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    Offerta anomala, imprecisa o non conforme a specifiche tecniche: quale trattamento da parte delle P.A.?

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    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 29 marzo 2012
     
    Appalti pubblici - Direttiva 2004/18/CE - Procedure di aggiudicazione degli appalti - Bando di gara a procedura ristretta - Valutazione dell'offerta - Richieste da parte dell'amministrazione aggiudicatrice di chiarimenti dell'offerta - Presupposti
     
    Nella causa C-599/10,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Najvyšší súd Slovenskej republiky (Slovacchia) con decisione del 9 novembre 2010, pervenuta in cancelleria il 17 dicembre 2010, nel procedimento
    S. a.s.,
    F. AG,
    A. AG,
    AS. a.s.,
    T. a.s.,
    AU. SpA,
    E. AG,
    SA. SA
     
    contro
    U.,
    con l'intervento di:
    NA. a.s.,
     
    LA CORTE (Quarta Sezione),
    composta dal sig. J.-C. Bonichot (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra A. Prechal, dal sig. K. Schiemann, dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jarašiunas, giudici,
    avvocato generale: sig.ra J. Kokott
    cancelliere: sig. K. Malacek, amministratore
    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 14 dicembre 2011,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per la S. a.s., la F. AG, l'A. AG, l'AS. a.s. e la T. a.s., da R. Gorej, L. Vojcík e O. Gajdošech, avocats;
    - per l'AU. SpA, la E. AG e la SA. SA, da L. Poloma e G. M. Roberti, avocats;
    - per l'U., da B. Šimorová, in qualità di agente;
    - per la NA. a.s., da D. Nemcíková e da J. Corba, advokát;
    - per il governo slovacco, da B. Ricziová, in qualità di agente;
    - per la Commissione europea, da C. Zadra e A. Tokár, in qualità di agenti,
    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli articoli 2, 51 e 55 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134).
    2 Tale domanda è stata sollevata nell'ambito di controversie tra l'U.; in prosieguo: l'«U.») e talune imprese escluse da una gara di appalto indetta nel 2007 dalla NA. a.s. (in prosieguo: la «NA.»), società commerciale controllata al 100% dallo Stato slovacco, per la fornitura di servizi di riscossione di pedaggi sulle autostrade e su talune strade.
     
    Contesto normativo
    La normativa dell'Unione
    3 L'articolo 2 della direttiva 2004/18 dispone quanto segue:
    «Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza».
    4 L'articolo 51 di tale direttiva, il quale, nell'ambito del titolo II, capo VII, di quest'ultima, rientra nella sezione 2, intitolata «Criteri di selezione qualitativa», enuncia:
    «L'amministrazione aggiudicatrice può invitare gli operatori economici a integrare o chiarire i certificati e i documenti presentati ai sensi degli articoli da 45 a 50».
    5 L'articolo 55 di detta direttiva, che rientra nella sezione 3, intitolata «Aggiudicazione dell'appalto», stabilisce quanto segue:
    «1. Se, per un determinato appalto, talune offerte appaiono anormalmente basse rispetto alla prestazione, l'amministrazione aggiudicatrice, prima di poter respingere tali offerte, richiede per iscritto le precisazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta in questione.
    Dette precisazioni possono riguardare in particolare:
    a) l'economia del procedimento di costruzione, del processo di fabbricazione dei prodotti o del metodo di prestazione del servizio;
    b) le soluzioni tecniche adottate e/o le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l'offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti o per prestare i servizi;
    c) l'originalità dei lavori, delle forniture o dei servizi proposti dall'offerente;
    d) il rispetto delle disposizioni relative alla protezione [dell'impiego] e alle condizioni di lavoro vigenti nel luogo in cui deve essere effettuata la prestazione;
    e) l'eventualità che l'offerente ottenga un aiuto di Stato.
    2. L'amministrazione aggiudicatrice verifica, consultando l'offerente, detti elementi costitutivi tenendo conto delle giustificazioni fornite.
    (...)».
     
    Il diritto nazionale
    6 Ai sensi dell'articolo 42, intitolato «Procedimento di valutazione delle offerte», della legge n. 25/2006 sulle gare pubbliche d'appalto, nella sua versione applicabile alla causa principale, secondo il giudice del rinvio:
    «1) La valutazione delle offerte da parte della commissione avviene a porte chiuse. La commissione valuta le offerte sotto il profilo del soddisfacimento dei requisiti stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore in ordine all'oggetto dell'appalto ed esclude le offerte che non soddisfano i requisiti previsti nel bando di gara pubblica di appalto o nel bando di invito alla gara o nel capitolato d'oneri. (...).
    Per la valutazione di offerte contenenti varianti la commissione procede ai sensi dell'art. 37, n. 3.
    2) La commissione può richiedere per iscritto agli offerenti chiarimenti sull'offerta. Non può tuttavia invitare l'offerente a modificare l'offerta in senso tale per cui quest'ultima sarebbe favorita, né accettare tale modifica dell'offerta.
    3) Se l'offerta contiene un prezzo anormalmente basso, la commissione chiede per iscritto agli offerenti chiarimenti al riguardo. La richiesta deve far riferimento in modo dettagliato ai parametri caratteristici fondamentali dell'offerta che la commissione ritiene rilevanti e che riguardano in particolare:
    a) l'economia dei metodi di costruzione, dei metodi di produzione o dei servizi offerti;
    b) le soluzioni tecniche o le condizioni di particolare favore di cui l'offerente dispone per la fornitura del bene, per la realizzazione dei lavori di costruzione o per la fornitura del servizio;
    c) le particolari caratteristiche dei beni forniti, dei lavori di costruzione o dei servizi proposti dall'offerente;
    d) il rispetto della normativa relativa alla tutela dell'impiego e delle condizioni di lavoro in vigore nel luogo in cui devono essere forniti i beni, eseguiti i lavori di costruzione o forniti i servizi;
    e) l'eventualità che l'offerente ottenga un aiuto di Stato.
    4) la commissione tiene conto dei chiarimenti in merito all'offerta o al prezzo anormalmente basso e delle giustificazioni fornite dall'offerente. La commissione respinge l'offerta qualora:
    a) l'offerente non presenti chiarimenti scritti nel termine di tre giorni lavorativi decorrente dal ricevimento della richiesta di chiarimenti, o nel termine più lungo stabilito dalla commissione, o
    b) i chiarimenti presentati non corrispondano alla richiesta ai sensi dei paragrafi 2 o 3.
    (...)
    7) La commissione valuta le offerte che non sono state escluse, in base ai criteri stabiliti nel bando di gara pubblica di appalto o nel bando di invito alla gara o nel capitolato d'oneri e in base alle regole di applicazione di tali criteri stabilite nel capitolato d'oneri, che non siano discriminatorie e favoriscano l'equa competizione.
    (...)».
     
    Cause principali e questioni pregiudiziali
    7 La NA. indiceva una gara d'appalto a procedura ristretta, con bando pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 27 settembre 2007, al fine di aggiudicare un appalto pubblico di un valore stimato pari ad oltre EUR 600 milioni, per la fornitura di servizi di riscossione di pedaggi sulle autostrade e su talune strade.
    8 Nel corso di tale procedura la NA. inviava a due raggruppamenti di imprese, che, tra altri, si erano candidati, richieste di chiarimenti in merito alle loro offerte. Venivano quindi interessate, da un lato, le imprese S. a.s., F. AG, A. AG, AS. a.s. e T. a.s. (in prosieguo: «SE.») nonché, dall'altro, le imprese AU. SpA, E. AG e SA. SA (in prosieguo: «SA.»). Oltre a precisazioni riguardanti gli aspetti tecnici di ciascuna offerta, venivano loro chiesti chiarimenti in merito ai prezzi anormalmente bassi da essi proposti. Tali domande ricevevano risposta.
    9 Successivamente, SE. e SA. erano esclusi dal procedimento con decisioni del 29 aprile 2008.
    10 Tali decisioni venivano contestate dinanzi alla NA., che le confermava, e in seguito dinanzi all'ente amministrativo competente per l'impugnazione, l'U., che a sua volta respingeva, in data 2 luglio 2008, i ricorsi di cui era stato investito.
    11 L'U. considerava che, pur se uno dei motivi invocati dalla NA. per giustificare l'esclusione dalla gara d'appalto dei due raggruppamenti interessati, vale a dire la mancata produzione di certificati per impianti non ancora omologati, era infondato, per contro gli altri due motivi accolti giustificavano tale esclusione. Da un lato, questi due raggruppamenti non avevano fornito una risposta sufficiente alla richiesta di chiarimenti relativa al prezzo anormalmente basso delle loro offerte. Dall'altro, essi non rispettavano alcune condizioni stabilite nel capitolato d'oneri, vale a dire quelle che figuravano all'articolo 11.1. P 1. 20 per SE., le quali esigevano, in sostanza, la fissazione di parametri per il calcolo del pedaggio in base alle sue frazioni, secondo le stagioni, i giorni della settimana e le ore della giornata, e quelle previste all'articolo 12. T 1.5 per SA., le quali imponevano di prevedere un gruppo elettrogeno di alimentazione diesel di riserva.
    12 SE. e SA. impugnavano tali decisioni dinanzi al Krajský súd di Bratislava (Tribunale regionale di Bratislava). Quest'ultimo, con sentenza del 6 maggio 2009, respingeva il ricorso di SE. Lo stesso, con sentenza del 13 ottobre 2009, respingeva altresì i ricorsi proposti da SA., che aveva riunito, diretti ad ottenere, da un lato, l'annullamento della decisione dell'U. del 2 luglio 2008 e, dall'altro, l'annullamento della decisione con cui la NA. aveva confermato la fondatezza del suo provvedimento istitutivo di una commissione di valutazione delle offerte, contestato peraltro da SA..
    13 Avverso queste due sentenze è stato proposto appello dinanzi al Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca). Tenuto conto degli argomenti invocati da SE. e da SA., nonché dei motivi dedotti dalla Commissione europea nel procedimento per inadempimento diretto contro la Repubblica slovacca a causa delle irregolarità che vizierebbero il procedimento di gara d'appalto controverso nella causa principale, il giudice del rinvio manifesta dubbi in ordine alla questione se le decisioni della NA. interessate rispettino i principi del diritto dell'Unione relativi alla non discriminazione e alla trasparenza nell'aggiudicazione degli appalti pubblici. In particolare, esso chiede se tali principi ostino a che l'amministrazione aggiudicatrice possa respingere un'offerta per un motivo relativo all'inosservanza del capitolato d'oneri senza prima aver chiesto al candidato di fornire chiarimenti in ordine a tale mancanza, o per un motivo relativo al prezzo anormalmente basso dell'offerta senza aver interrogato il candidato in modo sufficientemente chiaro in ordine a tale punto.
    14 In tali circostanze, il Najvyšší súd Slovenskej republiky ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
    «1) Se sia conforme alla direttiva 2004/18 (...), nella versione in vigore nel periodo rilevante, l'interpretazione secondo la quale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 51 e 2 di detta direttiva, tenuto conto [dei] princip[i] di non discriminazione e trasparenza nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice ha l'obbligo di chiedere chiarimenti in merito all'offerta, nel rispetto del diritto processuale soggettivo del singolo ad essere invitato a integrare o a chiarire i certificati e documenti presentati ai sensi degli artt. 45­-50 della citata direttiva, qualora una controversa o non chiara comprensione dell'offerta del partecipante alla gara possa comportare l'esclusione del partecipante da quest'ultima.
    2) Se sia conforme alla direttiva 2004/18 (...), nella versione in vigore nel periodo rilevante, l'interpretazione secondo la quale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 51 e 2 di detta direttiva, in forza [dei] princip[i] di non discriminazione e trasparenza nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice non ha l'obbligo di chiedere chiarimenti in merito all'offerta, qualora essa consideri comprovato che non sono soddisfatti i requisiti attinenti all'oggetto dell'appalto.
    3) Se sia conforme agli articoli 51 e 2 della direttiva 2004/18 (...), nella versione in vigore nel periodo rilevante, una disposizione del diritto nazionale secondo la quale la commissione istituita per la valutazione dell'offerta ha una mera facoltà di chiedere per iscritto agli offerenti chiarimenti in merito all'offerta.
    Se sia conforme all'articolo 55 della direttiva 2004/18/CE (...) un modo di procedere dell'amministrazione aggiudicatrice secondo il quale quest'ultima non è obbligata a chiedere all'offerente chiarimenti in merito ad un prezzo anormalmente basso, e se, tenuto conto della formulazione della domanda che l'amministrazione aggiudicatrice ha posto ai ricorrenti con riferimento al prezzo anormalmente basso, questi ultimi abbiano avuto la possibilità di illustrare sufficientemente i parametri fondamentali caratteristici dell'offerta presentata».
     
    Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali
    15 Secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all'interpretazione del diritto dell'Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, del quale non spetta alla Corte verificare l'esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di pronunciarsi su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta non ha alcun rapporto con l'effettività o l'oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C-188/10 e C-189/10, Racc. pag. I-5667, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
    16 Riguardo a tali principi il governo slovacco ha eccepito, nelle sue osservazioni scritte, l'irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale per il motivo, in primo luogo, che, nella controversia portata dinanzi al giudice del rinvio da SE., non sarebbe stata invocata alcuna censura relativa ai chiarimenti dell'offerta da parte dei candidati alla gara d'appalto.
    17 E' tuttavia assodato che la Corte è stata investita di un'unica domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal giudice del rinvio nell'ambito di due controversie portate dinanzi a quest'ultimo contemporaneamente e quindi riunite. Pertanto, la circostanza invocata dal governo slovacco con riferimento al ricorso proposto da SE. potrebbe, in ogni caso, incidere sulla ricevibilità di tale domanda soltanto se fosse stabilito che nessuna censura relativa ai chiarimenti dell'offerta da parte dei candidati alla gara d'appalto è stata sollevata nemmeno nell'altra causa principale. Poiché una situazione siffatta non è stata dimostrata, e nemmeno dedotta, la prima eccezione di irricevibilità deve essere respinta.
    18 In secondo luogo, il governo slovacco sostiene che la parte della terza questione del giudice del rinvio riguardante la richiesta di chiarimenti dell'offerta anormalmente bassa, quale formulata dall'amministrazione aggiudicatrice, non presenta correlazioni con la causa introdotta da SA., nella quale era contestata in sede d'appello la valutazione di tale domanda effettuata dal giudice di primo grado.
    19 Anche se il governo slovacco sostiene al riguardo che, secondo il diritto processuale nazionale, il giudice del rinvio non poteva esaminare un motivo diverso da quello dinanzi ad esso sollevato, una siffatta censura, che si basa anch'essa su una norma nazionale, non comporta per questo che la questione posta non abbia manifestamente alcun rapporto con la realtà o l'oggetto delle controversie di cui trattasi.
    20 Infine, è assodato che, nelle cause principali, i candidati sono stati esclusi dalla gara a seguito della valutazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, delle risposte alle domande di chiarimenti delle offerte da essi depositate. In tali circostanze, le questioni sollevate dal giudice del rinvio, che si riferiscono alle condizioni in cui devono o possono essere presentate siffatte domande rispetto ai requisiti del diritto dell'Unione, non appaiono essere manifestamente senza alcun rapporto con la realtà o con l'oggetto delle controversie di cui trattasi.
    21 La Corte deve pertanto pronunciarsi.
     
    Sulle questioni pregiudiziali
    Osservazioni preliminari
    22 Come hanno rilevato il governo slovacco e la Commissione, occorre osservare, in primo luogo, che l'articolo 51 della direttiva 2004/18 rientra nel novero delle disposizioni che figurano nella sezione 2 di quest'ultima, relativa ai criteri di selezione qualitativa dei candidati o degli offerenti. Le disposizioni di tale articolo non incidono pertanto sulla valutazione che la Corte deve effettuare per rispondere alle questioni sollevate, le quali si riferiscono, tenuto conto delle circostanze delle cause principali, soltanto alla fase del procedimento di gara d'appalto a procedura ristretta nella quale, a seguito della selezione dei candidati autorizzati a presentare un'offerta, spetta all'amministrazione aggiudicatrice valutare tali offerte. La Corte non deve, quindi, pronunciarsi sull'interpretazione dell'articolo 51 della direttiva 2004/18.
    23 In secondo luogo, la circostanza che l'amministrazione aggiudicatrice, nel caso di specie, abbia istituito una commissione incaricata di valutare in suo nome le offerte dei candidati non la esime dalla responsabilità di rispettare i requisiti del diritto dell'Unione nel settore dei pubblici appalti. Pertanto, quand'anche il giudice del rinvio chieda se sia conforme al diritto dell'Unione una disposizione di diritto interno che prevede che la commissione istituita per valutare le offerte abbia la mera facoltà di chiedere per iscritto ai partecipanti di chiarire l'offerta, tale questione deve essere intesa come posta, in generale, come se l'amministrazione aggiudicatrice stessa si trovasse in tale situazione.
    24 La Corte deve quindi intendere le questioni sottopostele, considerate nel loro complesso, come volte a conoscere in quale misura le amministrazioni aggiudicatrici, nel momento in cui ritengano, nell'ambito della gara d'appalto a procedura ristretta, che l'offerta di un candidato sia anormalmente bassa o imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri, possano o debbano chiedere chiarimenti al candidato interessato, tenuto conto delle disposizioni degli articoli 2 e 55 della direttiva 2004/18.
    25 Con riferimento all'articolo 2 della direttiva 2004/18, occorre ricordare che tra gli obiettivi principali delle norme di diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici figura quello di assicurare la libera circolazione dei servizi e l'apertura alla concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri. Per il perseguimento di questo duplice obiettivo il diritto dell'Unione applica in particolare il principio di parità di trattamento degli offerenti o candidati e l'obbligo di trasparenza che ne discende (v., in tale senso, sentenza del 19 giugno 2008, Pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, Racc. pag. I-4401, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza citata). Quanto all'obbligo di trasparenza, quest'ultimo ha essenzialmente lo scopo di eliminare il rischio di favoritismo e di arbitrio da parte dell'amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza 29 aprile 2004, Commissione/CAS Succhi di Frutta, C-496/99 P, Racc. pag. I-3801, punto 111). Con riferimento all'aggiudicazione degli appalti, l'articolo 2 della direttiva 2004/18 esige che le amministrazioni aggiudicatrici rispettino gli stessi principi e obblighi.
    26 E' alla luce di tali considerazioni che occorre rispondere alle questioni sottoposte alla Corte, esaminando in successione la situazione in cui l'amministrazione aggiudicatrice ritiene l'offerta anormalmente bassa e quella in cui ritiene l'offerta imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri.
     
