio di manutenzione della rete idrica comunale di importo annuale pari ad euro 10.000,00.Con nota del 13 gennaio 2006 il responsabile dell'ufficio tecnico comunale ha chiesto il certificato di iscrizione alla CCIAA con la dicitura antimafia. L'impresa ha prodotto quanto richiesto. Sennonché, con nota del 23 giugno 2006, lo stesso responsabile ha comunicato che «la disposta aggiudicazione non può essere confermata in via definitiva ed il contratto non può essere stipulato», poiché con nota del Prefetto di Vibo Valentia del 9 giugno 2006 sono state comunicate al Comune informazioni dalle quali emergerebbero «condizioni e circostanze interdittive e di divieto di cui all'art. 10, comma 2, del d.p.r. n. 252 del 1998».1.1.- Con il ricorso principale, in attesa di prendere visione della nota prefettizia, è stata impugnata quest'ultima unitamente alla nota del responsabile dell'ufficio tecnico comunale sopra indicata. In particolare, si contesta la competenza di quest'ultimo ad esprimere una giudizio di pericolo di infiltrazione mafiosa e si sostiene, nel merito, che non sussistono i presupposti per ritenere presente la predetta infiltrazione.1.2.- Con ricorso per motivi aggiunti, sono state contestate le affermazioni contenute nella nota alla luce di una serie di elementi che non sarebbero stati tenuti presenti dall'amministrazione prefettizia.In particolare, nella nota si afferma con riferimento alla posizione della B., che la stessa in data 27 settembre 1994 «è stata denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata all'acquisizione di attività economiche ed imprenditoriali ed all'impedimento del libero esercizio del voto in occasione di consultazione elettorali. Atti trasmessi alla d.d.a. di Catanzaro ed il 5 ottobre 1994 segnalata per accertamento patrimoniale nel corso di una misura di prevenzione».Con riferimento alla posizione di L. N., marito della B., si legge che lo stesso risulta «sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per anni cinque; denunciato in data 24 settembre 1994 per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata all'accaparramento della gestione della cosa pubblica; denunciato in data 27 settembre 1994 sempre per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata all'acquisizione di attività economiche ed imprenditoriali ed all'impedimento del liberto esercizio del voto in occasione di consultazioni elettorali; denunciato in data 25 settembre 1996 per associazione per delinquere di stampo mafioso e truffa aggravata ai danni dello Stato; tratto in arresto in data 7 aprile 1998 in esecuzione di o.c.c. in carcere emessa dal G.I.P. distrettuale di Catanzaro per associazione per delinquere di stampo mafioso».Secondo la ricorrente tale nota sarebbe illegittima perché non avrebbe tenuto in considerazione una serie di elementi che verranno indicati nel prosieguo.2.- Si sono costituiti in giudizio le amministrazioni prefettizia e comunale, chiedendo che il ricorso venga rigettato.3.- Con ordinanza del 13 settembre 2007, n. 556 questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare rilevando che sono «venute in rilievo notizie e circostanze che rendono non più attuale il giudizio di pericolo di infiltrazioni mafiose espresso nell'informativa del prefetto rendendone carente la motivazione».4.- Il ricorso è fondato.4.1.- In via preliminare, è bene chiarire come la giurisprudenza amministrativa affermi costantemente che le informazioni prefettizie antimafia possono essere ricondotte a tre tipi: quelle ricognitive di cause di per sé interdittive di cui all'art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 490 del 1994; quelle relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e la cui efficacia interdittiva discende da una valutazione del prefetto di cui all'art. 10, comma 7, del d.p.r. n. 252 del 1998; quelle supplementari (o atipiche) la cui efficacia interdittiva scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell'amministrazione destinataria dell'informativa prevista dall'art. 1-septies, del decreto-legge 6 settembre 1982 n. 629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982 n. 726, ed aggiunto dall'art. 2 della legge 15 novembre 1988 n. 486 (v.Consiglio di Stato, sez. VI, 3 maggio 2007, n. 1948; Consiglio di Stato, IV, 15 novembre 2004, n. 7362).Nel caso in esame viene in rilievo la nota prefettizia appartenente alla seconda categoria.4.2.- Chiarito ciò, deve rilevarsi come l'informativa del 9 giugno 2006 si fondi su accertamenti penali, sopra riportati, effettuati nei confronti sia di B. M. sia di L. N.. Le deduzioni di fatto in essa contenute non sono, però, complete, per le ragioni di seguito indicate.Con riferimento alla posizione della B., parte ricorrente ha depositato la sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro dell'11 maggio 1999, n. 82, con cui è stato disposto, in relazione all'imputazione del delitto di cui all'art. 416-bis, non luogo a procedere nei confronti della ricorrente stessa, «per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste».Con riferimento alla posizione di L. N., anche in questo caso risulta che, sempre in data antecedente alla nota prefettizia, con decreto del 21 febbraio 2005 il Tribunale di Vibo Valentia ha revocato la misura di prevenzione applicata a L. dal medesimo Tribunale in data 2 marzo 2000. Inoltre, con decreto n. 63 del 20 maggio 2006 la Corte di Appello di Catanzaro ha respinto l'appello proposto dalla Procura avverso il decreto del 21 febbraio 2005. Ma ciò che più rileva è che con sentenza del 9 giugno 2004, n. 856, il Tribunale di Vibo Valentia ha assolto il L. perché il fatto non sussiste.Da quanto esposto emerge come la nota prefettizia impugnata non abbia preso in esame tutti gli elementi rilevanti risultanti dai procedimenti penali. Questo Collegio è consapevole del fatto che l'accertamento prefettizio è autonomo rispetto a quello che si svolge in sede penale (ex multis, Tar Lazio Roma, sez. I, 6 dicembre 2010, n. 35388; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 9 giugno 2010, n. 1058). Nondimeno, nel caso di specie, la nota si è fondata, per desumere la possibilità di infiltrazioni mafiose, unicamente su fatti di rilevanza penale. Ma nel fare questo non ha preso in esame tutti i dati rilevanti emersi in sede penale, soprattutto se si tiene conto che «un fatto che ha trovato smentita all'esito di un procedimento penale non può essere richiamato per assumere nel suo oggettivo accadimento capacità qualificatoria dal punto di vista dell'informativa antimafia» (Cons. Stato, sez. VI, 3 settembre 2009, n. 5194).In definitiva, in mancanza di una completa e motivata ricostruzione del quadro indiziario a carico della impresa ricorrente, gli atti impugnati devono essere annullati per difetto di motivazione e di istruttoria.5.