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    Esercizio dell'attività commerciale nei mercati rionali

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    N. 1751/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 1858 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 1858 del 2010, proposto da:
    V. T., rappresentato e difeso dall'avv. Tobia Renato Binetti, con domicilio eletto presso Tobia Renato Binetti in Bari, via Amendola, 172/C;
    contro
    Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Rossana Lanza e Rosaria Basile, con domicilio eletto presso Rossana Lanza in Bari, via P. Amedeo, 26;
    per l'annullamento
    della Determina Dirigenziale della Città di Bari Ripartizione Sviluppo Economico Settore Commercio - Ufficio Aree Pubbliche n. 2010/263/00228 del 14.09.2010, comunicata con nota prot. n. 221204 del 22.9.2010, pervenuta a mezzo di raccomandata A/R in data 27.9.2010, con la quale si revoca l'Autorizzazione Amministrativa n. 5359 del 12.1.2009 e si rilascia una nuova A.A. sostitutiva della precedente (n. 7901 del 16.9.2010);
    di ogni atto al predetto comunque presupposto e connesso, ancorchè non conosciuto;
    nonché per l'accertamento
    del diritto al risarcimento del danno ingiusto ex art. 2043 c.c. causato dall'adozione dell'atto gravato con conseguente condanna del Comune di Bari al detto ristoro da quantificarsi ex art. 1226 c.c. e/o comunque per il riconoscimento dell'indennizzo ex art. 21 quinquies comma 2 l. n. 241/90 anch'esso da quantificarsi in via equitativa;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2011 il dott. Antonio Pasca e uditi per le parti i difensori avv.ti V.zo Floro e R. Lanza;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    Con il ricorso in esame il ricorrente - iscritto al Registro Esercenti il Commercio presso la C.C.I.A.A. di Bari per la vendita al minuto di prodotti alimentari - impugna il provvedimento di cui in epigrafe e ne chiede l'annullamento, in una con la condanna dell'Amministrazione intimata al risarcimento del danno.
    Con istanza del 19.12.06, il ricorrente ha chiesto al Comune di Bari il rilascio di autorizzazione per la vendita al dettaglio di frutta secca, olive, prodotti conservati, prodotti del suolo, bevande e taralli presso il mercato giornaliero coperto sito in via ...omissis....
    La Ripartizione Sviluppo Economico-Settore Commercio del Comune di Bari, dopo aver comunicato con nota prot. n. 67403 Cat VIII/CL 5 del 7.3.2008 l'accoglimento della predetta istanza - limitando le tipologie merceologiche alla sola vendita di frutta secca, olive, prodotti conservati, bevande e taralli, con esclusione quindi della vendita di prodotti del suolo - ha assegnato un box all'interno dell'area mercatale con canone mensile di euro 200,00 oltre iva.
    La consegna al ricorrente del box contrassegnato con il n. 2 è avvenuta in data 4.5.2008.
    In seguito il Comune di Bari ha comunicato (in data 12.1.09) il rilascio da parte della Ripartizione Sviluppo Economico dell'Autorizzazione Tipo A (su posteggio) n. 5359 per l'esercizio dell'attività di commercio su area pubblica, settore merceologico "Alimentare subordinato al nulla osta igienico sanitario", categoria "prodotti alimentari in genere" e, in data 19.5.2009, cui ha fatto seguito la Determinazione Dirigenziale n. 2009/263/00082 del 24.3.2009, recante la definitiva assegnazione e concessione in uso decennale del box n. 2 per la tipologia merceologica "Alimentari".
    Con nota prot. n. 154435 del 15.6.2009, la Ripartizione Sviluppo Economico, informata del fatto che il ricorrente esercita altresì la vendita di frutta fresca e di altri prodotti di natura differente rispetto a quelli per cui era stato autorizzato, ha ricordato la limitazione prevista dalla nota prot. n. 67403 Cat VIII/CL 5 del 7.3.2008 consistente nell'attività di vendita alla sola frutta secca, precisando che trattasi di categoria merceologica per la quale era stata disposta l'assegnazione "al fine di diversificare le attività commerciali" ed "evitare contrasti di ogni genere all'interno della struttura".
    Con la medesima nota l'Amministrazione ha invitato il ricorrente a consegnare la propria autorizzazione "per la relativa rettifica ".
    Il Comune di Bari, dopo aver respinto le osservazioni del ricorrente, con nota prot. n. 269426 del 3.11.09 ha confermato quanto in precedenza esposto, invitando nuovamente il ricorrente al deposito della licenza n. 5359 del 12.1.09 per consentire la variazione delle categorie merceologiche ivi riportate.
    Con nota del 27.9.2010 l'Amministrazione resistente, dopo aver comunicato l'avvio del procedimento di revoca, ha notificato la determinazione di revoca dell'Autorizzazione Amministrativa n. 5359 del 12.1.2009 per vendita di prodotti non autorizzati giusta nota prot. n. 91909 del 13.4.2010 e il rilascio di nuova autorizzazione, sostitutiva della precedente, finalizzata alla vendita di frutta secca, olive, prodotti conservati, bevande e taralli con esclusione, dunque, dei "prodotti del suolo".
    Il ricorrente deduce i seguenti motivi di censura:
    1) violazione di legge: errata interpretazione ed applicazione degli art. 2, 5, 28 della L. n. 114/98 nonché degli artt. 1, 4, 5, 6 della L.R. n. 18/2001, nonché dei principi di libertà di iniziativa economica, tutela della concorrenza e del mercato; eccesso di potere per insufficiente ed errata istruttoria, contraddittorietà, difetto di motivazione, violazione dei principi in tema di autotutela, del procedimento tipico, ingiustizia manifesta;
    2) violazione di legge: errata interpretazione ed applicazione dell'art. 29 della L. n. 114/98 nonché dell'art. 9 della L.R. n. 18/2001, nonché dell'art. 21 quinques della in. 241/90. Eccesso di potere per insufficiente ed errata istruttoria, mancata ponderazione dell'interesse pubblico in rapporto a quello del privato, contraddittorietà, difetto di motivazione, violazione del procedimento tipico, ingiustizia manifesta.
    Si è costituito in giudizio il Comune di Bari, contestando le avverse deduzioni e chiedendo la reiezione del ricorso.
    Con ordinanza di questo Tribunale n. 48/11 è stata accolta l'istanza cautelare proposta dal ricorrente.
    All'udienza del 12 ottobre 2011 il ricorso è stato introitato per la decisione.
    DIRITTO
    Rileva il Collegio che il ricorso in esame è infondato.
    Deve anzitutto evidenziarsi che il ricorso proposto e le censure dedotte muovono da errori presupposti in diritto.
    Ed invero l'intervenuta liberalizzazione dell'esercizio dell'attività commerciale e la bipartizione semplificata dei nuovi settori merceologici in "alimentari" e "non alimentari" ad opera del D.Lgs. 31/03/98 n.114 (Decreto Bersani) ispirate all'esigenza di liberalizzazione di mercato e al principio di libera concorrenza, costituiscono circostanze che, pur definendo ed ampliando l'ambito ed i contenuti dell'esercizio dell'attività commerciale in se considerata, nulla hanno a che vedere con l'esercizio dell'attività di vendita e con l'assegnazione di un posto nell'area mercatale di quartiere, soggetta a speciale normativa.
    La speciale normativa non attiene all'esercizio dell'attività commerciale in se considerata, bensì all'assegnazione del posto all'interno del mercato rionale ed alla specifica destinazione della connessa attività di vendita.
    Di conseguenza, se il ricorrente - in virtù della licenza posseduta e dopo l'avvento delle nuove disposizioni di cui al Decreto Bersani - non incontra limitazione alcuna nell'ambito del settore merceologico " alimentare" (in esplicazione dei principi di libera concorrenza e di iniziativa economica), viceversa non può pretendere di condizionare l'assetto organizzativo e la pianificazione commerciale ove intenda esercitare la sua attività all'interno di mercato rionale.