    Sull'offerta anormalmente bassa
    27 Si deve ricordare che, ai sensi dell'articolo 55 della direttiva 2004/18, se, per un determinato appalto, talune offerte appaiono anormalmente basse rispetto alla prestazione, l'amministrazione aggiudicatrice, prima di poter respingere tali offerte, «richiede per iscritto le precisazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta in questione».
    28 Discende chiaramente da tali disposizioni, redatte in termini imperativi, che il legislatore dell'Unione ha inteso prescrivere all'amministrazione aggiudicatrice una verifica degli elementi costitutivi delle offerte anormalmente basse, imponendole a tale effetto l'obbligo di chiedere ai candidati di fornire le giustificazioni necessarie a provare la serietà di tali offerte (v., in tal senso, sentenza del 27 novembre 2001, Lombardini e Mantovani, C-285/99 e C-286/99, Racc. pag. I-9233, punti 46-49).
    29 Pertanto, l'esistenza di un dibattito effettivo in contraddittorio, situato in un momento utile nella procedura di esame delle offerte, tra l'amministrazione aggiudicatrice e l'offerente, affinché quest'ultimo possa provare la serietà della sua offerta, costituisce un requisito fondamentale della direttiva 2004/18, al fine di evitare l'arbitrio dell'amministrazione aggiudicatrice e garantire una sana concorrenza tra le imprese (v., in tal senso, sentenza Lombardini e Mantovani, cit., punto 57).
    30 Al riguardo occorre ricordare, da un lato, che anche se l'elenco di cui all'articolo 55, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2004/18 non è esaustivo, esso non è tuttavia puramente indicativo, e non lascia quindi le amministrazioni aggiudicatrici libere di determinare quali siano gli elementi pertinenti da prendere in considerazione prima di escludere un'offerta che appare anormalmente bassa (sentenza del 23 aprile 2009, Commissione/Belgio, C-292/07, punto 159).
    31 D'altro lato, l'efficacia pratica dell'articolo 55, paragrafo 1, della direttiva 2004/18 implica che spetti all'amministrazione aggiudicatrice formulare chiaramente la richiesta diretta ai candidati interessati al fine di rendere loro possibile giustificare pienamente e utilmente la serietà delle loro offerte.
    32 Spetta tuttavia esclusivamente al giudice nazionale verificare, in base agli atti del fascicolo di causa, se la richiesta di chiarimenti abbia consentito ai candidati interessati di illustrare a sufficienza gli elementi costitutivi della loro offerta.
    33 Peraltro, l'articolo 55 della direttiva 2004/18, lungi dall'ostare a una disposizione nazionale quale l'articolo 42, paragrafo 3, della legge n. 25/2006, che prevede, in sostanza, che, qualora il candidato proponga un prezzo anormalmente basso, l'amministrazione aggiudicatrice gli chieda per iscritto di chiarire la sua proposta di prezzo, esige la presenza di una siffatta disposizione nella normativa nazionale relativa agli appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza Commissione/Belgio, cit., punto 161).
    34 L'articolo 55 della direttiva 2004/18 osta pertanto, segnatamente, alla posizione dell'amministrazione aggiudicatrice che sostenga, come espone il giudice del rinvio nella sua terza questione, di non essere obbligata a chiedere all'offerente chiarimenti su un prezzo anormalmente basso.
     
    Sull'offerta imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri
    35 Al riguardo si deve rilevare che la direttiva 2004/18, a differenza di quanto avviene per le offerte anormalmente basse, non contiene alcuna disposizione che preveda esplicitamente quali siano le conseguenze da trarre dalla constatazione, da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, nell'ambito di una gara d'appalto a procedura ristretta, dell'imprecisione dell'offerta di un candidato o della non conformità dell'offerta alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri.
    36 Per sua stessa natura la gara d'appalto a procedura ristretta comporta che, una volta effettuata la selezione dei candidati e dopo che essi abbiano depositato la loro offerta, quest'ultima non possa più, in linea di principio, essere modificata né su iniziativa dell'amministrazione aggiudicatrice né su iniziativa del candidato. Infatti, il principio di parità di trattamento dei candidati e l'obbligo di trasparenza che ne discende ostano, nell'ambito di tale procedura, a qualsivoglia trattativa tra l'amministrazione aggiudicatrice e l'uno o l'altro dei candidati.
    37 Consentire all'amministrazione aggiudicatrice di chiedere a un candidato, la cui l'offerta essa ritiene imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri, chiarimenti al riguardo, rischierebbe infatti di far sembrare, qualora l'offerta di tale candidato venisse infine accolta, che detta amministrazione aggiudicatrice abbia negoziato l'offerta in via riservata, a danno degli altri candidati, e in violazione del principio di parità di trattamento.
    38 Del resto, né dall'articolo 2, né da nessun'altra disposizione della direttiva 2004/18, né dal principio di parità di trattamento, e nemmeno dall'obbligo di trasparenza, risulta che in una situazione siffatta l'amministrazione aggiudicatrice sarebbe tenuta a contattare i candidati interessati. Questi ultimi non potrebbero peraltro lamentarsi del fatto che nessun obbligo al riguardo sia imposto all'amministrazione aggiudicatrice, dal momento che la mancanza di chiarezza dell'offerta risulterebbe soltanto da un inadempimento del loro obbligo di diligenza nella redazione di quest'ultima, che grava su di essi come sugli altri candidati.
    39 L'articolo 2 della direttiva 2004/18 non osta pertanto all'assenza, in una normativa nazionale, di una disposizione che obbligherebbe l'amministrazione aggiudicatrice a chiedere ai candidati, nell'ambito di una gara d'appalto a procedura ristretta, di chiarire le loro offerte rispetto alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri prima di respingerle a causa della loro imprecisione o non conformità a tali specifiche.
    40 Tuttavia, detto articolo 2 non osta in particolare a che, eccezionalmente, i dati relativi all'offerta possano essere corretti o completati su singoli punti, in particolare in quanto evidentemente necessitino di un semplice chiarimento, o al fine di correggere errori materiali manifesti, sempre che tale modifica non comporti in realtà la proposta di una nuova offerta. Detto articolo non osta quindi nemmeno a che figuri nella normativa nazionale una disposizione come l'articolo 42, paragrafo 2, della legge n. 25/2006, secondo cui, in sostanza, l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere per iscritto ai candidati di chiarire la loro offerta senza tuttavia chiedere o accettare alcuna modifica della stessa.
    41 Nell'esercizio del potere discrezionale di cui pertanto dispone l'amministrazione aggiudicatrice, quest'ultima deve trattare i diversi candidati in maniera uguale e leale, di modo che, all'esito della procedura di selezione delle offerte e tenuto conto del risultato di quest'ultima, non possa apparire che la richiesta di chiarimenti abbia indebitamente favorito o sfavorito il candidato o i candidati cui essa è rivolta.
    42 Al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, si deve aggiungere che la richiesta di chiarimenti dell'offerta può intervenire soltanto dopo che l'amministrazione aggiudicatrice abbia acquisito conoscenza di tutte le offerte (v., in tal senso, sentenza Lombardini e Mantovani, cit., punti 51 e 53).
    43 Peraltro, tale richiesta deve essere indirizzata in maniera equivalente a tutte le imprese che si trovino nella stessa situazione, in assenza di motivi oggettivamente verificabili tali da giustificare un trattamento differenziato dei candidati a tale riguardo, in particolare quando l'offerta, in considerazione di altri elementi, debba comunque essere respinta.
    44 Inoltre detta richiesta deve riguardare tutti i punti dell'offerta che sono imprecisi o non conformi alle specifiche tecniche del capitolato d'oneri, senza che l'amministrazione aggiudicatrice possa scartare l'offerta per mancanza di chiarezza di un aspetto della stessa che non abbia formato oggetto di tale richiesta.
    45 Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio dichiarando che:
    - l'articolo 55 della direttiva 2004/18 deve essere interpretato nel senso che esso esige la presenza nella normativa nazionale di una disposizione quale l'articolo 42, paragrafo 3, della legge slovacca n. 25/2006 sulle gare pubbliche d'appalto, che prevede, in sostanza, che, qualora il candidato proponga un prezzo anormalmente basso, l'amministrazione aggiudicatrice gli chieda per iscritto di chiarire la sua proposta di prezzo. Spetta al giudice nazionale verificare, in base agli atti del fascicolo di causa, se la richiesta di chiarimenti abbia consentito al candidato interessato di illustrare a sufficienza gli elementi costitutivi della sua offerta;
    - l'articolo 55 della direttiva 2004/18 osta alla posizione di un'amministrazione aggiudicatrice che consideri di non essere obbligata a chiedere al candidato chiarimenti su un prezzo anormalmente basso;
    - l'articolo 2 della direttiva 2004/18 non osta a una disposizione del diritto nazionale, quale l'articolo 42, paragrafo 2, di detta legge n. 25/2006, secondo cui, in sostanza, l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere per iscritto ai candidati di chiarire la loro offerta senza tuttavia chiedere o accettare una modifica dell'offerta. Nell'esercizio del potere discrezionale di cui dispone in tal senso l'amministrazione aggiudicatrice, quest'ultima deve trattare i diversi candidati in maniera uguale e leale, di modo che, all'esito della procedura di selezione delle offerte e tenuto conto del risultato di quest'ultima, non possa apparire che la richiesta di chiarimenti abbia indebitamente favorito o sfavorito il candidato o i candidati cui essa è rivolta.
     
    Sulla domanda di sospensione degli effetti della sentenza
    46 Il governo slovacco ha chiesto alla Corte di limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza qualora essa dovesse interpretare i principi generali di cui all'articolo 2 della direttiva 2004/18 deducendone un obbligo per l'amministrazione aggiudicatrice di chiedere al candidato, nel contesto della valutazione della conformità dell'offerta ai requisiti relativi all'oggetto dell'appalto quali definiti nel capitolato d'oneri, di chiarire la sua offerta.
    47 Tuttavia, l'interpretazione dell'articolo 2 della direttiva 2004/18 sancita nella presente sentenza non comporta siffatta deduzione. La domanda del governo slovacco è quindi, e in ogni caso, priva di oggetto.
     
    Sulle spese
    48 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
    L'articolo 55 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso esige la presenza nella normativa nazionale di una disposizione quale l'articolo 42, paragrafo 3, della legge slovacca n. 25/2006 sulle gare pubbliche d'appalto, nella sua versione applicabile al procedimento principale, che prevede, in sostanza, che, qualora il candidato proponga un prezzo anormalmente basso, l'amministrazione aggiudicatrice gli chieda per iscritto di chiarire la sua proposta di prezzo. Spetta al giudice nazionale verificare, in base agli atti del fascicolo di causa, se la richiesta di chiarimenti abbia permesso al candidato interessato di illustrare a sufficienza gli elementi costitutivi della sua offerta.
    L'articolo 55 della direttiva 2004/18 osta alla posizione di un'amministrazione aggiudicatrice che consideri di non essere obbligata a chiedere al candidato chiarimenti su un prezzo anormalmente basso.
    L'articolo 2 della direttiva 2004/18 non osta a una disposizione del diritto nazionale, quale l'articolo 42, paragrafo 2, della citata legge n. 25/2006, secondo cui, in sostanza, l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere per iscritto ai candidati di chiarire la loro offerta senza tuttavia chiedere o accettare una modifica dell'offerta. Nell'esercizio del potere discrezionale di cui dispone in tal senso l'amministrazione aggiudicatrice, quest'ultima deve trattare i diversi candidati in maniera uguale e leale, di modo che, all'esito della procedura di selezione delle offerte e tenuto conto del risultato di quest'ultima, non possa apparire che la richiesta di chiarimenti abbia indebitamente favorito o sfavorito il candidato o i candidati cui essa è rivolta.
     

    Largo alle associazioni a tutela dell'ambiente: non porre argini alle azioni in giudizio!

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    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 12 maggio 2011
     
    Direttiva 85/337/CEE - Valutazione dell'impatto ambientale - Convenzione di Aarhus - Direttiva 2003/35/CE - Accesso alla giustizia - Organizzazioni non governative per la protezione dell'ambiente
     
    Nel procedimento C-115/09,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dall'Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen (Germania) con decisione 5 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il 27 marzo 2009, nella causa
     
    B. U.
     
    contro
    BE. A.,
     
    con l'intervento di:
    T. & Co. KG,
     
    LA CORTE (Quarta Sezione),
    composta dal sig. J.-C. Bonichot (relatore), presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, A. Arabadjiev, L. Bay Larsen e dalla sig.ra C. Toader, giudici,
    avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
    cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore
    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 10 giugno 2010,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per il B. U., dagli avv.ti D. Teßmer e B.W. Wegener, Rechtsanwälte;
    - per la BE. A., dal sig. D. Bremecker, in qualità di agente;
    - per la T. & Co. KG, dagli avv.ti C. Riese e U. Karpenstein, Rechtsanwälte;
    - per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e B. Klein, in qualità di agenti;
    - per il governo ellenico, dal sig. G. Karipsiadis, in qualità di agente;
    - per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra M. Russo, avvocato dello Stato;
    - per la Commissione europea, dai sigg. J.-B. Laignelot e G. Wilms, in qualità di agenti,
    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 16 dicembre 2010,
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE (GU L 156; in prosieguo: la «direttiva 85/337»).
    2 Tale domanda è stata presentata nel contesto di una controversia che vede il B. U. (Federazione per l'ambiente e la protezione della natura, associazione del Land Renania del Nord-Vestfalia; in prosieguo: la «Federazione per l'ambiente») contrapposto alla BE. A. (amministrazione distrettuale di Arnsberg), in merito all'autorizzazione che quest'ultima ha concesso alla T. & Co. KG (in prosieguo: la «T.») ai fini della costruzione e della gestione di una centrale elettrica alimentata a carbone nel sito di Lünen.
     
    Contesto normativo
    Diritto internazionale
    3 La Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, detta «Convenzione di Aarhus», è stata sottoscritta il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio 17 febbraio 2005, 2005/370/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale (GU L 124, pag. 1).
    4 L'art. 9 di detta Convenzione così prevede:
    «(...)
    2. Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato
    a) che vantino un interesse sufficiente
    o in alternativa
    b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto,
    abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell'articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione.
    Le nozioni di "interesse sufficiente" e di "violazione di un diritto" sono determinate secondo il diritto nazionale, coerentemente con l'obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia nell'ambito della presente convenzione. A tal fine si ritiene sufficiente, ai sensi della lettera a), l'interesse di qualsiasi organizzazione non governativa in possesso dei requisiti di cui all'articolo 2, paragrafo 5. Tali organizzazioni sono altresì considerate titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi della lettera b).
    Le disposizioni del presente paragrafo non escludono la possibilità di esperire un ricorso preliminare dinanzi ad un'autorità amministrativa, né dispensano dall'obbligo di esaurire le vie di ricorso amministrativo prima di avviare un procedimento giudiziario, qualora tale obbligo sia previsto dal diritto nazionale.
    3. In aggiunta, e ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale.
    4. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. Le decisioni prese in virtù del presente articolo sono emanate o registrate per iscritto. Le decisioni degli organi giurisdizionali e, ove possibile, degli altri organi devono essere accessibili al pubblico.
    (...)».
     
    Diritto dell'Unione
    La direttiva 2003/35
    5 Il quinto 'considerando' della direttiva 2003/35 dichiara che la normativa comunitaria deve essere correttamente allineata alla Convenzione di Aarhus in vista della ratifica da parte della Comunità.
    6 Il nono 'considerando' della direttiva 2003/35 precisa quanto segue:
    «L'articolo 9, paragrafi 2 e 4 della convenzione di Århus, contiene norme sull'accesso alle procedure giudiziarie, o di altra natura, al fine di contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico contenute nell'articolo 6 della convenzione».
    7 L'undicesimo 'considerando' della direttiva 2003/35 dichiara che la direttiva 85/337 deve essere modificata per garantirne la totale compatibilità con le disposizioni della Convenzione di Aarhus e, segnatamente, con gli artt. 6 e 9, nn. 2 e 4.
    8 L'art. 1 della direttiva 2003/35 reca il testo seguente:
    «Obiettivo della presente direttiva è contribuire all'attuazione degli obblighi derivanti dalla convenzione di Århus, in particolare:
    (...)
    b) migliorando la partecipazione del pubblico e prevedendo disposizioni sull'accesso alla giustizia nel quadro delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE».
     
    La direttiva 85/337
    9 L'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337 così prevede:
    «La presente direttiva si applica alla valutazione dell'impatto ambientale dei progetti pubblici e privati che possono avere un impatto ambientale importante».
    10 L'art. 1, n. 2, della direttiva 85/337 enuncia le definizioni, aggiunte dalla direttiva 2003/35, delle nozioni di «pubblico» e di «pubblico interessato»:
    «Ai sensi della presente direttiva si intende per:
    (...)
    "pubblico": una o più persone fisiche o giuridiche nonché, ai sensi della legislazione o prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone;
    "pubblico interessato": pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale di cui all'articolo 2, paragrafo 2, o che ha un interesse in tali procedure; ai fini della presente definizione le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell'ambiente e che soddisfano i requisiti di diritto nazionale si considerano portatrici di un siffatto interesse.
    (...)».
    11 Ai sensi dell'art. 10 bis della direttiva 85/337, parimenti aggiunto dalla direttiva 2003/35:
    «Gli Stati membri provvedono, in conformità del proprio ordinamento giuridico nazionale, affinché i membri del pubblico interessato:
    a) che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa,
    b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di uno Stato membro esiga tale presupposto,
    abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi ad un organo giurisdizionale o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva.
    (...)
    Gli Stati membri determinano ciò che costituisce interesse sufficiente e violazione di un diritto, compatibilmente con l'obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia. A tal fine, l'interesse di qualsiasi organizzazione non governativa ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 2, è considerato sufficiente ai fini della lettera a) del presente articolo. Si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di essere lesi ai fini della lettera b) del presente articolo.
    (...)».
     
    La direttiva 92/43/CE
    12 L'art. 6, n. 3, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206), come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/105/CE (GU L 363; in prosieguo: la «direttiva "habitat"»), contempla le seguenti disposizioni:
    «Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica».
     
