Devoluzione delle opere non amovibili
Giovedì 29 Marzo 2012 08:29
Carmelo Anzalone
N. 145/2012 Reg. Prov. Coll.
N. 182 Reg. Ric.
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 182 del 2009, proposto dalla:
L. - Snc, rappresentata e difesa dagli avv. Enrico Ioannoni Fiore e Fabrizio Antenucci, con domicilio eletto presso Pierluigi Ciammaichella in Pescara, via Malagrida, n. 15;
contro
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze -Agenzia del Demanio-Pescara, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Provv.To Interregionale Oo.Pp.-Uff.Opere Marittime di Roma-Sez.Pescara, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Compartimento Marittimo di Pescara, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato de L'Aquila, domiciliata per legge in L'Aquila, via Buccio di Ranallo C/ S.Domenico;
nei confronti di
Regione Abruzzo -Direzione Turismo-Ambiente-Energia;
per l'annullamento
del verbale, trasmesso dall'agenzia del demanio di Pescara alla società ricorrente con nota n. 510 del 16.01.2009, di aggiornamento della consistenza e testimoniale di stato relativo allo stabilimento balneare della ricorrente di Alba adriatica con il quale si è ritenuto acquisibile da parte del demanio pubblico dello Stato l'intero manufatto relativo al suddetto stabilimento; nonchè di tutti gli atti presupposti, conseguenti e connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze -Agenzia del Demanio-Pescara e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti -Provv.To Interregionale Oo.Pp.-Uff.Opere Marittime di Roma-Sez.Pescara e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti -Compartimento Marittimo di Pescara;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2012 il dott. Umberto Zuballi e uditi l'avv. Fiore Enrico Ioannoni per la società ricorrente e l'avv. distrettuale dello stato Anna Buscemi per le Amministrazioni resistenti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ditta ricorrente risulta concessionaria di uno stabilimento balneare; all'approssimarsi della scadenza delle concessioni in essere la Regione approvava un modello di rinnovo delle concessioni; in sostanza le concessioni dovevano essere rinnovate automaticamente senza formalità di sorta; l'agenzia del demanio invece ha proceduto alla redazione del verbale di consistenza e del testimoniale di stato con un provvedimento quindi che la ditta ritiene illegittimo per i motivi di seguito compendiati.
La prima censura concerne la violazione dell'articolo 49 del codice della navigazione in relazione all'articolo 1 comma secondo del decreto legislativo 400 del 1993, oltre che difetto di presupposti, ingiustizia, carenza di istruttoria e di motivazione. Spiega la ditta che il testimoniale ha la funzione di verificare la consistenza delle opere inamovibili realizzate dal concessionario su un'area di proprietà pubblica al fine della loro acquisizione al demanio. Sennonché, l'acquisizione delle opere è prevista sulla base dell'articolo 49 del codice della navigazione solo alla cessazione della concessione; a sua volta l'articolo 1 del decreto legislativo 400 del 1993 prevede che le concessioni hanno durata di sei anni e alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente a ogni scadenza. Manca quindi un presupposto della cessazione del rapporto per la redazione del testimoniale di stato, in quanto l'incameramento eventuale favore dello Stato delle opere realizzate risulta posticipato alla definitiva cessazione del rapporto. L'interpretazione da demanio contrasta inoltre con la nuova normativa che prevede un notevole incremento dei canoni.
La seconda censura riguarda la violazione della legge 241 e il difetto di motivazione. Invero, nel caso non è stato comunicato l'avvio di procedimento né è stata garantita in alcun modo la partecipazione dell'interessato al procedimento stesso. Infine la motivazione risulta incongrua.
Resiste in giudizio l'avvocatura dello Stato che deposita una relazione dalla quale emerge l'interpretazione che l'atto di rinnovo si qualifica come una nuova concessione in quanto la scadenza del termine comporta l'automatica estensione rapporto con la conseguenza che l'amministrazione ha il dovere di provvedere al riguardo. Illustra a sostegno una copiosa giurisprudenza.
In vista della discussione in pubblica udienza parte ricorrente ha depositato il 6 febbraio del 2012 un'ulteriore memoria nella quale le argomentazioni già sopra illustrate vengono ulteriormente precisate.
Nel corso della pubblica udienza dell'8 marzo 2012 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
Oggetto del presente ricorso è il verbale di aggiornamento della consistenza e del testimoniale di stato dello stabilimento balneare della ditta ricorrente con il quale si è ritenuto acquisibile nello stato di fatto l'intero manufatto relativo allo stabilimento balneare e le ulteriori opere realizzate successivamente rispetto al precedente stato di consistenza e testimoniale di stato.
La questione fondamentale del presente ricorso riguarda l'accessione delle opere inamovibili costruite sul demanio al termine della concessione; più specificatamente, va valutato se per termine della concessione si intende il termine inizialmente previsto oppure quello determinato sulla base di una proroga normativa della precedente concessione.
In generale, l'art. 49 c. nav. in base al quale "quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso", richiama l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c. con deroga al principio dell'indennizzo, di cui al successivo art. 936 e va interpretato nel senso che l'accessione si verifica "ipso iure" al termine del periodo di concessione per le opere non amovibili, costruite su zona demaniale (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7505). L'acquisizione delle opere al demanio avviene, pertanto, anche in mancanza di un atto d'incameramento o di una recettizia manifestazione formale di volontà da parte della pubblica amministrazione, atteso che le norme che prevedono l'iscrizione dei beni di proprietà dello Stato in appositi registri di consistenza o d'inventario consistono in formalità non costitutive, la cui omissione è incapace di incidere sulla produzione di un effetto traslativo automatico "ope legis" (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 24 settembre 2009, n. 2188).
Peraltro, ad avviso di questo Collegio, in materia di concessioni demaniali marittime, il principio dell'accessione gratuita di cui all'art. 49 c.nav., che fa salva ogni diversa determinazione contenuta nell'atto di concessione, non si applica qualora il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare una vera e propria proroga, protraendosi il rapporto senza soluzione di continuità (Consiglio di Stato, sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348).
In altri termini, la proroga prevista dalla legge della concessione della ditta ricorrente non è assimilabile al termine della concessione stessa, per cui l'istituto di cui all'articolo 49 non trova applicazione. Del resto, la peculiare disciplina dell'articolo 49 trova giustificazione proprio nel termine della concessione, momento nel quale appare logico un ritorno economico al demanio con l'accessione di alcuni immobili non più utilizzabili dal concessionario, laddove la continuazione ex lege e senza soluzione di continuità della concessione medesima presenta una realtà affatto diversa.
Del resto, tale soluzione appare conforme alla logica della proroga prevista dalla legge, che si accompagna a un aumento automatico dei canoni concessori, elemento questo che mal si concilia con l'applicazione e la ratio dell'articolo 49.
Il ricorso quindi va accolto con annullamento dell'impugnato provvedimento, anche se la peculiarità della vicenda giuridica induce il Collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE-ESTENSORE
Umberto Zuballi
IL CONSIGLIERE
Michele Eliantonio
IL CONSIGLIERE
Dino Nazzaro
Depositata in Segreteria il 20 marzo 2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici: accertamenti, indagini e sanzioni, non più di questo!
Martedì 06 Marzo 2012 09:59
Carmelo Anzalone
N. 1730/2012 Reg. Prov. Coll.
N. 2013 Reg. Ric.
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2013 del 2009, proposto da:
S. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Stefano Vinti e Carlo Malinconico, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia, 88;
contro
Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Ernesto Sticchi Damiani in Roma, Studio Bdl via Bocca di Leone, 78;
nei confronti di
- A.t.i. composta da L. - Società di Ingegneria s.p.a. e Studio F. s.r.l., n.c.;
e con l'intervento di
ad opponendum:
- CO., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Piero D'Amelio, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, 7;
per l'annullamento
- della deliberazione dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture n. 65 del 23 dicembre 2008, comunicata alla ricorrente in data 30 dicembre 2008;
- di tutti gli atti antecedenti, connessi o conseguenziali.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2012 il Cons. Silvia Martino;
Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Espone la ricorrente di essere una società per azioni a capitale sociale interamente detenuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e di essere stata costituita in attuazione del disposto dell'art. 10 del d.l.gs n. 96 del 1993 (successivamente modificato dall'art. 20 del d.l. 8 febbraio 1995, n. 32, convertito in legge 7 aprile 1998, n. 104).
Ulteriori norme rilevanti sono rappresentate dalla l. 8 agosto 1995, n. 341, e, da ultimo, dall'art. 1, comma 503, della l. n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), che ha reso la società strumentale alle esigenze e finalità del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
A seguito di ciò, le Assemblee straordinarie del 21 dicembre 2007 e dell'11 aprile 2008 hanno modificato lo statuto sociale e individuato ulteriori obiettivi dell'attività di S..
Nello svolgimento della propria attività, così come configuratasi anteriormente alla citata modifica statutaria, la S. stipulava, in data 5 ottobre 2007, una Convenzione con il Commissario Delegato nominato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per fronteggiare la situazione di emergenza causata alle infrastrutture e dall'approvvigionamento idrico del Comune di Lipari.
La convenzione prevedeva lo svolgimento di servizi di carattere tecnico, amministrativo e progettuale di supporto all'attività del Commissario.
L'affidamento diretto veniva impugnato davanti a questo TAR dall'Ati L., con l'intervento ad adiuvandum della Federazione CO..
Successivamente, in data 5 agosto 2008, S. veniva invitata, dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, a fornire informazioni circa il predetto affidamento.
S. rappresentava all'Autorità che, in considerazione della pendenza di un giudizio innanzi al giudice amministrativo, non vi fossero i presupposti per un intervento della medesima.
La società, comunque, forniva tutte le informazioni richieste.
Con nota del 23 dicembre 2008, l'Autorità ha ritenuto che l'affidamento diretto da parte del Commissario Delegato, dei servizi di cui sopra, nonché di altri ancora menzionati nella delibera, sia avvenuto in violazione dei principi dell' "in house providing".
Inoltre, ha ritenuto illegittimi altri affidamenti effettuati dalla stessa S., in qualità di amministrazione aggiudicatrice, in quanto, a dire dell'Autorità, non avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina propria degli appalti dei settori speciali.
S. ha successivamente presentato un'istanza di riesame, rimasta, però, senza riscontro.
Deduce:
1. Incompetenza. Carenza di potere. Violazione dell'art. 6 del d.lgs. n. 163 del 2006. Difetto di istruttoria e di motivazione. Contraddittorietà con le precedenti deliberazioni adottate dall'Autorità.
Nonostante fosse consapevole del giudizio incardinato dall'ATI L. innanzi al TAR, l'Autorità ha deciso di intervenire in ordine alle stesse questioni che formano oggetto delle censure proposte nel giudizio pendente, concludendo con l'invio della deliberazione al Commissario delegato "per l'eventuale valutazione di competenza alla luce delle osservazioni formulate con la deliberazione"; in sostanza, l'Autorità ha chiesto al Commissario, di riesaminare i propri atti e di recepire i rilievi formulati.
Sotto tale profilo, reputa però che l'Autorità abbia esorbitato dai limiti delle proprie attribuzioni di vigilanza, pretendendo di incidere concretamente sulla fattispecie, sebbene nulla, al riguardo, sia previsto dall'art. 6 del d.l.gs n. 163/2006.
Cita, in proposito, un precedente reso dal TAR Piemonte (sentenza n. 1427 del 21 dicembre 2000).
Nella vicenda per cui è causa, inoltre, l'Autorità ha interferito con i poteri del giudice amministrativo poiché ha utilizzato i propri poteri di vigilanza, previsti dall'art. 6 del Codice, per sostituirsi a quest'ultimo ed intervenire in una vicenda ancora sub iudice.
Inoltre, avrebbe disatteso le proprie precedenti deliberazioni in materia, secondo le quali non ricorrono i presupposti per un proprio intervento in relazione ad esposti concernenti una questione già oggetto di ricorso giurisdizionale.
Detto principio è stato anche recepito e formalizzato in un regolamento interno, con particolare riguardo al procedimento per la soluzione delle controversie di cui all'art. 6, comma 7, lettera n) d.lgs. 163/2006.
2. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e violazione del principio del contraddittorio.
L'Autorità ha comunque del tutto omesso di informare la S. sia in quanto alla provenienza degli esposti da cui si originava l'istruttoria, sia quanto al preciso contenuto di detti esposti.
3. Violazione dell'art. 6 del d.lgs. n. 163 del 2006. Violazione degli artt. 7 e ss. della l. n. 241/90. Difetto di istruttoria per omessa evocazione di parti necessarie del procedimento. Illogicità manifesta.
Secondo l'Autorità, le convenzioni affidate alla S. per i servizi attinenti all'ingegneria e all'architettura sarebbe state sottoscritte in violazione dei principi dell' in house providing.