    Le specifiche problematiche e le esigenze connesse all'assetto commerciale del mercato rionale, giustificano infatti, ampliamente, la limitazione e la selezione delle specifiche attività di vendita al fine di assicurare un corretto andamento dell'attività e di favorire adeguato assortimento di prodotti nell'interesse anche dei consumatori.
    L'art. 28 comma del D.Lgs n. 114/99 prevede: "Il Comune sulla base delle disposizioni emanate dalla regione stabilisce l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività, nonché le modalità di assegnazione dei posteggi, la loro superficie ed i criteri di assegnazione delle aree riservate agli agricoltori che esercitano la vendita dei loro prodotti. Al fine di garantire il miglior servizio da rendere ai consumatori i comuni possono determinare le tipologie merceologiche dei posteggi nei mercati e nelle fiere".
    La legge regionale 24/07/2001 n. 18, in attuazione della normativa nazionale, prevede a sua volta espressamente che il Comune possa differenziare sul piano merceologico l'assegnazione dei posti nell'ambito dei mercati, anche secondo criteri di esclusiva vendita di determinati prodotti e limitazioni, indipendentemente dal contenuto dell'autorizzazione commerciale in se considerata (art. 3.2, art. 6 comma 5).
    Proprio sulla base di tale quadro normativo, il Comune di Bari ha adottato la delibera GM 17/01/2002 n. 24, in cui si prevede che l'assegnazione del posteggio nei mercati giornalieri coperti sia subordinato alla condizione che "non ve ne siano altre analoghe per la tipologia merceologica richiesta".
    Da quanto sopra, si evince anzitutto l'inammissibilità del ricorso sotto duplice profilo, atteso che - da un lato - non risulta neanche impugnata la presupposta delibera GM Comune di Bari n. 24 del 17/01/2002, mentre - dall'altro - il ricorso introduttivo non risulta notificato al alcun controinteressato.
    La manifesta infondatezza del ricorso nel merito consente tuttavia financo di prescindere dalla valutazione dei suindicati profili di inammissibilità.
    Appare del resto evidente la ratio legis che è quella di assicurare adeguato assortimento di prodotti, diversificando le attività commerciali e considerate le ridotte dimensioni del mercato coperto rionale.
    Il ricorso va dunque respinto sia con riferimento all'azione impugnatoria, sia con riferimento alla connessa domanda risarcitoria, per la quale difettano tutti i presupposti.
    In tale senso deve dunque provvedersi.
    Le spese di giudizio, che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, per spese diritti e onorari, seguono la soccombenza e vanno dunque posti a carico del ricorrente.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Condanna il ricorrente al rimborso - in favore del Comune di Bari - delle spese di giudizio, che si liquidano in euro 2.500,00 per spese, diritti e onorari.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Sabato Guadagno
    L'ESTENSORE
    Antonio Pasca
    IL REFERENDARIO
    Giacinta Serlenga
     
    Depositata in Segreteria il 18 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Provvedimenti del Questore: illegittimi se sproporzionati!

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    N. 2735/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 3037 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    ex art. 60 cod. proc. amm.;
    sul ricorso numero di registro generale 3037 del 2011, proposto dalla S. S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Pietro Paterniti La Via, Carla Caputo e Luca Menichino, con domicilio eletto presso Pietro Paterniti La Via in Catania, viale XX Settembre, n. 19;
    contro
    Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, n. 149;
    per l'annullamento
    e con richiesta di decreto presidenziale inaudita altera parte,
    del decreto del Questore della provincia di Ragusa assunto in data 1 ottobre 2011 e notificato in data 19 ottobre 2011;
    per quanto occorrer possa, del verbale di accertamento di illecito amministrativo n 7/201 notificato in data 1 aprile 2011 della Questura di Ragusa - divisione polizia amministrativa e sociale dell'immigrazione;
    di ogni atto e/o comportamento preordinato consequenziale e comunque connesso;
    del silenzio- rifiuto formatosi a seguito dell'istanza di autorizzazione alla nomina di altro rappresentante presso il punto vendita "...omissis..." presso il Centro Commerciale "...omissis...", depositata presso la Questura di Ragusa il 13/07/2011;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2011 il dott. Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
    Ritiene il Collegio che il ricorso è fondato.
    1. L'impugnato decreto del Questore di Ragusa ha disposto la sospensione per venti giorni della licenza di P.S. per il commercio al minuto di oggetti preziosi a carico del suo titolare M. M., in conseguenza del verbale di illecito amministrativo, redatto 31/03/2001, ai sensi degli artt. 8 e 17bis, 2^ comma del T.U.L.P.S., in quanto si è accertato che il 14/03/2011 il medesimo si è fatto rappresentare " da una persona non autorizzata nella suindicata licenza di P.S. ".
    2.1. Col primo motivo di censura si deduce violazione e falsa applicazione delle predette disposizioni di legge, nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto, contraddittorietà e difetto di motivazione, sulla base di argomentazioni che appaiono condivisibili.
    2.2. l'art.8 del citato T.U. prevede che "Le autorizzazioni di polizia sono personali: non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge.
    Nei casi in cui è consentita la rappresentanza nell'esercizio di una autorizzazione di polizia, il rappresentante deve possedere i requisiti necessari per conseguire l'autorizzazione e ottenere la approvazione dell'autorità di pubblica sicurezza che ha conceduta l'autorizzazione. "
    L'art. 17-ter., a sua volta stabilisce, per quanto qui rileva, al comma 3. "Entro cinque giorni dalla ricezione della comunicazione del pubblico ufficiale, l'autorità di cui al comma 1 ordina, con provvedimento motivato, la cessazione dell'attività condotta con difetto di autorizzazione ovvero, in caso di violazione delle prescrizioni, la sospensione dell'attività autorizzata per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni violate e comunque per un periodo non superiore a tre mesi. Fermo restando quanto previsto al comma 4 e salvo che la violazione riguardi prescrizioni a tutela della pubblica incolumità o dell'igiene, l'ordine di sospensione è disposto trascorsi trenta giorni dalla data di violazione. Non si dà comunque luogo all'esecuzione dell'ordine di sospensione qualora l'interessato dimostri di aver sanato le violazioni ovvero di aver avviato le relative procedure amministrative ".
    E, con riferimento a quest'ultima disposizione, si deduce in ricorso che l'interessato non solo ha provveduto al sollecito pagamento della sanzione pecuniaria di euro 1.032,9,contestualmente inflitta, ma già nel mese di ottobre 2010 aveva chiesto alla Questura di Ragusa l'autorizzazione per altro rappresentante, in aggiunta a quelli (due) già presenti, " evidenziando le insuperabili difficoltà di gestire un sistema di turnazione che garantisse la presenza costante di almeno un rappresentante autorizzato, in ragione della copertura oraria molto estesa nel centro commerciale "...omissis...", dove i negozi sono aperti sette giorni la settimana dalle ore 9 alle ore 21 " (pagg.10-11 ric.).
    La richiesta veniva respinta.
    Successivamente, nell'arco di tempo intercorrente tra l'elevazione del verbale di illecito amministrativo, avvenuta 31/03/2011 e l'adozione del provvedimento di sospensione della licenza, adottato il 1^ ottobre 2011, il rappresentante legale della società ricorrente, Sig. M. M., rinnovava l'istanza predetta il 13/07/2011.
    Tanto basta, ad avviso del Collegio, per ritenere applicabile la surriportata disposizione del T.U.L.P.S. (" Non si dà comunque luogo all'esecuzione dell'ordine di sospensione qualora l'interessato dimostri di aver sanato le violazioni ovvero di aver avviato le relative procedure amministrative ") per essersi il ricorrente attivato in tal senso.
    2.3. Fondato si rivela anche il terzo motivo con il quale l'interessato ha dedotto la violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa ed il difetto di motivazione, giacché il provvedimento sospensivo adottato sembra, in effetti, non proporzionato all'illecito amministrativo accertato, tenuto conto del rilevante pregiudizio economico (e morale) causato dalla chiusura dell'esercizio commerciale per venti giorni e che non risultava reitera dell'illecito.