    Diritto nazionale
    13 L'art. 42 della Verwaltungsgerichtsordnung (codice di procedura amministrativa, BGBl. 1991 I, pag. 686; in prosieguo: la «VwGO») precisa nei seguenti termini le condizioni di ricevibilità del ricorso in sede contenziosa:
    «1. Possono essere chiesti con ricorso l'annullamento di un atto amministrativo (ricorso di annullamento), o la condanna ad emanare un atto amministrativo di cui sia stata rifiutata od omessa l'adozione (azione di adempimento).
    2. Se la legge non dispone diversamente, l'azione è ammissibile soltanto qualora il ricorrente faccia valere di essere stato leso nei suoi diritti dall'atto amministrativo o dalla denegata o omessa emanazione di quest'ultimo».
    14 L'art. 113, n. 1, prima frase, del VwGO, prevede altresì:
    «1. Un atto amministrativo illegittimo e la lesione ad esso imputabile dei diritti del ricorrente comportano l'annullamento ad opera del giudice dell'atto amministrativo e dell'eventuale decisione relativa all'opposizione avverso l'annullamento».
    15 L'art. 2, n. 1, prima frase, della legge sulla valutazione dell'impatto ambientale (Gesetz über die Umweltverträglichkeitsprüfung, BGBl. 2005 I, pag. 1757; in prosieguo: l'«UVPG») dispone che la valutazione dell'impatto ambientale rientra nell'ambito delle procedure decisionali amministrative da seguire per l'adozione delle decisioni sull'ammissibilità dei progetti.
    16 In forza dell'art. 2, n. 3, punto 1, dell'UPVG, l'autorizzazione, la decisione sull'approvazione dei piani e le altre decisioni amministrative in merito all'ammissibilità dei progetti, adottate nell'ambito di un procedimento amministrativo, ad eccezione delle procedure di natura dichiarativa, costituiscono «decisioni» ai sensi del n. 1, prima frase.
    17 L'art. 1, n. 1, punto 1, lett. a), della legge recante disposizioni complementari relative ai ricorsi in materia ambientale ai sensi della direttiva 2003/35/CE (Umwelt-Rechtsbehelfsgesetz, BGBl. 2006 I, pag. 2816; in prosieguo: l'«UmwRG») precisa tra l'altro che detta legge si applica ai ricorsi proposti contro le «decisioni», ai sensi dell'art. 2, n. 3, dell'UPVG, in merito all'approvazione di progetti per i quali può sussistere, in forza dell'UPVG, l'obbligo di effettuare una valutazione dell'impatto ambientale.
    18 L'art. 2, n. 1, punto 1, dell'UmwRG prevede che un'associazione nazionale o estera, riconosciuta ai sensi dell'art. 3 della stessa legge, possa proporre ricorsi avverso una decisione, ovvero avverso la sua mancata adozione, secondo le modalità previste dal VwGO, senza dover invocare la violazione dei propri diritti, qualora l'associazione faccia valere che la decisione, ovvero la sua mancata adozione, risulta in contrasto con le norme «preposte a tutela dell'ambiente, che conferiscono diritti ai singoli e che possono essere rilevanti ai fini della decisione».
    19 Peraltro, l'art. 2, n. 5, prima frase, punto 1, dell'UmwRG precisa che siffatti ricorsi sono fondati qualora la decisione impugnata violi disposizioni «preposte alla tutela dell'ambiente, che conferiscono diritti ai singoli e rilevanti ai fini della decisione», e la violazione «investa interessi relativi alla tutela ambientale, rientranti tra gli obiettivi fissati nel suo statuto, che l'associazione si prefigge di conseguire».
    20 L'art. 5, n. 1, prima frase, punto 2, della legge federale sulla protezione dagli effetti nocivi dell'inquinamento atmosferico, acustico, da vibrazioni e da fenomeni analoghi sull'ambiente - legge sulla protezione dall'inquinamento (Bundes-Immissionsschutzgesetz, BGBl. 2002 I, pag. 3830; in prosieguo: il «BImSchG») dispone, segnatamente, che gli impianti soggetti ad autorizzazione devono essere costruiti e gestiti in modo da assicurare, in vista di un elevato livello di protezione della «totalità dell'ambiente», la prevenzione contro gli impatti nocivi sull'ambiente, nonché gli altri rischi, seri inconvenienti e gravi danni.
    21 L'art. 8, n. 1, prima frase, del BImSchG prevede che l'autorizzazione possa essere rilasciata, su domanda, ai fini della costruzione di un impianto o di una parte di impianto, o per la costruzione e il funzionamento di una parte di impianto qualora esista un interesse legittimo al rilascio di un'autorizzazione parziale, se ricorrono le condizioni necessarie per quanto riguarda l'oggetto dell'autorizzazione parziale richiesta, e se ad una valutazione provvisoria risulta che alla costruzione e al funzionamento dell'insieme dell'impianto dal punto di vista delle condizioni di autorizzazione non si oppone nessun ostacolo a priori insormontabile.
    22 L'art. 9, n. 1, del BImSchG dispone che, su domanda, può essere emessa una decisione preliminare su talune condizioni relative all'autorizzazione, oltre che sul sito dell'impianto, ove possano essere sufficientemente valutati gli effetti del progettato impianto e ove esista un interesse legittimo al rilascio della decisione preliminare.
    23 L'art. 61 della legge sulla protezione della natura e sulla preservazione del paesaggio (Bundesnaturschutzgesetz, BGBl. 2002 I, pag. 1193) precisa quanto segue:
    «1. Un'associazione riconosciuta (...), indipendentemente dal fatto che sia stata lesa nei propri diritti, può esperire ricorsi secondo le modalità previste dalla legge recante organizzazione del contenzioso amministrativo avverso:
    1) esoneri da divieti e prescrizioni posti a tutela di riserve naturali, parchi nazionali e altre aree protette nell'ambito dell'art. 33, n. 2, nonché
    2) decisioni di approvazione dei piani relative a progetti connessi a interventi sull'ambiente naturale o sul paesaggio, ovvero permessi in materia di pianificazione del territorio, nella misura in cui sia prevista la partecipazione del pubblico.
    (...)
    2. I ricorsi di cui al n. 1 sono considerati ammissibili solo qualora:
    1) l'associazione faccia valere che l'emanazione di un atto amministrativo citato al n. 1, prima frase, è contraria alle disposizioni di tale legge, alle norme che sono state emanate o sono vigenti in esecuzione o nell'ambito di tale legge, oppure di altre disposizioni che devono essere osservate ai fini dell'emanazione di un atto amministrativo e sono dirette, quantomeno, anche a tutelare gli interessi della protezione della natura e della conservazione dei paesaggi;
    2) sia compromesso l'ambito di attività risultante dallo statuto dell'associazione, nella misura in cui l'atto di riconoscimento vi faccia riferimento (...)».
     
    Fatti e questioni pregiudiziali
    24 La T., interveniente nella causa principale, progetta la costruzione e la gestione di una centrale elettrica alimentata a carbone a Lünen. La messa in servizio di detta centrale, caratterizzata da una potenza di combustione calorifica che raggiunge i 1 705 megawatt e da un rendimento elettrico netto di 750 megawatt, è prevista per il 2012. Nel raggio di 8 chilometri intorno al sito, si trovano cinque zone speciali di conservazione ai sensi della direttiva «habitat».
    25 Nell'ambito della valutazione dell'impatto ambientale di tale progetto, il 6 maggio 2008 la BE. A. (amministrazione distrettuale di Arnsberg), convenuta nella causa principale, ha rilasciato alla T. un parere preliminare e un'autorizzazione parziale per il progetto. Nel parere preliminare si constatava che il progetto non dava adito ad alcuna riserva sotto il profilo giuridico.
    26 La Federazione per l'ambiente ha proposto il 16 giugno 2008 un ricorso ai fini dell'annullamento dei detti atti dinanzi all'Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen. Essa invoca segnatamente la violazione delle disposizioni recanti recepimento della direttiva «habitat» e, in particolare, del suo art. 6.
    27 Il giudice del rinvio considera che tali atti sono stati adottati violando l'art. 6, n. 3, della direttiva «habitat», dato che la valutazione dell'impatto ambientale del progetto di cui trattasi non aveva consentito di dimostrare che quest'ultimo non potesse pregiudicare in modo significativo le zone speciali di conservazione situate nelle vicinanze.
    28 Il giudice del rinvio ritiene che, in base alle norme del diritto nazionale, un'associazione per la tutela dell'ambiente non possa far valere la violazione di disposizioni del diritto per la protezione delle acque e della natura, nonché il principio di precauzione sancito dall'art. 5, n. 1, prima frase, punto 2, del BImSchG, in quanto dette disposizioni non conferiscono diritti ai singoli, ai sensi degli artt. 2, nn. 1, punto 1, e 5, prima frase, punto 1, dell'UmwRG.
    29 Egli precisa che il diritto a proporre ricorso conferito alle organizzazioni non governative corrisponde pertanto al regime generale dei ricorsi di annullamento previsto dal diritto processuale amministrativo, segnatamente agli artt. 42, n. 2, e 113, n. 1, prima frase, della VwGO, i quali prevedono che un ricorso giurisdizionale avverso un atto amministrativo sia ricevibile soltanto se tale atto pregiudica i diritti del ricorrente e, quindi, i suoi diritti pubblici soggettivi.
    30 Egli aggiunge che, per stabilire se una disposizione di diritto nazionale protegga diritti individuali, il criterio decisivo consiste nel valutare in quale misura l'interesse o il diritto protetto, il tipo di violazione di tale diritto e la cerchia di persone tutelate siano sufficientemente determinati e circoscritti dalla disposizione considerata.
    31 Il giudice del rinvio ritiene al riguardo che, nel settore del diritto della protezione dall'inquinamento, l'art. 5, n. 1, prima frase, punto 2, del BImSchG, come anche del resto le disposizioni in materia di diritto della protezione delle acque e della natura, riguardano anzitutto la collettività e non hanno ad oggetto la tutela dei diritti individuali.
    32 Il giudice del rinvio constata, inoltre, che il progetto di cui trattasi non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 61 della legge sulla protezione della natura e sulla preservazione dei paesaggi, che consente in taluni casi di derogare alla detta condizione di ricevibilità per i ricorsi promossi dalle associazioni riconosciute nel settore dell'ambiente.
    33 Considerando che siffatta restrizione dell'accesso alla giustizia potrebbe tuttavia pregiudicare l'effetto utile della direttiva 85/337, il giudice del rinvio si chiede se il ricorso della Federazione per la tutela dell'ambiente non debba essere accolto sul fondamento dell'art. 10 bis di detta direttiva.
    34 In tali circostanze, l'Oberverwaltungsgericht für das Land Nordrhein-Westfalen ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
    «1) Se l'art. 10 bis della direttiva 85/337 (...) prescriva che le organizzazioni non governative che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto possano invocare la violazione di qualsiasi disposizione in materia di ambiente rilevante ai fini dell'approvazione di un progetto, comprese le disposizioni che sono unicamente destinate a tutelare gli interessi generali e non, almeno in parte, i beni giuridici dei singoli.
    2) Salvo il caso in cui sia data soluzione incondizionatamente affermativa alla prima questione:
    se l'art. 10 bis della direttiva 85/337 (...) prescriva che le organizzazioni non governative che intendono proporre ricorso dinanzi ai giudici di uno Stato membro il cui diritto processuale amministrativo esige che si faccia valere la violazione di un diritto possano invocare la violazione di disposizioni in materia di ambiente rilevanti ai fini dell'approvazione di un progetto che si fondano direttamente sul diritto comunitario o che attuano nel diritto interno le disposizioni comunitarie in materia di ambiente, comprese le disposizioni che sono unicamente destinate a tutelare gli interessi generali e non, almeno in parte, i beni giuridici dei singoli.
    a) In caso di soluzione, in linea di principio, affermativa alla seconda questione:
    se le norme comunitarie in materia ambientale debbano soddisfare determinate condizioni sostanziali al fine di poter costituire il fondamento giuridico di un ricorso.
    b) In caso di soluzione affermativa alla seconda questione, sub a):
    si pone la questione circa le condizioni sostanziali di cui trattasi (ad esempio, effetto diretto, scopo di tutela o finalità della legislazione).
    3) In caso di soluzione affermativa alla prima o seconda questione:
    se la direttiva riconosca direttamente alle organizzazioni non governative un diritto di accedere alla giustizia, che va oltre quanto stabilito dalle disposizioni del diritto nazionale».
     
    Sulle questioni pregiudiziali
    Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale
    35 Con le sue due prime questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l'art. 10 bis della direttiva 85/337 osti ad una normativa che non riconosce alle organizzazioni non governative che operano a favore della tutela dell'ambiente previste all'art. 1, n. 2, della direttiva 85/337 (in prosieguo: le «associazioni a tutela dell'ambiente») la possibilità di far valere in giudizio, nel contesto di un ricorso avverso una decisione di autorizzazione di progetti che possono avere un «impatto ambientale importante» ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, la violazione di una norma che protegge soltanto gli interessi della collettività e non quelli dei singoli. Il giudice del rinvio chiede anche alla Corte se detto art. 10 bis della direttiva 85/337 osti a siffatta legislazione in via generale o soltanto nei limiti in cui essa non consenta a tale organizzazione di far valere in giustizia specifiche disposizioni, d'origine comunitaria o esclusivamente nazionale, del diritto dell'ambiente.
    36 Dalla decisione di rinvio risulta che la questione si giustifica con la circostanza che la normativa nazionale applicabile subordina la ricevibilità di un'azione come quella avviata dalla ricorrente nella causa principale alla condizione che il ricorrente faccia valere che la decisione amministrativa impugnata pregiudica un diritto individuale che può, secondo il diritto nazionale, essere qualificato come diritto pubblico soggettivo.
    37 Occorre constatare preliminarmente che l'art. 10 bis, primo comma, della direttiva 85/337 prevede che le decisioni, gli atti o le omissioni contemplati dal detto articolo debbano poter costituire oggetto di ricorso giurisdizionale per «contestare la legittimità sostanziale o procedurale» e senza limitare in nessun modo i mezzi che possono essere invocati a sostegno di siffatto ricorso.
    38 Con riferimento alle condizioni di ricevibilità del ricorso, detta disposizione contempla due ipotesi: la ricevibilità di un ricorso può essere subordinata ad un «interesse sufficiente» oppure al presupposto che il ricorrente faccia valere la «violazione di un diritto», a seconda che la normativa nazionale si riferisca all'una o all'altra di dette condizioni.
    39 L'art. 10 bis, terzo comma, prima frase, della direttiva 85/337 precisa poi che gli Stati membri sono tenuti a stabilire cosa costituisca violazione di un diritto, in conformità con l'obiettivo diretto ad attribuire al pubblico interessato «un ampio accesso alla giustizia».
    40 Con riferimento ai ricorsi proposti dalle associazioni a tutela dell'ambiente, l'art. 10 bis, terzo comma, seconda e terza frase, della direttiva 85/337 aggiunge che a tale scopo si deve ritenere che esse abbiano sufficiente interesse oppure siano portatrici di diritti passibili di violazione a seconda che la normativa nazionale si riferisca all'uno o all'altro di tali presupposti di ricevibilità.
    41 Tali diverse disposizioni devono essere interpretate alla luce e tenendo conto degli obiettivi della Convenzione di Aarhus alla quale, come risulta dal quinto 'considerando' della direttiva 2003/35, la normativa dell'Unione deve essere «correttamente allineata».
    42 Ne deriva che, qualunque sia l'orientamento scelto dallo Stato membro con riferimento al criterio della ricevibilità di un ricorso, le associazioni a tutela dell'ambiente hanno, in conformità all'art. 10 bis della direttiva 85/337, diritto a proporre ricorso in sede giurisdizionale o dinanzi ad un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, allo scopo di contestare la legittimità, quanto al merito o alla procedura, delle decisioni, degli atti o delle omissioni previste dal detto articolo.
    43 Occorre, infine, anche ricordare che, qualora, in assenza di disposizioni fissate in tale settore dal diritto dell'Unione, spetti all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi diretti a garantire la salvaguardia dei diritti che i singoli vantano in forza del diritto dell'Unione, tali modalità non devono essere meno favorevoli di quelle riguardanti ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività).
    44 Se spetta quindi agli Stati membri stabilire, qualora il loro sistema giuridico sia configurato in tal modo, quali siano i diritti la cui violazione può dar luogo a un ricorso in materia d'ambiente, nei limiti assegnati dall'art. 10 bis della direttiva 85/337, essi, nel procedere a tale determinazione, non possono privare le associazioni a tutela dell'ambiente, rispondenti ai requisiti di cui all'art. 1, n. 2, della direttiva, della possibilità di svolgere il ruolo loro riconosciuto tanto dalla direttiva 85/337 quanto dalla Convenzione di Aarhus.
    45 Per quanto riguarda una normativa come quella di cui trattasi nella causa principale, se è possibile che il legislatore nazionale circoscriva ai soli diritti pubblici soggettivi i diritti di cui può essere invocata la violazione da parte dei singoli nel contesto di un ricorso giurisdizionale promosso avverso una delle decisioni, atti od omissioni previsti dall'art. 10 bis della direttiva 85/337, siffatta limitazione non può essere applicata in quanto tale alle associazioni a tutela dell'ambiente salvo travisare le finalità di cui all'art. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337.
    46 Infatti, se, come risulta da detta disposizione, tali associazioni devono poter far valere gli stessi diritti dei singoli, sarebbe in contrasto con l'obiettivo di garantire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia, da una parte, nonché con il principio di effettività, dall'altra, la circostanza che le dette associazioni non possano anche invocare la violazione di norme derivanti dal diritto dell'Unione in materia ambientale per il solo motivo che queste ultime tutelano interessi collettivi. Infatti, come emerge dalla controversia nella causa principale, ciò le priverebbe in larga misura della possibilità di far verificare il rispetto di norme derivanti da tale diritto che sono, per la maggior parte dei casi, rivolte all'interesse pubblico e non alla sola protezione degli interessi dei singoli considerati individualmente.
    47 Ne deriva anzitutto che la nozione di «violazione di un diritto» non può dipendere da condizioni che solo altre persone fisiche o giuridiche possono soddisfare, come, ad esempio, la condizione di essere più o meno prossimi ad un impianto o quella di subire in un modo o in un altro gli effetti del suo funzionamento.
    48 Ne deriva più in generale che l'art. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337 deve essere letto nel senso che tra i «diritti suscettibili di essere lesi», di cui si ritiene beneficino le associazioni a tutela dell'ambiente, devono necessariamente figurare le disposizioni di diritto nazionale che attuano la normativa dell'Unione in materia di ambiente, nonché le disposizioni aventi effetto diretto del diritto dell'Unione in materia di ambiente.
    49 Al riguardo, per fornire al giudice del rinvio una soluzione il più possibile utile, si deve osservare che il motivo dedotto contro la decisione impugnata dalla violazione di disposizioni del diritto nazionale derivanti dall'art. 6 della direttiva «habitat» deve poter quindi essere invocato da un'associazione a tutela dell'ambiente.
    50 Occorre conseguentemente risolvere le prime due questioni presentate, lette congiuntamente, dichiarando che l'art. 10 bis della direttiva 85/337 osta ad una normativa che non riconosca ad un'organizzazione non governativa, che opera per la protezione dell'ambiente, prevista all'art. 1, n. 2, di tale direttiva, la possibilità di far valere in giudizio, nell'ambito di un ricorso promosso contro una decisione di autorizzazione di progetti «che possono avere un impatto ambientale importante», ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, la violazione di una norma derivante dal diritto dell'Unione ed avente l'obiettivo della tutela dell'ambiente, per il fatto che tale disposizione protegge esclusivamente gli interessi della collettività e non quelli dei singoli.
     
    Sulla terza questione pregiudiziale
    51 Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte se un'associazione a tutela dell'ambiente possa dedurre dall'art. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337 il diritto a far valere in giudizio, nel contesto di un ricorso contro una decisione di autorizzazione di progetti «che possono avere un impatto ambientale importante», in base all'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, la violazione delle disposizioni di diritto nazionale derivanti dall'art. 6 della direttiva «habitat», mentre il diritto processuale nazionale non lo consente in quanto le disposizioni invocate tutelano i soli interessi della collettività e non quelli dei singoli.
    52 Tale questione si pone per il caso in cui non sia possibile al giudice del rinvio fornire al diritto processuale nazionale un'interpretazione conforme ai presupposti del diritto dell'Unione.
    53 Al riguardo occorre anzitutto ricordare che l'obbligo per gli Stati membri di raggiungere il risultato previsto da una direttiva, nonché il loro dovere di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l'adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi dei detti Stati, ivi compresi, nell'ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in tal senso, sentenza 19 gennaio 2010, causa C-555/07, Kücükdeveci, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
    54 La Corte ha dichiarato che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, quando quest'ultimo non ha recepito tempestivamente la direttiva nell'ordinamento nazionale o l'ha recepita in modo non corretto (v., in particolare, sentenza 12 febbraio 2009, causa C-138/07, Cobelfret, Racc. pag. I-731, punto 58).
    55 Al riguardo va constatato che, considerato nel suo insieme, l'art. 10 bis della direttiva 85/337 lascia agli Stati membri un apprezzabile margine di manovra sia nello stabilire cosa costituisca violazione di un diritto, sia nel fissare, segnatamente, i presupposti della ricevibilità dei ricorsi e gli organi dinanzi ai quali essi devono essere promossi.
    56 Non può dirsi lo stesso, tuttavia, per quanto riguarda le disposizioni delle ultime due frasi del terzo comma di detto articolo.
    57 Queste ultime, nel prevedere, da una parte, che è considerato sufficiente l'interesse di qualsiasi organizzazione non governativa rispondente ai requisiti di cui all'art. 1, n. 2, della direttiva 85/337 e, dall'altra, che si considera inoltre che tali organizzazioni siano titolari di diritti suscettibili di essere lesi, fissano regole precise e non soggette ad altre condizioni.
    58 Inoltre, come sopra si è detto, nel novero dei diritti che le associazioni a tutela dell'ambiente devono poter far valere in giudizio in applicazione dell'art. 10 bis della direttiva 85/337 figurano le disposizioni derivanti dal diritto dell'Unione in materia di ambiente e, segnatamente, le norme di diritto nazionale derivanti dall'art. 6 della direttiva «habitat».
    59 Occorre quindi risolvere la terza questione dichiarando che un'organizzazione non governativa che opera a favore della tutela dell'ambiente, di cui all'art. 1, n. 2, della direttiva 85/337, può dedurre dall'art. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337 il diritto di far valere in giudizio, nel contesto di un ricorso promosso avverso una decisione di autorizzazione di progetti «che possono avere un impatto ambientale importante» ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, la violazione delle norme del diritto nazionale derivanti dall'art. 6 della direttiva «habitat», mentre il diritto processuale nazionale non lo consente in quanto le norme invocate tutelano soltanto gli interessi della collettività e non quelli dei singoli.
     