Parimenti, S. avrebbe affidato contratti pubblici relativi ai servizi di ingegneria a professionisti esterni in violazione del Codice dei Contratti.
Sulla base di tale assunto, l'Autorità ha ordinato alla S., pena le sanzioni di cui all'art. 6, commi 9 e 11, del Codice, di recepire le osservazioni formulate e comunicare i provvedimenti che intende assumere a tal fine.
Ha disposto altresì la trasmissione della deliberazione al Commissario Delegato per l'Emergenza nel Comune di Lipari per le medesime finalità, con l'obbligo di comunicare i provvedimenti che intende assumere all'Autorità, pena le sanzioni di cui all'art. 6, commi 9 e 11 del Codice.
In tal modo, però, avrebbe violato tutte le garanzie procedimentali nei confronti dei soggetti interessati dal provvedimento impugnato, imponendo a S. comportamenti e atti che mai potrebbero essere attuati senza il coinvolgimento di tali parti.
4. Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 96 del 1993, della l. 8 agosto 1995, n. 341 e dell'art. 1, comma 503, della l. n. 296 del 2006. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento dei principi comunitari sull'in house providing. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Secondo parte ricorrente, poiché nel caso di amministrazioni dello Stato non vi è distinta personalità giuridica dei singoli Ministeri, l'organismo in house di uno di essi deve intendersi come organismo in house di tutto l'apparato centrale dello Stato.
A riprova di tanto ricorda come la legge affidi un unico difensore, l'Avvocatura dello Stato, la rappresentanza in giudizio di tutte le amministrazioni dello Stato (cfr. art. 1 e 13 del r.d. n. 1611 del 1933).
Nella fattispecie in esame sussistono comunque tutti i requisiti per considerare in house gli affidamenti effettuati a favore di S..
Sottolinea, in particolare, che il proprio capitale sociale è interamente detenuto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, e che lo statuto vieta l'ingresso di soci privati.
La società è altresì soggetta al controllo della Corte dei Conti.
Anche in occasione della procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea, si è rilevato che il 100% del capitale di S. è detenuto dal Governo italiano, il quale nomina i membri del CdA e del Collegio sindacale oltre ad approvare preventivamente gli obiettivi dell'attività della società.
5.Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 96 del 1993, della l. 8 agosto 1995, n. 431 e dell'art. 1, comma 503, della. n. 296 del 2006. Eccesso di potere per difetto nei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria e di motivazione.
Le Convenzioni stipulate da S. con il Commissario di Governo per l'emergenza ambientale si pongono in attuazione di atti normativi e statutari vigenti sino al 21.12.2007.
Tutte le convenzioni hanno ad oggetto attività rientranti nelle competenze del Ministero dell'Ambiente.
6. Violazione e falsa applicazione degli articoli 215 e 238 del d.lgs. n. 163 del 2006. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione e falsa applicazione degli artt 31, 209, 217 del d.lgs. n. 163 del 2006.
S. ritiene, infine, che l'Autorità abbia errato nel censurare gli affidamenti effettuati da S. aventi ad oggetto servizi di ingegneria. Essa, infatti, non ha considerato le soglie comunitarie proprie dei settori speciali.
Si è costituita, per resistere, l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.
E' intervenuta, ad opponendum, l'Associazione Confindustria Servizi Tecnologici ed Innovativi.
L'Autorità ha depositato una memoria, in vista della pubblica udienza dell'11 gennaio 2012, alla quale il ricorso è stato assunto in decisione.
2. Il ricorso è inammissibile, non avendo, l'atto impugnato, natura provvedimentale.
Al riguardo il Collegio aderisce ai precedenti resi, in materia, dal Consiglio di Stato (cfr., in particolare, Cons. St., VI, sentenza n. 5317 del 12.9.2006; id., n. 2503 del 3 maggio 2010) nei quali, sia pure con riferimento al sistema disegnato dalla l. n. 109 del 1994, è stato evidenziato come l'intimata Autorità "non sia stata dotata di poteri di supremazia gerarchica nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici, statali o locali, così da poter ipotizzare un potere di annullamento per vizi di legittimità dei provvedimenti da queste adottati in tema di affidamento di lavori pubblici".
A conforto di tale assunto il Consiglio di Stato ha richiamato la disposizioni contenute nel comma 9 dell'art. 4 della l. n. 109/94 "a mente del quale, qualora, a seguito dell'esercizio dei poter ispettivi o di verifica, l'Autorità accerti l'esistenza di irregolarità, essa è tenuta a trasmettere gli atti ed i propri rilievi agli organi di controllo e, se le irregolarità hanno rilevanza penale, agli organi giurisdizionali competenti; nel caso di pregiudizio per il pubblico erario, gli atti ed i rilievi sono trasmessi anche ai soggetti interessati e alla procura generale della Corte dei Conti".
In precedenza la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 482 del 7 novembre 1995, aveva scolpito la natura dell'organismo di nuova istituzione quale Autorità indipendente, chiamata "ad operare in piena autonomia rispetto agli apparati dell'esecutivo ed agli organi di ogni amministrazione" ed attributaria di una "funzione di vigilanza e garanzia" basata sulla "conoscenza completa ed integrata dei settore dei lavori pubblici", nell'esercizio della quale non sostituisce né si surroga ad alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo bensì esprime "una funzione di garanzia, in ragione della quale è configurata l'indipendenza dell'organo".
Ai fini che occupano, i compiti in materia di vigilanza già attribuiti all'Autorità dalla legge Merloni sono stati confermati dal Codice dei Contratti.
L'art. 6 del d.lgs. n. 163/2006, al comma 7, ne ha infatti ribadito le, ormai consolidate, attribuzioni di vigilanza "sull'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare vigente", unitamente alla possibilità di verificare "anche con indagini campionarie, la regolarità delle procedure di affidamento"; di accertamento "che dall'esecuzione dei contratti non sia derivato pregiudizio per il pubblico erario"; di segnalazione al Governo e al Parlamento di "fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di applicazione distorta della normativa sui contratti pubblici"; di esercizio "dei poteri sanzionatori ad essa attribuiti"; nonché, infine, di vigilanza "sul sistema di qualificazione con le modalità stabilite dal regolamento di cui all'articolo 5", ancorché, in tale specifico settore, le siano stati assegnati nuovi poteri, consistenti nell'annullamento "in caso di constatata inerzia degli organismi di attestazione" delle attestazioni "rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme vigenti" ovvero nella sospensione, in via cautelare, delle attestazioni stesse.
Strumentale all'esercizio dei predetti compiti è la possibilità espressamente prevista di richiedere "alle stazioni appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, alle SOA nonché ad ogni altra pubblica amministrazione e ad ogni ente, anche regionale, operatore economico o persona fisica che ne sia in possesso, documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti", nonché di "disporre ispezioni, anche su richiesta motivata di chiunque ne abbia interesse, avvalendosi anche della collaborazione di altri organi dello Stato"; nonché ancora di "disporre perizie e analisi economiche e statistiche nonché la consultazione di esperti in ordine a qualsiasi elemento rilevante ai fini dell'istruttoria" (comma 9, lett. a, b, e c).
A presidio del corretto esercizio dell'attività di vigilanza, è prevista l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti dei soggetti che rifiutino, od omettano, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti, richiesti dall'Autorità, ovvero ancora nei confronti degli operatori economici che non ottemperino alla richiesta della stazione appaltante o dell'ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, nonché, infine, nei confronti degli operatori economici che forniscono dati o documenti non veritieri, circa il possesso dei requisiti di qualificazione, alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori a agli organismi di attestazione (comma 11).
Non appare inutile ricordare come, in merito ai poteri ispettivi e sanzionatori dell'Autorità, la Corte Costituzionale (sentenza n. 482 del 1995, cit.), abbia osservato che anche le ispezioni o le indagini a campione, che l'Autorità può disporre, "sono strumentali per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e non comportano ingerenze negli indirizzi e nelle scelte relative alla realizzazione delle opere. Il potere dell'Autorità di sanzionare con provvedimento amministrativo l'omessa o non veridica trasmissione di dati richiesti, già riconosciuto ad altre autorità indipendenti, è connesso al rispetto dell'obbligo di comunicare gli elementi di informazione necessari per l'esercizio delle funzioni di vigilanza."
2.1. Nel caso di specie, con la deliberazione impugnata, l'Autorità, ha espresso il suo giudizio sulla vicenda oggetto di segnalazione, ritenendo, in particolare che S. s.p.a. "debba svolgere esclusivamente le attività strumentali alle esigenze e finalità del Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, fornendo le proprie prestazioni sostanzialmente in via esclusiva a quest'ultimo" e che, in quanto amministrazione aggiudicatrice, nella specie dell'organismo di diritto pubblico, facente capo ad una autorità governativa centrale, "sia tenuta all'applicazione della parte I e della parte II, titoli I e II, nonché della parte IV"del d.lgs. n. 163/2006.
Ha, inoltre, espressamente censurato l'operato della società in quanto "nell'affidare i servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria ha ripetutamente violato le previsioni dell'art. 91, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 163/2006".
In ragione di quanto precede, ha quindi invitato S. a recepire, ai sensi dell'art. 6, commi 9 e 11, le osservazioni formulate e a comunicare gli eventuali provvedimenti adottati al fine di adeguare il proprio operato ai rilievi mossi.
Tale essendo il tenore della delibera, deve convenirsi con la difesa dell'Autorità che la stessa non reca alcuna statuizione di carattere costitutivo, in quanto non dispone l'annullamento o, comunque, la privazione degli effetti, di alcuno degli atti adottati da S., ovvero dei contratti in essere.
Si tratta, in sostanza, più che di una manifestazione di volontà, di una rappresentazione di giudizio, con il contestuale invito rivolto a S. (e ai soggetti pubblici con i quali intrattiene rapporti) ad esercitare i propri poteri di autotutela.
Al riguardo, è bene precisare che anche tale invito non ha carattere imperativo poiché, da un lato, come già evidenziato, l'Autorità non è stata dotata del potere di modificare autoritativamente le situazioni da esse reputate contra legem, mentre, dall'altro, le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal cit. art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 163/2006, attengono, per quanto qui interessa, esclusivamente alla violazione degli obblighi di collaborazione posti in capo alle stazioni appaltanti, agli operatori economici nonché alle persone fisiche che siano in possesso di "documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare [...]".
Quanto, poi, alla circostanza che, sulle stesse questioni sottoposte all'esame dell'Autorità, fosse pendente un ricorso giurisdizionale, rileva il Collegio che la possibilità che essa si esprima su fattispecie oggetto di contenzioso è, a ben vedere, del tutto fisiologica.
Sul piano strettamente giuridico, non può infatti ravvisarsi interferenza alcuna, attesa l'ontologica differenza sussistente tra la funzione giurisdizionale e l'attività amministrativa di vigilanza di cui, in precedenza, si sono richiamati i tratti essenziali.
In definitiva, la delibera impugnata, costituisce soltanto, una, per quanto autorevole, opinione dell'Autorità, inidonea, come tale, ad arrecare un concreto pregiudizio nella sfera giuridica della ricorrente.
3. In ragione delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Sembra equo, peraltro, in ragione della peculiarità della fattispecie, disporre la compensazione delle spese.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso, di cui in premessa, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Giorgio Giovannini
L'ESTENSORE
Silvia Martino
IL CONSIGLIERE
Roberto Politi
Depositata in Segreteria il 21 febbraio 2012
Il c.d. "patentino" per la vendita di generi di monopolio: quando, come e perchè...
Venerdì 03 Febbraio 2012 08:07
Melita Manola
N. 2/2012 Reg. Prov. Coll.
N. 191 Reg. Ric.
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 191 del 2011, proposto da:
M. P., rappresentata e difesa dall'avv. Emilio Mattei, con domicilio eletto presso l'avv. Luigi Giacomo Scassellati Sforzolini in Perugia, piazza Danti, 28;
contro
Ufficio Regionale Toscana Umbria della Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato- Sezione di Perugia; Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato; Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Perugia, via degli Offici, 14;
nei confronti di
V. T., S. P.;
per l'annullamento
provvedimento del 15.2.2011 p.n. 6570 (rigetto istanza finalizzata al rilascio del patentino per la vendita di prodotti di monopolio).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il dott. Cesare Lamberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Nella qualità di titolare dell'esercizio bar caffè "...omissis..."' in Umbertide, la sig.ra M. P. ha richiesto in data 25 gennaio 2010 all'Ufficio Regionale dei Monopoli di Stato Toscana e Umbria, Sezione di Perugia, il rilascio del patentino per la vendita dei generi di monopolio.
Rappresentava, al proposito, che la rivendita più vicina (la rivendita n. ...omissis...) era ubicata in Umbertide, via ...omissis..., era dotata di distributore automatico ed era posta a ml. 307 dal proprio esercizio commerciale, con apertura quotidiana dalle ore 6,00 alle ore 24,00.