    In proposito la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare come il principio di proporzionalità abbia oggi pieno ingresso nel nostro ordinamento non solo in quanto parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, ma anche perché da sempre ricavabile dal dettato della nostra Costituzione e, in particolare, nel quadro del principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 gennaio 2007, n. 160; Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 aprile 2006, n. 2087; T.A.R. Lombardia - Brescia, 19 dicembre 2005, n. 1356; Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 giugno 2002, n. 3476; idem, Sez. V, 30 aprile 2002, n. 2294).
    L'applicabilità di tale principio, come precisato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia impone, invero, un'indagine c.d. "trifasica", che dopo l'accertamento della necessità della misura, nonché della sua idoneità allo scopo da raggiungere conduca all'individuazione della misura strettamente proporzionata con il fine da raggiungere; in applicazione di tale principio l'opzione preferita nell'arco delle possibili scelte da parte della procedente Autorità deve inderogabilmente coincidere con "la misura più mite", sicché lo strumento in concreto prescelto non superi la soglia di quanto appaia necessario per il soddisfacimento dell'interesse pubblico perseguito (cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione, 6 dicembre 2005, nei procedimenti riuniti C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA ed altri e sentenze 14 dicembre 2004, causa C-434/02, Arnold André GmbH & Co, punto 45; 14 dicembre 2004 causa C-210/03, Swedish Match, punto 47).
    2.4. Il ricorso è pertanto fondato e, assorbito quant'altro, va accolto, col conseguente annullamento del provvedimento impugnato; il che esime, a prescindere da ogni delibazione sul rito, dalla pronuncia sul silenzio-rifiuto in quanto solo subordinatamente impugnato.
    3. Si ravvisano nondimeno valide ragioni per compensare tra le parti le spese del giudizio.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato.
    Compensa le spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE-ESTENSORE
    Cosimo Di Paola
    IL CONSIGLIERE
    Francesco Brugaletta
    IL CONSIGLIERE
    Rosalia Messina
     
    Depositata in Segreteria il 21 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Impianti pubblicitari sul raccordo autostradale

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    N. 1725/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 941 Reg. Ric.
    ANNO 2008
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 941 del 2008, proposto da:
    A. Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio Massimo Ventura, Gabriele Dalla Santa e Elena Dalla Santa, con domicilio eletto presso lo studio di questi ultimi in Venezia, San Marco, 4909;
    contro
    SU. Spa e A. Spa, rappresentate e difese dagli avv.ti Gaetano Crisafi e Andrea Mel, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Venezia, San Marco, 4600;
    per l'annullamento
    della nota della SU. Spa ricevuta il 1 marzo 2008, prot. n. 123 datata 18 febbraio 2007, e della successiva nota prot. n. 193 del 7 aprile 2008, ricevuta il 17 aprile 2008, con le quali la Società resistente ha negato l'installazione di 45 impianti pubblicitari lungo viale Serenissima, nel Comune di Vicenza, sul presupposto che sulla strada non può essere autorizzata alcuna installazione pubblicitaria.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Società SU. Spa e di A. Spa;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2011 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    La ricorrente Società A. Srl, operante nel settore dell'installazione di impianti pubblicitari, il 12 febbraio 2008, ha inoltrato a SU. Spa, Società che cura la gestione delle installazioni pubblicitarie per conto di alcune concessionarie autostradali, un'istanza volta ad ottenere l'autorizzazione all'installazione di 45 impianti pubblicitari lungo la strada denominata "...omissis..." nel Comune di Vicenza.
    La Società SU. Spa, con nota prot. n. 123 del 18 febbraio 2008, ricevuta il 1 marzo 2008, ha respinto la domanda perché il tratto oggetto dell'istanza è un raccordo autostradale per il quale il codice della strada vieta l'apposizione di cartelli pubblicitari.
    La Società ricorrente, in data 10 marzo 2008, ha presentato una memoria ai sensi dell'art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, con la quale ha contestato che il tratto stradale fosse interessato dai divieti di cui all'art. 23, comma 7, del Dlgs. 30 aprile 1992, n. 285, previsti unicamente per le autostrade, le strade extraurbane principali e i relativi accessi.
    La Società SU. Spa con nota prot. n. 193 del 7 aprile 2008, ha specificato che il tratto stradale cui si riferisce l'istanza costituisce oggettivamente un accesso all'autostrada perché collega la strada regionale 11 e la tangenziale sud di Vicenza al casello di Vicenza Est dell'autostrada, e che tale qualificazione non può essere negata per la circostanza, da considerare irrilevante, dell'esistenza, prima del tratto finale che immette al casello, di una rotatoria dalla quale si diramano diverse strade, una sola delle quali conduce all'autostrada.
    Con il ricorso in epigrafe entrambi i dinieghi sono impugnati per le seguenti censure:
    I) violazione degli artt. 2, lett. a), 3 e 23 del Dlgs. 30 aprile 1992, n. 285, violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 8, del regolamento di esecuzione del codice della strada di cui al DPR 16 dicembre 1992, n. 495, irragionevolezza, difetto di istruttoria, travisamento e difetto di motivazione, perché il tratto stradale non rientra tra quelli per i quali è vietata l'installazione di impianti pubblicitari;
    II) difetto di istruttoria e motivazione, sviamento e disparità di trattamento perché risultano rilasciate delle autorizzazioni ad una Società concorrente.
    Alla pubblica udienza del 19 gennaio 2011, con ordinanza istruttoria n. 243 del 16 febbraio 2011, è stata disposta l'acquisizione di una relazione di chiarimenti da parte della Società SU. Spa, la quale si è successivamente costituita in giudizio, assieme alla Società A. Spa, eccependo il difetto di legittimazione passiva di quest'ultima e la tardività del ricorso, e concludendo per il rigetto del medesimo.
    Alla pubblica udienza del 20 ottobre 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
    DIRITTO
    1. L'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Società A. Spa deve essere respinta.
    Infatti la Società SU. Spa, in base allo statuto e alla convenzione che la lega alle Società concessionarie (cfr. docc. 1 e 2 allegati alle difese della parte resistente) è delegata a svolgere l'attività di gestione della pubblicità di carattere essenzialmente imprenditoriale, mentre le autorizzazioni di cui all'art. 23, comma 7, del Dlgs. 30 aprile 1992, n. 285, che vengono in rilievo nella presente controversia e che sono esercizio di potestà pubblicistiche, in quanto correlate all'interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale e alla gestione di un bene e di un servizio pubblico, sono di competenza del concessionario, ovvero della Società A. Spa, che deve pertanto ritenersi passivamente legittimata nel giudizio (in tal senso dispone la stessa convenzione all'art. 5, lett. c; circa la rilevanza della distinzione tra attività imprenditoriale e attività di carattere pubblicistico nella gestione degli spazi pubblicitari da parte dei concessionari autostradali cfr. Tar Liguria, Sez. II, 27 maggio 2005, n. 744; Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 luglio 2003, n. 4205; Cassazione, Sez. Un., 24 febbraio 2003, n. 2817).
    1.2 L'eccezione di tardività è invece fondata solo con riferimento all'impugnazione del primo diniego.
    La nota infatti è stata portata a conoscenza del destinatario il 1 marzo 2008, e pertanto il termine di decadenza scadeva il 30 aprile 2008.
    Poiché la consegna del ricorso da notificare all'ufficiale giudiziario è stata effettuata solo il 2 maggio 2008, l'impugnazione del primo diniego deve essere dichiarata irricevibile perché tardiva.
    L'impugnazione del secondo diniego prot. n. 193 del 7 aprile 2008, che la parte resistente ha adottato a seguito di una rinnovata attività istruttoria e con una nuova motivazione, accettando il contraddittorio procedimentale proposto dall'istante e la sostanziale qualificazione del primo atto come preavviso di rigetto adottato ai sensi dell'art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve invece ritenersi tempestiva.
    2. Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
    Con il primo motivo la parte ricorrente sostiene che il tratto stradale per il quale ha chiesto l'autorizzazione non rientra tra quelli per i quali è vietata l'installazione di impianti pubblicitari.
    L'assunto è infondato.