    Sulle spese
    60 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
    1) L'art. 10 bis della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 maggio 2003, 2003/35/CE, osta ad una normativa che non riconosca ad un'organizzazione non governativa, che opera per la protezione dell'ambiente, di cui all'art. 1, n. 2, di tale direttiva, la possibilità di far valere in giudizio, nell'ambito di un ricorso promosso contro una decisione di autorizzazione di progetti «che possono avere un impatto ambientale importante» ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, la violazione di una norma derivante dal diritto dell'Unione ed avente l'obiettivo della tutela dell'ambiente, per il fatto che tale disposizione protegge esclusivamente gli interessi della collettività e non quelli dei singoli.
    2) Siffatta organizzazione non governativa può dedurre dall'art. 10 bis, terzo comma, ultima frase, della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, il diritto di far valere in giudizio, nel contesto di un ricorso promosso avverso una decisione di autorizzazione di progetti «che possono avere un impatto ambientale importante» ai sensi dell'art. 1, n. 1, della direttiva 85/337, come modificata, la violazione delle norme del diritto nazionale derivanti dall'art. 6 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, come modificata dalla direttiva del Consiglio 20 novembre 2006, 2006/105/CE, mentre il diritto processuale nazionale non lo consente in quanto le norme invocate tutelano soltanto gli interessi della collettività e non quelli dei singoli.
     
     

    Dall'Europa il sì alla possibilità per i professionisti di farsi pubblicità "porta a porta"

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    SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 5 aprile 2011
     
    Libera prestazione dei servizi - Direttiva 2006/123/CE - Art. 24 - Proibizione di tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate - Professione di dottore commercialista/esperto contabile - Divieto di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi ("démarchage")»
     
    Nel procedimento C-119/09,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Conseil d'État (Francia), con decisione 4 marzo 2009, pervenuta in cancelleria il 1^ aprile 2009, nella causa
     
    Société F.
     
    contro
    Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique,
     
    LA CORTE (Grande Sezione),
    composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.-C. Bonichot, K. Schiemann, J.-J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dal sig. A. Rosas, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. U. Lõhmus (relatore), M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,
    avvocato generale: sig. J. Mazák
    cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore
    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 23 marzo 2010,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per la Société F., dall'avv. F. Molinié, avocat;
    - per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e B. Messmer, in qualità di agenti;
    - per il governo cipriota, dalla sig.ra D. Kallí, in qualità di agente;
    - per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, nonché dai sigg. M. de Grave e J. Langer, in qualità di agenti;
    - per la Commissione europea, dal sig. I. Rogalski e dalla sig.ra C. Vrignon, in qualità di agenti,
    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 18 maggio 2010,
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 24 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376).
    2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra la Société F. (in prosieguo: la «Société fiduciaire») e il Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publique (Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Funzione pubblica), in merito a un ricorso diretto all'annullamento del decreto 27 settembre 2007, n. 1387, recante un codice di deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile (JORF del 28 settembre 2007, pag. 15847), nella parte in cui vieta gli atti di «démarchage», cioè di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi.
     
    Contesto normativo
    La normativa dell'Unione
    3 Ai sensi del secondo, del quinto e del centesimo 'considerando' della direttiva 2006/123:
    «(2) Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell'Unione europea. Attualmente un elevato numero di ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), di edivdersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico. Tale situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell'Unione europea. Un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l'informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori.
    (...)
    (5) E' necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato. (...)
    (...)
    (100) Occorre sopprimere i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate, revocando non i divieti relativi al contenuto di una comunicazione commerciale bensì quei divieti che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, ad esempio il divieto assoluto di pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione. Per quanto riguarda il contenuto e le modalità delle comunicazioni commerciali, occorre incoraggiare gli operatori del settore ad elaborare, nel rispetto del diritto comunitario, codici di condotta a livello comunitario».
    4 L'art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123 prevede che, ai fini della medesima, si debba intendere per:
    «"comunicazione commerciale": qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o indirettamente, beni, servizi, o l'immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di una persona che svolge un'attività commerciale, industriale o artigianale o che esercita una professione regolamentata. Non costituiscono, di per sé, comunicazioni commerciali le informazioni seguenti:
    a) le informazioni che permettono l'accesso diretto all'attività dell'impresa, dell'organizzazione o della persona, in particolare un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica,
    b) le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all'immagine dell'impresa, dell'organizzazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare se fornite in assenza di un corrispettivo economico».
    5 L'art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate», ha il seguente tenore:
    «1. Gli Stati membri sopprimono tutti i divieti totali in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate.
    2. Gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l'indipendenza, la dignità e l'integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate».
    6 A norma degli artt. 44 e 45 della direttiva 2006/123, quest'ultima è entrata in vigore il 28 dicembre 2006 e doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 28 dicembre 2009.
     
    La normativa nazionale
    7 L'istituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti/esperti contabili nonché il titolo e la professione di dottore commercialista/esperto contabile sono disciplinati dalle disposizioni del decreto 19 settembre 1945, n. 2138 (JORF del 21 settembre 1945, pag. 5938). Ai sensi del predetto decreto, i dottori commercialisti/esperti contabili hanno il compito precipuo di tenere e di controllare la contabilità di imprese e di organismi ai quali non sono vincolati da un contratto di lavoro. Essi sono abilitati ad attestare la regolarità e la veridicità dei risultati di esercizio e possono altresì prestare assistenza nella creazione di imprese ed organismi per quanto riguarda tutti i relativi aspetti contabili, economici e finanziari.
    8 Fino all'adozione del decreto 25 marzo 2004, n. 279, recante semplificazione e adeguamento delle condizioni di esercizio di talune attività professionali (JORF del 27 marzo 2004, pag. 5888), agli esercenti la professione di dottore commercialista/esperto contabile era vietata qualsiasi pubblicità personale. Il decreto 30 maggio 1997, n. 586, relativo al funzionamento degli organi di autogoverno professionale dei dottori commercialisti/esperti contabili (JORF del 31 maggio 1997, pag. 8510), che specifica a quali condizioni i dottori commercialisti/esperti contabili possono ora ricorrere ad azioni promozionali, stabilisce, all'art. 7, che tali condizioni formeranno oggetto di un codice dei doveri professionali, le cui disposizioni saranno emanate sotto forma di decreto preceduto dal parere del Conseil d'État.
    9 Pertanto, l'art. 23 del decreto n. 2138/1945 nonché l'art. 7 del decreto n. 586/97 sono le norme sulla cui base è stato adottato il decreto n. 1387/2007.
    10 Ai sensi dell'art. 1 di quest'ultimo decreto:
    «Le norme deontologiche applicabili alla professione di dottore commercialista/esperto contabile sono fissate dal codice di deontologia allegato al presente decreto».
    11 L'art. 1 del codice di deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile dispone quanto segue:
    «Le disposizioni del presente codice si applicano ai dottori commercialisti/esperti contabili, qualunque siano le modalità di esercizio della professione, e, se del caso, ai dottori commercialisti/esperti contabili tirocinanti nonché ai dipendenti menzionati rispettivamente agli artt. 83 ter e 83 quater del decreto 19 settembre 1945, n. 2138, recante istituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti/esperti contabili e disciplinante il titolo e la professione di dottore commercialista/esperto contabile.
    Ad eccezione di quelle che possono riguardare unicamente le persone fisiche, le disposizioni suddette si applicano parimenti alle società di revisione contabile e alle associazioni di gestione e di contabilità».
    12 A norma dell'art. 12 di tale codice:
    «I - Ai soggetti di cui all'art. 1 è fatto divieto di intraprendere qualsiasi atto non richiesto al fine di proporre i propri servizi a terzi.
    La loro partecipazione a dibattiti, seminari o altre manifestazioni universitarie o scientifiche è autorizzata nei limiti in cui tali soggetti non compiano, in tale occasione, atti equiparabili a un "démarchage".
    II - Le azioni promozionali sono consentite ai soggetti di cui all'art. 1 nei limiti in cui forniscano al pubblico un'informazione utile. I mezzi impiegati a tale fine vengono applicati con discrezione, in modo da non ledere l'indipendenza, la dignità e l'onore della professione, nonché le regole del segreto professionale e la lealtà verso i clienti e i colleghi.
    Quando presentano la loro attività professionale a terzi, con qualsiasi mezzo, i soggetti di cui all'art. 1 non devono adottare alcuna forma di espressione idonea a compromettere la dignità della loro funzione o l'immagine della professione.
    Tali modalità di comunicazione, come qualsiasi altra, sono ammesse soltanto a condizione che l'espressione sia decorosa e improntata a ritegno, che il loro contenuto sia privo di inesattezze e non sia tale da indurre in errore il pubblico e che siano prive di ogni elemento comparativo».
     
    Causa principale e questione pregiudiziale
    13 Con ricorso proposto il 28 novembre 2007, la Société fiduciaire ha chiesto al Conseil d'État di annullare il decreto n. 1387/2007 nella parte in cui vieta il «démarchage», cioè gli atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi. Tale società considera che il divieto generale e assoluto di qualsiasi attività di «démarchage», previsto dall'art. 12-I del codice di deontologia della professione di dottore commercialista/esperto contabile, sia contrario all'art. 24 della direttiva 2006/123 e metta in grave pericolo l'attuazione di quest'ultima.
    14 Il giudice a quo ritiene che un rinvio pregiudiziale sia necessario nella controversia dinanzi ad esso pendente, in quanto il divieto di «démarchage» imposto dal decreto impugnato, qualora fosse considerato contrario all'art. 24 della direttiva 2006/123, comprometterebbe seriamente l'attuazione di quest'ultima.
    15 Ciò premesso, il Conseil d'État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
    «Se la direttiva [2006/123] abbia inteso abolire, per le professioni regolamentate da essa contemplate, ogni divieto generale, qualunque sia la forma di pratica commerciale di cui trattasi, oppure se abbia lasciato agli Stati membri la possibilità di mantenere dei divieti generali per talune pratiche commerciali, quali il "démarchage"».
     
    Sulla ricevibilità
    16 Il giudice del rinvio sollecita l'interpretazione della direttiva 2006/123, il cui termine di recepimento, fissato al 28 dicembre 2009, non era ancora scaduto alla data in cui è stata emanata l'ordinanza di rinvio, ossia il 4 marzo 2009.
    17 Il governo francese, senza eccepire esplicitamente l'irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, solleva obiezioni in ordine alla pertinenza del quesito posto dal giudice del rinvio e alla valutazione formulata da quest'ultimo secondo cui, se la normativa nazionale controversa nella causa principale venisse considerata contraria alla direttiva 2006/123, comprometterebbe seriamente l'attuazione di quest'ultima.
    18 Infatti, secondo tale governo, se è pur vero che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, in pendenza del termine di recepimento di una direttiva gli Stati membri che ne sono destinatari devono astenersi dall'adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenze 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, punto 45; 8 maggio 2003, causa C-14/02, ATRAL, Racc. pag. I-4431, punto 58, nonché 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07 e C-299/07, VTB-VAB e Galatea, Racc. pag. I-2949, punto 38), ciò non varrebbe nel caso di specie, in cui l'applicazione della normativa nazionale controversa in pendenza del termine di recepimento della direttiva 2006/123 non produrrebbe effetti capaci, da un lato, di perdurare dopo la scadenza di tale termine e suscettibili, dall'altro, di presentare una particolare gravità in rapporto all'obiettivo perseguito dalla direttiva in parola.
    19 A tal riguardo, va ricordato che, come emerge da questa stessa giurisprudenza, spetta al giudice del rinvio investito della controversia principale valutare se le disposizioni nazionali di cui si contesta la legittimità siano atte a compromettere seriamente il risultato prescritto da una direttiva. In tale valutazione il giudice del rinvio dovrebbe, in particolare, esaminare se le disposizioni di cui trattasi si presentino come un completo recepimento della direttiva e determinare gli effetti concreti dell'applicazione di tali disposizioni non conformi alla direttiva e della loro durata nel tempo (v., in particolare, sentenza Inter-Environnement Wallonie, cit., punti 46 e 47).
    20 Non spetta dunque alla Corte verificare l'esattezza di tale valutazione nell'ambito di un esame della ricevibilità di una domanda di pronuncia pregiudiziale.
    21 Ad ogni modo, secondo una giurisprudenza costante, la questione relativa all'interpretazione del diritto dell'Unione, sollevata dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto la propria responsabilità, beneficia di una presunzione di rilevanza (v., in tal senso, sentenze 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio, Racc. pag. I-9641, punto 67; 7 ottobre 2010, causa C-515/08, dos Santos Palhota e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 20, nonché 12 ottobre 2010, causa C-45/09, Rosenbladt, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).
    22 Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
     
    Sulla questione pregiudiziale
    23 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l'art. 24 della direttiva 2006/123 debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale vieti agli esercenti una professione regolamentata, come quella di dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi («démarchage»).
    24 In via preliminare, va rilevato che l'art. 24 della direttiva 2006/123, intitolato «Comunicazioni commerciali emananti dalle professioni regolamentate», sancisce due obblighi a carico degli Stati membri. Da un lato, l'art. 24, n. 1, esige che gli Stati membri sopprimano tutti i divieti assoluti in materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate. Dall'altro, il n. 2 del medesimo articolo obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le comunicazioni commerciali che promanano dalle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, conformi al diritto dell'Unione, riguardanti, in particolare, l'indipendenza, la dignità e l'integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le suddette regole professionali devono essere non discriminatorie, giustificate da un motivo imperativo di interesse generale e proporzionate.
    25 Al fine di verificare se l'art. 24 della direttiva 2006/123, e segnatamente il n. 1 di tale articolo, costituisca una norma destinata a proibire l'introduzione di un divieto di «démarchage» quale quello previsto dalla normativa nazionale in esame nella causa principale, occorre interpretare tale disposizione riferendosi non soltanto al suo tenore letterale, bensì anche alla sua finalità e al suo contesto nonché all'obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi.
    26 A tal riguardo, dal secondo e dal quinto 'considerando' della direttiva in parola emerge che quest'ultima mira ad eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri, al fine di contribuire alla realizzazione del mercato interno libero e concorrenziale.
    27 La finalità dell'art. 24 di detta direttiva viene precisata nel centesimo 'considerando' di quest'ultima, dove si afferma che occorre sopprimere i divieti assoluti in materia di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate che, in generale e per una determinata professione, proibiscono una o più forme di comunicazione commerciale, segnatamente qualsiasi pubblicità in un determinato o in determinati mezzi di comunicazione.
    28 Per quanto riguarda il contesto in cui si inscrive l'art. 24 della direttiva 2006/123, va ricordato che esso è contenuto nel capo V della medesima, intitolato «Qualità dei servizi». Orbene, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 31 delle sue conclusioni, tale capo, in generale, e il citato art. 24, in particolare, mirano alla salvaguardia degli interessi dei consumatori migliorando la qualità dei servizi delle professioni regolamentate nell'ambito del mercato interno.
    29 Di conseguenza, tanto dalla finalità del predetto art. 24 quanto dal contesto in cui questo si inserisce risulta che, come giustamente sostenuto dalla Commissione europea, l'intenzione del legislatore dell'Unione era non soltanto di porre fine ai divieti assoluti, per gli esercenti una professione regolamentata, di ricorrere alla comunicazione commerciale, in qualunque forma, ma anche di eliminare i divieti di ricorso a una o più forme di comunicazione commerciale ai sensi dell'art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123, quali, in particolare, la pubblicità, il marketing diretto e le sponsorizzazioni. Alla luce degli esempi contenuti nel centesimo 'considerando' della direttiva in parola, devono considerarsi quali divieti assoluti, preclusi a norma dell'art. 24, n. 1, della medesima direttiva, anche le regole professionali che proibiscono di fornire, nell'ambito di uno o più mezzi di comunicazione, informazioni sul prestatore o sulla sua attività.
    30 Tuttavia, in forza dell'art. 24, n. 2, della direttiva 2006/123, letto alla luce del secondo periodo del centesimo 'considerando' di quest'ultima, gli Stati membri rimangono liberi di prevedere divieti relativi al contenuto o alle modalità delle comunicazioni commerciali per quanto riguarda le professioni regolamentate, purché le regole previste siano giustificate e proporzionate al fine di garantire in particolare l'indipendenza, la dignità e l'integrità della professione, nonché il segreto professionale necessario in sede di esercizio di quest'ultima.
    31 Al fine di stabilire se la normativa nazionale controversa rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 24 della direttiva in parola, occorre anzitutto stabilire se il «démarchage» configuri una comunicazione commerciale ai sensi di tale articolo.
    32 La nozione di «comunicazione commerciale» è definita all'art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123 come comprensiva di qualsiasi forma di comunicazione destinata a promuovere, direttamente o indirettamente, i beni, i servizi o l'immagine di un'impresa, di un'organizzazione o di una persona che svolge un'attività commerciale, industriale, artigianale o che esercita una professione regolamentata. Tuttavia, esulano da tale nozione, in primo luogo, le informazioni che consentono l'accesso diretto all'attività dell'impresa, dell'organizzazione o della persona, quali un nome di dominio o un indirizzo di posta elettronica, nonché, in secondo luogo, le comunicazioni relative ai beni, ai servizi o all'immagine dell'impresa, dell'organizzazione o della persona elaborate in modo indipendente, in particolare qualora esse siano fornite senza corrispettivo economico.
    33 Di conseguenza, come sostenuto dal governo olandese, la comunicazione commerciale comprende non soltanto la pubblicità classica, ma anche altre forme di pubblicità e di comunicazione di informazioni destinate all'acquisizione di nuovi clienti.
    34 Per quanto riguarda la nozione di «démarchage», va rilevato che né la direttiva 2006/123 né alcun altro atto normativo dell'Unione contengono una definizione di tale nozione. Inoltre, la sua portata può variare negli ordinamenti giuridici dei diversi Stati membri.
    35 Ai sensi dell'art. 12-I del codice di deontologia in esame nella causa principale, deve considerarsi atto di «démarchage» quello con il quale un dottore commercialista/esperto contabile prende contatto con un terzo, che non l'abbia richiesto, al fine di proporgli i propri servizi.
    36 A tal riguardo, va evidenziato che, sebbene la portata esatta della nozione di «démarchage», ai sensi della normativa nazionale, non risulti dall'ordinanza di rinvio, il Conseil d'État, nonché tutti gli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte, considerano che il «démarchage» rientri nella nozione di «comunicazione commerciale», di cui all'art. 4, punto 12, della direttiva 2006/123.
    37 Secondo la Société fiduciaire, il «démarchage» si definisce come un'offerta personalizzata di beni o di servizi rivolta a una determinata persona giuridica o fisica che non l'abbia richiesta. Il governo francese aderisce a tale definizione, pur proponendo di distinguere due elementi, ossia, da un lato, un elemento di movimento, che risiede nel fatto di prendere contatto con un terzo che non lo ha richiesto, e, dall'altro, un elemento di contenuto consistente nella trasmissione di un messaggio a carattere commerciale. Secondo tale governo, è questo secondo elemento che costituisce, in particolare, una comunicazione commerciale ai sensi della direttiva 2006/123.
    38 Da tali elementi si evince che il «démarchage» costituisce una forma di comunicazione di informazioni destinata alla ricerca di nuovi clienti. Orbene, come dedotto dalla Commissione, il «démarchage» implica un contatto personalizzato tra il prestatore e il potenziale cliente, al fine di presentare a quest'ultimo un'offerta di servizi. Per tale motivo, esso può essere qualificato come marketing diretto. Di conseguenza, il «démarchage» rientra nella nozione di «comunicazione commerciale», ai sensi degli artt. 4, punto 12, e 24 della direttiva 2006/123.
    39 La questione che si pone quindi è se il divieto di «démarchage» possa essere considerato un divieto assoluto in materia di comunicazioni commerciali ai sensi dell'art. 24, n. 1, di tale direttiva.
    40 Dalla formulazione dell'art. 12-I del codice di deontologia oggetto della causa principale, nonché dalla «Griglia indicativa degli strumenti di comunicazione» predisposta dal Conseil supérieur de l'ordre des experts-comptables [Consiglio superiore dell'Ordine dei dottori commercialisti/esperti contabili], allegata alle osservazioni scritte del governo francese, risulta che, in forza della norma suddetta, gli esercenti la professione di dottore commercialista/esperto contabile devono astenersi da qualsiasi contatto personale non richiesto che possa essere considerato come un reclutamento di clientela o una proposta concreta di servizi commerciali.
    41 Va constatato che il divieto di «démarchage», quale previsto dal citato art. 12-I, è concepito in modo ampio, poiché vieta qualsiasi atto di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi, a prescindere dalla sua forma, dal suo contenuto o dai mezzi impiegati. Pertanto, tale divieto comprende la proibizione di tutti i mezzi di comunicazione che consentono l'attuazione di questa forma di comunicazione commerciale.
    42 Ne consegue che un siffatto divieto deve essere considerato come un divieto assoluto in materia di comunicazioni commerciali, proibito dall'art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123.
    43 Tale conclusione è conforme all'obiettivo di detta direttiva, che consiste, come ricordato al punto 26 della presente sentenza, nell'eliminare gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri. Infatti, una normativa di uno Stato membro che vieti ai dottori commercialisti/esperti contabili di procedere a qualsiasi atto di «démarchage» può ledere maggiormente i professionisti provenienti da altri Stati membri, privandoli di un mezzo efficace di penetrazione del mercato nazionale di cui trattasi. Un siffatto divieto costituisce pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi transfrontalieri (v., per analogia, sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc. pag. I-1141, punti 28 e 38).
    44 Il governo francese sostiene che il «démarchage» lede l'indipendenza dei soggetti esercitanti tale professione. A suo avviso, essendo i dottori commercialisti/esperti contabili incaricati di controllare la contabilità di imprese e organismi ai quali essi non sono vincolati da un contratto di lavoro, nonché di attestare la regolarità e la veridicità dei risultati di esercizio di tali imprese od organismi, è indispensabile che i suddetti professionisti non siano sospettati di alcuna compiacenza nei confronti dei loro clienti. Orbene, mediante una presa di contatto con il dirigente dell'impresa o dell'organismo interessati, il dottore commercialista/esperto contabile rischierebbe di modificare la natura del rapporto che deve abitualmente intrattenere con il suo cliente, ciò che dunque nuocerebbe alla sua indipendenza.
    45 Tuttavia, come constatato al punto 42 della presente sentenza, la normativa di cui trattasi nella causa principale vieta totalmente una forma di comunicazione commerciale e rientra pertanto nell'ambito di applicazione dell'art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123. Tale normativa è dunque incompatibile con la direttiva 2006/123 e non può essere giustificata in forza dell'art. 24, n. 2, di quest'ultima, anche se essa è non discriminatoria, fondata su un motivo imperativo di interesse generale e proporzionata.
    46 Alla luce di tutte queste considerazioni, la questione deferita va risolta dichiarando che l'art. 24, n. 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata, come quella di dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi («démarchage»).
     