Con nota prot. n. 47500, dal 16 novembre 2010, l'Amministrazione autonoma comunicava alla richiedente che l'istanza non poteva essere accolta in quanto la zona al momento era servita dalla rivendita n. 31, allocata a meno di 300 metri, munita di distributore automatico di sigarette che garantisce la distribuzione e vendita dei tabacchi anche negli orari di chiusura delle privative.
L'Amministrazione soggiungeva che i menzionati punti vendita, supportati dal distributore automatico, garantiscono una erogazione costante del servizio: il rilascio della richiesta autorizzazione, non ampliando in maniera significativa il servizio di vendita avrebbe costituito una duplicazione non consentita dei punti vendita, provocando notevole squilibrio nell'assetto distributivo.
Con comunicazione del 26 novembre 2010, la sig.ra P. replicava che il tragitto da considerare in maniera idonea a garantire la pubblica incolumità (perché conforme alla segnaletica e alle strisce pedonali) fra il proprio esercizio e la rivendita n. 31 era di 307 ml. e non a meno di 300 ml. e che il proprio esercizio garantisce una inequivocabile edivsione della preesistente struttura di vendita per gli orari di apertura asserviti e per il flusso di clientela.
Ciononostante la richiesta è stata rigettata con il provvedimento prot.n. 6750 del 15 febbraio 2011, sull'assunto che l'edivsione abitativa e commerciale della zona era stata già riconosciuta con l'istituzione della rivendita ordinaria n. 39 nelle immediate adiacenze del locale proposto e a breve distanza dalla privativa n. 31, provvista di distributore automatico che fornisce servizio continuativo nell'arco delle 24 ore.
Con una serie di censure articolate si denuncia la violazione degli artt. 19 e 23, L.n. 1293/1957, dell'art. 54 D.P.R. n. 1074/1958 e delle circolari n. 375 UDG in data 1/8/2005, n. 04/63406 del 25/9/2001, e della circolare n. 04/64713 del 28/11/2001, in relazione ai criteri in materia di rilascio di patentini per quanto attiene alla distanza con la rivendita più vicina.
La ricorrente ha presentato memoria ed ha prodotto ulteriori documenti.
L'Avvocatura dello Stato costituitasi in giudizio ha contestato l'applicazione della circolare n. 375 UDG del 1^ agosto 2005 in quanto integrativa e non abrogativa delle precedenti: rimane fermo il divieto di rilascio del patentino in presenza di distributore automatico a distanza inferiore da quella minima prevista nella specie di 300 metri dalla rivendita n. 31.
DIRITTO
Nella memoria in data 25 maggio 2011, l'Avvocatura dello Stato sostiene che la circolare n. 375 UDG del 1^ agosto 2005 non avrebbe superato le precedenti sul divieto di rilascio del patentino alla distanza di meno di trecento metri e alla presenza di un distributore automatico.
Secondo l'amministrazione, il limite di distanza di cento metri, previsto dalla suddetta circolare, è infatti applicabile qualora la rivendita più vicina sia priva di distributore automatico in modo da soddisfare comunque all'esigenza di ampliamento dell'offerta durante le ore di chiusura della rivendita a mezzo del distributore meccanico.
Sempre secondo l'Avvocatura, il riferimento fondamentale sull'attività inerente la rete distributiva rimane quindi la circolare 04/63046 del 25 settembre 2001 che fissa la distanza minima in trecento metri: rispetto ad essa la circolare n. 375/UDG/2005 fissa criteri ancor più restrittivi, escludendo la possibilità di rilascio del patentino nei locali ubicati a distanza inferiore ai cento metri anche nelle ipotesi in cui il locale del richiedente sia rappresentato da un bar in possesso di adeguate strutture per l'intrattenimento della clientela.
La tesi dell'Amministrazione è da disattendere, avuto riguardo all'indirizzo dell'adìto tribunale espresso nella decisione n. 444/2010 del 31 agosto 2010.
In detta sede è stato affermato che l'Amministrazione dei Monopoli, nel valutare le domande di autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita dei tabacchi, deve essenzialmente avere riguardo: a) all'interesse pubblico alla tutela della concorrenza e dei consumatori, i quali traggono evidenti benefici dall'esistenza di una rete di vendita capillare e comodamente accessibile, strutturata su orari e modalità di offerta al pubblico differenziati; b) all'interesse pubblico alla massimizzazione degli introiti finanziari della stessa Amministrazione. Di fronte a detti interessi ed alla stessa tutela della libertà di iniziativa economica privata, è secondario l'interesse a salvaguardare la stabilità della rete di vendita, mediante la fissazione di presupposti e limiti che condizionino l'apertura di nuovi punti vendita. Nella società contemporanea, la garanzia dell'erogazione del servizio sembra infatti assicurata dalla diffusione degli esercizi commerciali e nell'ambito delle opportunità di aggregazione sociale.
In questa prospettiva, il "patentino" svolge una funzione integrativa e sussidiaria della normale rete formata dalle rivendite, ed il rilascio di esso deve essere valutato alla luce dell'utilità che potrebbe apportare al servizio, per fronteggiare con un'offerta più comoda una domanda potenzialmente già presente nella zona d'intervento. Tanto si desume dalla giurisprudenza formatasi nel corso degli anni sull'interpretazione delle circolari applicative emanate dai Monopoli, ai sensi dell'articolo 54 del regolamento di cui al d.P.R. 1074/1958, per stabilire i predetti presupposti e limiti; vale a dire, per assicurare il concreto e corretto esercizio del potere discrezionale, nel rispetto dei principi costituzionali fissati dall'articolo 97 della Costituzione ed al fine di realizzare il giusto contemperamento degli interessi in gioco (cfr. Cons. Stato, IV, 22 giugno 2006, n. 3965; 9 novembre 2005, n. 6242; 10 luglio 1986, n. 834; vedi anche, 14 ottobre 2008, 4982).
Tanto basta a respingere le difese dell'Avvocatura incentrate sull'inesistenza dei presupposti per il rilascio del patentino parametrati sulle circolari n. 04/63406 in data 25 settembre 2001 e n. 04/64713 in data 28 novembre 2001, in presenza di una rivendita con distributore automatico di sigarette posto al di sotto della distanza minima di 300 metri.
Conformemente all'indirizzo del Tribunale, va confermata l'applicazione della circolare prot. 375/UDG in data 1 agosto 2005, invocata dalla ricorrente. Questa, infatti, ha ad oggetto la "Nuova regolamentazione delle procedure di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini", e (pur prendendo spunto da un'occasione particolare, quale l'introduzione della normativa antifumo) concerne "i nuovi sottostanti indirizzi, per la valutazione della effettiva necessità di integrare la rete primaria, costituita dalle rivendite, che dovranno essere rispettati nella fase di rilascio, rinnovo e voltura dei patentini".
Innovando i criteri precedentemente vigenti, la circolare prevede unicamente che "Per il rilascio non sarà più presa in considerazione la presenza nel locale della sala di intrattenimento in quanto scarsamente compatibile con le predette norme antifumo, ma si farà esclusivo riferimento alla effettiva rilevanza, collocazione e frequentazione dello stesso. Si eviterà, tuttavia, di procedere al rilascio di patentini in locali ubicati ad una distanza inferiore a metri 100 dalla rivendita più vicina".
Diversamente da quanto assume l'Avvocatura dello Stato, la circolare prot. 375/UDG del 1^ agosto 2005 introduce un criterio di distanza minima, evidentemente incompatibile con l'applicazione di quelli (più articolati, ma comunque basati sulla distanza) previsti dalle precedenti circolari, che funziona come limite oggettivo all'esercizio di una valutazione discrezionale che deve riguardare la "rilevanza, collocazione e frequentazione" del locale.
Vale a dire, la potenzialità di dar luogo ad una integrazione della rete di vendita, e non ad una duplicazione dei punti vendita. Prospettiva questa che coincide con quella indicata dalla giurisprudenza sopra ricordata, che, risulta coerente con i principi costituzionali.
Rimane pertanto accolta la censura in esame nella parte in cui denuncia l'illegittimità del diniego in ragione della presenza di un distributore automatico presso la rivendita n. 31 di Umbertide, posto a distanza inferiore ai trecento metri dall'esercizio della ricorrente.
In disparte la questione della corretta individuazione della rivendita n. 31 come la rivendita più vicina all'esercizio della ricorrente, in presenza dell'istituzione della nuova rivendita n. 39 non dotata di distributore automatico, resta insuperata la contestazione della ricorrente circa il criterio di calcolo della distanza minima. Dalla documentazione in atti risulta che la distanza dall'esercizio dalla ricorrente della rivendita n. 31 (dotata di distributore automatico) è pari a trecentosette metri: tanto si attesta nella nota prot. n. 18640/2009 in data 31 ottobre 2009 del tecnico del Comune di Umbertide.
A fronte dell'espressa attestazione del Comune che, nel valutare la distanza, ha tenuto conto dell'attraversamento servito da strisce pedonali, è del tutto irrilevante quanto si riporta nella nota 26 settembre 2008 dalla Federazione italiana Tabaccai, dove la distanza rispetto alla rivendita n. 31 è indicata in centottantasette metri e quanto si afferma nel sopralluogo 30/4/2009 dall'AAMS, dove la misurazione con rotella indica una distanza fra i due esercizi in metri duecentoventi, considerando il passaggio pedonale più breve.
Il percorso è stato infatti calcolato ritenendo possibile l'attraversamento di fronte alla rivendita anche in mancanza di strisce pedonali perché all'apparenza sicuro per i pedoni. In tema di misurazione di distanza tra rivendite di generi di monopolio, il principio prevalente nella giurisprudenza amministrativa è che la distanza va calcolata sulla base del percorso pedonale minimo determinato col rispetto delle norme del codice della strada avuto riguardo all'attraversamento regolato dalle strisce pedonali secondo quanto disposto nel comma 2 dell'art. 190 cod. strada (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 04/05/2005, n. 1918). Detta giurisprudenza trova conforto in quella del giudice ordinario secondo la quale il pedone che si accinga ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell'ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l'intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti (Cass. civile, sez. III, 30/09/2009, n. 20949) e l'eventuale comportamento colposo del pedone, per non avere questi fatto uso delle strisce pedonali, può essere valutato ai fini civilistici del risarcimento del danno (Cass. penale, sez. IV, 13/10/2010, n. 41554).
Il ricorso deve conclusivamente essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto lo accoglie, con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione impugnato.
Condanna l'amministrazione intimata alle spese del presente giudizio che liquida nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00), in favore della ricorrente:
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE-ESTENSORE
Cesare Lamberti
IL CONSIGLIERE
Carlo Luigi Cardoni
IL CONSIGLIERE
Pierfrancesco Ungari
Depositata in Segreteria il 13 gennaio 2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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Martedì 31 Gennaio 2012 08:40
Carmelo Anzalone
N. 353/2012 Reg. Prov. Coll.
N. 3047 Reg. Ric.
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3047 del 2007, proposto da:
Società P. Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Piero Nodaro, presso il quale è elettivamente domiciliata, in Roma, Via Crescenzio, n. 25;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato;
nei confronti di
Banca, in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituito;
per l'annullamento
del decreto n. B2/RC/9/152084 del 17 gennaio 2006, con cui sono stati revocati i decreti di concessione del contributo ex lege n. 488 del 1992, con erogazione della prima quota pari ad euro 766.091,51;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1^ dicembre 2011 il cons. Rosa Perna e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 19 marzo 2007 e depositato il successivo 11 aprile, la Società ricorrente impugna il decreto ministeriale di cui in epigrafe, con cui vengono revocati i Decreti nn. 91840 del 9 aprile 2001 e 122874 del 9 giugno 2003 di concessione provvisoria del contributo ex lege n. 488 del 1992, con erogazione di una prima quota pari ad euro 766.091,51.
Il predetto provvedimento è stato adottato ai sensi dell'art. 3, comma 9, della Circolare n. 900315 del 14 luglio 2000, in quanto dall'analisi della documentazione presentata in occasione della dimostrazione del secondo stato di avanzamento dei lavori è emerso che alcune fatture relative ai macchinari facenti parte del programma di spesa agevolato sono state emesse in data antecedente a quella di presentazione della domanda (23 ottobre 2000).
Con un unico ed articolato motivo, parte ricorrente deduce l'eccesso di potere per ingiustizia manifesta, abnormità e comportamento arbitrario, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, violazione di legge; conclude per l'accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
Né l'Amministrazione né la Banca si costituivano in giudizio.
Con ordinanza collegiale n. 2012/2007 del 3 maggio 2007 veniva respinta la domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.
Con successiva ordinanza collegiale n. 1480/2009 del 15 ottobre 2009 la Sezione, ritenuta la propria giurisdizione sul caso in esame, ordinava incombenti istruttori, cui l'Amministrazione intimata provvedeva con nota del 12 settembre 2009.