    Infatti ...omissis..., come chiarito dall'esito dell'ordinanza istruttoria e risulta dalla copiosa documentazione depositata in giudizio (cfr. le copie dei progetti e dei relativi atti autorizzativi e le planimetrie di cui docc. da 6 a 15 allegati alle difese della parte resistente), è un raccordo autostradale gestito dal concessionario autostradale.
    E' vero che nel codice della strada e nella relativa normativa di attuazione non esiste la definizione di "raccordo autostradale".
    Nondimeno è chiaro che si tratta di un'espressione in uso nel linguaggio comune e nel linguaggio tecnico che, ricorrendo ad un criterio di tipo funzionale, designa i collegamenti tra un'autostrada e determinati luoghi (come un centro abitato) o determinate infrastrutture (un aeroporto o un'altra autostrada) non raggiungibili direttamente utilizzando la rete autostradale.
    L'art. 23, comma 7, del Dlgs. 30 aprile 1992, n. 285, vieta qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi.
    Orbene, ritiene il Collegio che il termine "accessi" utilizzato dall'art. 23, comma 7, faccia riferimento, in senso ampio e con un criterio di tipo funzionale, a tutte le tipologie di collegamento con le autostrade, e quindi anche ai raccordi autostradali, e che le finalità di tutela della sicurezza della circolazione stradale in ragione delle quali è previsto il divieto, prescindano dall'esistenza o meno di intersezioni o rotatorie con altre strade prima dell'immissione nell'autostrada o nella strada extraurbana.
    Le tesi della parte ricorrente, volte ad escludere che i raccordi autostradali siano "accessi" ai fini di cui al citato art. 23, comma 7, cod. strada, e ad affermare che possano essere definiti come "accessi" solo le parti terminali delle rampe che portano ai caselli, devono pertanto essere respinte.
    3. Parimenti priva di fondamento è la censura di disparità di trattamento di cui al secondo motivo, atteso che la parte ricorrente si riferisce in realtà a fattispecie per le quali difetta del tutto l'identità e l'omogeneità fra le posizioni messe a confronto.
    Infatti, come chiarito dalla parte resistente (cfr. doc. 17), il rapporto contrattuale intercorso con la Società C., riguarda esclusivamente tipologie di impianti ammessi dal citato art. 23, comma 7, del codice della strada, perché posti presso aree di servizio o presso i caselli, e il relativo contratto, che è stato concluso previo esperimento di un'apposita procedura ad evidenza pubblica, non riguarda invece il rilascio di autorizzazioni per l'installazione di impianti pubblicitari lungo l'autostrada o il raccordo autostradale.
    In definitiva pertanto il ricorso deve essere dichiarato irricevibile per tardività relativamente all'impugnazione del primo diniego, mentre deve essere respinto per il resto.
    Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile, e in parte lo respinge, nel senso precisato in motivazione.
    Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore delle parti resistenti, liquidandole in complessivi euro 4.000,00 per spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Giuseppe Di Nunzio
    L'ESTENSORE
    Stefano Mielli
    IL CONSIGLIERE
    Elvio Antonelli
     
    Depositata in Segreteria il 22 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Revoca del Presidente del consiglio comunale

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    N. 2662/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 2378 Reg. Ric.
    ANNO 2010
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2378 del 2010, proposto da:
    B. R., rappresentato e difeso dall'avv. Michele Alì, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, via Crociferi, 60;
    contro
    Comune di San Fratello, Consiglio Comunale di San Fratello, non costituiti in giudizio;
    nei confronti di
    S. D. + 11, non costituiti in giudizio;
    V. L., rappresentata e difesa dall'avv. Cirino Gallo, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Roberta Suma in Catania, viale XX Settembre, 70;
    G. F., rappresentato e difeso dall'avv. Teresa Carroccio, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, Segreteria Tar;
    per l'annullamento
    - della deliberazione n. 20 del 26.06.2010 con la quale il Consiglio del Comune di San Fratello ha revocato il Presidente del Consiglio Comunale di San Fratello;
    - della deliberazione n. 21 del 26.06.2010 con la quale il Consiglio Comunale di San Fratello ha proceduto alla nomina del nuovo Presidente;
    - di ogni altro atto presupposto, precedente, successivo e/o conseguente comunque lesivo.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dei controinteressati V. L. e G. F.;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2011 il Cons. dott. Gabriella Guzzardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    Il ricorrente, Presidente del Consiglio Comunale del Comune di San Fratello, con la delibera consiliare n. 20del 26/6/2010 veniva revocato dall'incarico ricoperto.
    Tale revoca interveniva sulla scorta della proposta avanzata in tal senso da sei consiglieri (C. + 5) i quali contestavano al Presidente del Consiglio Comunale: a) tardiva convocazione del consiglio da parte del suo presidente, per la discussione delle dimissioni dell'Assessore comunale M. M. e dell'assessore comunale V. B.; b) tardiva convocazione del Consiglio Comunale per la presa d'atto della nomina dell'assessore G. B.; c) violazione delle norme regolamentari relative alla composizione dell'ordine del giorno in quanto non vengono portati in esso né la lettura e l'approvazione dei verbali delle sedute precedenti, né "i rinvii dei punti deliberati dal consiglio comunale"; d) violazione del principio di neutralità che determina la lesione del "rispetto dei consiglieri comunali e del consiglio comunale tutto"; e) mancata difesa della dignità dei consiglieri con riferimento al comportamento omissivo del Sindaco in ordine alle interrogazioni allo stesso rivolte; f) irregolare disciplina del funzionamento delle commissioni consiliari.
    Avverso la deliberazione n. 20/2010 di revoca sopra descritta ed avverso la successiva delibera n. 21 /2010, con la quale il Consiglio comunale di San Fratello ha proceduto alla nomina del nuovo Presidente, viene proposto il ricorso introduttivo, suffragato dalle seguenti censure:
    Violazione degli artt. 19 e 20 della L. Reg. n. 7/92 e dell'art. 31 della L. n. 142/90 come integrato dall'art. 1, lett. E) della L. Reg. n. 48/91;
    Violazione degli artt. 16 e 24 dello Statuto del comune di San Fratello e degli artt. 27 e 29 del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale;
    Carenza dei presupposti; Eccesso di potere sotto i profili dello sviamento e della falsa causa- Difetto di motivazione; Illegittimità derivata.
    Sostiene parte ricorrente che la delibera di revoca impugnata è stata adottata in carenza dei presupposti di legge e statutari e con un procedimento irregolare. Manca infatti congrua indicazione dei presupposti di fatto e giuridici, validi al fine, posti a fondamento della proposta e della successiva delibera di revoca che sarebbe invece animata dal reale intento di alcuni consiglieri di disfarsi del presidente sul quale non ripongono più fiducia politica.
    Con riferimento poi, nel dettaglio, alle circostanze poste a fondamento della proposta di revoca, rileva il ricorrente che la ritardata discussione in Consiglio in ordine alle dimissioni di due assessori ed alla presa d'atto della nomina di nuovi assessori, non implica violazione dell'art. 34 dello statuto in quanto ex lege (art. 25 L. Reg. n. 7/92) le dimissioni degli assessori sono definitive e non necessitano di presa d'atto. Comunque, ai sensi della norma statutaria richiamata, è onere del Sindaco fornire al Consiglio Comunale dettagliata relazione sulle ragioni delle dimissioni.
    Rileva il ricorrente, sotto il profilo della irregolare formazione dell'ordine del giorno, in cui non è inclusa la lettura e l'approvazione dei verbali precedenti, che tale situazione si è determinata a causa della mancata sottoscrizione dei verbali da parte del Consigliere anziano che, nella persona del signor B. S., malgrado ripetutamente sollecitato, non ha adempiuto all'incombenza.
    Con riferimento, infine agli ultimi due punti della proposta di revoca, come approvata con la delibera n. 20 qui impugnata, viene dedotta la genericità delle argomentazioni poste a fondamento della presunta violazione della neutralità del ricorrente nell'esercizio delle proprie funzioni e la insussistenza del dovere del presidente del consiglio comunale di richiedere al consiglio che deliberi sulla nomina delle Commissioni comunali, nomina che ai sensi dell'art. 6 del regolamento sulle Commissioni Comunali, è atto di esclusiva competenza del Presidente del Consiglio.