    Sulle spese
    47 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
    L'art. 24, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale vieti totalmente agli esercenti una professione regolamentata, come quella di dottore commercialista/esperto contabile, di effettuare atti di promozione commerciale diretta e ad personam dei propri servizi («démarchage»).
     

    L'obbligo di essere membro di un ordine degli avvocati è compatibile con le norme europee in materia di riconoscimento dei titoli?

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    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 3 febbraio 2011
     
    Avvocati - Direttiva 89/48/CEE - Riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni - Direttiva 98/5/CE - Esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica - Utilizzo del titolo professionale dello Stato membro ospitante - Presupposti - Iscrizione all'albo di un ordine professionale degli avvocati dello Stato membro ospitante
     
    Nel procedimento C-359/09,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Fovárosi Ítélotábla (Ungheria) con decisione 23 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 7 settembre 2009, nella causa
     
    D. E.
     
    contro
    B. U.,
     
    LA CORTE (Quarta Sezione),
    composta dal sig. J.-C. Bonichot, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, L. Bay Larsen (relatore), dalle sig.re C. Toader e A. Prechal, giudici,
    avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
    cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 16 settembre 2010,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per il sig.
    E., Rechtsanwalt, da sé stesso;
    - per il B. U., dagli avv.ti P. Kiss e P. Köves, ügyvédek;
    - per il governo ungherese, dalla sig.ra J. Fazekas, dal sig. M. Fehér e dalla sig.ra Zs. Tóth, in qualità di agenti;
    - per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;
    - per il governo spagnolo, dal sig. J. López-Medel Bascones, in qualità di agente;
    - per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
    - per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente;
    - per la Commissione europea, dai sigg. B. Simon e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,
    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
     
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 14 maggio 2001, 2001/19/CE (GU L 206; in prosieguo: la «direttiva 89/48»), e della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77).
    2 Tale domanda è stata proposta nell'ambito di una controversia insorta tra il sig. E., cittadino tedesco e avvocato registrato, con il titolo «Rechtsanwalt», presso il foro di Düsseldorf (Germania), e il B. U. (ordine degli avvocati del foro di Budapest) (Ungheria) in ordine al diritto rivendicato dal sig. E. di avvalersi del titolo di «ügyvéd» (avvocato in Ungheria) senza essere membro del citato ordine degli avvocati.
     
    Contesto normativo
    Diritto dell'Unione
    La direttiva 89/48
    3 Il settimo e il decimo 'considerando' della direttiva 89/48, applicabile ratione temporis alla causa principale, così recitano:
    «(...) è opportuno definire in particolare la nozione di attività professionale regolamentata per tener conto delle diverse realtà sociologiche nazionali; che va considerata tale non solo un'attività professionale il cui accesso sia subordinato in uno Stato membro al possesso di un diploma, ma anche quella alla quale si possa accedere liberamente, qualora sia esercitata con un titolo professionale riservato a coloro che soddisfano a talune condizioni necessarie per la qualifica; (...)
    (...) il sistema generale di riconoscimento dei diplomi d'istruzione superiore non è destinato né a modificare le norme professionali, comprese quelle deontologiche, applicabili a chiunque eserciti una professione in uno Stato membro né a sottrarre i migranti all'applicazione di tali norme; (...) si limita a prevedere misure appropriate volte ad assicurare che il migrante si conformi alle norme professionali dello Stato membro ospitante».
    4 L'art. 1, lett. a), della direttiva 49/48 definisce, ai fini della medesima, la nozione di «diploma» nei seguenti termini:
    «(...) qualsiasi diploma, certificato o altro titolo (...)
    - che sia stato rilasciato da un'autorità competente in uno Stato membro, designata in conformità delle sue disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
    - da cui risulti che il titolare ha seguito con successo un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale, in un'università o un istituto di istruzione superiore o in un altro istituto dello stesso livello di formazione e, se del caso, che ha seguito con successo la formazione professionale richiesta oltre al ciclo di studi post-secondari e
    - dal quale risulti che il titolare possiede le qualifiche professionali richieste per accedere ad una professione regolamentata in detto Stato membro o esercitarla,
    (...)».
    5 L'art. 2 della direttiva 89/48 così dispone:
    «La presente direttiva si applica a qualunque cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante.
    La presente direttiva non si applica alle professioni contemplate da una direttiva specifica che istituisca fra gli Stati membri il reciproco riconoscimento dei diplomi».
    6 L'art. 3, primo comma, della direttiva 89/48 prevede quanto segue:
    «Quando nello Stato membro ospitante l'accesso o l'esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l'autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l'accesso a/o l'esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:
    a) se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l'accesso o l'esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro (...)
    (...)».
    7 L'art. 4, n. 1, della direttiva 89/48 così recita:
    «L'articolo 3 non osta a che lo Stato membro ospitante esiga inoltre che il richiedente:
    (...)
    b) compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale:
    - quando la formazione ricevuta conformemente all'articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante, oppure
    - quando, nel caso di cui all'articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente (...)
    (...)
    Se lo Stato membro ospitante ricorre a tale possibilità, esso deve lasciare al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale. In deroga a tale principio, lo Stato ospitante può prescrivere un tirocinio di adattamento o una prova attitudinale se si tratta di professioni il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nelle quali la consulenza e/o l'assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante dell'attività (...)».
    8 Ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva 89/48:
    «L'autorità competente dello Stato membro ospitante che subordina l'accesso ad una professione regolamentata alla presentazione di prove relative all'onorabilità, alla moralità o all'assenza di dichiarazione di fallimento, o che sospende o vieta l'esercizio di una siffatta professione in caso di gravi mancanze professionali o di condanne per delitti penali, accetta quale prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri che intendono esercitare detta professione sul suo territorio la presentazione di documenti rilasciati dalle autorità competenti dello Stato membro di origine o di provenienza dai quali risulti che tali requisiti sono soddisfatti.
    (...)».
    9 L'art. 7, n. 1, della direttiva 89/48 enuncia quanto segue:
    «L'autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli altri Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata sul suo territorio, il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione».
     
    La direttiva 98/5
    10 Il secondo, terzo e settimo 'considerando' della direttiva 98/5 sono così redatti:
    «(2) (...) un avvocato in possesso di tutte le qualifiche prescritte in uno Stato membro può fin da ora chiedere il riconoscimento del proprio diploma per stabilirsi in un altro Stato membro, allo scopo di esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale di questo Stato membro a norma della direttiva 89/48 (...); (...) tale direttiva ha lo scopo di garantire l'integrazione dell'avvocato nella professione dello Stato membro ospitante e non mira né a modificare le regole professionali in esso vigenti, né a sottrarre l'avvocato all'applicazione delle stesse;
    (3) (...) alcuni avvocati possono integrarsi rapidamente nella professione dello Stato membro ospitante, in particolare superando la prova attitudinale prevista dalla direttiva 89/48 (...), mentre altri avvocati in possesso di tutte le qualifiche prescritte devono poter ottenere tale integrazione dopo un certo periodo di esercizio della professione nello Stato membro ospitante con il proprio titolo professionale d'origine oppure continuare la loro attività con il titolo professionale d'origine;
    (...)
    (7) (...) la presente direttiva, in armonia con le sue finalità, si astiene dal disciplinare situazioni giuridiche puramente interne e lascia impregiudicate le norme nazionali dell'ordinamento professionale, salvo laddove ciò risulti indispensabile per consentire di conseguire pienamente i suoi scopi; (...) essa non lede in alcun modo la disciplina nazionale relativa all'accesso alla professione di avvocato e al suo esercizio con il titolo professionale dello Stato membro ospitante».
    11 L'art. 2 della direttiva 98/5, dal titolo «Diritto di esercitare la professione con il proprio titolo professionale di origine», così dispone:
    «Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all'articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine.
    L'integrazione nella professione di avvocato dello Stato membro ospitante è soggetta alle disposizioni dell'articolo 10».
    12 L'art. 6, n. 1, della direttiva 98/5 è così formulato:
    «Indipendentemente dalle regole professionali e deontologiche cui è soggetto nel proprio Stato membro di origine, l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d'origine è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale dello Stato membro ospitante per tutte le attività che esercita sul territorio di detto Stato».
    13 L'art. 10 della direttiva 98/5, dal titolo «Assimilazione all'avvocato dello Stato membro ospitante», così recita:
    «1. L'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato l'esercizio per almeno tre anni di un'attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, e riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto comunitario, è dispensato dalle condizioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (...) per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante. (...)
    (...)
    2. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante può in qualsiasi momento chiedere il riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48 (...), allo scopo di accedere alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro.
    3. Un avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine, che dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore relativamente al diritto di tale Stato membro, può ottenere dall'autorità competente di detto Stato membro l'accesso alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante e il diritto di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all'articolo 4, paragrafo 1, lettera b) della direttiva 89/48 (...), alle condizioni e secondo le modalità qui di seguito indicate: (...)
    (...)
    6. L'avvocato che accede alla professione di avvocato dello Stato membro ospitante secondo le modalità previste dai paragrafi 1, 2, e 3 ha diritto di far uso, a fianco del titolo professionale corrispondente alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante, del titolo professionale d'origine indicato nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro d'origine».
     
    Diritto nazionale
    14 L'accesso alla professione di avvocato in Ungheria è disciplinato dai seguenti testi:
    - la legge n. C del 2001, relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi stranieri (A külföldi bizonyítványok és oklevelek elismerésérol szóló 2001. évi C. törvény; in prosieguo: la «legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi»);
    - la legge n. XI del 1998, relativa agli avvocati (Az ügyvédekrol szóló 1998. évi XI. törvény; in prosieguo: la «legge relativa agli avvocati»).
     
    La legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi
    15 Per il periodo compreso tra il 1° maggio 2004 e il 20 ottobre 2007, le disposizioni rilevanti della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi erano così formulate:
    «Art. 21
    1) Le disposizioni del presente capo si applicano ad ogni cittadino di uno Stato membro che intenda esercitare in Ungheria una professione regolamentata e che abbia il diritto di esercitare la medesima professione nello Stato di emissione o nel paese d'origine.
    (...)
    Art. 35
    1) L'autorità cui è stata presentata la richiesta può prescrivere un tirocinio di adattamento di durata non superiore a tre anni o una prova attitudinale,
    a) se la parte pratica o teorica della formazione del richiedente è sostanzialmente diversa dalla formazione necessaria ai fini dell'ottenimento del diploma richiesto in Ungheria per l'esercizio della professione regolamentata,
    (...)
    2) L'autorità adita lascia al richiedente la scelta tra il tirocinio di adattamento e la prova attitudinale.
    3) L'autorità adita può derogare al n. 2 nel caso di una professione il cui esercizio richieda una conoscenza precisa del diritto ungherese e nella quale la consulenza per quanto riguarda il diritto ungherese costituisca un elemento essenziale e costante dell'attività. In tal caso, l'autorità adita obbliga il richiedente a compiere un tirocinio di adattamento o a sottoporsi a una prova attitudinale.
    (...)».
    16 Secondo un elenco delle professioni regolamentate in vigore dal 1° maggio 2004 all'8 maggio 2009, pubblicato dal Ministero dell'Educazione ungherese, il titolo di formazione necessario ai fini dell'esercizio della professione di avvocato rientra nella nozione di «diploma» ai sensi della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi.
     
    La legge relativa agli avvocati
    17 Alla data di proposizione del ricorso che ha dato origine al procedimento principale, vale a dire il 13 dicembre 2006, le disposizioni pertinenti della legge relativa agli avvocati erano così formulate:
    «Art. 6
    1) Un avvocato
    a) non può essere vincolato da un contratto di lavoro, da un contratto di servizio d'interesse pubblico o da qualsiasi altro contratto che implichi l'obbligo di esercitare un lavoro e non può essere dipendente pubblico, funzionario né notaio, né può esercitare la funzione di sindaco a tempo pieno,
    b) non può esercitare un'attività imprenditoriale a titolo personale o implicante una responsabilità pecuniaria illimitata.
    (...)
    3) L'avvocato è tenuto a dichiarare all'ordine degli avvocati qualsiasi causa d'incompatibilità entro quindici giorni dall'insorgere della stessa.
    (...)
    Art. 13
    1) Può esercitare la professione di avvocato - fatta eccezione per quella di avvocato dipendente - chiunque sia membro di un ordine degli avvocati e abbia prestato il giuramento relativo all'esercizio di tale professione.
    (...)
    3) L'iscrizione all'albo dell'ordine degli avvocati avviene su domanda dell'interessato, il quale deve soddisfare i seguenti requisiti:
    a) essere cittadino di uno degli Stati [che sono parti dell'accordo sullo] Spazio economico europeo [del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3)],
    (...)
    c) non avere precedenti penali,
    d) essere in possesso della laurea in giurisprudenza,
    e) aver superato l'esame giuridico professionale ungherese,
    f) essere affiliato alla Magyar Ügyvédek Biztosító és Segélyezo Egyesülete [società assicurativa e di assistenza per gli avvocati ungheresi] o disporre di altra polizza di responsabilità riconosciuta dall'ordine degli avvocati,
    g) disporre, nell'ambito territoriale dell'ordine degli avvocati, di un'adeguata sede per l'esercizio abituale della professione forense,
    h) non rientrare in alcuno dei motivi di esclusione indicati al n. 4.
    4) Non può essere ammesso all'ordine degli avvocati chiunque:
    a) si trovi in uno dei casi d'incompatibilità di cui all'art. 6 e non ponga fine a tale situazione,
    b) sia sottoposto ad una pena accessoria che lo escluda dai pubblici uffici o che gli vieti ogni attività connessa ad una qualificazione giuridica,
    c) sia stato condannato ad una pena privativa della libertà da eseguire a motivo della commissione di un reato doloso (...)
    d) sia stato escluso dall'ordine degli avvocati (...)
    e) sia stato sottoposto a tutela che limita o esclude la capacità, ovvero sia incapace pur non essendo sottoposto a tutela (...)
    f) sia indegno, in ragione del suo stile di vita o della sua condotta, del pubblico affidamento necessario all'esercizio della professione forense,
    (...)
    Art. 89/A
    1) Le disposizioni della presente legge si applicano, fatte salve le deroghe previste nel presente capo, alle attività svolte nel territorio della Repubblica d'Ungheria da parte dei cittadini di uno Stato membro dello Spazio economico europeo che siano abilitati ad esercitare la professione forense, con una delle qualifiche professionali previste in altre disposizioni legislative o regolamentari, in un qualsiasi Stato membro dello Spazio economico europeo (in prosieguo: i "giuristi europei").
    (...)
    Art. 89/B
    1) Colui che intenda esercitare la professione forense in modo permanente sul territorio della Repubblica d'Ungheria in qualità di giurista europeo deve chiedere l'iscrizione all'albo dei giuristi europei tenuto dall'ordine degli avvocati (in prosieguo, ai fini del presente capo, l'"albo"), iscrizione facoltativa per colui che intenda saltuariamente accedere a detta attività in qualità di prestatore di servizi.
    2) Si deve procedere all'iscrizione all'albo del richiedente che:
    a) dia prova, presentando la traduzione giurata in ungherese del certificato predisposto in data non anteriore a tre mesi dall'organo incaricato della tenuta dell'albo degli avvocati nel suo stesso Stato membro, di aver diritto ad esercitare la professione forense in tale Stato membro,
    (...)
    Art. 89/F
    1) Il giurista europeo iscritto all'albo è ammesso, su sua richiesta, a far parte dell'ordine degli avvocati in qualità di "ügyvéd" qualora:
    a) soddisfi i requisiti di cui all'art. 13, n. 3, lett. c), f), g) e h);
    b) dimostri compiutamente, presentando la documentazione da cui risultino il numero e la natura delle cause trattate nonché, se specificamente richiesto dall'ordine degli avvocati, in sede di convocazione individuale, di aver esercitato un'attività forense riguardante il diritto ungherese (anche nel settore dell'applicazione in Ungheria del diritto dell'Unione europea) nel territorio della Repubblica d'Ungheria durante un periodo ininterrotto di tre anni, nonché
    c) dimostri nel corso della [sua] convocazione individuale di disporre della necessaria conoscenza dell'ungherese ai fini della professione forense.
    2) Su richiesta dell'interessato, l'ordine degli avvocati può altresì consentire l'ammissione in qualità di avvocato del giurista europeo iscritto all'albo che abbia esercitato un'attività forense in Ungheria durante un periodo ininterrotto di tre anni, sebbene la sua attività riguardante il diritto ungherese (anche nel settore dell'applicazione in Ungheria del diritto dell'Unione europea) sia di durata inferiore a tre anni, purché egli soddisfi gli altri requisiti [previsti al] n. 1.
    (...)
    4) Dopo l'ammissione all'ordine degli avvocati, il giurista europeo ne diviene membro di pieno diritto. Oltre che del titolo di "ügyvéd" egli può continuare, nell'utilizzo dei suoi titoli professionali, ad avvalersi del titolo conferitogli nel suo Stato membro.
    (...)
     Art. 89/I
    (...)
    2) Nell'ambito dell'utilizzo dei propri titoli professionali, il giurista europeo può esclusivamente avvalersi del titolo riconosciuto dal suo Stato membro e deve indicare la denominazione dell'organo professionale cui appartiene nella lingua ufficiale del suo Stato membro. Si deve altresì prevedere una spiegazione complementare in ungherese del titolo professionale, ove questo possa essere confuso con quella di "ügyvéd"».
     