All'Udienza Pubblica del 1^ dicembre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Come la Sezione ha già evidenziato con ordinanza collegiale n. 1480/2009, nel caso in esame non si controverte della revoca, in senso proprio, di contributi concessi in via provvisoria, a seguito di inadempimento del beneficiario agli obblighi imposti dalla legge o dagli atti concessivi del contributo, con conseguente perdita del diritto soggettivo, già acquisito, alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere, e conseguente giurisdizione del Giudice ordinario (Cass. Civ., SS.UU., 8 gennaio 2007 n. 117; 12 febbraio 1999 n. 57; 7 luglio 1988 n. 4480; 28 maggio 1986 n. 3600; Cons. Stato, VI Sez., 22 novembre 2004 n. 7659; IV Sez., 15 novembre 2004 n. 7384; 1 aprile 2004 n. 1822; VI Sez. 3 novembre 2003 n. 6826; 20 giugno 2003 n. 7659; 9 maggio 2002 n. 2539).
La fattispecie all'esame del Collegio concreta, piuttosto, un'ipotesi di autoannullamento della precedente delibera di concessione, cui l'Amministrazione ha fatto ricorso avendo riscontrato, seppure in sede di rendicontazione finale, un vizio di legittimità che inficiava ab initio il procedimento concessorio, vale a dire l'avvio dell'investimento agevolato, da parte della beneficiaria, in data antecedente alla presentazione del modulo di richiesta delle agevolazioni finanziarie. Nei confronti dell'Autorità concedente la beneficiaria vanta, pertanto, una posizione di interesse legittimo, per la cui tutela ha giurisdizione il Giudice Amministrativo (Tar Lazio, III ter, 18 maggio 2010, n. 11829; id., 4 maggio 2010, n. 9351).
Venendo al merito del gravame, l'odierna deducente assume che erroneamente l'Amministrazione avrebbe posto alla base del provvedimento impugnato le deduzioni della Banca concessionaria: quest'ultima, infatti, dapprima, in sede di approvazione della richiesta di agevolazione, ha accettato le fatture in questione, risalenti all'anno 2000, poi ha mutato opinione e chiesto la revoca delle agevolazioni per esistenza di "fatture precedenti alla data di presentazione del modulo della domanda".
Al contrario, nessuna di dette fatture riguarderebbe il piano di investimento approvato, poiché alcune si riferirebbero a materiale di consumo ed altre sarebbero relative ad impianti e macchinari oggetto di altro investimento agevolato, concesso nel 1999.
Il provvedimento impugnato sarebbe lesivo anche del principio di correttezza e buona fede, poiché l'Amministrazione ha lasciato trascorrere anni prima di dare la possibilità alla ricorrente di contraddire utilmente quanto addebitatole e produrre idonea documentazione a supporto della propria correttezza
Prima di passare allo scrutinio dei motivi di ricorso, appare utile il richiamo al contesto normativo di riferimento, nazionale ed europeo, nel quale la fattispecie va inquadrata.
Si osserva preliminarmente che l'intervento agevolativo in questione, erogabile ai sensi della legge n. 488/92 a sostegno dei programmi di investimenti produttivi realizzati dalle imprese nelle aree depresse del Paese, risultava disciplinato dal d.m. n. 527 del 20.10.1995 come modificato e integrato, da ultimo, dal d.m. n. 133 del 9.3.2000 e dalla circolare esplicativa n. 900315 del 14.7.2000.
Al 31 dicembre 1999 scadeva la validità del regime di aiuto ai sensi della legge 488/92 e pertanto veniva avviata una nuova procedura, ai sensi degli artt. 87 e segg. del Trattato, al fine di ottenerne la proroga per il periodo 2000-2006; in esito ad essa, il regime di aiuto 488/92 veniva autorizzato, per il detto periodo, con la decisione della Commissione europea del 12 luglio 2000, che per le domande presentate a partire dall'anno 2000 introduceva nuove misure massime agevolative e nuove regole ai fini dell'ammissibilità delle spese.
In particolare, come condizione ordinaria di ammissibilità delle nuove domande veniva previsto che "le domande di aiuto devono essere presentate prima dell'inizio della esecuzione dei progetti di investimento"; detta condizione, contenuta nella premessa della precitata Decisione della Commissione europea, era cogente e fungeva da presupposto rispetto alla procedura di aiuti alle imprese, condizionandola nel suo complesso e, proprio in ragione della sua collocazione, delimitando in limine l'ambito degli aiuti ammissibili a livello comunitario.
Tali disposizioni comunitarie, peraltro già in sé chiare, precise e non condizionate, e pertanto, come da consolidata giurisprudenza comunitaria, immediatamente applicabili dallo Stato membro, venivano prontamente recepite con il d.m 14 luglio 2000, finalizzato ad un pronto adeguamento alla norma comunitaria, in conformità dell'art. 2, comma 9, del citato d.m. n. 527/1995 (come modificato dal d.m. n. 133/2000), secondo il quale "Le misure agevolative massime consentite, determinate sulla base delle spese ammissibili di cui all'articolo 4, sono quelle individuate con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato entro i limiti massimi decisi dalla Commissione europea ".
Con il d.m. 14 luglio 2000, invero, per le nuove domande di agevolazioni veniva stabilita "l'applicabilità delle misure di agevolazione esclusivamente sulla base delle spese inserite in programmi di investimento avviati a partire dal giorno successivo a quello di presentazione delle domande".
A proposito della nuova previsione normativa, il Collegio osserva incidentalmente che la giurisprudenza del Consiglio di Stato si pronunciava nel senso che l'ammissione al finanziamento di interventi già avviati, in fatto, prima della presentazione della domanda di aiuto, avrebbe violato i principi comunitari di addizionalità e necessità in tema di aiuti di Stato, vale a dire i principi secondo cui l'incentivo economico di fonte pubblica deve essere volto a favorire un investimento che l'operatore non avrebbe realizzato in assenza dell'aiuto e non già a compensare ex post scelte di investimento che l'imprenditore avrebbe comunque realizzato anche in assenza dell'incentivo (Cons. Stato, parere n. 1960/2006 del 16.5.2006).
Il quadro normativo interno veniva quindi completato con le modalità operative definite dalla circolare 14 luglio 2000, n. 9003125, recante, sul piano ordinario, la pedissequa previsione di cui al punto 3.9 della circolare ("Con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 14.7.2000, assunto in ottemperanza a quanto previsto dall'art. 2, comma 9 e dall'art. 4, comma 2 del regolamento, sono state recepite le indicazioni formulate dalla Commissione europea in sede di autorizzazione del regime d'aiuto della legge n. 488/92 per il periodo 2000-2006, prevedendo, tra l'altro, l'ammissibilità alle agevolazioni delle suddette spese solo ed esclusivamente qualora inserite in programmi di investimento avviati a partire dal giorno successivo a quello di presentazione del Modulo della domanda di cui ai successivi punti 5.3 e 5.4").
Alla luce della ricostruzione normativa sin qui svolta e valutate le risultanze istruttorie, prive di fondamento debbono ritenersi le questioni agitate con il ricorso in epigrafe.
In via generale, nella materia delle agevolazioni pubbliche il provvedimento definitivo sulla domanda di agevolazioni consegue al complesso di accertamenti volti a verificare la sussistenza del diritto al pieno godimento dei contributi da parte del richiedente, una volta adempiuti gli obblighi posti in capo allo stesso, ovvero la decadenza dai contributi stessi, con conseguente revoca, totale o parziale, quando addirittura la domanda non venga dichiarata inammissibile o estromessa, per mancanza in radice dei presupposti di ammissibilità.
E invero, come ritenuto dalla giurisprudenza comunitaria, in materia di aiuti di Stato in situazioni in cui difettino i richiesti presupposti di legge, l'autotutela della p.a. è indefettibile e pertanto l'affidamento del privato diviene recessivo, affermandosi che il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale nei limiti in cui tale applicazione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la relativa incompatibilità con il mercato comune sia stata dichiarata con decisione definitiva della Commissione delle Comunità europee (Corte di Giustizia, sent. 18 luglio, 2007 C-119/05).
Anzi, nel caso di erogazione di aiuti di Stato in verificato contrasto con la normativa comunitaria, il provvedimento attributivo del vantaggio concreta la lesione della parità concorrenziale tra le ditte richiedenti, che rappresenta uno dei valori fondamentali del diritto comunitario, e pertanto, a rigore, neanche può ipotizzarsi un legittimo affidamento.
Nel caso di specie, la revoca delle agevolazioni veniva disposta in quanto la relativa domanda era risultata priva della predetta condizione di ammissibilità, stante che la banca concessionaria riscontrava che il programma agevolato non era stato avviato in data successiva a quella in cui era stata presentata la domanda di ammissione ai benefici, cioè il 23.12.2000.
Va peraltro sottolineato che la banca concessionaria viene autonomamente prescelta dalla singola impresa tra quelle convenzionate con l'Amministrazione per l'espletamento del servizio in questione ed è l'unico soggetto legittimato ad effettuare l'istruttoria delle pratiche di finanziamento.
Come documentato dall'Amministrazione intimata con l'incombente istruttorio anzidetto, il tecnico incaricato della banca, nel corso del sopralluogo effettuato presso lo stabilimento della ditta ricorrente, appurava che alcune fatture erano state emesse in data antecedente quella di presentazione della domanda.
Malgrado la ricorrente avesse dichiarato che tali fatture erano inerenti a materiale di consumo e ricambi, il tecnico accertava invece che le stesse erano relative a macchinari facenti parte del programma di spesa agevolato e direttamente rintracciabili nell'allegato tecnico fornito all'epoca dell'istruttoria.
Ed essendo stato rilevato che la ditta, tra le spese rendicontate, ne aveva incluse alcune effettuate in data antecedente quella di presentazione della domanda, l'Amministrazione non poteva trascurare le risultanze di tale verifica.
D'altra parte, non può tralasciarsi di considerare che, ai sensi dell'art. 2.1 della ripetuta circolare n. 900315/2000, il primo titolo di spesa (fattura) costituisce "avvio" del programma di investimenti.
Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente,, anche gli acconti per l'acquisto di macchinari costituiscono "avvio" del programma, allorquando per il pagamento degli stessi sul prezzo finale venga rilasciata apposita fattura in quanto come data di effettuazione della spesa dovrà considerarsi quella del titolo stesso.
E infatti, come la Sezione ha avuto modo di affermare, se il versamento di acconti o caparre prima della data di presentazione della domanda di ammissione ai benefici non rende di per sé inammissibile il contributo concesso, non essendo questa una circostanza in sé rilevante, tale versamento diventa di contro rilevante allorquando, a fronte del pagamento degli stessi a valere sul prezzo finale, venga rilasciata apposita fattura il cui importo venga poi scomputato da quello della fattura rilasciata all'atto della cessione bene, come avveniva nel caso di specie; pertanto, in relazione agli acconti in parola quale data di effettuazione della spesa doveva considerarsi quella di emissione delle relative fatture, antecedente alla data di presentazione del modulo di domanda per agevolazioni (cfr. in termini, Tar Lazio, III ter, 11 ottobre 2010, n. 32742; id., 18 maggio 2010, n. 11829; id., 4 maggio 2010, n. 9351).
Nel caso specifico, dunque, la ditta incorreva in una violazione della normativa che comportava la revoca dei contributi già concessi, tenuto conto che, anche se non enunciato nelle ipotesi previste dall'art. 8 del regolamento (d.m. n. 527/95), l'avvio anticipato degli investimenti comporta la revoca delle agevolazioni e trova la sua ratio nell'inammissibilità del finanziamento, inammissibilità rilevata nel corso dell'attività di verifica della banca.
Non può trovare accoglimento, quindi, l'argomentazione della odierna deducente, secondo la quale il provvedimento di revoca sarebbe illegittimo perché adottato al di fuori delle ipotesi di revoca delle agevolazioni previste dall'art. 8 del regolamento.
E infatti, non può farsi a meno di rilevare che la "revoca" del finanziamento è conseguenza diretta ed immediata della accertata inammissibilità "ab origine" della domanda, di tal che ad una richiesta inammissibile non può che corrispondere la decadenza dai benefici economici provvisoriamente conseguiti, senza che sia necessaria una esplicita previsione normativa in proposito (Tar Lazio, III ter, 2 marzo 2010, n. 3229).
Né infine rileva la circostanza, richiamata dall'interessata, secondo cui alcune delle fatture contestate avrebbero riguardato spese totalmente estranee al progetto agevolato. E invero, come sostenuto dalla difesa erariale, è onere della ditta beneficiaria accertare la pertinenza delle spese presentate rispetto al programma agevolato, non potendo imputarsi all'Amministrazione errori materiali commessi dalla beneficiaria (Tar Lazio, III ter,18 maggio 2010, n. 11829).