    La controinteressata V. L., nominata Presidente del consiglio comunale di San Fratello con la delibera n. 21/2010, pure impugnata, e il consigliere comunale G. F., costituiti in giudizio, hanno chiesto il rigetto del ricorso.
    Alla Camera di Consiglio del 29 settembre 2009, è stata rigettata la domanda cautelare proposta in considerazione della prevalenza dell'interesse pubblico all'espletamento senza interruzioni delle funzioni dell'organo, rispetto all'interesse azionato.
    Il ricorso è stato chiamato all'udienza del 6 luglio 2011, in vista della quale il consigliere comunale G. F., costituitosi in data 18 giugno 2011, ha chiesto (ed ottenuto) il rinvio della trattazione onde poter preparare adeguate difese.
    Alla pubblica udienza del 19 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
    DIRITTO
    Il ricorso è fondato.
    Invero dalla prospettazione dei fatti, messi a raffronto con la normativa primaria e secondaria di riferimento, è possibile riscontrare la insussistenza delle condizioni che, sole, legittimano l'esercizio del potere di revoca del Presidente del Consiglio comunale da parte del Consiglio di cui costituisce espressione.
    Ciò sotto il duplice profilo, formale e sostanziale.
    Dal punto di vista formale, si riscontra la insussistenza di adeguata motivazione della delibera n. 20/2010, che si limita a revocare il Presidente Reale, odierno ricorrente, sulla scorta della relativa proposta sottoscritta da alcuni consigliere, senza in alcun modo dare conto della verifica, in concreto, dei presupposti richiesti a tal fine dall'art. 16 dello Statuto comunale.
    Rileva il Collegio che, con riferimento alla proposta di revoca, nessuna norma di legge ne prescrive il contenuto minimo, di conseguenza era riservato al Consiglio il potere ed il dovere di valutare i fatti contestati al fine di verificare la rispondenza degli stessi ai presupposti legittimanti la revoca, come specificati nell'art. 16 dello Statuto.
    In altri termini, di fronte ad una proposta di revoca proveniente dal richiesto quorum di consiglieri comunali, il Consiglio, nel suo complesso, con la prescritta maggioranza, deve deliberare su di essa analizzandola concretamente nei singoli elementi, riscontrandone la eventuale fondatezza con riferimento alle condizioni imprescindibili perché la stessa possa essere approvata. Tali condizioni, per espressa disposizione statutaria (art. 16), consistono "nell'ipotesi di venir meno della neutralità della funzione e della correttezza dei comportamenti presidenziali, con la conseguente compromissione del buon andamento dei lavori consiliari dovuti a prese di posizione non sorrette da equidistanza istituzionale".
    Nel caso di specie, tuttavia, risulta che il Consiglio comunale ha operato un mero rinvio alla proposta di revoca posta a fondamento della impugnata delibera n. 20/2010 e ciò, dimostra l'assenza di una seppur minima verifica dei fatti indicati nella proposta stessa, tenuto conto che nessuno di essi costituiva, ex se, violazione dei requisiti di neutralità, imparzialità e di terzietà, che sola poteva giustificare, ex art. 16 dello Statuto, l'adozione del provvedimento di revoca del Presidente del Consiglio comunale (in termini, ex multis, TAR Sicilia, Catania, sent. n. 696 del 20/04/2007; TAR Piemonte Torino, sent. n. 2248 del 4/09/2009).
    E' pur vero che per giurisprudenza pacifica, la revoca dall'ufficio di Presidente del Consiglio comunale, in quanto espressione di valutazioni anche latamente politiche, influenza il sindacato esercitabile dal giudice amministrativo nel senso che esso si svolge con pienezza quando si tratta di verificare la legittimità formale del procedimento seguito, restando, tuttavia, notevolmente limitato con riferimento agli aspetti politico discrezionali che si manifestano con l'atto (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970; nonché Cons. Giust. Amm.va Reg. Sic. dec. n. 69 del 2 marzo 2006); ma nella specie ciò che rileva non è tanto il giudizio più o meno politico espresso dal Consiglio, quanto piuttosto il mancato riscontro, nei fatti, delle censure sollevate nella proposta di revoca.
    In una parola, è mancata la verifica dei presupposti richiesti dallo Statuto per l'adozione dell'atto di revoca impugnato, in quanto:
    A) come esaurientemente e puntualmente rappresentato dal ricorrente nel ricorso introduttivo e nell'atto di replica depositato in data 18 settembre 2011, la contestata tardiva discussione in Consiglio in ordine alle dimissioni volontarie ed alla nomina di altri assessori, non costituisce inadempienza del Presidente alle proprie funzioni istituzionali poiché, ai sensi dell'art. 33 dello Statuto, è il Sindaco che riceve le dimissioni degli Assessori ed è lo stesso Sindaco che a norma del successivo art. 34, deve relazionare al Consiglio sulle ragioni del provvedimento di revoca e di nomina di nuovi assessori perché il Consiglio ne tragga le opportune valutazioni;
    B) con riferimento alle altre presunte inadempienze, le stesse appaiono insussistenti, in relazione alla dedotta omessa sottoposizione all'Organo consiliare dei verbali delle sedute procedenti, poiché ciò è stato frutto di inadempimenti di altri organi (nel caso specifico del consigliere anziano) che, per quanto sollecitato, non ha sottoscritto i verbali, impedendo che gli stessi potessero essere pubblicati, previa approvazione;
    C) detta censura, poi, è anche generica, poiché non vengono specificati, nella proposta di revoca, fatta propria dal Consiglio con la delibera impugnata, quali verbali non siano stati portati al Consiglio per la lettura;
    D) comunque, anche qualora la circostanza fosse provata ed imputabile al Presidente del Consiglio comunale, la stessa costituirebbe mera irregolarità inidonea, di per sé, a fare venire meno in capo al Presidente la posizione di neutralità e di garante di tutti gli altri consiglieri.
    Anche le ulteriori ragioni poste a base della proposta di revoca appaiono generiche e infondate in diritto: sia perché afferiscono a presunte omesse sottoposizioni al Consiglio di interrogazioni presentate al Sindaco, il cui eventuale comportamento omissivo non può certo imputarsi al ricorrente; sia perché concernono il regolare funzionamento e coinvolgimento delle Commissioni Comunali senza alcuna specificazione delle disposizioni che si assumono violate.
    Del resto, da tempo la giurisprudenza (cfr. Tar Sicilia, Palermo, sent. n. 1062 del 4 agosto 2008 ), nel ricostruire il quadro dei rapporti istituzionali ed ordinamentali tra gli Organi comunali ha avuto modo di precisare che il ruolo del presidente del Consiglio comunale è strumentale non già all'attuazione di un indirizzo politico di maggioranza, bensì al corretto funzionamento dell'organo stesso e, come tale, non solo è neutrale, ma non può restare soggetto al mutevole atteggiamento fiduciario della maggioranza, di guisa che la revoca di detta carica non può essere attivata per motivazioni politiche, ma solo istituzionali, quali la ripetuta e ingiustificata omissione della convocazione del Consiglio o le ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali (v. anche, Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006 n. 114).
    Principi, questi ora ricordati, che risultano sostanzialmente consacrati dall'art. 16 dello Statuto del Comune di San Fratello che, quindi, imponeva al Consiglio di valutare, in concreto, se vi fosse o meno carenza di "neutralità della funzione" e della scorrettezza dei comportamenti presidenziali assunti dall'odierno ricorrente tali da implicare la "compromissione del buon andamento dei lavori consiliari dovuti a prese di posizione non sorrette da equidistanza istituzionale".
    Conclusivamente, rilevata la fondatezza delle censure addotte di violazione della specifica norma statutaria del Comune di San Fratello e di carenza di presupposti, peraltro non incisivamente contestata dai controinteressati (il cui comportamento processuale, tenuto conto dell'istanza del controinteressato F. di rinvio dell'udienza del 6.7.2011 per ragioni difensive e della successiva mancata produzione di atti di difesa, sembra improntato anche a fini puramente dilatori), il ricorso va accolto.