    Causa principale e questioni pregiudiziali
    18 Il sig. E., cittadino tedesco, ha compiuto i suoi studi di giurisprudenza in Germania e dal 1997 è abilitato ad esercitare l'attività forense con il titolo di «Rechtsanwalt», quale membro dell'ordine degli avvocati di Düsseldorf. Dalla fine degli anni '90 il sig. E. vive in Ungheria, dove ha acquisito, a seguito di studi effettuati presso l'Università di Miskolc, il titolo di dottore in giurisprudenza nel 2002.
    19 Nel 2004 il sig. E. ha stipulato un accordo di collaborazione con uno studio di avvocati in Ungheria ed è stato ammesso all'albo dei giuristi europei, ai sensi dell'art. 89/A della legge relativa agli avvocati, con decisione del 20 settembre 2004 del B. U., potendo quindi esercitare l'attività di avvocato in tale Stato membro con il suo titolo professionale d'origine.
    20 Secondo le indicazioni contenute nella decisione di rinvio, il sig. E. nel 2005 ha fondato il proprio studio in Ungheria e, con decisione del 6 aprile 2005, il B. U. ha registrato tale studio.
    21 Sempre secondo la decisione di rinvio, il sig. E. ha chiesto al Fovárosi Bíróság (Tribunale municipale di Budapest), il 13 dicembre 2006, che gli sia riconosciuto il diritto di utilizzare il titolo ungherese di «ügyvéd» in Ungheria senza essere membro dell'ordine degli avvocati.
    22 Il Fovárosi Bíróság ha respinto tale domanda in quanto, ai sensi degli artt. 1 e 7, nn. 1 e 3, della direttiva 89/48, il sig. E. potrebbe avvalersi del titolo di «ügyvéd» solo qualora dimostrasse la sua qualità di membro dell'ordine degli avvocati. Il sig. E. ha interposto appello avverso tale decisione dinanzi al Fovárosi Ítélotábla (Corte d'appello regionale di Budapest).
    23 In tale contesto, il Fovárosi Ítélotábla ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
    «1) Se le direttive 89/48 (...) e 98/5 (...) possano essere interpretate nel senso che il ricorrente, di cittadinanza tedesca, che ha superato l'esame di accesso alla professione forense in Germania, è membro di un ordine degli avvocati locale e dispone in Ungheria di un permesso di soggiorno e di lavoro, ha il diritto di avvalersi nei procedimenti giudiziari e amministrativi, senza aver ottenuto alcuna autorizzazione, della qualifica ufficiale di "ügyvéd" istituita in Ungheria, Stato ospitante, oltre alla qualifica tedesca di "Rechtsanwalt" e alla qualifica ungherese di "európai közösségi jogász" [giurista europeo], senza tuttavia avere la qualità di membro di un ordine degli avvocati ungherese.
    2) Se la direttiva 98/5 (...) integri la direttiva 89/48 (...) nel senso che, essendo, relativa all'esercizio della professione di avvocato, costituisce una lex specialis in detto ambito, laddove la direttiva 89/48 (...) si limita, in linea generale, a regolamentare il riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore».
    24 Nelle sue osservazioni scritte, come in sede di udienza, il sig. E. ha sostenuto di avere in realtà chiesto semplicemente al Ministero dell'Educazione e della Cultura ungherese di essere sottoposto ad una prova attitudinale per ottenere l'autorizzazione ad esercitare la professione di avvocato con il titolo professionale del suo Stato membro ospitante, in conformità alla direttiva 89/48, e che tale Ministero non ha risposto a tale domanda, ma l'ha trasmessa al B. U., il quale a sua volta non vi avrebbe dato risposta.
    25 All'udienza quest'ultimo ha confermato di aver ricevuto dal Ministero dell'Educazione e della Cultura la domanda di cui trattasi, ma ha sostenuto di non avere, secondo la legislazione nazionale, alcuna competenza in merito al riconoscimento dei diplomi di insegnamento superiore conformemente alla direttiva 89/48, competenza spettante al Ministero medesimo, che non avrebbe ancora assunto alcuna decisione quanto alla domanda del sig. E.. Il B. U. ha precisato che non ha potuto, per questa ragione, dare una risposta a tale domanda, ma ha iscritto il sig. E. nell'albo dei giuristi europei.
    26 Dinanzi alla Corte il governo ungherese ha confermato che, ai sensi della legge relativa al riconoscimento dei titoli e dei diplomi, mediante la quale è stata trasposta nel diritto ungherese la direttiva 89/48, il riconoscimento dei diplomi del sig. E. è di competenza del Ministero dell'Educazione e della Cultura.
     
    Sulle questioni pregiudiziali
    Sulla seconda questione
    27 Con la sua seconda questione, che va esaminata in primis, tale giudice chiede in sostanza se la direttiva 98/5 escluda l'applicazione della direttiva 89/48, nel senso che le modalità previste dall'art. 10, nn. 1 e 3, della direttiva 98/5 rappresenterebbero l'unico mezzo per avere accesso al titolo di avvocato di uno Stato membro ospitante per gli avvocati di altri Stati membri, ovvero se le due direttive si completino instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d'accesso alla professione d'avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest'ultimo.
    28 Il sig. E., i governi ungherese, ceco, spagnolo e austriaco nonché la Commissione europea ritengono che le direttive 98/5 e 89/48 instaurino due modalità d'accesso alla professione di avvocato nello Stato membro ospitante. All'udienza il B. U. ha precisato di condividere tale opinione.
    29 In proposito, l'art. 2, secondo comma, della direttiva 89/48 stabilisce che la stessa non si applica alle professioni contemplate da una direttiva specifica che istituisca fra gli Stati membri il reciproco riconoscimento dei diplomi.
    30 Emerge tuttavia dall'art. 10, n. 1, della direttiva 98/5 che l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che abbia comprovato lo svolgimento di almeno tre anni di un'attività effettiva e regolare nello Stato membro ospitante, riguardante il diritto di tale Stato, ivi compreso il diritto dell'Unione, è dispensato dalle condizioni di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 per accedere alla professione di avvocato dello Stato membro medesimo.
    31 Peraltro, alle condizioni indicate all'art. 10, n. 3, della direttiva 98/5, l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine e che dimostri un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, ma di durata inferiore per quanto riguarda il diritto di tale Stato membro, può anch'egli ottenere il diritto di esercitare la professione di avvocato con il titolo professionale corrispondente a tale professione in detto Stato membro, senza dover rispettare le condizioni di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48.
    32 Se tuttavia, nell'ambito di tali modalità di accesso all'esercizio della professione di avvocato con il titolo dello Stato membro ospitante, un avvocato qualificato di un altro Stato membro è dispensato dal rispettare le condizioni di cui all'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48, si deve necessariamente rilevare che la direttiva 98/5 non priva detto avvocato, segnatamente quando non dimostri ancora un'attività effettiva e regolare per un periodo di almeno tre anni nello Stato membro ospitante, della possibilità di pretendere l'accesso alla professione di avvocato con il titolo di tale Stato membro invocando la direttiva 89/48. Infatti, come risulta dal secondo e dal terzo 'considerando' della direttiva 98/5, emerge espressamente dall'art. 10, n. 2, della stessa che l'avvocato che eserciti con il proprio titolo professionale di origine in uno Stato membro ospitante può in qualsiasi momento chiedere il riconoscimento del proprio diploma a norma della direttiva 89/48, allo scopo di accedere alla professione di avvocato in detto Stato membro e di esercitarla con il titolo professionale corrispondente a tale professione nello Stato membro medesimo.
    33 In una situazione siffatta, una persona titolare di un «diploma» ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 89/48, quale il sig. E., beneficia, conformemente all'art. 3, primo comma, lett. a), di tale direttiva, di un accesso alla professione regolamentata di avvocato nello Stato membro ospitante. Tuttavia, trattandosi di una professione il cui esercizio richiede una conoscenza precisa del diritto nazionale e nella quale la consulenza e/o l'assistenza per quanto riguarda il diritto nazionale costituisce un elemento essenziale e costante, l'art. 3 della direttiva 89/48 non osta, in applicazione dell'art. 4, n. 1, lett. b), di quest'ultima, a che lo Stato membro ospitante esiga che il richiedente si sottoponga ad una prova attitudinale, purché tale Stato membro verifichi preliminarmente se le conoscenze acquisite dal richiedente nel corso della propria esperienza professionale siano tali da colmare, in tutto o in parte, la differenza sostanziale di cui al primo comma di tale disposizione (v. sentenza 22 dicembre 2010, causa C-118/09, Koller, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 39).
    34 Ne consegue che un avvocato di uno Stato membro può accedere alla professione di avvocato in uno Stato membro ospitante in cui tale professione è regolamentata ed esercitarla con il titolo professionale conferito dallo stesso, in forza della direttiva 89/48 ovvero dell'art. 10, nn. 1 e 3, della direttiva 98/5.
    35 Si deve quindi risolvere la seconda questione proposta nel senso che le direttive 89/48 e 98/5 si completano instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d'accesso alla professione d'avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest'ultimo.
     
    Sulla prima questione
    36 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le direttive 89/48 e 98/5 ostino ad una normativa nazionale che istituisca, per l'esercizio dell'attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, l'obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
    37 Dall'art. 3 della direttiva 89/48 emerge che, se una persona possiede un diploma prescritto in uno Stato membro per l'accesso ad una professione, essa ha il diritto di accedere a questa stessa professione in uno Stato membro ospitante alle stesse condizioni che vengono applicate ai cittadini del medesimo, esclusa quella riguardante il possesso di un diploma dello Stato membro ospitante.
    38 Risulta peraltro dall'art. 6 della direttiva 89/48, letto alla luce del decimo 'considerando' della medesima, che una persona che acceda ad una professione regolamentata in uno Stato membro ospitante in base al riconoscimento di un diploma ai sensi dell'art. 1, lett. a), di tale direttiva deve conformarsi alle norme professionali del citato Stato membro, vertenti segnatamente sul rispetto della deontologia.
    39 Emerge inoltre dall'art. 6, n. 1, della direttiva 98/5 che anche l'avvocato che esercita con il proprio titolo professionale d'origine in uno Stato membro ospitante è soggetto alle stesse regole professionali e deontologiche cui sono soggetti gli avvocati che esercitano col corrispondente titolo professionale di tale Stato membro (v., in tal senso, sentenza 2 dicembre 2010, causa C-225/09, Jakubowska, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 57).
    40 Si deve pertanto rilevare che né la direttiva 89/48 né la direttiva 98/5 ostano all'applicazione, nei riguardi di chiunque eserciti la professione di avvocato sul territorio di uno Stato membro, segnatamente per quanto riguarda l'accesso alla medesima, delle disposizioni nazionali, siano esse legislative, regolamentari o amministrative, giustificate dal pubblico interesse, come le norme in tema di organizzazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità (v. in tal senso, per quanto riguarda la direttiva 89/48, sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
    41 Spetta al giudice del rinvio verificare se il B. U. abbia applicato tali norme in conformità alle disposizioni del diritto dell'Unione, e segnatamente in conformità al principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 32; Gebhard, cit., punto 37, e 11 giugno 2009, causa C-564/07, Commissione/Austria, Racc. pag. I-100, punto 31).
    42 Si deve pertanto risolvere la prima questione proposta affermando che né la direttiva 89/48 né la direttiva 98/5 ostano ad una normativa nazionale che, ai fini dell'esercizio dell'attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, istituisca l'obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
     
    Sulle spese
    43 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
    1) Né la direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 14 maggio 2001, 2001/19/CE, né la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 febbraio 1998, 98/5/CE, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, ostano ad una normativa nazionale che, ai fini dell'esercizio dell'attività forense con il titolo di avvocato dello Stato membro ospitante, istituisca l'obbligo di essere membro di un organismo quale un ordine degli avvocati.
    2) Le direttive 89/48 e 98/5 si completano instaurando, per gli avvocati degli Stati membri, due modalità d'accesso alla professione d'avvocato in uno Stato membro ospitante con il titolo professionale di quest'ultimo.
    Ultimo aggiornamento Mercoledì 08 Giugno 2011 18:51
     

    Un Comune decide di non ricorrere più ad un'impresa privata per la pulizia dei propri locali: che fine fanno i lavoratori?

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    SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 20 gennaio 2011
     
    Politica sociale - Direttiva 2001/23/CE - Trasferimento di imprese - Mantenimento dei diritti dei lavoratori - Nozione di "trasferimento" - Attività di pulizia - Attività realizzata direttamente da un comune mediante l'assunzione di nuovo personale
     
    Nel procedimento C-463/09,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Tribunal Superior de Justicia de Castilla-La Mancha (Spagna), con decisione 20 ottobre 2009, pervenuta in cancelleria il 25 novembre 2009, nella causa
     
    C. SA
     
    contro
    M. V.,
     
    Ayuntamiento de Cobisa,
     
    LA CORTE (Terza Sezione),
    composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dal sig. D. Šváby, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. E. Juhász e J. Malenovský (relatore), giudici,
    avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
    cancelliere: sig. A. Calot Escobar
    vista la fase scritta del procedimento,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente;
    - per la Commissione europea, dai sigg. J. Enegren e R. Vidal Puig, in qualità di agenti,
    sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 26 ottobre 2010,
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 1, n. 1, della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82).
    2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia insorta tra la C. SA (in prosieguo: la «C.»), da un lato, e la sig.ra M. V. nonché l'Ayuntamiento de Cobisa (Comune di Cobisa), dall'altro, avente ad oggetto il licenziamento della sig.ra M. V..
     
    Contesto normativo
    Il diritto dell'Unione
    3 La direttiva 2001/23 costituisce la codificazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 61), come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE (GU L 201).
    4 Il terzo 'considerando' della direttiva 2001/23 enuncia che «[o]ccorre adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti».
    5 Ai sensi dell'art. 1, n. 1, di tale direttiva:
    «a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione.
    b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria.
    c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva».
    6 L'art. 3, n. 1, primo comma, della citata direttiva dispone quanto segue:
    «I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario».
    7 L'art. 4, n. 1, primo comma, della direttiva 2001/23 è formulato come segue:
    «Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale disposi[zione] non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione».
     
    Il diritto nazionale
    8 La direttiva 2001/23 è stata trasposta nel diritto spagnolo mediante l'art. 44 del regio decreto legislativo 24 marzo 1995, n. 1, recante approvazione del testo consolidato della legge sullo Statuto dei lavoratori (Real Decreto Legislativo 1/1995, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores) (BOE n. 75 del 29 marzo 1995, pag. 9654; in prosieguo: lo «Statuto dei lavoratori»).
    9 L'art. 44, nn. 1 e 2, dello Statuto dei lavoratori dispone quanto segue:
    «1. Il cambio di proprietà di un'impresa, di uno stabilimento o di un'unità produttiva autonoma della stessa impresa non comporta di per sé la risoluzione del rapporto di lavoro, e il nuovo imprenditore subentra nei diritti e negli obblighi del precedente datore di lavoro attinenti al contratto di lavoro e alla previdenza sociale, compresi gli obblighi relativi alle pensioni, alle condizioni stabilite dalla normativa specifica applicabile, e, in generale, tutti gli obblighi in materia di protezione sociale complementare assunti dal cedente.
    2. Ai fini del presente articolo sussiste cessione di impresa quando il trasferimento ha per oggetto un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria».
    10 L'art. 14 del contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali della provincia di Toledo prevede che:
    «Nel caso in cui un'impresa, presso la quale il servizio di pulizia era prestato da una ditta appaltatrice, assuma in carico personalmente lo svolgimento di tale servizio, non è obbligata a proseguire il rapporto con il personale che prima svolgeva tale attività per conto della ditta suddetta, qualora essa proceda alle attività di pulizia con dipendenti propri; per contro, l'impresa in questione è tenuta ad assumere i dipendenti di cui trattasi qualora, per detto servizio di pulizia, debba assumere nuovo personale».
     