Tanto considerato, la banca concessionaria, esaminate attentamente le controdeduzioni formulate dalla ditta, riteneva comunque di mantenere ferma la proposta di revoca del contributo, considerandola pienamente legittima e il Ministero emanava l'impugnato decreto di revoca.
Osserva in proposito il Collegio che l'emissione del provvedimento revocatorio era un atto dovuto, e che pertanto legittimamente l'intimato Ministero revocava il precedente decreto di ammissione della società alle agevolazioni in questione, avendone rilevato, sia pure ex post, la non ammissibilità in radice.
A tal proposito, osserva il Collegio che proprio alla banca concessionaria, in virtù del rapporto di concessione con la p.a., è demandato il compito di assistere la stessa Amministrazione nello svolgimento dell'attività amministrativa nella materia dei finanziamenti agevolati e che, come affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 3.4.2001, n. 5918), le valutazioni dell'istituto di credito concessionario sono espresse nell'esercizio di discrezionalità tecnica, non sindacabile nella sede di legittimità se non per vizi di macroscopica illogicità, nella specie non ravvisabili né, peraltro, censurati.
Di conseguenza, l'atto impugnato veniva motivato per relationem con riferimento agli accertamenti istruttori espressamente richiamati dal provvedimento di revoca, come era ben possibile, atteso che la partecipazione al procedimento amministrativo attraverso la predisposizione di memorie a propria difesa, come questa Sezione ha già avuto modo di affermare, non implica che le tesi difensive debbano necessariamente essere accolte né che l'Amministrazione debba compiutamente controdedurre in merito a tutte le questioni introdotte (Tar Lazio, sez. III-ter, 4 maggio 2010, n. 9351; id., 7 ottobre 2004, n. 13655).
In ogni caso, non si può fare a meno di rilevare che le circostanze rappresentate dall'interessata nelle proprie controdeduzioni al Ministero intimato, relative alla non riferibilità di talune fatture contestate al programma agevolato, erano prive di fondamento e pertanto correttamente il citato Dicastero non ne teneva conto.
Del pari da disattendere, infine, la doglianza di cui all'ultimo mezzo, secondo la quale nel caso in esame, pur a voler disconoscere l'importo delle fatture contestate, il principio di proporzionalità osterebbe alla revoca totale delle agevolazioni, potendo l'Amministrazione intimata, a tutto concedere, procedere alla mera riduzione dell'importo concesso in via provvisoria alla società ricorrente.
A tal riguardo, è sufficiente osservare che l'emissione del provvedimento revocatorio era un atto dovuto, per il citato Ministero, e pertanto, alla luce della disposizioni richiamate che prevedevano la revoca in questione, una volta verificata l'inammissibilità in radice della domanda, l'Amministrazione non poteva che procedere alla rimozione totale dell'agevolazione, senza discrezionalità né su l'an né sul quantum, non essendo comunque prevista alcuna ipotesi di revoca parziale o di riduzione dell'ammontare provvisoriamente riconosciuto (Tar Lazio, sez. III-ter, 4 maggio 2010, n. 9351).
Per le considerazioni sopra svolte, le censure dedotte sono nel loro complesso infondate e pertanto il ricorso deve essere respinto.
Sussistono peraltro giusti motivi per disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1° dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Giuseppe Daniele
L'ESTENSORE
Rosa Perna
IL CONSIGLIERE
Giampiero Lo Presti
Depositata in Segreteria il 14 gennaio 2012
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Accorpamento delle Scuole di specializzazione universitarie
Domenica 22 Gennaio 2012 16:58
Melita Manola
N. 9706/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 2749 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2749 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
P. L. e da P. F., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Mario Bertolissi, Luigi Manzi e Francesca Mazzonetto, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Luigi Manzi in Roma, Via Federico Confalonieri, 5;
contro
Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca;
Università degli Studi di Verona;
Università degli Studi di Padova;
Università degli Studi di Udine, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
1) del Decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca del 5 febbraio 2010, recante "Scuole di specializzazione mediche, assegnazione contratti relativi all'a.a. 2009/2010", nella parte in cui dispone l'accorpamento della Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova a quelle di Udine e Verona, individuando l'Università di Verona come Università capofila;
2) del Decreto rettorale dell'Università degli Studi di Verona del 10 febbraio 2010 (rep. n. 423-2010, prot. n. 8831, classif. III/2), recante "concorso per titoli ed esami per l'ammissione al primo anno dei medici alle Scuole di Specializzazione di area sanitaria - a.a. 2009/2010", nella parte in cui, in ottemperanza al predetto D.M. 5 febbraio 2010, indice il concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione medica aggregata in Reumatologia;
3) del Decreto rettorale dell'Università degli Studi di Padova del 12 febbraio 2010 (rep. n. 496, prot. n. 8176, Tit. V, Cl 2, Fasc. 8), recante "approvazione del bando di concorso per l'ammissione alle Scuole di Specializzazione in Medicina e Chirurgia per l'anno accademico 2009/2010", nella parte in cui, in ottemperanza al predetto D.M. febbraio 2010 non indice il concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione medica aggregata in Reumatologia;
4) della comunicazione n. 14425 dell'8/3/2010 della Università di Verona recante i criteri per la designazione Commissione giudicatrice "in parte qua";
5) delle note MIUR nn. 669 del 5/2/2010 e 887 del 23/2/2010 (atti impugnati con il ricorso introduttivo);
e del Decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca del 31 marzo 2011, recante "Scuole di specializzazione mediche - assegnazione contratti relativi all'a.a. 2010/2011", nella parte in cui dispone l'accorpamento della Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova a quelle di Udine e Verona, individuando l'Università di Verona come Università capofila;
del Decreto rettorale dell'Università degli Studi di Verona del 4 aprile 2011 (rep. n. 788-2011, prot. n. 14426, classif. III/2), recante "concorso per titoli ed esami per l'ammissione al primo anno dei medici alle Scuole di Specializzazione di area sanitaria - a.a. 2010/2011", nella parte in cui, in ottemperanza al predetto D.M. 31 marzo 2011, indice il concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione medica aggregata in Reumatologia;
del Decreto rettorale dell'Università degli Studi di Padova del 5 aprile 2011 (rep. N. 1244, prot. n. 19125, Tit. V, Cl. 2, Fasc. 3), recante "approvazione del bando di concorso per l'ammissione alle Scuole di Specializzazione in Medicina e Chirurgia per l'anno accademico 2010/2011", nella parte in cui, in ottemperanza al predetto D.M. 31 marzo 2011, non indice il concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione medica aggregata in Reumatologia;
Visto il ricorso coni relativi allegati;
Viste le costituzioni in giudizio del Ministero Istruzione, Università e Ricerca e delle Università degli Studi: di Verona; di Padova; di Udine e la loro memoria di difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2011 il Cons. Paolo Restaino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Vengono impugnati il D.M. 5/2/2010 recante Scuole di Specializzazione mediche - assegnazione contratti relativi all'a.a. 2009/2010 nella parte in cui dispone l'accorpamento della Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova a quelle di Udine e Verona individuando l'Università di Verona come Università capofila; nonché tutti gli altri atti indicati in epigrafe.
Evidenziano i ricorrenti:
che con il D.M. 31 marzo 2009, recante "Scuole di specializzazione mediche, assegnazione contratti relativi all'a.a. 2008/2009", il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (di seguito MIUR) aveva avviato un processo di razionalizzazione delle Scuole di specializzazione dell'area sanitaria, provvedendo, in certi casi, ad accorpare in un'unica Scuola di specializzazione afferenti a due o più Università;
che il recente D.M. 5 febbraio 2010, recante "Scuole di specializzazione mediche, assegnazione contratti relativi all'a.a. 2009/2010" ha completato l'intrapreso processo di razionalizzazione ed ha disposto, per quanto qui interessa, l'accorpamento delle Scuole di specializzazione in Reumatologia delle Università di Padova, Udine e Verona;
che nel contesto di tale accorpamento la sede universitaria di Verona è stata individuata come sede c.d. capofila, mentre le sedi universitarie di Padova ed Udine sono state individuate come sedi c.d. aggregate.
Evidenziano inoltre che il ricorrente prof. P. L. agisce in proprio ed in qualità di Direttore della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova, mentre la ricorrente dott.ssa P. F., agisce in proprio (in quanto specializzanda in Reumatologia presso la predetta Scuola) ed in qualità di rappresentante dei medici specializzandi nel Consiglio della Scuola di specializzazione in Reumatologia.
Ritengono gli istanti il D.M. 5 febbraio 2010, nella parte in cui ha disposto l'accorpamento della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell'Università di Padova a quelle delle Università di Verona ed Udine ed ha individuato la sede universitaria di Verona quale sede universitaria capofila, illegittimo per i seguenti motivi:
I) Violazione dell'art. 33 Cost.; violazione dell'art. 6 L. n. 168/1989; violazione dell'art. 35 D.Lgs. n. 368/1999; violazione dell'art. 3, comma 5, D.M. 1 agosto 2005 (Riassetto delle scuole di specializzazione dell'area sanitaria).
L'accorpamento delle Scuole di specializzazione, finalizzato alla razionalizzazione delle esistenti scuole di specializzazione dell'area sanitaria, è per più versi illegittimo in quanto disposto mediante un provvedimento amministrativo (D.M. 5 febbraio 2010) a sua volta adottato in virtù di una disposizione di legge (art. 35 D.Lgs. n. 368/1999) che invece non prevede l'accorpamento ma si limita a disciplinare i procedimenti: di determinazione del "numero globale di specialisti da formare annualmente, per ciascuna tipologia di specializzazione"; e determinazione del "numero dei posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione accreditata ai sensi dell'art. 43 (che disciplina l'accreditamento delle strutture universitarie ed ospedaliere per le singole specialità).
Nel contesto dell'ordinamento italiano l'autonomia universitaria è garantita a livello costituzionale (art. 33, comma 6, Cost.) e legislativo (art. 6 L. n. 168/1989) con conseguente riserva di legge in materia [(art. 33, comma 6, Cost. "Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato" )] e art. 6 L. n. 168/1989 n. 1: Le università sono dotate di personalità giuridica e, in attuazione dell'art. 33 della Costituzione, hanno autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile; esse si danno ordinamenti autonomi con propri statuti e regolamenti, sicchè nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento.
Non è invece rinvenibile alcuna norma di legge che giustifichi l'accorpamento delle Scuole di specializzazione (disposto invece, illegittimamente del D.M. 5 febbraio 2010) mentre si renderebbe semmai possibile un accorpamento rimesso alla autonomia delle singole università e perciò non autoritativo ma volontario.
II) Violazione dell'art. 43 D.L.gs. n. 368/1999; eccesso di potere per violazione e falsa applicazione dei Decreti Direttoriali MIUR - Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca 21 luglio 2009 (Procedimento di verifica e controllo dei requisiti minimi delle scuole di specializzazione mediche) e 29 luglio 2009 (Modalità per l'attuazione dei risultati della qualità della formazione nelle scuole di specializzazione) e della nota del MIUR - Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca - Direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario - Ufficio II n. 4010 del 19 ottobre 2009.
Richiamato l'art. 43 D.Lgs. n. 368/1999 che ha istituito, presso il MIUR, l'Osservatorio nazionale della formazione medica specialistica "con il compito di determinare gli standard per l'accreditamento delle strutture universitarie e ospedaliere per le singole specialità, di determinare e di verificare i requisiti di idoneità della rete formativa e delle singole strutture che le compongono, effettuare il monitoraggio dei risultati della formazione, nonché definire i criteri e le modalità per assicurare la qualità della formazione, in conformità alle indicazioni dell'Unione europea", sulla base di criteri basati: a) sulla adeguatezza delle strutture e delle attrezzature per la didattica, la ricerca e lo studio dei medici in formazione specialistica, ivi compresi i mezzi di accesso alla lettura professionale nazionale e internazionale; b) sul numero completo degli aspiranti alla professione; c) sulla presenza di servizi generali e diagnostici collegati alla struttura dove si svolge la formazione; d) sulla coesistenza di specialità affini e di servizi che permettono un approccio formativo multidisciplinare; e) sulla sussistenza di un sistema di controllo di qualità delle prestazioni professionali; f) sul rispetto del rapporto numerico tra tutori e medici in formazione specialistica di cui all'art. 38, comma 1", rilevano i ricorrenti che i Decreti Direttoriali MIUR - Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca 21 luglio 2009 e 29 luglio 2009 hanno, rispettivamente, definito il procedimento di verifica e controllo dei requisiti minimi delle scuole di specializzazione mediche e definito le modalità per l'attuazione del monitoraggio dei risultati della qualità della formazione nelle scuole di specializzazione mediche.