- Deve, invece, essere rigettata la domanda di risarcimento del danno, non avendo il ricorrente provato la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità civile della pubblica amministrazione. In particolare, per quanto attiene alla prova del danno subito, l'orientamento più recente della giurisprudenza amministrativa, cui questo Collegio aderisce, assume che non possa ritenersi, come richiesto dal ricorrente, che il danno da lucro cessante per la mancata aggiudicazione di una gara sia, in maniera presuntiva, pari al 10% dell'importo dell'offerta. Si è, infatti, affermato che «il criterio del 10%, se pure è in grado di fondare una presunzione su quello che normalmente è l'utile che una impresa trae dall'esecuzione di un appalto, non possa, tuttavia, essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata», in quanto tale criterio conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l'imprenditore ben più favorevole dell'impiego del capitale. In questa prospettiva si esige «la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto; prova desumibile, in primis, dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara» (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144; Id., sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967). Tale orientamento è stato "recepito" dal codice del processo amministrativo, il quale prevede che spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità (art. 64) e tra questi vi rientrano certamente gli elementi afferenti alla dimostrazione concreta dei danni che si sono verificati nella sfera giuridica del privato.6.- La natura della controversia, e le ragioni poste a fondamento dell'accoglimento del ricorso, giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione, con compensazione delle spese di giudizio.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEGiuseppe RomeoL'ESTENSOREVincenzo LopilatoIL CONSIGLIEREConcetta AnastasiDepositata in Segreteria il 10 giugno 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (D.A.SPO.)
N. 1060/2011 Reg. Prov. Coll.N. 1774 Reg. Ric.ANNO 2009REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1774 del 2009, proposto dal sig E. P., rappresentato e difeso dagli avv.ti Ferdinando Palumbo e Renato Rolli e con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Paolo Grandinetti in Firenze, via Martelli n. 4controMinistero dell'Interno e Questura di Grosseto, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze e domiciliati presso gli Uffici di questa, in Firenze, via degli Arazzieri n. 4per l'annullamento,previa sospensione dell'efficacia,del provvedimento del Questore di Grosseto, Cat. 2^/div. P.A.C./2009, del 27 agosto 2009, recante divieto al sig. E. P. di accedere ai luoghi dove si svolgono competizioni di calcio relative ai campionati nazionali professionisti e dilettanti, ai tornei internazionali (Coppa dei Campioni, Coppa Uefa, Coppa delle Coppe), alle partite delle Nazionali di calcio che verranno disputate nel territorio nazionale, per la durata di anni due a decorrere dalla notifica del provvedimento, con divieto inoltre di intrattenersi nei luoghi interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle medesime competizioni calcistiche e con prescrizione di presentarsi, 30 minuti dopo l'inizio del primo tempo e 30 minuti dopo l'inizio del secondo tempo presso il Comando Stazione Carabinieri di Castrolibero in tutti i giorni in cui la squadra del Cosenza disputi incontri di calcio in qualsiasi stadio del territorio nazionale, o all'estero, sempre per la durata di anni duee, in subordine,per la riduzione della sanzione in misura che la renda proporzionale ed adeguata ai fatti contestatiVisto il ricorso con i relativi allegati;Vista l'istanza di sospensione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Grosseto;Viste la memoria e la documentazione depositate dalla Questura di Grosseto;Vista l'ordinanza n. 905/09 del 20 novembre 2009, con cui è stata parzialmente accolta la domanda incidentale di sospensione;Visti tutti gli atti della causa;Nominato relatore nell'udienza pubblica del 3 marzo 2011 il dott. Pietro De Berardinis;Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segueFATTO E DIRITTO1. L'odierno ricorrente, sig. E. P., espone di essersi recato in data ...omissis... presso lo stadio di Grosseto per assistere all'incontro di calcio "...omisiss...", valevole per la "Coppa Italia".1.1. Nel corso di tale partita, si verificavano l'accensione ed il lancio, nella parte bassa del settore ospiti, di un artifizio pirotecnico. A seguito di riconoscimento effettuato mediante la comparazione delle immagini registrate prima della partita da un operatore della Polizia, e durante la stessa dalle telecamere di sorveglianza, quale responsabile del fatto veniva individuato l'esponente, che per tal ragione veniva deferito alla Procura della Repubblica di Grosseto.1.2. In conseguenza dell'episodio, con provvedimento Cat. 2^/div. P.A.C./2009, del 27 agosto 2009 il Questore di Grosseto adottava nei confronti del sig. P. il divieto di accedere alle manifestazioni sportive (cd. D.A.SPO.) ex art. 6 della l. n. 401/1989.1.3. Il predetto provvedimento vieta, invero, all'esponente, per la durata di due anni, di accedere ai luoghi dove si svolgono competizioni di calcio relative ai Campionati nazionali dei professionisti e dei dilettanti, ai tornei internazionali, indicati nelle Coppe Europee, ed alle partite delle Nazionali di calcio da disputare nel territorio nazionale. Gli vieta, poi, di "intrattenersi nei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle medesime competizioni di calcio". Infine gli impone, per lo stesso periodo, di presentarsi trenta minuti dopo l'inizio del primo tempo e trenta minuti dopo l'inizio del secondo tempo presso il Comando Stazione Carabinieri di Castrolibero (località di residenza dell'interessato) in tutti i giorni in cui la squadra del Cosenza si trovi a disputare incontri di calcio in qualsiasi stadio del territorio nazionale, o all'estero.2. Avverso il succitato divieto di accedere alle manifestazioni sportive è insorto il sig. E. P., impugnandolo con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione.2.1. A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti censure:- incompetenza territoriale, perché il divieto impugnato avrebbe dovuto essere adottato, semmai, dal Questore della Provincia in cui risiede il ricorrente (Cosenza);- violazione degli artt. 3, 7 e 10 della l. n. 241/1990, poiché nel caso di specie sarebbe stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 cit., né la P.A. avrebbe esplicitato le ragioni di urgenza che consentono di non effettuare tale comunicazione; inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe sfornito di motivazione, non tenendo conto delle