    Causa principale e questione pregiudiziale
    11 Il 27 maggio 2003 la C., impresa che fornisce servizi di pulizia, ha stipulato con l'Ayuntamiento de Cobisa un contratto avente ad oggetto la pulizia delle scuole e dei locali comunali, per l'esecuzione del quale, a quanto consta, non era necessario l'impiego di attrezzature di lavoro particolari.
    12 In base a tale contratto, la sig.ra M. V. lavorava per la C., in qualità di addetta alle pulizie, dal 25 marzo 2004.
    13 Il 9 novembre 2007 l'Ayuntamiento de Cobisa ha notificato alla C. la propria decisione di risolvere, con effetto al 31 dicembre 2007, il contratto che lo vincolava a tale società.
    14 Il 2 gennaio 2008 la C. ha informato la sig.ra M. V. che costei, a far data dal 1° gennaio 2008, entrava a far parte del personale dell'Ayuntamiento de Cobisa, dal momento che era ormai quest'ultimo a provvedere alla pulizia dei locali in questione. Infatti, secondo la C., in forza dell'art. 14 del contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali della provincia di Toledo, l'Ayuntamiento de Cobisa era subentrato alla società suddetta in tutti i diritti e gli obblighi inerenti al rapporto di lavoro oggetto della causa principale.
    15 Il medesimo giorno la sig.ra M. V. si è recata presso i locali dell'Ayuntamiento de Cobisa, ma non è stata autorizzata a svolgervi la propria attività lavorativa. Quanto alla C., essa non ha ricollocato l'interessata in alcun altro posto di lavoro.
    16 Il 10 gennaio 2008 l'Ayuntamiento de Cobisa ha assunto, tramite una borsa del lavoro, cinque dipendenti per la pulizia dei propri locali.
    17 La sig. ra M. V. ha quindi proposto dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 2 de Toledo un ricorso contro la C. e l'Ayuntamiento de Cobisa, al fine di far dichiarare l'illegittimità del suo licenziamento.
    18 Con una sentenza del 13 maggio 2008, lo Juzgado de lo Social n. 2 de Toledo ha affermato che l'art. 14 del contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali della provincia di Toledo non era applicabile e che, di conseguenza, l'Ayuntamiento de Cobisa era privo di legittimazione processuale passiva. Detto giudice ha inoltre dichiarato che la sig.ra M. V. era stata licenziata illegittimamente dalla C. e ha condannato quest'ultima a reintegrare l'interessata alle stesse condizioni applicate anteriormente al licenziamento ovvero a versarle un risarcimento pari a EUR 6 507,10. Ciascuna delle due ipotesi comprendeva altresì il versamento delle retribuzioni abituali non percepite dalla sig.ra M. V..
    19 Il 26 dicembre 2008 la C. ha interposto appello contro tale sentenza dinanzi al Tribunal Superior de Justicia de Castilla-La Mancha. Con tale ricorso la C. deduce, in particolare, che l'Ayuntamiento de Cobisa è subentrato nel rapporto di lavoro concluso con la sig.ra M. V., in forza dell'art. 14 del contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali della provincia di Toledo, letto in combinato disposto con l'art. 44 dello Statuto dei lavoratori e con la giurisprudenza citata da essa appellante.
    20 Il giudice del rinvio osserva come da una sentenza del Tribunal Supremo del 10 dicembre 2008, intervenuta a scopo di unificazione della giurisprudenza, risulti in sostanza che le disposizioni di un contratto collettivo nel settore delle attività di pulizia di edifici e locali non sono applicabili a un'impresa principale la quale svolga un'altra e distinta attività e che, risolvendo un contratto concluso con un'impresa di pulizie, decida di espletare essa stessa la pulizia dei propri locali, in quanto non può ritenersi che tale impresa principale rientri nell'ambito di applicazione del suddetto contratto collettivo.
    21 In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede se si debba considerare ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23 una situazione in cui un'impresa principale - nel caso di specie un comune - decida di espletare con personale proprio la pulizia dei suoi vari locali, qualora tale attività fosse precedentemente svolta da un'impresa di pulizie in virtù di un contratto che è stato risolto, la suddetta impresa principale abbia assunto nuovo personale per eseguire tali lavori di pulizia e il contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali, che in una siffatta situazione istituisce un obbligo di subentro, non sia applicabile all'impresa principale in questione.
    22 In particolare, il giudice del rinvio chiede se, nella causa principale, si debbano trarre le conseguenze derivanti dall'applicazione dell'art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23, benché il contratto collettivo relativo alle attività di pulizia di edifici e locali della provincia di Toledo non sia applicabile all'Ayuntamiento de Cobisa e tale ente abbia la particolarità di essere un datore di lavoro di diritto pubblico, circostanza questa che fa assumere tratti peculiari ai rapporti di lavoro da esso intrattenuti, conformemente all'art. 103, n. 3, della Costituzione spagnola.
    23 In tale contesto, il Tribunal Superior de Justicia de Castilla-La Mancha ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
    «Se debba ritenersi inclusa nell'ambito di applicazione della direttiva [2001/23], come definito dall'art. 1, n. 1, lett. a) e b), di quest'ultima, l'ipotesi in cui un comune riassuma in proprio o prenda in carico l'esercizio delle attività di pulizia dei suoi vari locali, precedentemente svolte da un'impresa appaltatrice, per far fronte alle quali esso assuma nuovi dipendenti».
     
    Sulla questione pregiudiziale
    24 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23 debba essere interpretato nel senso che quest'ultima trova applicazione ad una situazione in cui un comune, che affidava la pulizia dei propri locali a un'impresa privata, decida di porre termine al contratto che lo vincolava a quest'ultima e di espletare esso stesso tali attività di pulizia assumendo, a tal fine, nuovo personale.
    25 Occorre anzitutto rilevare che, ai sensi del suo art. 1, n. 1, lett. c), la direttiva 2001/23 si applica alle imprese pubbliche che esercitano un'attività economica, indipendentemente dal fatto che esse perseguano o meno uno scopo di lucro.
    26 La Corte ha così dichiarato che la semplice circostanza che il cessionario sia un ente di diritto pubblico, nella specie un comune, non consente di escludere l'esistenza di un trasferimento rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva 2001/23 (v. sentenze 26 settembre 2000, causa C-175/99, Mayeur, Racc. pag. I-7755, punti 29, 33 e 34, nonché 29 luglio 2010, causa C-151/09, UGT-FSP, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).
    27 Pertanto, il fatto che, come nella causa principale, uno dei soggetti interessati sia un comune non osta, di per sé, a che la direttiva 2001/23 trovi applicazione.
    28 Inoltre, ai sensi del suo art. 1, n. 1, lett. a), la direttiva 2001/23 si applica a tutti i trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore conseguenti a cessione contrattuale o a fusione.
    29 A tal riguardo, da una giurisprudenza ben consolidata risulta che la portata della citata disposizione non può essere valutata in base alla sola interpretazione letterale. Date le differenze tra le versioni linguistiche della direttiva in questione e le divergenze tra gli ordinamenti nazionali in merito alla nozione di cessione contrattuale, la Corte ha dato a questa nozione un'interpretazione sufficientemente elastica per rispondere all'obiettivo della citata direttiva, che, come emerge dal suo terzo 'considerando', è quello di tutelare i lavoratori subordinati in caso di cambiamento del titolare dell'impresa (v., in tal senso, sentenza 13 settembre 2007, causa C-458/05, Jouini e a., Racc. pag. I-7301, punto 24 e la giurisprudenza ivi citata).
    30 La Corte ha così statuito che la direttiva 77/187, codificata dalla direttiva 2001/23, era applicabile in tutti i casi di cambiamento, nell'ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica o giuridica responsabile della gestione dell'impresa, la quale assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa stessa (v. sentenze 7 marzo 1996, cause riunite C-171/94 e C-172/94, Merckx e Neuhuys, Racc. pag. I-1253, punto 28, nonché 10 dicembre 1998, cause riunite C-127/96, C-229/96 e C-74/97, Hernández Vidal e a., Racc. pag. I-8179, punto 23).
    31 Analogamente, la Corte ha ritenuto che possa rientrare nell'ambito di applicazione della direttiva 77/187 una situazione in cui un'impresa, che ricorreva ad un'altra impresa per le pulizie dei propri locali o di una parte di essi, decida di porre termine al contratto che la vincolava a quest'ultima e di provvedere in futuro essa stessa a tali lavori (v. sentenza Hernández Vidal e a., cit., punto 25).
    32 Ne deriva che non può di primo acchito escludersi che la direttiva 2001/23 sia applicabile in circostanze come quelle della causa principale, in cui un comune decida unilateralmente di porre termine al contratto che lo vincolava a un'impresa privata e di espletare in prima persona le attività di pulizia che esso affidava a quest'ultima.
    33 Tuttavia, perché la direttiva 2001/23 sia applicabile, il trasferimento deve riguardare, ai sensi dell'art. 1, n. 1, lett. b), di tale direttiva, un'entità economica che conserva la propria identità dopo il cambiamento dell'imprenditore titolare.
    34 Per poter stabilire se una siffatta entità conservi la propria identità, dev'essere preso in considerazione il complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano, in particolare, il tipo d'impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della parte più rilevante del personale ad opera del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, il grado di somiglianza delle attività esercitate prima e dopo la cessione, nonché la durata di un'eventuale sospensione di tali attività. Questi elementi costituiscono tuttavia soltanto aspetti parziali della valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati isolatamente (v., in particolare, sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punto 13; 19 maggio 1992, causa C-29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I-3189, punto 24; 11 marzo 1997, causa C-13/95, Süzen, Racc. pag. I-1259, punto 14, nonché 20 novembre 2003, causa C-340/01, Abler e a., Racc. pag. I-14023, punto 33).
    35 La Corte ha precedentemente rilevato che un'entità economica può essere in grado, in determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali materiali o immateriali significativi, di modo che la conservazione dell'identità di un'entità di questo tipo al termine dell'operazione di cui essa è oggetto non può, per ipotesi, dipendere dalla cessione di tali elementi (v. citate sentenze Süzen, punto 18; Hernández Vidal e a., punto 31, e UGT-FSP, punto 28).
    36 La Corte ha quindi dichiarato che, poiché, in determinati settori in cui l'attività si fonda essenzialmente sulla mano d'opera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un'attività comune può corrispondere ad un'entità economica, tale entità può conservare la propria identità anche dopo il suo trasferimento qualora il nuovo titolare dell'impresa non si limiti a proseguire l'attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale specificamente destinato dal predecessore a tali compiti. In una siffatta ipotesi il nuovo imprenditore acquisisce infatti l'insieme organizzato di elementi che gli consentirà il proseguimento in forma stabile delle attività o di talune attività dell'impresa cedente (v. sentenze Süzen, cit., punto 21; Hernández Vidal e a., cit., punto 32; 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I-8237, punto 32; 24 gennaio 2002, causa C-51/00, Temco, Racc. pag. I-969, punto 33, nonché UGT-FSP, cit., punto 29).
    37 A questo proposito, come emerge dal punto 31 della presente sentenza, poco importa che la riassunzione di una parte essenziale del personale avvenga nell'ambito della cessione contrattuale conclusa tra il cedente e il cessionario, oppure sia il risultato di una decisione unilaterale del precedente imprenditore di risolvere i contratti di lavoro del personale trasferito, seguita da una decisione unilaterale del nuovo titolare dell'impresa di assumere la parte più rilevante del medesimo personale per l'espletamento degli stessi compiti.
    38 Infatti, qualora, in caso di riassunzione di una parte essenziale del personale, l'esistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 2001/23 fosse subordinata in modo esclusivo all'origine contrattuale di tale riassunzione, la tutela dei lavoratori, voluta da tale direttiva, sarebbe rimessa alla discrezionalità degli imprenditori e questi ultimi avrebbero l'opportunità, astenendosi dal concludere un contratto, di eludere l'applicazione della citata direttiva, con conseguente pregiudizio per la conservazione dei diritti dei lavoratori trasferiti che è invece garantita dall'art. 3, n. 1, della direttiva 2001/23.
    39 Certamente, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un'attività di pulizia, come quella di cui trattasi nella causa principale, può essere considerata come un'attività che si fonda essenzialmente sulla mano d'opera (v., in tal senso, citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 27; Hidalgo e a., punto 26, nonché Jouini e a., punto 32) e, pertanto, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente un'attività comune di pulizia può, in mancanza di altri fattori produttivi, corrispondere ad un'entità economica (v., in tal senso, sentenza Hernández Vidal e a., cit., punto 27). Tuttavia, è anche necessario che l'identità di quest'ultima risulti preservata all'esito dell'operazione in questione.
    40 A tal riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che l'Ayuntamiento de Cobisa, al fine di espletare esso stesso le attività di pulizia delle proprie scuole e dei propri locali, prima affidate alla C., ha assunto nuovo personale, senza riassumere i lavoratori che quest'ultima aveva in precedenza destinato alle attività suddette, e senza peraltro rilevare alcuno degli elementi patrimoniali materiali o immateriali di tale impresa. In tale contesto, l'unico elemento che stabilisce un nesso tra le attività svolte dalla C. e quelle riprese dall'Ayuntamiento de Cobisa è rappresentato dall'oggetto dell'attività di cui trattasi, vale a dire la pulizia di locali.
    41 Orbene, il semplice fatto che l'attività svolta dalla C. e quella svolta dall'Ayuntamiento de Cobisa siano simili, o addirittura identiche, non consente di concludere nel senso che sia stata conservata l'identità di un'entità economica. Infatti, un'entità non può essere ridotta all'attività che le è affidata. La sua identità emerge da una pluralità di elementi inscindibili fra loro, quali il personale che la compone, i suoi quadri direttivi, la sua organizzazione di lavoro, i suoi metodi di gestione od anche, eventualmente, i mezzi di gestione a sua disposizione (v., in tal senso, citate sentenze Süzen, punto 15; Hernández Vidal e a., punto 30, nonché Hidalgo e a., punto 30). In particolare, l'identità di un'entità economica che - come quella in questione nella causa principale - sia fondata essenzialmente sulla mano d'opera non può essere conservata qualora la parte più rilevante del personale di tale entità non venga riassunta dal presunto cessionario.
    42 Ne consegue che, salva l'eventuale applicazione delle norme di tutela nazionali, la mera ripresa, nella causa principale, da parte dell'Ayuntamiento de Cobisa, delle attività di pulizia precedentemente affidate alla C. non può, di per sé, rivelare l'esistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva 2001/23.
    43 Di conseguenza, la questione sollevata va risolta dichiarando che l'art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che quest'ultima non si applica ad una situazione in cui un comune, che affidava la pulizia dei propri locali a un'impresa privata, decida di porre termine al contratto che lo vincolava a quest'ultima e di espletare esso stesso l'attività di pulizia di detti locali, assumendo a tal fine nuovo personale.
     
    Sulle spese
    44 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
    L'art. 1, n. 1, lett. a) e b), della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva non si applica ad una situazione in cui un comune, che affidava la pulizia dei propri locali a un'impresa privata, decida di porre termine al contratto che lo vincolava a quest'ultima e di espletare esso stesso l'attività di pulizia di detti locali, assumendo a tal fine nuovo personale.
    Ultimo aggiornamento Mercoledì 08 Giugno 2011 18:53
     

    L'acquisto da una società mista di servizi destinati ai dipendenti stessi di un'amministrazione non sfugge all'applicazione della Direttiva 2004/18

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    SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 22 dicembre 2010
     
    Appalti pubblici di servizi - Direttiva 2004/18/CE - Contratto misto - Contratto concluso tra un'amministrazione aggiudicatrice ed una società privata indipendente da quest'ultima - Costituzione, a quote pari, di un'impresa comune che fornisce servizi sanitari - Impegno dei partecipanti ad acquistare presso l'impresa comune, per un periodo transitorio di quattro anni, i servizi sanitari di cui devono far beneficiare i loro dipendenti
     
    Nel procedimento C-215/09,
     
    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dal Markkinaoikeus (Finlandia) con decisione 12 giugno 2009, pervenuta in cancelleria il 15 giugno 2009, nella causa
     
    M. O.,
     
    T. H., già S. TE.,
     
    contro
    O. K.,
     
    LA CORTE (Terza Sezione),
    composta dal sig. K. Lenaerts, presidente di sezione, dai sigg. E. Juhász (relatore), G. Arestis, J. Malenovský e T. von Danwitz, giudici,
    avvocato generale: sig. J. Mazák
    cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore
    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 17 giugno 2010,
    considerate le osservazioni presentate:
    - per la M. O. e la T. H. (già S. TE.), dalla sig.ra A. Laine e dall'avv. A. Kuusniemi-Laine, asianajaja;
    - per l'O. K., dalla sig.ra S. Rasinkangas e dall'avv. I. Korpinen, asianajaja;
    - per il governo finlandese, dalle sig.re A. Guimaraes-Purokoski e M. Pere, in qualità di agenti;
    - per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;
    - per la Commissione europea, dai sigg. E. Paasivirta, C. Zadra e D. Kukovec, in qualità di agenti,
    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l'avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
    ha pronunciato la seguente
     
    SENTENZA
    1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione delle pertinenti disposizioni, alla luce degli elementi di fatto della causa principale, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114).
    2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia che oppone la M. O. e la T. H., già S. TE., società per azioni di diritto finlandese, all'O. K. (Comune di Oulu), in merito alla qualificazione giuridica, sotto il profilo delle regole dell'Unione in materia di appalti pubblici, di un complesso di disposizioni contrattuali stipulato tra l'Oulu kaupunki e l'ODL Terveys Oy, società privata indipendente da tale comune (in prosieguo: il «partner privato»), e relativo alla costituzione di un'impresa comune, l'ODL OT. Oy (in prosieguo: l'«impresa comune»).
     
    Contesto normativo
    Normativa dell'Unione
    3 Conformemente alle definizioni contenute nell'art. 1, n. 2, della direttiva 2004/18:
    «a) Gli "appalti pubblici" sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva.
    (...)
    b) Gli "appalti pubblici di servizi" sono appalti pubblici diversi dagli appalti pubblici di lavori o di forniture aventi per oggetto la prestazione dei servizi di cui all'allegato II.
    (...)».
    4 L'art. 2 di tale direttiva, intitolato «Principi di aggiudicazione degli appalti», prevede quanto segue:
    «Le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza».
    5 A norma dell'art. 7 della stessa direttiva, intitolato «Importi delle soglie degli appalti pubblici», come adattato dal regolamento (CE) della Commissione 4 dicembre 2007, n. 1422, che modifica le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/17/CE e 2004/18/CE riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti (GU L 317, pag. 34), la direttiva 2004/18 si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle autorità governative centrali il cui valore stimato al netto dell'imposta sul valore aggiunto è pari o superiore ad EUR 206 000.
    6 Conformemente all'allegato II B della direttiva 2004/18, i servizi sanitari rientrano nella rubrica 25 di tale allegato, intitolata «Servizi sanitari e sociali».
    7 A tenore dell'art. 21 della stessa direttiva:
    «L'aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell'allegato II B è disciplinata esclusivamente dall'articolo 23 e dall'articolo 35, paragrafo 4».
    8 L'art. 23 della direttiva 2004/18, facente parte del capo IV di quest'ultima, intitolato «Disposizioni specifiche sul capitolato d'oneri e sui documenti dell'appalto», è relativo alle specifiche tecniche figuranti nei documenti dell'appalto, mentre l'art. 35, n. 4, della medesima direttiva, facente parte del capo VI di quest'ultima, intitolato «Disposizioni in materia di pubblicità e di trasparenza», si riferisce agli obblighi di informazione delle amministrazioni aggiudicatrici concernenti i risultati del procedimento di aggiudicazione di un appalto.
     
    Normativa nazionale
    9 La legge finlandese 1383/2001, relativa alla preservazione della salute nel luogo di lavoro (Työterveyshuoltolaki), impone ai datori di lavoro pubblici e privati di vigilare sulla preservazione della salute nel luogo di lavoro.
    10 Ai sensi dell'art. 3, punto 1, della legge in parola, la preservazione della salute nel luogo di lavoro è l'attività, attuata sotto la responsabilità del datore di lavoro, con la quale specialisti ed esperti sanitari assicurano la prevenzione di malattie ed incidenti connessi al lavoro, provvedono a che il posto di lavoro non metta in pericolo la salute e la sicurezza dei dipendenti, promuovono un ambiente di lavoro adeguato, assicurano il buon funzionamento della comunità lavorativa nonché la salute, l'efficacia e la capacità di lavoro dei lavoratori.
    11 A norma dell'art. 4, primo comma, della suddetta legge, il datore di lavoro è tenuto ad istituire a sue spese un servizio di preservazione della salute nel luogo di lavoro al fine di prevenire e combattere i danni alla salute ed i rischi sanitari dovuti al lavoro ed alle condizioni di lavoro nonché di tutelare e garantire la sicurezza, la capacità lavorativa e la salute dei lavoratori.
    12 Conformemente all'art. 7 della legge 1383/2001, il datore di lavoro può organizzare i servizi di preservazione della salute nel luogo di lavoro ai sensi della stessa legge, acquistando i servizi necessari presso un «centro sanitario» a norma della legge 66/1972 sulla sanità pubblica (kansanterveyslaki), istituendo egli stesso o insieme ad altri datori di lavoro i servizi necessari o acquistando i servizi in questione da una persona o un organismo autorizzato a tale scopo.
    13 Conformemente all'art. 87a, n. 1, della legge finlandese 365/1995 sui comuni (Kuntalaki), come modificata dalla legge 519/2007, entrata in vigore il 15 maggio 2007, un comune o un consorzio di comuni può costituire un'azienda municipale per esercitare un'attività commerciale o per assumere un compito conformemente a principi di gestione privata. Le aziende municipali non hanno personalità giuridica, ma sono organicamente integrate nel comune e le loro attività sono soggette alle disposizioni relative all'attività del comune.
    14 La direttiva 2004/18 è stata trasposta nel diritto finlandese dalla legge 348/2007 sull'aggiudicazione di appalti pubblici (Hankintalaki), il cui art. 5, n. 1, contiene una definizione della nozione di «appalto pubblico» che corrisponde a quella contenuta nell'art. 1, n. 2, lett. a), di tale direttiva.
    15 Secondo i lavori preparatori che hanno condotto all'adozione della legge in parola (progetto governativo 50/2006 vp), un contratto sull'aggiudicazione di un appalto pubblico è in linea generale un contratto di diritto privato tra due diverse persone giuridiche. Pertanto, accordi all'interno di un organismo non potrebbero di norma essere considerati come contratti di aggiudicazione di appalti pubblici. Non può considerarsi come tale un contratto il cui oggetto principale è diverso dall'attribuzione di un appalto. In particolare, occorrerebbe esaminare se la transazione o il fascio di accordi costituisca un insieme dal quale non può essere dissociato l'appalto in questione.
    16 A norma dell'art. 10, la legge in questione non è applicabile agli appalti attribuiti dall'amministrazione aggiudicatrice ad un ente da essa distinto sul piano formale e, rispetto ad essa, autonomo sul piano decisionale, ma sul quale essa esercita, da sola o con altre amministrazioni aggiudicatrici, un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi, nel caso in cui l'ente distinto in parola realizzi la parte più importante della propria attività con le stesse amministrazioni aggiudicatrici. Tale disposizione costituisce l'adattamento della normativa nazionale alla giurisprudenza della Corte (sentenza 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal, Racc. pag. I-8121, punto 50).
     