Al riguardo gli specifici criteri che il MIUR ha seguito per l'attivazione (e, più in generale, per la razionalizzazione) della scuole di specializzazione nell'anno accademico 2009/2010 sono stati elaborati da un'apposita Commissione di esperti, le cui conclusioni sono state dal MIUR ritenute "in linea con gli obiettivi preordinati alla razionalizzazione del sistema delle scuole di specializzazione mediche" (nota MIUR n. 4010 del 19/10/2009).
Rilevano gli stessi istanti la esistenza di criteri per la attivazione delle scuole di specializzazione di carattere generale e di maggiore impatto per il Servizio Sanitario Nazionale, e cioè:
Anestesia e rianimazione, Chirurgia generale, Ginecologia ed ostetricia, Igiene e medicina preventiva, Malattie dell'apparato cardiovascolare, Medicina interna, Ortopedia e traumatologia, Pediatria, Psichiatria e Radiodiagnostica; e criteri per la attivazione delle altre scuole, diverse dalle suindicate, che viene subordinata a specifici requisiti da valutarsi nel loro complesso e cioè: a) Docenti della tipologia della scuola con adeguata produzione scientifica e documentata competenza professionale, b) Volumi di attività della rete formativa, valutata sulla base delle soglie di attività e del case mix, c)Adeguate dimensioni della Facoltà di Medicina e Chirurgia, in misura atta ad assicurare in termini di strutture e di docenza le risorse necessarie al tronco comune della formazione specialistica, d) Pregressa attività della scuola etc..
Derivano i ricorrenti dall'ultimo dei criteri sopra individuati ("Le reti formative delle scuole di specializzazione proposte, prove dei requisiti sopra indicati [,] non saranno attivabili e integreranno le reti delle scuole attivate") la esclusione del sistema dell'accorpamento delle Scuole di specializzazione. Tanto sarebbe da rinvenirsi anche dal resoconto sommario della riunione della Commissione di esperti per la razionalizzazione delle Scuole di specializzazione, richiamato nelle premesse del D.M. 5 febbraio 2010, che ha precisato che ".... L'accorpamento di due o più scuole mediante federazione con una sede capofila non è congruente con il piano generale di razionalizzazione indicato dal Ministro.
Viene perciò denunciato anche il contrasto tra le statuizioni del D.M. 5 febbraio 2010 e gli atti del procedimento che hanno preceduto la sua adozione.
III) Eccesso di potere per violazione, sotto altro profilo, della nota del MIUR n. 4010 del 19 ottobre 2009, difetto di istruttoria irragionevolezza, disparità di trattamento.
Viene comunque ancora richiamata la nota del MIUR n. 4010 del 19 ottobre 2009 nella parte in cui, in riferimento alle Scuole di specializzazione diverse da quelle espressamente elencate (e, in particolare, alla Scuola di specializzazione in Reumatologia) impone per la loro attivazione la valutazione nel loro complesso di una serie di requisiti riferiti a quelli già sopra indicati.
Da confronto tra le Università di Padova e Verona con riguardo ai suddetti requisiti, desumono i ricorrenti, che tutti i docenti della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell'Università di Padova sono specialisti in tale disciplina, mentre solo una minoranza dei docenti della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell'Università di Verona sono specialisti nella disciplina stessa.
Stesse conclusioni, a favore della Università di Padova, rispetto a Verona anche per quanto agli altri requisiti: attività di ricerca, etc..
Concludono evidenziando la emergenza in ogni caso, nella individuazione della Università degli Studi di Verona come sede universitaria capofila come sede universitaria capofila della Scuola di specializzazione in Reumatologia e nell'accorpamento alla stessa delle sedi universitarie di Padova ed Udine, di un vizio di eccesso di potere.
Con ordinanza n. 1683/2010 del 15-16 aprile 2010 veniva accolta dal TAR Lazio (Sez. III bis) la domanda cautelare dei ricorrenti sul rilievo che "... le considerazioni e le censure formulare in ricorso non appaiono manifestamente infondate specie in punto di ragionevolezza della scelta a capofila dell'Università degli Studi di Verona rispetto all'Università di Padova, riconosciuta tra le sedi universitarie scientificamente più attrezzate.
Per la inadempienza del MIUR, con ricorso per la ottemperanza all'ordinanza cautelare, i ricorrenti ottenevano dal T.A.R. Lazio, Sez. III bis (con ordinanza n. 802/2010 del 13-14 maggio 2010) la nomina del Commissario ad acta che, nella persona della dott.ssa S. M., Viceprefetto aggiunto di Roma, provvedeva con provvedimento del 16 giugno 2010 e disponeva che, "a parziale modifica del decreto del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca del 5 febbraio 2010, recante "Scuole di specializzazione mediche, assegnazione contratti relativi all'a.a. 2009/2010", la Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università di Padova sia individuata quale capofila rispetto alle Scuola aggregate di specializzazione in Reumatologia delle Università di Verona e di Udine".
Con provvedimento del 23 giugno 2010 il MIUR invitava l'Università degli Studi di Verona a trasmettere all'Università degli Studi di Padova tutta la documentazione relativa al concorso per l'ammissione alla Scuola di specializzazione in Reumatologia per l'a.a. 2009/2010.
Tuttavia il Consiglio di Stato, Sez. VI, su appello del MIUR e della sola Università degli Studi di Verona con decreto cautelare n. 3181/2010 dell'8 luglio 2010, e poi con ordinanza n. 3448/2010 del 20-21 luglio 2010, rigettava l'istanza cautelare avanzata dai ricorrenti ..."... tenuto conte della discrezionalità che caratterizza le misure organizzative contestate e del solo recentissimo avvio del corso di specializzazione di cui trattasi.
Poiché con attuale D.M. 31 marzo 2011, il MIUR ha nuovamente disposto l'accorpamento della Scuola di specializzazione in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova a quelle delle Università degli Studi di Udine e Verona, individuando l'Università degli Studi di Verona quale sede universitaria capofila e poiché l'Università di Verona ha bandito il concorso di ammissione alla Scuola di specializzazione in Reumatologia, tali atti, sono stati impugnati con motivi aggiunti dai medesimi ricorrenti e degli stessi viene dedotta la illegittimità sulla base di motivi;
I) Violazione dell'art. 33 Cost.; violazione dell'art. 6 L. n. 168/1989; violazione dell'art. 35 D.Lgs. n. 368/1999; violazione dell'art. 3, comma 5, D.M. 1 agosto 2005 (Riassetto delle scuole di specializzazione dell'area sanitaria).
II) Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. e 1 L. 7 agosto 1990, n. 241;violazione dei principi di legalità, pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa; eccesso di potere per mancata definizione dei criteri guida e dell'accorpamento e dell'individuazione di una certa sede universitaria come capofila o come aggregata; eccesso di potere per totale arbitrio, irragionevolezza e difetto di motivazione, che ricalcano i motivi già proposti con il ricorso introduttivo mentre per quanto concerne più specificamente il D.M. 31/3/2011, viene denunciata la totale mancanza, nello stesso decreto, del riferimento ai criteri guida dell'accorpamento.
III) Violazione dell'art. 43 D.Lgs. n. 368/1999; eccesso di potere per violazione e falsa applicazione del Decreti Direttoriali MIUR - Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca 21 luglio 2009 (Procedimento di verifica e controllo dei requisiti minimi delle scuole di specializzazione mediche) e 29 luglio 2009 (Modalità per l'attuazione dei risultati della qualità della formazione nelle scuole di specializzazione) e della nota MIUR - Dipartimento per l'università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e il diritto allo studio universitario - Ufficio II n. 4010 del 19 ottobre 2009, stante il palese contrasto del D.M. 31/3/2011 con gli atti procedimentali che lo hanno preceduto,
IV) Eccesso di poter per violazione, sotto altro profilo, della nota del MIUR n. 4010 del 19 ottobre 2009, difetto di istruttoria, irragionevolezza, disparità di trattamento.
A ulteriore dimostrazione della illegittimità del D.M. 31 marzo 2011, nella parte in cui ha disposto l'accorpamento della Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova a quelle di Udine e Verona, individuando quest'ultima quale sede c.d. capofila, viene evidenziato, oltre quanto già rilevato nel ricorso introduttivo che nell'ultimo anno (2010) la Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova ha ulteriormente migliorato i propri requisiti didattici, scientifici ed assistenziali poiché:
a) l'organico della Scuola risulta attualmente costituito da 7 docenti: un professore ordinario, due professori associati, due professori aggregati e due ricercatori (nessuna altra Scuola italiana di specializzazione medica in Reumatologia ha un numero di docenti universitari così elevato).
b) per l'attività di ricerca, viene reso noto che dottori di ricerca afferenti alla Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova sono risultati vincitori di assegni di ricerca banditi dall'Ateneo patavino ed a livello nazionale. Inoltre, il personale della Scuola ha pubblicato nell'ultimo anno, su riviste internazionali e nazionali, lavori scientifici per ulteriori 203 punti di impact factor (mantenendo il primo posto per produzione scientifica fra le Scuole italiane di specializzazione reumatologiche italiane).
c) per gli eventi formativi, si rende noto che la Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova, oltre ad aver organizzato la XXXV edizione dei Meetings di Reumatologia, ha partecipato all'organizzazione del First International Congress on Rheumatism and Autoimmunity, evento scientifico di notevole risonanza ed elevata partecipazione nazionale ed internazionale.
d) per l'attività assistenziale, l'Unità Operativa Semplice di Diagnosi e cura delle connettiviti e delle malattie rare di interesse reumatologico si è aggiunta l'Unità Operativa Complessa di Reumatologia e alla altre due preesistenti Unità Operative Semplici ad essa afferenti mentre la attività ambulatoriale è stata potenziata con l'apertura di due ambulatori elettivi dedicati rispettivamente al fallow-up delle vasculiti e all'ipertensione polmonare associata alle connettiviti sistemiche, per cui la Scuola di specializzazione medica in Reumatologia dell'Università degli Studi di Padova è divenuta struttura di riferimento per gli Specialisti di tutto il Veneto.
Il contraddittorio è stato istituito nei confronti:
del Ministero Istruzione, Università e Ricerca;
della Università degli Studi di Verona;
della Università degli Studi di Padova;
della Università degli Studi di Udine.
Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio tramite l'Avvocatura Generale dello Stato che nella memoria difensiva presentata in vista della odierna udienza di trattazione nel merito del ricorso:
a) ha eccepito il difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti da cui conseguirebbe la inammissibilità del ricorso.
b) viene sostenuto, comunque, la infondatezza nel merito della proposta impugnativa stante la esistenza di criteri di efficienza ed economicità cui sarebbero improntati i provvedimenti di razionalizzazione del sistema universitario delle scuole di specializzazione che renderebbe necessaria e motivata la diminuzione del numero delle scuole di specializzazione medica nonché coerente con tali esigenze la aggregazione operata del D.M. 5/2/2010 delle scuole di specializzazione medica.
In memoria conclusiva i ricorrenti, evidenziano la sussistenza della legittimazione e dell'interesse dei ricorrenti, contro deducono alle eccezioni al riguardo mosse dalla resistente Amministrazione e richiamano quanto già dedotto in ordine alla illegittimità degli atti impugnati insistendo per l'accoglimento del ricorso.
Alla udienza del 26 maggio 2011 la causa è passata in decisione.
DIRITTO
La preliminare eccezione di difetto di legittimazione che risulta pure indirizzata nei confronti del prof. P. il quale agisce nella dichiarata qualità di Direttore di un Istituto [la Scuola di specializzazione medica in Reumatologia della Università degli Studi di Padova di cui è stata disposta la aggregazione alla Università di Verona (e di Udine) con anteposizione della stessa Università di Verona a capofila delle università aggregate] non appare al Collegio attendibile.
Valga, tra le tante intervenute, quanto posto in precipua evidenza con riguardo a provvedimenti riferiti ad Istituti sebbene scolastici anziché universitari: "Gli atti di fusione (omissis) di Istituti scolastici sono espressione della potestà di autorganizzazione dell'Amministrazione ed esplicano effetto, sul piano fattuale ... su soggetti (personale docente e di amministrazione) che stabilmente operano nell'ambito della scuola, i quali hanno una posizione legittimamente alla impugnazione quando si sospetti la incidenza dell'atto organizzatorio sul (omissis) servizio in relazione a(i) requisiti di dimensione ottimale dell'Istituto ...." (cfr. in linea di principio TAR Veneto - Sez. III 17/1/2011 n. 43).
Tanto ritenuto risultano infondati i rilievi del primo motivo con cui i ricorrenti, invocando le prerogative della autonomia universitaria siccome sancite e garantite da disposizione di rango costituzionale (art. 33 - co 6 Cost.) nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, ritengono necessaria (e inesistente nel caso di specie) una disposizione legislativa di fonte primaria che consenta l'"accorpamento" delle Scuole di Specializzazione, illegittimamente invece disposto mediante provvedimento amministrativo (il D.M. 5/2/2010).