circostanze di tempo e di luogo relative ai fatti posti a base della misura (ed in specie, dell'assenza di scontri o tafferugli), né dei precedenti e del tenore di vita dell'interessato;- violazione di legge ed eccesso di potere per mancata osservanza del principio di gradualità della sanzione, giacché nel caso di specie sussisterebbe una sproporzione tra la condotta attribuita al sig. P. e la sanzione irrogatagli, tenendo, altresì, presente l'incidenza che la misura disposta potrebbe avere sulla sua attività lavorativa;- violazione dell'art. 6, comma 1, della l. n. 401/1989, in quanto il provvedimento gravato sarebbe eccessivamente generico nell'indicazione delle competizioni sportive alle quali il ricorrente non può accedere, in violazione dei principi di specificità e legalità.2.2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero degli Interni e la Questura di Grosseto, depositando una relazione della predetta Questura con documentazione allegata.2.3. Nella Camera di consiglio del 19 novembre 2009, il Collegio, considerato fondato il ricorso con esclusivo riferimento a quella parte del provvedimento impugnato relativa al divieto di intrattenersi nei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle medesime competizioni calcistiche cui il ricorrente non può accedere, attesa la genericità e la troppo estesa latitudine (e, così, la sproporzione) di un simile divieto, con ordinanza n. 905/09 ha accolto in parte qua l'istanza di sospensione.2.4. In prossimità dell'udienza pubblica, il ricorrente ha effettuato deposito tardivo di una memoria difensiva.2.5. All'udienza pubblica del 3 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.3. In via preliminare si rileva l'inutilizzabilità della memoria difensiva tardivamente depositata dal ricorrente.3.1. Nel merito, il ricorso è parzialmente fondato.3.2. In particolare, risulta fondata la doglianza di sproporzione della sanzione irrogata, nella parte in cui si presta ad incidere assai pesantemente sull'attività lavorativa e sulla vita (al di là dell'assistere a competizioni sportive) del ricorrente, vietandogli di intrattenersi nei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni calcistiche alle quali il ricorrente stesso non può accedere. Ed invero, questo Tribunale ha già avuto modo di osservare che la misura interdittiva prevista dall'art. 6, comma 1, della l. n. 401/1989 deve essere sufficientemente dettagliata nella sue previsioni anche nella parte in cui vieta al destinatario di intrattenersi in luoghi potenzialmente interessati dalla presenza di tifosi (v. T.A.R. Toscana, Sez. II, 7 aprile 2010, n. 944; id., 19 maggio 2010, n. 1527). Ciò certamente non può dirsi realizzato nel caso di specie, alla luce dell'estrema genericità e dell'eccessiva latitudine del riferimento, contenuto nel divieto gravato, ai "luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto" di quanti partecipano o assistono alle gare a cui il sig. P. non può accedere: infatti, come detto, si tratta di prescrizione eccessivamente ampia e generica, capace, se intesa alla lettera, di precludere all'interessato la stessa possibilità di uscire di casa per i suoi bisogni elementari di vita e per svolgere la sua attività lavorativa. Invero, qualunque luogo può essere interessato alla sosta, al transito o al trasporto di persone che vanno a partecipare o ad assistere alle competizioni calcistiche interdette al ricorrente, il quale ultimo, perciò, si vedrebbe costretto a valutare, prima di ogni suo spostamento, la possibilità di imbattersi in tali persone: con il corollario, di cui è palese l'assurdità, di essere costretto a girare con sempre in mano il calendario di tutte le competizioni sportive che gli sono interdette, onde evitare possibili infrazioni a questa parte del divieto.3.3. Da quanto detto si desume l'illegittimità, in parte qua, del provvedimento impugnato, il quale, per questa parte, incide pesantemente ed in maniera del tutto sproporzionata sulle libertà personali costituzionalmente garantite, in particolare sulla libertà di circolazione ex art. 16 Cost.: né varrebbe rilevare in contrario l'omessa deduzione, ad opera del ricorrente, della censura di indeterminatezza, per questo aspetto, del provvedimento gravato, come talvolta avvenuto in altre fattispecie analoghe, atteso che l'illegittimità riscontrata rientra, comunque, nel vizio di sproporzione del provvedimento stesso, puntualmente dedotto dal ricorrente. E l'illegittimità è tanto più palese, laddove si consideri che il provvedimento ex art. 6, comma 1, cit., è volto non già ad eliminare una generica pericolosità sociale del soggetto, ma quella specifica che discende dal verificarsi di certe condotte in un ambito specifico e, pertanto, è diretto a contrastare solo tali condotte (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 13 settembre 2010, n. 17403). Donde la riprova della fondatezza della censura: è evidente, infatti, che l'estrema genericità e, comunque, l'eccessiva estensione dei luoghi (diversi dalle vere e proprie sedi di competizioni sportive) ai quali si applica il divieto, rende quest'ultimo una misura sganciata dalla gravità della condotta del ricorrente e sproporzionata rispetto al fine da raggiungere, che è quello di contrastare la pericolosità specifica (come poc'anzi definita), da questi manifestata con la condotta tenuta, e non una sua generica pericolosità sociale. Sotto questo aspetto, insomma, il divieto gravato supera quanto occorre al fine di raggiungere l'obiettivo prestabilito e, pertanto, viola il principio di proporzionalità, inteso nella sua accezione di canone che attiene al bilanciamento quantitativo degli interessi coinvolti e che, dunque, esprime la necessità che la scelta sia concretamente posta in essere dalla P.A. con l'esercizio di una quantità di potere idonea al perseguimento dell'interesse pubblico, con il minor sacrificio per il contrapposto interesse privato, che viene inciso (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 27 gennaio 2011, n. 125).4. Non sono fondate, invece, le ulteriori doglianze contenute nel ricorso, a partire da quella relativa alla pretesa incompetenza territoriale del Questore di Grosseto ad adottare il divieto gravato, dedotta con il primo motivo.4.1. Ed invero, si deve respingere la doglianza di incompetenza territoriale da cui sarebbe affetto il divieto impugnato, giacché competente alla sua adozione sarebbe stato non il Questore di Grosseto, ma quello della Provincia in cui si trova il luogo di residenza dell'interessato (Cosenza). Infatti, non convincono le argomentazioni della giurisprudenza di segno contrario invocata nel ricorso, secondo le quali l'individuazione, quale organo territorialmente competente, del Questore della Provincia di residenza del destinatario si desumerebbe: a) dal fatto che il Questore, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della l. n. 401/1989, può prescrivere in aggiunta all'interessato l'obbligo di comparizione personale davanti all'Autorità di P.S., tenuto conto dell'attività lavorativa dell'invitato, elemento, questo, più agevolmente accertabile dall'Autorità del luogo di residenza; b) dal fatto che l'accertamento della complessiva pericolosità sociale del responsabile di atti di violenza risulterebbe più compiutamente realizzabile da parte dell'Autorità del luogo di residenza; c) dal fatto che, essendo il divieto de quo misura di prevenzione, utile riferimento sarebbe quello alla normativa generale ex l. n. 1423/1956, contenente (art. 4) l'attribuzione della competenza al Questore della Provincia in cui l'interessato ha la dimora.4.2. Alle suesposte argomentazioni può replicarsi, in accordo con altra e più recente giurisprudenza, evidenziando che:- quanto al punto a), si tratta di elemento che attiene, a ben guardare, alle modalità di esecuzione del provvedimento gravato - alle quali certamente sovrintende l'Autorità di P.S. del luogo di residenza dell'interessato - più che al suo contenuto prescrittivo; in ogni caso, si tratta di un elemento che ben può mancare (essendo assente in tutti i casi nei quali il Questore non aggiunga la prescrizione della comparizione personale dinanzi all'Autorità di P.S.), ed al quale, perciò, non sembra attribuibile un peso significativo ai fini dell'individuazione dell'organo competente per territorio all'adozione del provvedimento;- quanto al punto b), si tratta di argomento non condivisibile, poiché, come già visto, ciò che forma oggetto di valutazione da parte dell'Amministrazione, ai fini dell'emissione del cd. D.A.SPO., non è una generica pericolosità sociale del soggetto, ma la sua pericolosità specifica in relazione a certe condotte attinenti ad un ambito specifico. Ciò pare suggerire che la valutazione di detta pericolosità debba essere, invece, compiuta dall'Autorità del luogo dove si è perfezionata la condotta rivelatrice della pericolosità stessa, in quanto in possesso di tutti gli elementi per effettuare in modo esaustivo la predetta valutazione (T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 21 agosto 2006, n. 341): si pensi, per es., all'esigenza, rivelatasi ineludibile nella fattispecie ora in esame, di procedere all'individuazione del responsabile dell'accaduto mediante la visione in loco delle riprese effettuate dalle telecamere di sicurezza dello stadio di Grosseto;- quanto al punto c), si tratta di argomento non decisivo, potendo il rapporto tra la l. n. 401 cit. e la l. n. 1423/1956 essere impostato in termini di specialità e di deroga, anziché in termini di integrazione e di completamento. Inoltre, da un lato la misura di cui all'art. 6, comma 1, della l. n. 401 cit. (cioè il divieto di accesso) è una misura interdittiva atipica, e non una misura di prevenzione (Cass. pen. , SS.UU., 12 novembre 2004, n. 44273). Dall'altro, per quanto qui rileva, il concetto di "dimora" non si identifica con il luogo di residenza o di dimora abituale, dovendosi intendere come il luogo in cui la pericolosità del soggetto si è manifestata ed ha trovato alimento, pur a prescindere dalle risultanze anagrafiche, dalla vita abituale e dallo svolgimento delle normali attività (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 341/2006, cit., con i richiami giurisprudenziali ivi citati).4.3. Ad avviso del Collegio, risulta, a ben guardare, decisivo, ai fini della reiezione della censura di incompetenza territoriale dedotta dal ricorrente, il fatto che la misura ex art. 6 cit. ha indubbiamente natura di provvedimento di urgenza a tutela dell'ordine pubblico (così T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 341/2006, cit.), come dimostra, tra l'altro, la circostanza che esso può essere adottato in base alla mera denuncia del soggetto coinvolto. La giurisprudenza ha, invero, riconosciuto al divieto in parola carattere cautelare ed urgente, non dovendo esso essere preceduto dall'accertamento della responsabilità dell'incolpato, riservato alla sede penale, ma venendo giustificato dal semplice fumus della stessa, sussistente anche per la semplice denuncia di aver partecipato ad episodi di violenza su persone o cose in occasione, o a causa, di manifestazioni sportive (T.A.R. Liguria, Sez. II, 30 aprile 2010, n. 2027). Ciò premesso, è chiaro che l'attribuzione della competenza ad adottare il D.A.SPO. al Questore della Provincia di residenza dell'interessato comporta necessariamente un allungamento dei tempi del procedimento (per la necessità di svolgere, a propria volta, una compiuta istruttoria, o, quantomeno, di farsi trasmettere gli elementi raccolti sul luogo dei fatti), di fatto incompatibile con le suesposte esigenze cautelari e preventive. Donde la preferenza per la tesi che ravvisa, in relazione al cd. D.A.SPO., l'individuazione dell'organo competente alla sua emissione in riferimento al luogo del verificarsi della condotta (Cass. pen. , Sez. I, 22 settembre 2004, n. 38660).5. Va, parimenti, respinta la doglianza di violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990, per avere la P.A. omesso la comunicazione di avvio del procedimento, senza neppure esplicitare le ragioni di urgenza che, ai sensi del comma 1 dell'art. 7 cit., esonerano la P.A. dall'obbligo della comunicazione stessa. Sul punto, si richiama, innanzitutto, l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui, per le particolari esigenze di necessità ed urgenza connaturate con la misura de qua, finalizzata a preservare l'ordine pubblico, in detta ipotesi non sussiste l'obbligo della P.A. di comunicare agli interessati l'avvio del relativo procedimento (cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 341/2006, cit., con i numerosi richiami giurisprudenziali ivi citati). In secondo luogo, a ben guardare il divieto impugnato contiene una sia pur sintetica indicazione delle ragioni di urgenza sottese alla sua adozione, lì dove rammenta l'esigenza di contrastare gli episodi sanzionati "anche in ragione del fatto che in data 21 agosto c.a., dopo la pausa estiva, sono riprese tutte le manifestazioni calcistiche a carattere professionistico": il che soddisfa la clausola di esonero dall'obbligo di comunicazione prevista dal menzionato comma 1 dell'art. 7 della l. n. 241/1990; né in contrario vale la circostanza dell'avvenuta notifica del divieto a campionato (del ...omissis...) già iniziato, la quale, semmai, rafforzava la necessità per la P.A. di provvedere con urgenza, semplificando al massimo il relativo iter procedimentale. Ne discende che il motivo di ricorso in esame (il secondo), per il profilo ora analizzato, è infondato.5.1. Peraltro, anche diversamente