    Causa principale e questioni pregiudiziali
    17 Il 21 aprile 2008 il consiglio comunale dell'O. K. ha deciso di procedere alla costituzione, col partner privato, di un'impresa comune disciplinata dalla legge 624/2006 sulle società per azioni che avrebbe dovuto iniziare le sue attività il 1° giugno 2008. Si sarebbe suddiviso in parti uguali tra i due partner il capitale dell'impresa comune con una gestione congiunta di quest'ultima.
    18 L'attività dell'impresa comune doveva consistere nel fornire servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro e i due partner si prefiggevano di orientare tale attività, in via principale e progressivamente, verso una clientela privata. Tuttavia, per un periodo transitorio di quattro anni (in prosieguo: il «periodo transitorio»), essi si sono impegnati ad acquistare dall'impresa comune i servizi sanitari dei quali devono far beneficiare, in quanto datori di lavoro, i loro dipendenti, conformemente alla normativa nazionale.
    19 Secondo l'O. K., il fatturato atteso dell'impresa comune sarebbe stato pari a circa EUR 90 milioni durante il periodo transitorio, di cui EUR 18 milioni rappresenterebbero il valore dei servizi che il comune avrebbe l'obbligo di fornire ai suoi dipendenti.
    20 I due partner avrebbero dovuto conferire all'impresa comune, sotto forma di apporto in natura, le rispettive unità incaricate, nel loro ambito, di fornire servizi sanitari nel luogo di lavoro ai loro dipendenti, in conformità della normativa nazionale applicabile. Così, l'O. K. ha trasferito all'impresa comune l'azienda municipale OT. (in prosieguo: l'«azienda municipale»), incaricata nel suo ambito della fornitura di servizi sanitari nel luogo di lavoro il cui valore si collocherebbe tra EUR 2,5 e 3,4 milioni, mentre il partner privato ha trasferito la sua unità equivalente, di un valore stimato tra EUR 2,2 e 3 milioni.
    21 Secondo l'O. K., le prestazioni in materia di salute nel luogo di lavoro fornite ai dipendenti del comune rappresentano circa il 38% del fatturato dell'azienda municipale. Il resto del fatturato sarebbe ottenuto fornendo servizi ad una clientela privata.
    22 Nel verbale della riunione del consiglio comunale dell'O. K., che è pervenuto alla decisione del 21 aprile 2008, si enuncia quanto segue:
    «Le parti hanno inoltre convenuto di acquistare dal[l'impresa comune] servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro per un periodo transitorio di quattro anni. L'O. K. acquisterà i servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro per lo stesso volume di quelli acquistati presso l'azienda municipale (...) La [legge sull'aggiudicazione degli appalti pubblici] impone all'O. K. l'obbligo di appello alla concorrenza per i suoi servizi sanitari nel luogo di lavoro, quando saranno trasferiti al[l'impresa comune]. Le seguenti ragioni giustificano tuttavia che l'O. K. rimanga cliente del[l'impresa comune] durante il periodo transitorio:
    - si garantisce in tal modo lo status dei dipendenti municipali trasferiti;
    - il contratto attuale dell'O. K. è vantaggioso e competitivo;
    - [l'impresa comune] intraprende la sua attività in condizioni favorevoli».
    23 Secondo il verbale in questione, l'O. K. ha sottoscritto il 24 aprile 2008 con il partner privato un accordo con cui si è impegnato ad affidare alla futura impresa comune la funzione di fornire ai dipendenti municipali i servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro per il periodo transitorio. Alla scadenza di quest'ultimo, l'O. K. aveva, a suo dire, l'intenzione di sottoporre l'attribuzione dei servizi in questione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico.
    24 Risulta quindi dal suddetto verbale che l'O. K., in quanto amministrazione aggiudicatrice, non ha indetto alcuna gara di appalto per la fornitura, durante il periodo transitorio, dei servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro che aveva l'obbligo di fornire ai suoi dipendenti in virtù della normativa nazionale. E' del pari certo che la scelta del partner privato non è stata compiuta in seguito ad un appello alla concorrenza.
    25 Il giudice del rinvio, adito da imprese concorrenti interessate alla fornitura dei servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro destinati ai dipendenti dell'O. K., ha provvisoriamente vietato a quest'ultimo, pena l'inflizione di un'ammenda di EUR 200 000, di attuare in qualsiasi modo la delibera del consiglio comunale del 21 aprile 2008, quanto all'acquisto da parte dell'O. K., presso l'impresa comune, di servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro destinati ai dipendenti dello stesso comune. Nell'attesa della decisione definitiva del giudice adito, il 26 agosto 2008 l'O. K. ha deciso di trasferire all'impresa comune le attività dell'azienda comunale, escludendo tuttavia dal trasferimento i servizi sanitari nel luogo di lavoro forniti ai suoi dipendenti.
    26 In considerazione degli opposti argomenti, fatti valere dalle parti nella causa principale circa la natura dell'operazione controversa alla luce del diritto del'Unione in materia di appalti pubblici, il Markkinaoikeus ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
    «1) Se una normativa contrattuale secondo cui un'amministrazione aggiudicatrice municipale conclude con un'impresa privata da essa dipendente un accordo sulla costituzione di una nuova impresa, sotto forma di società per azioni, in parti eguali tra i due partecipanti riguardo alla proprietà ed alla presa di decisioni e si impegna con la medesima impresa, una volta costituita la società, ad acquistare per il proprio personale servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro costituisca, valutata globalmente, una normativa che necessita l'appello alla concorrenza, in quanto tale complesso di norme contrattuali va considerato come un'aggiudicazione di appalti di servizi ai sensi della direttiva 2004/18 (...),ovvero si tratti, nel contesto della normativa, della costituzione di un'impresa mista e del conferimento dell'attività commerciale di un'azienda comunale ai quali non sono applicabili la summenzionata direttiva e l'obbligo di appello alla concorrenza ivi previsto.
    2) Se sia inoltre rilevante nel caso di specie che:
    a) il Comune di Oulu, in quanto amministrazione aggiudicatrice municipale, si è impegnato ad acquistare a titolo oneroso le citate prestazioni per un periodo transitorio di quattro anni dopo il quale l'amministrazione aggiudicatrice municipale si prefigge in base alla sua decisione di indire di nuovo una gara di appalto per i servizi sanitari nel luogo di lavoro ad essa occorrenti;
    b) prima della normativa di cui trattasi, la maggior parte del fatturato dell'azienda di servizi municipale appartenente all'organizzazione del Comune di Oulu era data da prestazioni diverse dai servizi sanitari nel luogo di lavoro forniti ai propri dipendenti;
    c) la costituzione della nuova società è regolata in modo tale che l'attività commerciale dell'azienda di servizi municipale che consiste in servizi sanitari nel luogo di lavoro prestati tanto a dipendenti del comune quanto a clienti privati sarà ceduta a titolo di apporto in natura».
     
    Sulle questioni pregiudiziali
    27 Con le due questioni pregiudiziali, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la direttiva 2004/18 debba essere interpretata nel senso che è applicabile ad una normativa contrattuale nell'ambito della quale un'amministrazione aggiudicatrice conclude, con un ente privato da essa autonomo, un contratto che prevede la creazione di un'impresa comune, avente la forma di società per azioni, da cui, all'atto della sua istituzione, la suddetta amministrazione aggiudicatrice si impegna ad acquistare i servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro di cui è obbligata a far beneficiare i suoi dipendenti.
    28 Dal tenore delle questioni e dal contesto in cui si inseriscono risulta che i quesiti del giudice del rinvio si riferiscono più specificamente alla fornitura, da parte dell'impresa comune, all'O. K. di servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro destinati ai dipendenti del comune, nei limiti in cui tale fornitura corrisponde all'impegno preso dal suddetto comune di acquistare dall'impresa comune, per un periodo transitorio di quattro anni, i servizi in questione, ad esso forniti in precedenza da un'azienda municipale organicamente collegata al comune stesso.
    29 Si deve preliminarmente sottolineare che è certo, nella causa principale, che l'O. K. ha la qualità di amministrazione aggiudicatrice a norma dell'art. 1, n. 9, della direttiva 2004/18 e che i servizi in questione rientrano nella nozione di «servizi (...) sanitari», ai sensi della categoria 25 dell'allegato II B della suddetta direttiva. L'impegno dell'O. K. di acquistare i servizi in parola a favore dei suoi dipendenti dall'impresa comune implica l'esistenza di un contratto a titolo oneroso tra il suddetto comune e tale impresa. Emerge inoltre dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio che il valore stimato del contratto in questione, dell'ordine di EUR 18 milioni, supera la pertinente soglia di applicazione della direttiva 2004/18.
    30 Occorre anche ricordare che la direttiva 2004/18 non opera una distinzione tra gli appalti pubblici conclusi da un'amministrazione aggiudicatrice per adempiere la propria missione intesa al soddisfacimento di bisogni di interesse generale e gli appalti pubblici non correlati a tale missione, quale la necessità di soddisfare, come nel caso di specie, un obbligo che le incombe quale datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti (v., segnatamente, sentenza 15 luglio 2010, causa C-271/08, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 73 e la giurisprudenza citata).
    31 Apportate tali precisazioni preliminari, è opportuno ricordare che un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad enti esterni non appartenenti ai propri servizi e che può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche (v. sentenza 9 giugno 2009, causa C-480/06, Commissione/Germania, Racc. pag. I-4747, punto 45). Parimenti, come rilevato al punto 1 della comunicazione intepretativa della Commissione sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) (GU 2008, C 91, pag. 4), un'autorità pubblica è libera di esercitare in proprio un'attività economica o di affidarla a terzi, ad esempio ad entità a capitale misto costituite nell'ambito di un partenariato pubblico-privato.
    32 Inoltre, l'applicazione del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici è, certo, esclusa nel caso in cui, nel contempo, l'amministrazione aggiudicatrice eserciti sull'ente aggiudicatario un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l'amministrazione che la controlla (v. sentenza Teckal, cit., punto 50). Tuttavia la partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v., in particolare, sentenze 10 settembre 2009, causa C-573/07, Sea, Racc. pag. I-8127, punto 46, e 15 ottobre 2009, causa C-196/08, Acoset, Racc. pag. I-9913, punto 53).
    33 Per quanto riguarda, più precisamente, il quesito del giudice del rinvio sul punto se l'impegno dell'O. K. di acquistare dall'impresa comune, durante il periodo transitorio, i servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro, di cui deve far beneficiare i suoi dipendenti, esuli o meno dall'applicazione delle regole della direttiva 2004/18 in ragione del fatto che tale impegno fa parte del contratto istitutivo dell'impresa comune, si deve rilevare che la costituzione, da parte di un'amministrazione aggiudicatrice e di un operatore economico privato, di un'impresa comune non rientra, come tale, nella direttiva 2004/18. Tale constatazione è peraltro ricordata al punto 66 del Libro verde della Commissione relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni [COM(2004) 327 def.].
    34 Occorre però far osservare che, come risulta dal punto 69 del suddetto Libro verde, occorre accertarsi che tale operazione in capitale non nasconda in realtà l'attribuzione ad un partner privato di contratti definibili come appalti pubblici o come concessioni. Peraltro, come osservato al punto 2.1 della summenzionata comunicazione interpretativa della Commissione, il fatto che un soggetto privato e un'amministrazione aggiudicatrice cooperino nell'ambito di un'entità a capitale misto non può giustificare il mancato rispetto, in sede di aggiudicazione di concessioni a tale soggetto privato o all'entità a capitale misto, delle disposizioni in materia di appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza Acoset, cit., punto 57).
    35 Dati gli orientamenti generali in parola, occorre stabilire se, ed in quale misura, la direttiva 2004/18 possa essere applicabile nell'ambito della causa principale.
    36 Dalla giurisprudenza della Corte risulta in proposito che, nel caso di un contratto misto le cui differenti parti sono inseparabilmente connesse e formano così un tutto indivisibile, l'operazione di cui trattasi dev'essere esaminata nel suo insieme in modo unitario ai fini della sua qualifica giuridica e dev'essere valutata sulla base delle regole che disciplinano la parte che costituisce l'oggetto principale o l'elemento preponderante del contratto (sentenza 6 maggio 2010, cause riunite C-145/08 e C-149/08, Club Hotel Loutraki e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 48 e 49 nonché la giurisprudenza citata).
    37 Ne consegue che, ai fini dell'applicazione della direttiva 2004/18, occorre verificare se la parte costituita dai servizi sanitari destinati ai dipendenti dell'O. K., che rientra in linea di principio nell'applicazione della direttiva stessa, sia scindibile dal contratto in parola.
    38 E' necessario riferirsi al riguardo al verbale della riunione del Consiglio comunale dell'O. K. del 21 aprile 2008 che descrive i motivi dell'impegno assunto da tale comune all'atto della costituzione dell'impresa comune. Risulta inoltre dai chiarimenti forniti dall'O. K. all'udienza che il suddetto comune ritiene che la parte in questione del contratto non sia scindibile in ragione del fatto che il valore dell'impegno ad acquistare servizi sanitari dall'impresa comune durante il periodo transitorio rientrerebbe nel suo apporto in natura al capitale di tale impresa e che quest'apporto in natura costituirebbe, economicamente, un presupposto della creazione di quest'ultima.
    39 Conviene sottolineare che l'intenzione espressa o presunta delle parti contraenti di considerare i vari elementi costitutivi di un contratto misto come inseparabili non è sufficiente, ma deve poggiare su elementi oggettivi atti a giustificarla ed a fondare la necessità di concludere un unico contratto.
    40 Quanto all'argomento dell'O. K. secondo cui lo status dei dipendenti municipali trasferiti all'impresa comune sarebbe garantito in seguito all'impegno assunto, occorre rilevare che una garanzia siffatta avrebbe potuto essere fornita anche nel contesto di un procedimento di aggiudicazione di appalto conforme ai principi di non discriminazione e di trasparenza in cui il requisito relativo a tale garanzia avrebbe fatto parte delle condizioni da rispettare ai fini della concessione dell'appalto.
    41 Circa gli argomenti dell'O. K. consistenti nel sostenere che «il contratto attuale sarà vantaggioso e competitivo» e che, grazie al suddetto impegno, «l'impresa comune inizierà le sue attività in condizioni favorevoli», è opportuno ricordare che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, l'attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata senza indizione di gara pregiudicherebbe l'obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento, nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad un'impresa privata presente nel capitale di detta società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti (sentenza Acoset, cit., punto 56 e giurisprudenza citata). Siffatti argomenti non permettono di concludere che la parte costituita dai servizi sanitari a favore dei dipendenti dell'O. K. sia indissociabile dal resto del contratto.
    42 Devesi inoltre constatare che l'inclusione asserita, ma non dimostrata, del valore dell'impegno assunto dall'O. K. nell'apporto in natura di quest'ultimo al capitale dell'impresa comune costituisce, in tali circostanze, una tecnica giuridica che non permette, neppur essa, di considerare tale parte del contratto misto come non scindibile da quest'ultimo.
    43 Inoltre, come hanno fatto valere il governo ceco e la Commissione, il fatto che, nella causa principale, l'amministrazione aggiudicatrice abbia formulato la sua intenzione di indire, al termine del periodo transitorio, un procedimento di gara d'appalto per l'acquisto dei servizi sanitari a favore dei suoi dipendenti costituisce ugualmente una circostanza che corrobora il carattere scindibile di tale parte dal resto del contratto misto.
    44 Parimenti il fatto che l'impresa comune funzioni dall'agosto 2008 senza la parte in questione tende a dimostrare che i due partner sembrano essere in grado di far fronte all'impatto eventuale dell'assenza in parola sulla situazione finanziaria della suddetta impresa, il che costituisce un altro indizio pertinente del carattere scindibile della parte in questione.
    45 Di conseguenza, diversamente dalle circostanze all'origine della citata sentenza Loutraki e a., le summenzionate constatazioni non traducono, oggettivamente, la necessità di concludere il contratto misto, di cui si discute nella causa principale, con un partner unico (v., in tal senso, sentenza Loutraki e a., cit., punto 53).
    46 Poiché la parte del contratto misto costituente l'impegno dell'O. K. ad acquistare dall'impresa comune i servizi sanitari destinati ai suoi dipendenti è, pertanto, scindibile da tale contratto, ne consegue che, in un contesto come quello della causa principale, le pertinenti disposizioni della direttiva 2004/18 sono applicabili all'attribuzione di tale parte.
    47 Alla luce delle considerazioni precedenti, le questioni sollevate devono essere risolte interpretando la direttiva 2004/18 nel senso che, quando un'amministrazione aggiudicatrice conclude con una società privata da essa indipendente un contratto che prevede la costituzione di un'impresa comune, sotto forma di società per azioni, il cui oggetto è la fornitura di servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro, l'attribuzione da parte della suddetta amministrazione aggiudicatrice dell'appalto relativo ai servizi destinati ai suoi dipendenti, di un valore che supera la soglia prevista dalla direttiva in parola, e scindibile dal contratto costitutivo di tale società, deve avere luogo nell'osservanza delle disposizioni della suddetta direttiva applicabili ai servizi rientranti nell'allegato II B di quest'ultima.
     
    Sulle spese
    48 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
     
    Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
    La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretata nel senso che, quando un'amministrazione aggiudicatrice conclude con una società privata da essa indipendente un contratto che prevede la costituzione di un'impresa comune, sotto forma di società per azioni, il cui oggetto è la fornitura di servizi sanitari e di preservazione del benessere nel luogo di lavoro, l'attribuzione da parte della suddetta amministrazione aggiudicatrice dell'appalto relativo ai servizi destinati ai suoi dipendenti, di un valore che supera la soglia prevista dalla direttiva in parola, e scindibile dal contratto costitutivo di tale società, deve avere luogo nell'osservanza delle disposizioni della suddetta direttiva applicabili ai servizi rientranti nell'allegato II B di quest'ultima.
     


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