Tale non sarebbe infatti l'art. 35 D.Lgs. n. 368/1999 che non prevede affatto l'"accorpamento" ma si limita a disciplinare i procedimenti di determinazione del numero globale di specialisti da formare annualmente e il numero di posti da assegnare a ciascuna scuola di specializzazione.
Proseguendo in tale tesi si renderebbero possibili, secondo i deducenti, soltanto aggregazioni a carattere volontario mediante libere determinazioni intercorrenti tra le varie Università.
Non può accedersi a tale conclusione che appare basata:
a) sulla intangibilità della autonomia delle Università alle quali sole sarebbe consentita la possibilità di attuare "accorpamenti" mediante volontarie e libere determinazioni (cioè medianti convenzioni interuniversitarie) anziché da imporsi con determinazioni di carattere autoritativo.
b) sulla inesistenza, in violazione della norma di rango costituzionale che garantisce l'autonomia universitaria nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 3 Cost.) di alcuna disposizione di legge che autorizzi l'accorpamento delle Scuole di specializzazione.
Per quanto in a) giova porre a preliminare chiarificazione la considerazione che le prerogative garantite dagli Atenei dalla legge n. 168/1989 in attuazione a quanto già previsto dall'art. 33 della Costituzione sono dirette a consentire la esplicazione delle attività che si svolgono nelle Università in virtù delle loro istituzionali attribuzioni, in regime di autonomia didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria contabile e regolamentare e devono ritenersi riconosciute per le stesse istituzionali finalità inerenti alla loro giuridica configurazione di Centri in cui, congiuntamente alla attività di ricerca si impartiscono gli insegnamenti (corsi universitari) di livello superiore per il rilascio di determinati titoli di studio (laurea, laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato di ricerca e ogni altro titolo previsto dalla legge).
In un sistema di diritto positivo che non esclude un regime di interventi a carattere programmatorio a livello nazionale non può negarsi in assoluto la esistenza del relativo potere di esercizio programmatorio da parte dei competenti Organi statali in vista del raggiungimento di motivi obbiettivi di razionalizzazione senza che sia per ciò solo lesa la autonomia universitaria riconosciuta nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che, beninteso, tale esercizio non intacchi gli ambiti di intangibilità delle prerogative degli Atenei siccome costituzionalmente garantite.
Se alle Autorità amministrative restano sottratte le funzioni in materia di gestione del servizio che le Università esplicano in ragione delle loro istituzionali attribuzioni, non è invece da escludersi la definizione di programmati interventi unitari e nazionali volti a realizzare livelli o obbiettivi di razionalizzazione e di economicità dell'intero sistema, per stare al caso di specie, delle Scuole di specializzazione operanti sul territorio nazionale.
Diviene perciò non condivisibile la assiomatica rilevazione dei ricorrenti che, a sostegno delle loro prospettazioni (vedasi in particolare il primo motivo) ritengono ammissibile esclusivamente la possibilità di libere determinazioni degli Atenei, da attuarsi mediante convenzioni interuniversitarie, anziché da imporsi con carattere autoritativo di Autorità esterne, che si porrebbero di per sé incondizionatamente lesive delle prerogative delle Università, agenti nell'ordinamento italiano in regime di autonomia; per quanto in b), parte ricorrente dalla espressione contenute nel comma 6 dell'art. 33 della Costituzione ".... nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato ..." intende quantomeno enucleare la esistenza di una riserva di legge il cui rispetto esigerebbe la imposizione di una disciplina dettata da norme legislative, esse sole suscettibili di giustapporsi (o imporsi) a quella promanante dagli atti (statuti e regolamenti) emanati dagli Atenei come tipica espressione della loro autonomia.
Poiché i deducenti escludono la esistenza di una disciplina normativa di fonte primaria statale legittimante gli accorpamenti previsti con i DD.MM. da loro impugnati non essendo la stessa rinvenibile neppure nell'art. 35 del D.Lgs. n. 368/1999, va osservato quanto segue.
La già cennata possibilità di una programmazione di interventi incidenti sul sistema universitario (e degli enti di ricerca non strumentali) quali funzioni di spettanza statale e proprie del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, non esclude, come già sopra evidenziato, la possibilità di affidare (purchè con legge di fonte statale) agli Organi dello Stato all'uopo legittimati, obbiettivi di razionalizzazione del sistema universitario che, per stare al caso di specie, concernono le Scuole di specializzazione istituite presso le Università. Tanto, attraverso lo svolgimento di determinati procedimenti implicanti nell'ambito delle stesse Scuole, preliminari rilevazioni o monitoraggi delle realtà esistenti e culminanti con indicazioni anche numeriche, relative ai posti da distribuirsi per ogni tipologia di specializzazione scaturenti anche, come nel caso di specie avvenuto, dalla considerazione delle esigenze di particolari settori (difesa ... etc.) o di altri fattori tra cui non possono escludersi, onde conferire valore di effettività allo stesso processo di razionalizzazione, profili derivanti dalle risorse a disposizione.
L'intendimento di razionalizzare così come posto ad obbiettivo dell'azione governativa indirizzata alle Scuole di Specializzazione trova, sotto il profilo normativo, riscontro nell'art. 35 del D.Lgs. n. 368/1999 che indica e disciplina gli strumenti procedimentali da seguire che vengono nello stesso D.Lgs. ricondotti a) ai procedimenti diretti (innanzi tutto) a determinare il numero globale di specialisti da formare annualmente, per ciascuna tipologia di specializzazione;
correlativamente: b) al numero dei posti da assegnare a ciascuna Scuola di Specializzazione accreditata ex art. 43 stesso D.Lgs..
Tale quadro di programmati interventi da realizzare attraverso indagini da effettuarsi in base alle diverse tipologie delle Specializzazioni, ha consentito la individuazione del numero complessivo, per ogni tipologia, dei posti in cui lo specializzando poteva accedere, da distribuirsi nelle varie Università in cui la relativa Scuola di Specializzazione era prevista.
Quale derivazione dell'intervento programmatorio e degli esiti dello stesso (che come in prosieguo sarà lumeggiato esigeva la prefissione e la sequela di criteri di individuazione) nonché dei prefissati obbiettivi di razionalizzazione, non può ritenersi avulsa dallo stesso intervento programmatorio anche la aggregazione, per tipologie, delle Scuole di Specializzazione; l'intervento programmatorio era stato, come già riferito, incentrato infatti in ragione delle varie tipologie di Specializzazione (a carattere generale e di maggiore impatto per il Servizio Sanitario Nazionale oppure diverse da quelle a carattere generale "Altre scuole").
Ciò è comprovato dalla circostanza che è stata data adesione, anche in sede ministeriale, alle conclusioni della Commissione di esperti nella parte in cui la stessa aveva elencato le singole tipologie di Specializzazione e le aveva tuttavia distinte in quelle "a carattere generale" o diverse dalle stesse.
Tale distinzione non è stata effettuata solo a livello meramente conoscitivo dell'impatto gravante sulle strutture a seconda delle varie tipologie.
Sono stati infatti dettati anche criteri differenziati appositamente sceverativi per l'una categoria (a carattere generale) ovvero per l'altra categoria (diverse da quelle a carattere generale) delle Specializzazioni.
Individuati i profili che si basano sulla intrascurabile distinzione tra Scuole di Specializzazione a carattere generale e Scuole di Specializzazione da queste diverse, quale deve ritenersi quella in Reumatologia interessante il caso che ne occupa, va rilevato che tale distinzione non è stata mai del tutto ignorata neanche in ambito giurisdizionale, almeno a rassegnare i vari provvedimenti in tale sede adottati (anche da questo Tribunale).
La distinzione non è infatti ignota a questa Sezione poiché trova espressione:
a )a parte la Ordinanza (di questa Sezione) n. 1683/2010 che aveva ritenuto le censure dei ricorrenti (gli stessi che propongono la presente impugnativa) non manifestamente infondate per la irragionevolezza della scelta come capofila, della Università degli Studi di Verona rispetto alla Università di Padova, tale ultima riconosciuta tra le sedi più attrezzate (nella tipologia della Reumatologia);
b) anche e principalmente in altra Ordinanza (sempre di questa Sezione n. 2102/2010) intervenuta in diversa ma quasi analoga fattispecie su ricorso proposto da F. P. e da C. G. che aveva accolto la relativa domanda cautelare sulla esternata considerazione della non manifesta infondatezza dei rilievi formulati dai sunnominati ricorrenti i quali avevano contestato la scelta a capofila della Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia rispetto a quella di Padova, per la Specializzazione in "Medicina di Comunità" che era anch'essa Scuola di Specializzazione diversa da quelle a carattere generale sicchè la scelta restava subordinata ai criteri riportati al numero 2 della comunicazione ministeriale n. 4010 del 19/10/2009 diretta ai Rettori di tutte le Università.
Tale ultima Ordinanza è stata infatti confermata dal Consiglio di Stato - Sezione VI n. 4698/2010 che pronunciandosi sulla vicenda quasi identica a quella di cui ora trattasi (trattandosi, come poc'anzi riferito, di aggregazione della Scuola di Specializzazione in "Medicina di Comunità" dell'Università degli Studi di Padova a quella delle Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) ha respinto l'appello dall'Amministrazione proposto nella stessa sede cautelare ed ha richiamato i criteri di cui il Ministero di era dotato, giusta la nota in data 19/10/2009, i quali deponevano nel senso della complessiva poziorità, ai fini della attivazione della Scuola di Specializzazione in Medicina delle Comunità, della Università degli Studi di Padova rispetto a quella di Modena e Reggio Emilia.
Appare evidente che, nell'anzidetta fattispecie, lo stesso Consiglio di Stato ha serbato diverso orientamento rispetto a quello che aveva condotto a riformare la già citata Ordinanza di accoglimento di questa Sezione (n. 1683/2010) già favorevole per gli attuali ricorrenti e tale diverso orientamento del giudice d'Appello appare in sostanza, almeno via di principio, adesivo della originaria impostazione data da questa Sezione alla domanda cautelare degli stessi attuali ricorrenti.
Tanto premesso, la definitiva risoluzione della controversia cui il Collegio è chiamato nella presente sede di trattazione nel merito del ricorso, impone di tener conto della apposita rilevazione dell'Amministrazione resistente (ulteriore alla preliminare eccezione di carenza di interesse dei ricorrenti di cui si è già evidenziata la infondatezza) che qualifica come atti di natura organizzativa quelli su cui è basata la attuale controversia, come tali rimessi a scelte demandate dall'Amministrazione nell'esercizio di poteri di organizzazione, discrezionali in sì ampia latitudine da restare sottratti al sindacato giurisdizionale.
Risulta agevole controdedurre che ove sia dato individuare la esistenza di criteri dall'Amministrazione predisposti ovvero cui l'Amministrazione decidente ha mostrato di aderire in quanto formulati da altri Organi esterni alla stessa ma da quest'ultima appositamente investiti, (la Commissione di esperti) tali criteri assumono la veste di parametri di doverosa considerazione da parte della stessa Amministrazione decidente.
In tal caso la loro totale obliterazione ovvero la loro cattiva applicazione trasparente dalle determinazioni finali adottate al riguardo ben si rende conoscibile dal giudice amministrativo che le relative scelte finali può sindacare sotto il profilo della inosservanza ove si manifestino vizi di evidente contrasto con gli stessi criteri.
Si considerino i provvedimenti ora impugnati:
a) il D.M. 5/2/2010 impugnato con il ricorso introduttivo;
b) il D.M. 31/3/2011 che si riferisce all'anno accademico 2010/2011 successivo a quello (a.a. 2009/2010) cui si riferisce il D.M. 5/2/2010, e che è stato impugnato con l'atto contenente motivi aggiunti al ricorso introduttivo.
In disparte ogni considerazione su questioni in ordine processuale (riconducibili alla successione di due provvedimenti recanti determinazioni di cui una impugnata con il ricorso introduttivo e l'altra, a contenuto dispositivo pressoché analogo per quanto interessa la controversia che ne occupa, impugnato con motivi aggiuntivi agli introduttivi) resta il fatto che entrambi i provvedimenti in riferimento alle Scuole di specializzazione medica ed alla assegnazione dei relativi contratti ed in particolare alle Scuole di Specializzazione in Reumatologia stabiliscono la aggregazione con quella di Verona, delle Scuole di Specializzazione di Padova e di Udine e antepongono la Università di Verona a capofila rispetto a Padova e Udine.
Viene perciò ad assumere precipua e intrascurabile rilevanza la nota del MIUR n. 4010 del 19/10/2009.