opinando, nel caso di specie sarebbe, comunque, applicabile l'art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della l. n. 241/1990, il quale (recependo gli orientamenti emersi nella giurisprudenza: cfr. T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 341/2006, cit.) ha stabilito che il provvedimento non è annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento, se la P.A. dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato. Nel caso di specie, infatti, la Questura di Grosseto, nelle proprie difese, ha dato anzitutto conto dell'urgenza nel vietare al ricorrente l'accesso alle competizioni calcistiche, evidenziando, in particolare, la vicinanza temporale tra la data in cui si è verificato l'episodio (il 10 agosto del 2009) e quella di avvio del campionato per il Cosenza calcio, cioè la squadra di cui il medesimo ricorrente risultava sostenitore (23 agosto 2009); ha, inoltre, evidenziato la gravità dell'episodio (l'accensione dell'artifizio pirotecnico ed il suo lancio in un settore dello stadio occupato da altre persone), senza dimenticare la gravità degli antefatti (cioè l'acquisto dell'artifizio pirotecnico e la sua introduzione all'interno dello stadio). Ha, infine, esaurientemente spiegato il ritardo nella notifica del divieto, che va ascritto alla necessità di procedere all'individuazione del responsabile dei fatti contestati tramite l'esame in loco delle riprese effettuate dalle telecamere di sicurezza dell'impianto sportivo. Donde, anche per tal verso, l'infondatezza della censura.5.2. Ancora, deve essere respinta la doglianza di difetto di motivazione del provvedimento gravato, anch'essa dedotta (come la precedente) con il secondo motivo. Il provvedimento in questione reca, infatti, una puntuale elencazione delle ragioni che hanno portato il Questore ad adottarlo, incentrate sulla gravità del fatto commesso, "desumibile non solo dalla mera analisi del gesto" (il fumogeno è stato acceso all'interno di un contesto di folla, poi lanciato in uno spazio occupato da altre persone), "ma riscontrabile anche dalle conseguenze di carattere giudiziario indicate dalla legge, che prevede, nel caso di specie, finanche l'arresto facoltativo nella flagranza di reato".5.3. Per la medesima ragione, deve ritenersi, altresì, infondata la censura di violazione del principio di gradualità della sanzione, dedotta con il terzo motivo, nella parte in cui è rivolto a contestare non già l'eccessiva latitudine del divieto gravato (su cui cfr. supra, paragg. 3.1-3.3), ma la sua eccessiva durata. Il ricorrente obietta, infatti, sul punto che la P.A. non avrebbe considerato il tipo di condotta posta in essere, le circostanze di tempo e di luogo, il non aver egli provocato incidenti e l'assenza di precedenti a proprio carico. In contrario, tuttavia, il Collegio considera sufficiente il riferimento alla gravità dell'episodio, come sopra illustrata (e soprattutto per la pericolosità del lancio del fumogeno in un settore dello stadio occupato da altre persone). Ciò, tanto più che il potere del Questore ex art. 6, comma 1, cit. si connota per un elevato tasso di discrezionalità, in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, in vista della tutela dell'ordine pubblico anche in via preventiva, in caso di pericolo pur solo potenziale di lesione (T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29 maggio 2008, n. 603): discrezionalità particolarmente evidente soprattutto sotto il (contestato) profilo della durata del divieto, potendo esso spaziare, in base alle previsioni di legge, da un minimo di un anno fino ad un massimo di cinque anni (art. 6, comma 5, della l. n. 401 cit.). Sul punto vanno, perciò, condivise le conclusioni dell'Amministrazione intimata, secondo cui l'irrogazione della misura in una durata intermedia (anni due) risulta, alla luce dei fatti, ragionevolmente proporzionata.5.4. Da ultimo, deve essere respinta la censura di genericità del provvedimento impugnato in ordine all'indicazione delle competizioni sportive alle quali il ricorrente non può accedere, poiché in realtà il decreto specifica che oggetto del divieto di accesso sono i luoghi dove si svolgono competizioni di calcio relative ai campionati nazionali (di) professionisti e dilettanti, ai tornei internazionali (con riferimento esplicito alle Coppe Europee per squadre di club), alle partite delle Nazionali di calcio che verranno disputate sul territorio nazionale. Pertanto, da un lato, il divieto riguarda l'accesso del sig. P. agli impianti sportivi in veste di spettatore e sostenitore delle squadre, ma non si può certo intendere come preclusivo della pratica sportiva in prima persona da parte del medesimo sig. P.. Dall'altro, il divieto, ancorché gravoso - ma sul punto valgono le considerazioni di cui al paragrafo precedente -, è circoscritto alle sole competizioni calcistiche e, quindi, come si premura di precisare la Questura nelle sue difese, non si estende alle manifestazioni aventi ad oggetto discipline sportive di altra natura.6. In definitiva, il ricorso è fondato limitatamente alla parte del provvedimento impugnato relativa al divieto, per il destinatario, di intrattenersi nei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni di calcio, alle quali il destinatario medesimo non può accedere. Per questa parte, dunque, il provvedimento de quo va annullato, tenendolo fermo, invece, nelle parti rimanenti.7. Quanto alle spese, se ne dispone la compensazione, in ragione della soccombenza reciproca delle parti.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei termini specificati in motivazione, annullandolo in parte qua.Compensa le spese.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio del giorno 3 marzo 2011, con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEMaurizio NicolosiL'ESTENSOREPietro De BerardinisIL PRIMO REFERENDARIOIvo CorrealeDepositata in Segreteria il 14 giugno 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)Scommesse: il sistema monopolistico nazionale a confronto con i principi comunitari della concorrenza