    Le spese seguono la soccombenza, nella misura che si liquida in dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati.
    Le spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, vengono posti, in solido, a carico dei controinteressati costituiti in giudizio.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Calogero Ferlisi
    L'ESTENSORE
    Gabriella Guzzardi
    IL CONSIGLIERE
    Pancrazio Maria Savasta
     
    Depositata in Segreteria il 9 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Accesso agli atti: posso sapere dall'amministrazione chi mi ha denunciato?

    E-mail Stampa PDF
    N. 2641/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 2287 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 2287 del 2011, proposto da:
    G. G., rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Marino, Giovanni Laresca, con domicilio eletto presso G. S. in Catania, via ...omissis...;
    contro
    Azienda Sanitaria Provinciale di Messina, rappresentata e difesa dagli avv. Clotilde Minasi, Giancarlo Niutta, con domicilio eletto presso L. I. in Catania, via ...omissis... c/o Azienda Ospedaliera Cannizzaro;
    per l'annullamento
    dell'atto prot. n. 3865 del 26.5.2011, trasmesso con raccomandata ricevuta il 7.6.2011 presso il difensore e poi notificato al ricorrente personalmente il 14.6.2011, n. prot. 4358, recante conferma del diniego prot. n. 2937 del 26.4.2011, trasmesso con raccomandata ricevuta il 29.4.2011, opposto alla richiesta di accesso a documenti amministrativi di cui all'istanza del 4.4.2011, prot. n. 2236;
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Messina;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1. - L'odierno ricorrente, amministratore del condominio sito in Messina, via ...omissis..., è stato invitato dal Dipartimento di prevenzione S. PRE. S.A.L. U.O.S. Controllo e Vigilanza di Messina, con nota n. 1550 datata 8.3.2011, a trasmettere la documentazione relativa all'affidamento di lavori, servizi e forniture; ciò a seguito di una segnalazione secondo la quale detto amministratore si sarebbe discostato dalle prescrizioni di cui all'art. 26 d. lgs. n. 81/2008 (in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro).
    Parte ricorrente ha chiesto al predetto ente - ai sensi dell'art. 22 legge n. 241/1990 - il rilascio di copia dell'esposto-denuncia che aveva dato impulso al procedimento amministrativo inteso ad effettuare un controllo sulle irregolarità denunciate.
    Con la nota del 26.4.2011, meglio indicata in epigrafe, l'odierno ricorrente riceveva una risposta negativa, fondata sulla tutela della riservatezza dei terzi; con raccomandata del 2.5.2011, tramite un legale di fiducia, l'interessato contestava il diniego e insisteva nella richiesta, notificando successivamente all'ASP di Messina un ricorso giurisdizionale col quale chiedeva l'annullamento dell'atto di diniego.
    In data 7.6.2011 l'odierno ricorrente riceveva, presso lo studio del proprio legale, la comunicazione meglio indicata in epigrafe, datata 26.5.2011, che confermava il diniego fornendo più articolata motivazione sulle ragioni della asserita inaccessibilità dell'esposto-denuncia oggetto dell'istanza.
    Il ricorrente non effettuava il deposito del su menzionato ricorso, già notificato, proponendo invece il ricorso in epigrafe e contestando tramite questo il secondo atto di diniego, avverso il quale deduceva le censure di violazione degli artt. 22 e 24 della legge n. 241/1990 e successive modificazioni, nonché eccesso di potere.
    Costituitasi in resistenza, l'ASP di Messina eccepiva innanzitutto l'inammissibilità del ricorso per omessa tempestiva impugnazione del diniego del 4.4.2011, meglio indicato in epigrafe, sostenendo che il diniego oggi al vaglio del collegio avrebbe carattere meramente confermativo del più risalente provvedimento. In secondo luogo, l'Azienda resistente eccepiva l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, il quale - si sostiene - avrebbe dovuto agire in qualità di amministratore del condominio di via ...omissis..., e dunque previa autorizzazione dell'assemblea condominiale, non già personalmente.
    Nel merito, l'Azienda ha contestato le deduzioni avversarie invocando la necessità di assicurare la segretezza della fonte della denuncia e/o degli atti che hanno dato origine all'accertamento, richiamando l'art. 64/3 DPR n. 303/1956.
    2. - A) Il collegio preliminarmente esamina le eccezioni di inammissibilità sollevate da parte resistente e le respinge entrambe per infondatezza.
    Sotto il primo profilo (omessa impugnativa del primo diniego e natura confermativa di quello oggetto del ricorso in epigrafe), osserva il collegio che il diniego del 4.4.2011 si limita a una stringata comunicazione di impossibilità di "dare seguito a richieste di tal genere a tutela delle riservatezza dei terzi", espressamente dichiarando la disponibilità a fornire "eventuali ulteriori chiarimenti"; mentre il secondo atto di diniego (successivo alle note depositate da parte ricorrente tramite il legale di fiducia), motivato con riferimento a specifici profili di fatto, richiama puntualmente le disposizioni applicate. Infatti, la nota del 26.5.2011 in primo luogo precisa che l'ufficio cui è stato presentato l'esposto oggetto di richiesta di accesso da parte dell'odierno ricorrente è "organo di vigilanza in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e il personale operante all'interno dello stesso riveste la qualifica di U.P.G. (Ufficiale di Polizia giudiziaria)"; il provvedimento prosegue richiamando "quanto previsto dall'art. 64 del DPR n. 303/2006", ovvero il segreto professionale imposto agli ispettori del Lavoro, i quali, infatti, "devono mantenere il segreto sopra i processi di lavorazione e sulle notizie e documenti dei quali vengono a conoscenza per ragioni d'ufficio". Infine, l'amministrazione cita il decreto del Ministero del Lavoro 20.4.2006, art, 23, che, al comma terzo, stabilisce che "nel corso dell'ispezione, nonché nelle fasi successive, il personale ispettivo garantisce la segretezza della fonte della denuncia e/o degli atti che hanno dato origine all'accertamento".
    Orbene, dal raffronto tra i due dinieghi si evince che il secondo non ha natura di mera conferma del primo, attesa l'esaustiva motivazione che esso contiene, laddove il primo era estremamente generico; sicché, anche in assenza di tempestiva impugnativa del precedente provvedimento, il ricorso in esame non è affetto da inammissibilità.
    B) Quanto all'eccezione di difetto di legittimazione, è agevole osservare che parte ricorrente ha interesse a conoscere il contenuto dell'esposto per potere tutelare la propria onorabilità e correttezza, valori che attengono alla persona in quanto tale, complessivamente considerata, e non soltanto al professionista.
    C) Con riguardo al merito, il collegio non ignora l'orientamento giurisprudenziale rigoroso che distingue fra riservatezza e anonimato, rilevando come l'ordinamento guardi con disfavore agli anonimi e non contempli un "diritto all'anonimato": cfr., in tema di diritto del datore di lavoro di accedere alla documentazione acquisita dagli ispettori del Lavoro nell'ambito della attività di controllo, T.A.R. Veneto - Venezia, sez. III, 12.1.2011, n. 31, secondo cui ‹‹l'accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, deve prevalere rispetto all'esigenza di riservatezza del terzo, e tale indirizzo non appare scalfito dagli ultimi interventi normativi intervenuti in materia, atteso che, in seguito alla entrata in vigore delle modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241, apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, risulta confermato dalla previsione dell'ultimo comma dell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici". La preminenza del diritto di difesa sul diritto alla riservatezza comporta pertanto la disapplicazione delle norme regolamentari invocate dall'amministrazione resistente perché confliggenti con il citato art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241››, ed ivi ulteriori citazioni di giurisprudenza; v. anche T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. I, 29.10.2008, n. 1469, in tema di istanza di accesso avanzata al fine di conoscere le generalità di chi ha effettuato la segnalazione al Servizio Emergenza Infanzia 114, in cui, dopo avere delineato un quadro sul disfavore dell'ordinamento nei confronti degli anonimi, si afferma che ‹‹al diritto alla riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può certo riconoscersi ampiezza tale da includere il "diritto all'anonimato" di colui che rende una dichiarazione a carico di terzi nell'ambito di un procedimento ispettivo o sanzionatorio››. La sentenza del TAR Brescia esamina anche il rapporto fra diritto di accesso e segreto professionale (nel caso esaminato dal TAR lombardo era in questione il segreto cui sono tenuti, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 119/2001, gli assistenti sociali iscritti all'albo professionale istituito con legge n. 84/1993, i quali "hanno l'obbligo del segreto professionale su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime di lavoro autonomo libero-professionale". Con riguardo a tale aspetto - presente anche nella controversia oggi al vaglio del collegio, con riferimento all'attività degli ispettori del Lavoro, tenuti al segreto sulla propria attività di controllo, come sottolineato dall'amministrazione - la pronuncia in esame afferma che non tutti gli atti formati o detenuti dal soggetto su cui incombe il segreto professionale sono automaticamente sottratti all'accesso, "poiché si tratta di applicare una deroga, pur prevista dall'ordinamento, al principio generale, previsto dallo stesso ordinamento, dell'accessibilità a tutti gli atti dell'amministrazione. Trattandosi quindi di una deroga, essa va applicata secondo il principio di stretta interpretazione".