Tale nota, con riguardo alle Scuole di Specializzazione diverse da quelle a carattere generale espressamente elencate, e quindi anche con riguardo alla Scuola di Specializzazione in Reumatologia, prevede che la loro attivazione sia subordinata al possesso di una serie di requisiti, da valutarsi nel loro complesso che vengono riferiti:
a) ai docenti della tipologia della Scuola Specialistica con riguardo ad una loro adeguata produzione scientifica e documentata competenza professionale;
b) ai volumi di attività della rete formativa, valutata sulla base delle soglie di attività e del "case mix";
c) alle adeguate dimensioni della Facoltà di Medicina e Chirurgia in misura atta ad assicurare in termini di strutture e di docenza le risorse necessarie al tronco comune della formazione specialistica;
d) alla pregressa attività della scuola, documentata dalla assegnazione media di almeno tre borse/contratti (nazionali e regionali) nel periodo compreso tra il 2003/2004 e 2007/2008.
Va al riguardo evidenziato che la Commissione di esperti era stata incaricata di procedere al completamento del processo di razionalizzazione delle scuole di specializzazione (nell'ambito del procedimento individuato dall'Osservatorio Nazionale per la formazione Specialistica tale ultimo previsto dal D.Lgs. 368/1999) ed aveva espletato il suo compito nell'ambito delle iniziative di verifica e controllo dei requisiti e del monitoraggio dei risultati della qualità della formazione che completano il riassetto delle stesse Scuole.
A conclusione dei suoi lavori la stessa Commissione di esperti ha individuato due linee di indirizzo distinguendo:
a) le scuole di specializzazione di carattere generale e di maggiore impatto con il Servizio Sanitario Nazionale, per tutti gli Atenei con Facoltà di Medicina purchè in linea con le indicazioni complessive del riassetto;
b) altre scuole diverse da quelle di carattere generale per le quali particolari Scuole di Specializzazione sono state dalla stessa Commissione di esperti dettati specifici requisiti da valutarsi nel loro complesso e che sono quelli indicati alle lettere da a) a d) del punto 2 del terzo comma della stessa nota.
Tali linee di indirizzo sono state recepite in sede ministeriale poiché il D.M. 5/2/2010 espressamente li richiama come criteri da seguire ai fini della razionalizzazione del Sistema.
Gli stessi criteri non appaiono tuttavia seguiti nella individuazione della Scuola di Specializzazione della Università di Verona come capofila delle Scuole di Specializzazione delle Università di Padova (e di Udine) che sono state a Verona aggregate.
Sono stati evidenziati già nel ricorso e con maggior dettaglio anche nei motivi allo stesso aggiuntivi ed infine nella memoria conclusiva degli stessi ricorrenti i profili (corrispondenti ai relativi parametri di valutazione di cui alla citata nota del 19/10/2009) dei quali la Scuola di Specializzazione in Reumatologia operante presso la Università di Padova vantava e tutt'ora vanta, in posizione di potiorità rispetto a Verona e Udine, quanto ai requisiti riferiti: ai docenti della Scuola di Reumatologia della Università di Padova ed alla loro produzione scientifica in materia ed agli eccellenti risultati della attività di ricerca; ai volumi di attività convogliati per la formazione specialistica cui si affianca anche quella assistenziale e di ricovero per degenti; al numero degli iscritti da formare e diplomare etc..
Il possesso di tale migliore dotazione (rispetto a Verona e Udine) era stato d'altronde già scorto da questa Sezione con la motivazione contenuta nella più volte menzionata Ordinanza n. 1683/2010 che non aveva individuato motivi di "... ragionevolezza della scelta a capofila ..." della Università degli Studi di Verona rispetto alla Università di Padova, riconosciuta tra le sedi universitarie scientificamente più attrezzate.
Le suesposte considerazioni basate sulla obliterazione dei requisiti che erano da rilevarsi e da considerarsi nel loro complesso per la Scuola di Specializzazione in Reumatologia operante nella Università di Padova devono ritenersi, ad avviso del Collegio, sufficienti a ritenere illegittimi i provvedimenti impugnati che vanno perciò nei sensi delle stesse ragioni annullati.
Quanto alle spese può disporsi la loro compensazione tra le parti ravvisandosi la esistenza di motivi che la giustificano.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) in accoglimento della impugnativa proposta con il ricorso introduttivo (e successivi motivi aggiunti) annulla i provvedimenti costituenti oggetto della stessa impugnativa sulla parte riguardante la aggregazione della Scuola di Specializzazione medica in Reumatologia della Università di Padova e quelle di Udine e Verona e la individuazione della Università di Verona come Università capofila.
Dichiara compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2011 e, in prosecuzione, del giorno 12 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Evasio Speranza
L'ESTENSORE
Paolo Restaino
IL CONSIGLIERE
Francesco Brandileone
Depositata in Segreteria il 13 dicembre 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Parente di un pregiudicato: no al porto d'armi?
Mercoledì 04 Gennaio 2012 09:29
Melita Manola
N. 913/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 394 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 394 del 2010, proposto da:
A. V., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Stracuzza, con domicilio eletto presso Giuseppe Stracuzza Avv. in Reggio Calabria, via Zaleuco 8;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15; U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria;
per l'annullamento
del provvedimento emesso dalla Prefettura di Reggio Calabria in data 25 febbraio 2010 prot. n. 13345/W/ Area I bis con il quale è stato disposto il divieto di detenere armi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2011 il dott. Ettore Leotta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1) Con provvedimento prot. n. 13345/W/Area I bis del 25 febbraio 2010 la Prefettura di Reggio Calabria ha disposto nei confronti del Signor A. V., nato a ...omissis..., il divieto di detenere armi, "in quanto padre di AN. V. (cl. 83) la quale risulta convivere con persona gravata da vicende giudiziarie non che ricomprender ruoli di primaria importanza in nota cosca della 'ndrangheta operante in Cinquefrondi".
La superiore determinazione è stata così motivata:
"Considerati i rapporti di parentela con soggetto per il quale risultano pregiudizi penali relativi a reati connessi alla criminalità organizzata indicativi di un contesto che incide sulla completa e perfetta affidabilità del soggetto e considerato peraltro che non è possibile escludere che le armi stesse possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed essere utilizzate per fini illeciti".
Con ricorso notificato l'1 giugno 2010, depositato il 29 giugno 2010, l'interessato ha impugnato il predetto provvedimento, deducendone l'illegittimità sotto vari profili.
L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per avversare il gravame, chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 6 dicembre 2011 la causa è passata in decisione.
2) Con l'unica censura il ricorrente deduce la violazione degli artt. 11 e 39 del T.U.L.P.S., l'eccesso di potere per carenza ed erroneità della motivazione, illogicità ed irrazionalità manifesta del provvedimento. Omessa motivazione.
L'interessato sostiene che non sussisterebbe alcuna delle condizioni previste dalle norme indicate in rubrica per adottare il provvedimento impugnato e che l'esistenza del rapporto di convivenza della figlia con un pregiudicato non potrebbe costituirne un'idonea giustificazione.
Infatti l'unica circostanza dedotta, ossia il rapporto di convivenza della figlia, non riguarderebbe comportamenti del ricorrente sintomatici dell'incapacità di offrire sufficienti garanzie circa il corretto uso delle armi.
Per il Tribunale, tali rilievi sono privi di pregio.
L'art. 11 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in materia di autorizzazioni di polizia, prescrive testualmente:
"Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione".
A sua volta, l'art. 39 dello stesso R.D. n. 773/1931, in materia di armi, così dispone:
"Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne".
In tema di licenze di polizia la giurisprudenza ha chiarito che "le valutazioni dell'amministrazione in materia di rilascio della licenza di porto d'armi sono caratterizzate da ampia discrezionalità, atteso che l'interesse del privato a portare armi è reputato senz'altro cedevole rispetto all'interesse per l'incolumità pubblica" (TAR Genova, Sezione Seconda, 18 dicembre 2008, n. 2162; TAR Genova, Sezione Seconda, 9 gennaio 2009, n. 28; confronta anche TAR Torino, Sezione Seconda, 17 ottobre 2008, n. 2587; Consiglio di Stato, VI, 8 ottobre 2008, n. 4918; TAR Catanzaro, Sezione Prima, 1 ottobre 2008, n. 1339; TAR Ancona, Sezione Prima, 19 settembre 2008, n. 1305) e la sussistenza di tali requisiti è soggetta "ad un giudizio discrezionale formulato dal Prefetto in ordine alla capacità personale di abuso da parte del soggetto detentore, sindacabile, in quanto tale, solo sotto il profilo dell'illogicità" (TAR Napoli, Sezione Quinta, 10 ottobre 2008, n. 14699; TAR Firenze, Sezione Prima, 11 settembre 2008, n. 1943), giudizio discrezionale che può essere espresso anche in presenza di un solo episodio sintomatico (TAR Genova, Sezione Seconda, 19 settembre 2008, n. 1663; TAR Reggio Calabria, 8 aprile 2010, n. 415).
Sulla questione consistente nello stabilire se la mancanza di "affidamento di non abusare delle armi", possa essere riscontrata sulla base dell'esistenza di un rapporto di parentela dell'interessato con soggetti indiziati o autori di attività illecite, la giurisprudenza ha, in linea generale, affermato che non occorre che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto, sulla base di un giudizio probabilistico delle circostanze che lo hanno visto coinvolto, non dia affidamento di non abusarne (Cfr. Cons. Stato, IV, 29 novembre 2000, n. 6347).
In ordine al necessario riscontro dell'affidabilità del soggetto detentore di armi, l'art. 39 T.U.L.P.S., impone peraltro non solo una ricognizione della personalità del titolare stesso, ma altresì l'accertamento e l'evidenza di tutte le circostanze di fatto che possono incidere sul corretto esercizio del dovere di custodia, onde evitare che le armi possano essere sottratte ad opera di soggetti non autorizzati, con presumibile pericolo per la pubblica incolumità.
Con riferimento a fattispecie simili a quella in esame, è stato rilevato infatti che legittimamente l'Amministrazione revoca il porto d'armi ad un soggetto pur essendo questi incensurato, solo perché é parente di un pregiudicato, nel timore che quest'ultimo possa esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei suoi congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (Cfr. Tar Catanzaro, 28 settembre 1998, n. 811; Tar Palermo, 13 ottobre 1999 n. 1978; Tar Valle d'Aosta, 14 novembre 2001 n. 177; Tar Reggio Calabria, 21 marzo 2003 n. 226; Tar Catania, Sezione IV, 5 maggio 2009, n. 854).
Pertanto il detentore di armi, oltre a dover essere persona assolutamente esente da indizi negativi, deve anche dare garanzia non solo della propria sicura e personale affidabilità nella detenzione, ma anche che non vi sia il pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali (Cfr. Tar Napoli, Sezione V, n. 244/2008; T.A.R. Perugia 12 maggio 2005 n. 276; T.A.R. Lazio, Sezione I, 1 febbraio 2006 n. 749; Consiglio Stato, VI, 6 ottobre 2005 n. 5424).
Ora, nel caso di specie risulta accertato che la figlia del ricorrente convive con F. A., nato a ...omissis..., soggetto al quale viene attribuito un ruolo di primaria importanza in una nota cosca operante a Cinquefrondi, gravato da numerose vicende giudiziarie.
Ad avviso del Collegio, le argomentazioni dell'Autorità procedente, secondo cui "non è possibile escludere che le armi stesse possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed essere utilizzate per fini illeciti", contenute nella motivazione del provvedimento impugnato, sono idonee a supportare quel giudizio ampiamente discrezionale di possibile rischio di abuso del titolo, che la legge affida espressamente alla valutazione del Prefetto.
Alla luce di quanto esposto, la valutazione compiuta dall'Amministrazione, ancorché non faccia riferimento a specifiche condotte illecite del ricorrente, evidenzia tuttavia un contesto familiare tale da non escludersi in assoluto la possibilità di pericolo di abuso delle armi.
Come più volte affermato da questo Tribunale (Cfr. TAR Reggio Calabria, 26 marzo 2010, n. 318; idem, 5 maggio 2010, n. 475; idem, 19 maggio 2010, n. 518), un provvedimento siffatto non ha carattere sanzionatorio nei confronti del destinatario, ma cautelativo della sicurezza pubblica, in quanto finalizzato ad evitare il pericolo per tale bene giuridico, determinato dalla possibile disponibilità di armi in capo ad un soggetto che non possa garantirne il corretto uso, e tale può essere legittimamente considerato colui che, seppure risulti essere persona assolutamente esente da ammende o da indizi negativi, non può anche assicurare che non vi sia pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali (Cfr. in tal senso anche T.A.R. Genova, Sezione Seconda, 8 luglio 2008, n. 1445).
Conseguentemente il ricorso in esame deve essere rigettato.
La posizione personale del ricorrente, al quale non viene mosso alcun addebito a livello individuale, giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE-ESTENSORE
Ettore Leotta
IL CONSIGLIERE
Giuseppe Caruso
IL PRIMO REFERENDARIO
Salvatore Gatto Costantino
Depositata in Segreteria il 19 dicembre 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Mercoledì 04 Gennaio 2012 09:38
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