N. 462/2011 Reg. Prov. Coll.N. 1516 Reg. Ric.ANNO 2010REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANOIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna (Sezione Prima) ha pronunciato la presenteSENTENZAsul ricorso numero di registro generale 1516 del 2010, proposto da:F. C., rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Aufiero, Giulio Marinelli, con domicilio eletto presso Andrea Aufiero in Bologna, via Santo Stefano N. 25;controMinistero dell'Interno, Questura di Bologna, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Bologna, via Guido Reni 4;per l'annullamentodel decreto Cat. 11.E - Div. P.A.S. 2010 emesso dal Questore di Bologna il 30 agosto 2010 e notificato al ricorrente il 1 ottobre 2010, di rigetto dell'istanza di rilascio della licenza per l'attività di scommesse art. 88 del T.U.L.P.S.Visti il ricorso e i relativi allegati;Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Bologna;Viste le memorie difensive;Visti tutti gli atti della causa;Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2011 il dott. Ugo Di Benedetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.FATTO E DIRITTO1.Il ricorrente è titolare di un'impresa individuale che gestisce un centro di trasmissione dati nella sede operativa situata a Bologna, via Nani n. 5. In particolare tale impresa si propone come intermediario nella raccolta e nella trasmissione di scommesse per conto della società G. con sede a Innsbruck, Austria.L'attività di intermediazione è priva di autonomia e rischio economico in relazione al contenuto delle scommesse, e viene esercitata mediante trasmissione via Internet delle proposte negoziali di giocate relative a eventi sportivi. L'accettazione e la gestione delle singole puntate spetta esclusivamente a G..La società G. ha ottenuto dal Governo del Tirolo l'autorizzazione a svolgere le attività di bookmaker e totalizzatore nella sede di Innsbruck. L'autorizzazione è stata rinnovata con provvedimento del 25/8/2010, prodotto in giudizio, che dà atto dell'affidabilità e della solvibilità richieste dalla legge del Titolo del 20 marzo 2002 (Tiroler Buchmacher- und Totalisateurgesetz, LGBl. Nr. 58/2002).In data 3/7/2010 il ricorrente non intendendo sottrarsi al controllo delle forze di Pubblica Sicurezza ha chiesto alla Questura di Bologna il rilascio della licenza di pubblica sicurezza di cui all'art. 88 del RD 18 giugno 1931 n. 773 (TULPS). Tale richiesta era riferita espressamente all'attività di intermediazione svolta per conto di G..2.La risposta della Questura è stata però negativa.L'unica ragione di diniego è la seguente "la licenza per l'esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri od Enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione od autorizzazione" e che il richiedente "non risulta in possesso di alcun nulla osta da parte dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, né risulta essere soggetto incaricato da un dal concessionario o dal titolare di autorizzazione da parte di Ministeri od Enti".Contro il provvedimento della Questura il ricorrente ha presentato impugnazione deducendone l'illegittimità.Le censure sono così sintetizzabili: violazione dei principi comunitari in materia di diritto delle imprese come interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; violazione del principio di mutuo riconoscimento intracomunitario; travisamento dell'attività del ricorrente.L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.L'istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 54/2011 e a causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza.3. Va preliminarmente osservato che l'oggetto del presente giudizio non consiste nello stabilire se un soggetto residente in Italia (quale è l'odierno ricorrente) possa decidere di intraprendere un'attività di intermediazione nel settore delle scommesse (per conto di un allibratore straniero regolarmente abilitato nel suo Paese), senza preoccuparsi di ottenere l'autorizzazione di pubblica sicurezza prevista dal citato art. 88 T.U.L.P.S.Non vi è dubbio infatti, che l'autorizzazione di P.S. di cui all'articolo 88 del T.U.L.P.S. è necessaria.Il thema decidendum consiste, invece, nello stabilire se ad un soggetto residente in Italia (quale è l'odierno appellato) detta autorizzazione possa essere negata sol perché "non risulta in possesso di alcun nulla osta da parte dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato" qualora intenda gestire un centro di trasmissione dati proponendosi come intermediario nella raccolta e nella trasmissione di scommesse per conto di una società situata in altro stato appartenente alla Unione Europea, nella fattispecie in Austria, regolarmente autorizzata a svolgere le attività di bookmaker e totalizzatore nella sede di Innsbruck.4. Ciò premesso il ricorso è fondato.La giurisprudenza in passato aveva avuto modo di pronunciarsi concludendo nel senso della legittimità dell'ordine del Questore (sez. IV, n. 4905/2002; Sez. VI, n. 5898/2005) sulla base del previgente quadro normativo costituito, in passato, dalla sola legislazione italiana.Infatti il settore delle scommesse è, nel nostro ordinamento, oggetto di una complessa disciplina che trovava il suo fondamento in molteplici elementi di rilevanza pubblicistica, che vanno dalla tutela degli interessi finanziari dello Stato alle esigenze di ordine pubblico (cfr. Cass. pen. sez. III, 28 marzo 2007, n. 16928).La disciplina amministrativa prevedeva che le attività di raccolta e di gestione delle scommesse fosse esercitabile solo da soggetti che avessero ottenuto al termine di una pubblica gara una delle concessioni, di cui lo Stato aveva fissato il numero complessivo. I medesimi soggetti avrebbero dovuto ottenere anche una autorizzazione di polizia disciplinata dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.).Assumeva un particolare rilievo la circostanza che al sistema di concessione faceva seguito un diverso sistema di autorizzazione, disciplinato dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.), ed in particolare dall'art. 88, come modificato dalla L. 22 dicembre 2000, n. 388, art. 37, comma 4. Tale disposizione prevedeva che: "La licenza per l'esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione".Il regime autorizzatorio trova, poi, nell'art. 11 del medesimo decreto, quest'ultima disposizione ancora vigente, una disciplina generale circa i requisiti soggettivi delle persone richiedenti, così che le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato una condanna per delitto non colposo con pena superiore a tre anni di privazione della libertà personale (e non aveva ottenuto riabilitazione); a chi è stato sottoposto a misura di prevenzione personale, o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; a chi ha riportato condanna per alcuni reati, specificamente indicati, tra cui reati contro la moralità pubblica e il buon costume o violazioni della normativa relativa, appunto, ai giochi d'azzardo.Come emergeva dal testo del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 88, citato, l'autorizzazione di polizia o la licenza per l'esercizio delle scommesse poteva essere concessa solo ai soggetti che avessero ottenuto le previste concessioni, con la conseguenza che il mancato ottenimento della concessione inibiva l'ottenimento della autorizzazione di polizia (anche se, come si è anticipato, l'autorizzazione di polizia è finalizzata ad accertare la sussistenza di altri requisiti di affidabilità soggettiva rilevanti ai fini della tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico).5. Il quadro normativo è completamente mutato alla luce della disciplina comunitaria ed in particolare delle sentenze della CEE che, come è noto, hanno efficacia vincolante erga omnes in tutti gli Stati membri.Quali parametri per la valutazione delle norme nazionali e della legittimità del provvedimento impugnato devono essere utilizzati i principi dei Trattati europei nell'interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza comunitaria. Sono prese in considerazione, in particolare, le seguenti pronunce: Corte di Giustizia Grande Sezione 6 marzo 2007 C-338/04 (sentenza Placanica), Corte di Giustizia Grande Sezione 8 settembre 2009 C-42/07 (sentenza Liga Portuguesa), Corte di Giustizia Sez. II 3 giugno 2010 C-203/08 (sentenza Sporting Exchange), Corte di Giustizia Sez. II 3 giugno 2010 C-258/08 (sentenza Ladbrokes), Corte di Giustizia Grande Sezione 8 settembre 2010 C-316/07 (sentenza Stoo).6. Nel merito va osservato che l'intermediazione nell'esercizio delle scommesse, compresa la gestione di un centro di trasmissione dati (v. sentenza Placanica punti 23-24), appartiene al campo di applicazione dei principi del diritto comunitario. Precisamente si tratta di attività tutelate dall'art. 49 CE [art. 56 FUE] in quanto prestazioni di servizi e dall'art. 43 CE [art. 49 FUE] sotto il profilo della libertà di stabilimento. La nozione di stabilimento è assunta in senso ampio, ovvero come riferita a qualsiasi forma di presenza stabile in un altro Stato dell'Unione, non necessariamente tramite succursale ma anche sulla base di rapporti commerciali con un soggetto indipendente ivi insediato (v. sentenza Stoo punti 56-60).7. Per quanto riguarda le valutazioni sul fatto rimesse ai giudici nazionali (v. sentenza Stoo punto 64) non sembra che nel caso in esame vi siano elementi particolari che consentano di escludere la rilevanza comunitaria della fattispecie. L'attività della società del ricorrente rientra, infatti, agevolmente nello schema transfrontaliero di raccolta e registrazione delle intenzioni degli scommettitori residenti in Italia con successiva trasmissione a un'impresa avente sede in un altro Stato e da quest'ultimo autorizzata all'esercizio delle scommesse.La previsione di un monopolio pubblico a livello nazionale sull'esercizio delle scommesse, anche nella versione italiana basata su un sistema limitato di concessioni/autorizzazioni integrato da una licenza di pubblica sicurezza e rafforzato da sanzioni penali per i soggetti non titolati, comporta restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (v. sentenza Placanica punto 42; sentenza Stoo punto 68).Il monopolio statale sulle scommesse può tuttavia risultare compatibile con i principi del diritto comunitario quando sia fondato su motivi imperativi di interesse generale (v. sentenza Placanica punto 46; sentenza Liga Portuguesa punto 56; sentenza Ladbrokes punto 18, sentenza Sporting Exchange punto 25, sentenza Stoo punto 69). I suddetti motivi possono variare da Stato a Stato, in conseguenza delle diverse priorità di carattere etico e di protezione sociale, ma sono comunque subordinati ai canoni di proporzionalità e non discriminazione.8. Al fine di stabilire la compatibilità delle norme nazionali con il diritto comunitario vengono in rilievo due obiettivi di pubblico interesse: la limitazione delle occasioni di gioco e la lotta alla criminalità (v. sentenza Placanica punto 52).8.1. L'obiettivo della limitazione delle occasioni di gioco è utile quale esimente comunitaria solo se è perseguito in modo coerente e sistematico. Nel caso dell'ordinamento italiano questa condizione però non si realizza, in quanto il legislatore italiano ha in realtà adottato da tempo una politica edivsiva nel settore dei giochi d'azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali (v. sentenza Placanica punto 54). Questa situazione è evidente anche dal semplice riepilogo delle principali forme di gioco previste dalla normativa nazionale con i rispettivi anni di attivazione: lotto (1863), lotterie nazionali (1932), scommesse ippiche (1942), totocalcio (1946), totip (1948), tris (1958), totogol (1994), lotterie istantanee gratta e vinci (1994), superenalotto (1997), scommesse sportive (1998), bingo (2000), big match (2004), newslot - apparecchi e videoterminali di gioco (2004), big race (2005), win for life (2009). Non si può quindi sostenere che siano perseguite effettivamente la prevenzione dell'incitamento al gioco e la lotta alla dipendenza dallo stesso (v. sentenza Stoo punto 99). Non cambia la situazione il fatto che i proventi del gioco siano destinati al finanziamento di attività senza fini di lucro o di interesse generale, in quanto i vantaggi per l'erario non costituiscono di per sé una causa che legittimi da sola l'introduzione di restrizioni alla libera prestazione dei servizi (v. sentenza Ladbrokes punto 28; sentenza Stoo punto 104).8.2. Maggiore peso ha invece nella normativa italiana la lotta alla criminalità che gestisce il gioco clandestino (v. sentenza Placanica punto 56, dove si evidenzia che secondo un'indagine conoscitiva del Governo italiano circa la metà del fatturato totale del settore dei giochi d'azzardo in Italia deriverebbe da attività illegali). Spetta peraltro ai giudici nazionali la valutazione circa l'idoneità dei limiti introdotti dalle norme interne a prevenire l'esercizio delle scommesse per fini criminali o fraudolenti (v. sentenza Placanica punto 58).Sotto questo profilo è necessario distinguere tra concessione/autorizzazione all'esercizio delle scommesse e licenza di pubblica sicurezza. I controlli collegati al rilascio della suddetta licenza contribuiscono precisamente a evitare che l'esercizio delle scommesse finisca nelle mani di soggetti implicati in attività criminali o fraudolente (v. sentenza Placanica punto 65). Di conseguenza si può ritenere che l'ordinamento italiano incorra in contraddizione e violi l'art. 49 CE [art. 56 FUE] sulla libera prestazione dei servizi quando nega ai soggetti che svolgono attività di intermediazione la possibilità di ottenere la licenza di pubblica sicurezza. In questo modo, infatti, lo Stato non si preoccupa di impedire l'esercizio delle scommesse da parte di soggetti implicati in attività criminali o fraudolente ma trasforma in reato l'attività svolta senza la licenza, così evidenziando che lo scopo perseguito è in primo luogo la tutela del monopolio pubblico.