    D) Ad avviso del collegio, in fattispecie come quella oggetto della presente controversia, più che un'esigenza di riservatezza in sé va riconosciuto, in capo al denunciante, l'interesse a non essere esposti a ritorsioni da parte del denunciato, ritorsioni naturalmente soltanto ipotetiche, non essendovi la possibilità di stabilire anticipatamente se il denunciante adotterà o meno comportamenti vendicativi. Tuttavia, va osservato che le disposizioni richiamate dalla parte resistente sono ispirate a una ratio - di più ampia portata rispetto alla mera tutela della riservatezza - che è quella di incoraggiare i privati a denunciare situazioni di rischio per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro. Insomma, accanto al generico disfavore nei confronti dell'anonimato, l'ordinamento ammette - al fine di combattere fenomeni che incidono su beni meritevoli di particolare e rafforzata tutela, quali la salute e la sicurezza dei lavoratori, ovvero, come nel caso esaminato dal TAR Brescia, il benessere psico-fisico dei minori - l'adozione di cautele intese a proteggere l'identità di chi segnala violazioni delle norme poste a presidio di detti beni. Tale finalità di incentivazione va senz'altro riconosciuta all'art. 64 del DPR n. 303/2006, di cui s'è prima richiamato il contenuto; finalità che risulterebbe frustrata, con conseguente vanificazione della norma, se l'accesso agli esposti, che gli ispettori dell'Ispettorato del lavoro hanno l'obbligo di mantenere segreti, fosse senz'altro e senza filtri consentito al denunciato che ne faccia richiesta.
    Tuttavia, se è senz'altro meritevole di protezione l'interesse pubblico di cui s'è detto, al quale è connesso inscindibilmente l'interesse dei denuncianti a non subire (ipotetiche) intimidazioni, è pure da tenere presente l'interesse, parimenti meritevole, tutelato dall'art. 24 della legge n. 241/1990, che, al comma settimo, recita: "Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici".
    Il conflitto fra interessi di pari importanza deve, ad avviso del collegio, essere risolto in via giurisdizionale facendo equilibrata applicazione delle norme che li contemplano e li tutelano; sicché, in definitiva, ai fini di un adeguato contemperamento, va privilegiata, in materia di accesso agli esposti e alle denunce di cui trattasi, l'adozione di soluzioni graduali, che lascino al prudente apprezzamento del giudice la valutazione, caso per caso, della necessità da parte dell'interessato di conoscere non soltanto il contenuto di tali atti - necessità sulla quale non possono esservi dubbi - bensì anche il nominativo degli autori.
    Tale specifico interesse può essere adeguatamente tutelato in un momento successivo alla conoscenza da parte del richiedente del contenuto del documento; ove l'esposto si dovesse rivelare diffamatorio, l'interesse dell'esponente ad evitare possibili ritorsioni cederà di fronte a quello del denunciato all'esperimento dei mezzi di tutela che l'ordinamento appresta nei confronti dei comportamenti lesivi dell'onorabilità. E' ovvio che per agire in difesa di questa occorre conoscere anche l'identità dell'esponente, ed allora, in applicazione dell'art. 24, comma settimo, su citato, dovrà consentirsi all'interessato un accesso "pieno", senza limitazione alcuna e cioè esteso all'identità dell'autore.
    Alla luce dei principi su indicati, il collegio ritiene sufficiente, al momento, il rilascio al ricorrente da parte dell'ASP di Messina di copia dell'atto richiesto, con l'adozione di opportune cautele per non rendere noto il nominativo dell'esponente.
    E) L'accoglimento nei suddetti limiti e la natura delle questioni sottoposte al vaglio del collegio inducono a disporre la compensazione delle spese, salva ovviamente l'applicazione dell'art. 13, comma 6 bis, del DPR n. 115/2002 in ordine al rimborso del contributo unificato al ricorrente vittorioso, a prescindere dalla compensazione delle spese e dalla espressa statuizione del decidente.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) - definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti precisati in parte motiva.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Cosimo Di Paola
    L'ESTENSORE
    Rosalia Messina
    IL PRIMO REFERENDARIO
    Dauno Trebastoni
     
    Depositata in Segreteria il 7 novembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Laboratori di prove geotecniche: l'autorizzazione deve essere espressa?

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    N. 8316/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 585 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso n. 585 del 2011 proposto dal dottor G. F. rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Guerrieri ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Monica Capuani in Roma, Via di Portonaccio n. 184/B;
    contro
    - la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore;
    - il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro-tempore;
    rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliatari;
    per ottenere:
    A) l'ANNULLAMENTO:
    1) della nota del 9 novembre 2010 prot. n. 0009669 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici;
    II) qualora occorrer possa del punto 6.2.2 del DM 14 gennaio 2008;
    III) per quanto di interesse del ricorrente delle Circolari 8 settembre 2010 n. n. 7618 e 7619 emesse dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Presidenza del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e pubblicate sulla G.U. n. 257/2010;
    IV) di tutti gli atti presupposti, conseguenti o connessi a quelli di cui sopra;
    B) la DISAPPLICAZIONE per quanto posso occorrere dell'art. 59, comma 2, del DPR n. 380/2001 e dello stesso punto 6.2.2. del DM 14.1.2008;
    C) la DECLARATORIA dell'avvenuta formazione del silenzio assenso sull'istanza presentata il 5.3.2010 tendente ad ottenere le autorizzazioni in essa menzionate.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell'Interno e di Ministero Politiche Europee e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2011 il dott. Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    L'odierno ricorrente, titolare di uno studio professionale operante nel settore delle prove geognostiche, geofisiche e geotecniche, nel marzo del 2010 ha chiesto all'intimato Ministero il rilascio dell'autorizzazione ad effettuare prove di laboratorio geotecnico su terreni e rocce, prove geognostiche e geotecniche in sito e prove ed indagini geofiche.
    Il suddetto Ministero con la contestata nota nel 9 novembre 2010, nel fare presente l'impossibilità, allo stato degli atti, di rilasciare la richiesta autorizzazione, ha invitato l'attuale istante a produrre ulteriore documentazione, sulla base di quanto stabilito in materia dalle circolari nn. 7618 e 7619 dell'8 settembre 2010.
    Con il proposto gravame il ricorrente ha impugnato la citata determinazione nonchè ha chiesto, ove ritenuto necessario, la disapplicazione del DPR n. 380/2001 e la declaratoria dell'avvenuta formazione del silenzio assenso sull'istanza a suo tempo presentata.
    Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:
    1) Violazione e falsa applicazione della DIRETTIVA CE 123/06 e degli artt.1, 8 e 17 del D.lvo n. 59/2010 e degli artt. 2. 19 e 20 della L. n. 241/1990. Formazione del silenzio assenso;
    2) Falsa applicazione dell'art. 20 della L. n. 1086/1971, dell'art. 59 del DPR n. 380/2001 e del punto 6.2.2. dell'allegato al DM 14/1/2008. Violazione e falsa applicazione della DIR Ce 123/2006 e del D.lgvo 59/2010 in materia di procedimento di rilascio delle autorizzazioni. Errore in punto di diritto riguardo l'abrogazione tacita dell'art. 59 DPR 380/2011 e del punto 6.2.2 dell'allegato al DM 14.1.2008 in parte qua e illegittimità dei medesimi atti sotto altro profilo. Violazione degli artt. 28, 43, 81, 82 e 86 del Trattato e dei principi giurisprudenziali in tema di libertà di concorrenza e liberalizzazione. Eccesso di potere per illogicità, manifesta e per sviamento. Illegittimità derivata dell'atto impugnato sub 1);
    3) Violazione degli artt. 14, 15 e 19 del D.lvo n. 59/2010 e delle norme del trattato. Violazione dell'art. 3 della L. n. 112/1963, dell'art. 41 del DPR n. 328/2001 e dell'art. 29 del DM 18 novembre 1971 e smi. Eccesso di potere per irragionevolezza, aggravamento procedimentale, mancata proporzionalità. limite all'accessibilità e difetto di presupposto e motivazione.
    Si sono costituite le intimate Amministrazioni prospettando in primis il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri e contestando la fondatezza delle prospettazioni ricorsuali.
    Alla pubblica udienza del 5.10.2011 il ricorso è stato assunto in decisione.
    Si prescinde dal previo esame della dedotta eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall'intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri stante la manifesta infondatezza delle dedotte doglianze.
    Con la prima delle dedotte doglianze il ricorrente ha contestato la gravata determinazione, facendo presente che sull'istanza a suo tempo presentata si sarebbe formato il silenzio assenso ai sensi dell'art. 20 della legge n. 241/1990, non rientrando la materia oggetto della presente controversia tra quelle indicate nel comma 4 del citato art. 20.
    La dedotta censura non è suscettibile di favorevole esame.
    Al riguardo la Sezione intende conformarsi alla propria recente sentenza n. 13483/2010 la quale ha affermato che "I laboratori di prove geotecniche devono assicurare l'indispensabile affidabilità nell'esecuzione delle prove stesse e nel certificarne i risultati. L'attività di prova è fondamentale ai fini della sicurezza delle costruzioni, ed è quindi necessario che vengano abilitati soltanto i soggetti in possesso di sicura integrità professionale, di accertata competenza tecnica, di imparzialità ed indipendenza. Attesa la delicatezza della funzione svolta, è stato istituto, con il DM 14.1.2008 (Nuove norme tecniche per le costruzioni), un sistema organico di qualificazione e di controllo di modo che, in particolare, i progetti delle opere strutturali interagenti con il terreno siano basati su modelli geotecnici dedotti da specifiche indagini e prove, costituenti parte integranti del progetto e caratterizzate da sicure autorevolezza ed affidabilità proprio in quanto condotte e certificate dai laboratori autorizzati di cui all'art. 59 del DPR n. 380/2001. Nella materia sono chiaramente in gioco esigenze di sicurezza e di incolumità pubblica, poichè l'autorizzazione dei laboratori all'effettuazione, con validità certificatoria ufficiale, di prove geotecniche su rocce e terreni ai fini dell'edificazione di costruzioni, deve essere ispirata al massimo rigore proprio al fine di evitare che una funzione così delicata, non a caso costituente servizio pubblico, possa essere svolta da soggetti inadeguati, con conseguente possibile compromissione delle menzionate esigenze. I provvedimenti di abilitazione in questione, pertanto, non possono essere assentiti, ai sensi del comma 4 dell'art. 20 della legge n. 241/1990. Tale disposizione, invero, prescrive l'inapplicabilità dell'istituto del silenzio assenso agli atti e ai procedimenti riguardanti, tra l'altro, come quello di cui trattasi,"la pubblica incolumità". Basti, in proposito, pensare, come tale valore potrebbe essere messo gravemente a rischio, almeno nelle more dell'intervento di autotutela, ove un laboratorio privo della necessaria qualificazione si trovasse ad operare a seguito di mera formazione di silenzio assenso. E' evidente, dunque, che nella materia che ne occupa, l'autorizzazione in ogni caso deve essere espressa".
    Con la seconda censura il ricorrente sostiene che le disposizioni in materia (art. 59 del DPR n. 280/2001 e il DM 14.1.2008) sulla cui base è richiesto il rilascio della prescritta autorizzazione per lo svolgimento delle attività oggetto della citata istanza:
    a) sarebbero in palese contrasto con quanto previsto dalla Direttiva CE 123/06 e dalle disposizioni del D.lvo n. 59/2010 che l'hanno recepita, per cui conseguentemente devono essere disapplicate;
    b) in ogni caso non avrebbero valore di norma primaria, che, giusta quanto stabilito dalla sentenza di questa Sezione n. 1422/2008, giustificherebbe la previsione del previo rilascio dell'autorizzazione.
    Relativamente al primo profilo di doglianza il Collegio osserva che:
    I) l'art. 17, commi 1 e 2, del citato decreto legislativo 59/2010 stabilisce che:
    1. Ai fini del rilascio del titolo autorizzatorio riguardante l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi di cui al presente decreto si segue il procedimento di cui all'articolo 19, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero, se così previsto, di cui all'articolo 20 della medesima legge n. 241 del 1990.
    2. Qualora sussista un motivo imperativo di interesse generale, può essere imposto che il procedimento si concluda con l'adozione di un provvedimento espresso;
    II) poichè, alla luce di quanto affermato dalla citata sentenza n. 13483/2010, è palese che sussistono incontestabili esigenze di incolumità pubblica connesse allo svolgimento delle attività oggetto dell'istanza presentato dal ricorrente, ne consegue che la sussistenza di un regime autorizzatorio non contrasta con la normativa invocata dal ricorrente.
    Per quanto concerne il secondo profilo di doglianza deve essere fatto presente che l'art. 59 del DPR n. 380/2001, il quale prevede un regime autorizzatorio per lo svolgimento delle attività aventi ad oggetto l'esecuzione di prove su materiali da costruzione, comprese quelle geotecniche su terreni e rocce, recepisce integralmente l'art. 20 del DPR n. 1086/1971, per cui, stante l'indubbia valenza legislativa di tale ultima disposizione, ne consegue che la stessa valenza deve essere riconosciuta anche al menzionato art. 59.
    Alla luce di tali argomentazioni, pertanto, anche il secondo motivo di doglianza deve essere rigettato.
    Inammissibile deve essere dichiarato, invece, il terzo motivo di doglianza con cui sono state impugnate le disposizioni di cui alle citate circolari, atteso che:
    a) è stabilito l'obbligo per coloro che avevano ottenuto la prescritta autorizzazione antecedentemente alla pubblicazione delle stesse sulla Gazzetta Ufficiale l'obbligo di adeguarsi, entro 12, mesi alle prescrizioni contenute nelle suddette circolari;
    b) le menzionate prescrizioni "appaiono chiaramente ledere i Geologi sottraendo a tali soggetti compiti e funzioni ad essi riconosciuti ope legis" (pag.29 del ricorso).
    In merito è palese che l'interesse che ha giustificato l'impugnazione delle circolari de quibus si fonda sul presupposto che il ricorrente abbia conseguito la richiesta autorizzazione sulla base dell'avvenuta formazione del silenzio assenso in ordine alla propria istanza inoltrata nel marzo del 2010; poichè, giusta, quanto sopra evidenziato, la formazione del silenzio-assenso è stato escluso, ne consegue che l'attuale istante non ha interesse all'impugnativa delle circolari de quibus.
    Ciò premesso, il proposto gravame in parte deve essere rigettato ed in parte deve essere dichiarato inammissibile.
    Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 585 del 2011, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
    Condanna parte ricorrente al pagamento a favore del resistente Ministero delle Infrastrutture e Trasporti delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (Euro tremila)
    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Bruno Amoroso
    L'ESTENSORE
    Giuseppe Sapone
    IL CONSIGLIERE
    Domenico Lundini
     
    Depositata in Segreteria il 31 ottobre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     


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