È vero che la licenza di pubblica sicurezza esaurisce solo una parte dei controlli necessari, in quanto presuppone una concessione/autorizzazione all'esercizio delle scommesse, ma questo secondo titolo esiste in capo al soggetto estero che cura l'accettazione e la gestione delle singole puntate. Il carattere territoriale del titolo non impedisce allo stesso di avere rilievo in tutto il territorio dell'Unione. Come evidenziato nelle conclusioni presentate il 16 maggio 2006 dall'avvocato generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Placanica, lo Stato che ignori gli esami effettuati e le garanzie prestate in altri paesi membri viola l'obbligo posto dall'art. 10 par. 2 CE [art. 4 par. 3 UE] di astenersi da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione (v. conclusioni Placanica par. 128). Pur in mancanza di una specifica normativa di armonizzazione europea nel settore delle scommesse, il mutuo riconoscimento delle concessioni/autorizzazioni è in definitiva un corollario del principio di leale cooperazione che deve guidare le relazioni intracomunitarie.9. Le eccezioni al mutuo riconoscimento sono ammissibili solo in casi particolarissimi. Nel settore delle scommesse si è ritenuto che una di tali eccezioni intervenga nel caso di soggetti che operano in un altro Stato membro esclusivamente attraverso Internet, senza un intermediario, in quanto l'assenza di un contatto diretto tra il consumatore e l'operatore potrebbe incrementare significativamente il rischio di frodi (v. sentenza Liga Portuguesa punto 70; sentenza Sporting Exchange punto 34; sentenza Ladbrokes punto 55). Prendendo atto di questo orientamento occorre comunque sottolineare che anche all'operatore straniero presente solo via Internet va riconosciuta la facoltà di provare la propria affidabilità secondo gli standard dei paesi in cui opera. Ma ancora prima si deve evidenziare che nel presente ricorso il rischio di frodi è limitato proprio per il fatto che l'operatore straniero si appoggia a un intermediario italiano disposto a sottoporsi ai controlli per il rilascio della licenza di pubblica sicurezza.10. Dunque il rilascio di tale licenza diventa il punto di equilibrio tra le legittime esigenze di protezione dei consumatori e il principio di leale cooperazione intracomunitaria. Questo rende evidente l'irragionevolezza della normativa nazionale, che impone una misura sproporzionata (il diniego di licenza all'intermediario italiano e la conseguente inibizione dello stabilimento per l'operatore estero) quando potrebbe raggiungere l'obiettivo desiderato (protezione degli scommettitori) esattamente con la soluzione opposta, meno impattante sulle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, ossia rilasciando la licenza ed esercitando in tale sede tutti i controlli ritenuti opportuni.11. Un'altra eccezione al mutuo riconoscimento è stata individuata nella facoltà di subordinare il diritto di stabilimento al rilascio di una concessione/autorizzazione nello Stato in cui il gestore straniero intende operare (v. sentenza Stoo punto 116). Questo profilo incrocia il problema del numero chiuso dei titoli nell'ordinamento italiano. In altri termini è necessario stabilire se sia legittimo in base ai parametri comunitari mantenere un sistema a numero chiuso purché venga assegnata tramite procedure aperte una quantità adeguata di nuove concessioni/autorizzazioni e sia previsto che alle gare possono partecipare anche operatori aventi sede in altri Stati dell'Unione. Questa opzione interpretativa (che prende avvio dalle considerazioni del punto 63 della sentenza Placanica) è stata fatta propria dall'art. 38 del DL 4 luglio 2006 n. 223, il quale ha tra l'altro previsto lo svolgimento di numerose gare per l'assegnazione di punti di vendita per la commercializzazione di prodotti di gioco pubblici (gare aperte agli operatori di altri Stati membri qualora in possesso dei requisiti di affidabilità previsti dalla normativa italiana).Tuttavia anche detta normativa è in contrasto con la giurisprudenza comunitaria sopravvenuta. Precisamente si osserva che la giurisprudenza comunitaria attribuisce agli Stati la possibilità di scegliere tra il monopolio pubblico sulle scommesse e un regime di concorrenza tra gli operatori presenti sul mercato (sia pure entro un quadro di autorizzazioni, controlli e sanzioni). Tuttavia il riconoscimento di questa discrezionalità è sempre accompagnato dall'avvertenza che la scelta non deve essere sproporzionata rispetto allo scopo perseguito. Lo scopo adeguato secondo il diritto comunitario è la tutela del consumatore, non l'incremento delle entrate fiscali. Dunque può essere considerata legittima la concessione di diritti esclusivi a un organismo pubblico o privato sulle cui attività lo Stato sia in grado di esercitare un controllo tale da consentirgli di padroneggiare i rischi connessi al gioco d'azzardo, nonché di perseguire la prevenzione dell'incitamento a spese eccessive e la lotta alla dipendenza dal gioco, più efficacemente di quanto avverrebbe in presenza di un regime a carattere non esclusivo (v. sentenza Stoo punto 81).Se però lo Stato non persegue effettivamente la prevenzione dell'incitamento a spese eccessive e la lotta alla dipendenza dal gioco, e per contro esistono strumenti, quali il rilascio all'intermediario della licenza di pubblica sicurezza, che consentono di limitare efficacemente le interferenze della criminalità e di garantire allo stesso tempo i consumatori, non vi sono ragioni per cui la libertà di prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento non possano esplicarsi nel loro ambito naturale, che è la concorrenza nel mercato. Parimenti non vi sono ragioni per limitare il mutuo riconoscimento delle verifiche effettuate dagli altri Stati dell'Unione. Sotto questi profili le norme italiane non risultano compatibili con i principi del diritto comunitario.12. Al giudizio di non compatibilità delle norme interne consegue l'obbligo di disapplicazione (v. sentenza Placanica punto 36).13. Ebbene, nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha respinto l'istanza di autorizzazione di P.S. di cui all'articolo 88 del T.U.L.P.S. non per motivi di ordine pubblico, ma per il fatto che la raccolta diretta delle scommesse è consentita esclusivamente ai soggetti concessionari o autorizzati dall'amministrazione.Esso, pertanto, risulta illegittimo perché in contrasto con i principi comunitari sopra richiamati.14. In conclusione il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento degli atti impugnati.15. La complessità di alcune questioni interpretative consente l'integrale compensazione delle spese tra le parti.P. Q. M.Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Emilia Romagna (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla il provvedimento in epigrafe indicato.Spese compensate.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:IL PRESIDENTEGiuseppe CalvoL'ESTENSOREUgo Di BenedettoIL CONSIGLIEREGrazia BriniDepositata in Segreteria il 17 maggio 2011(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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