Pubblicato il 15/09/2016 N. 09759/2016 REG.PROV.COLL. N. 15034/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 15034 del 2015, proposto da: contro - Autorità Nazionale Anticorruzione – A.N.A.C., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; per l'annullamento, previa sospensione, - del parere dell’ANAC n. 186 del 28/10/2015, comunicato con pec del 4/11/2015, con il quale l’Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’esprimersi ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. n), del d.lgs. n. 163/2006, sull’istanza di parere formulata dalla Regione Umbria, ha ritenuto che “la prospettata variante non sia conforme all’art. 132, comma 1, lett. a), del d.lgs. 163/2006, non essendo intervenute sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari che possono giustificarla né all’art.132 comma 1 lett. b) d.lgs 163/2006, non essendo giustificata dalla sussistenza di condizioni chiare e riconoscibili che portano ad escludere, obiettivamente, la possibilità di prefigurarsi l’evento e comportando una nuova progettazione ed un significativo aumento di costo rispetto al prezzo contrattuale di aggiudicazione tali da giustificare una variazione sostanziale all’oggetto del contratto; - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente, connesso e/o correlato a quelli espressamente impugnati e sopra indicati.
Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e della Regione Umbria, con la relativa documentazione; Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1973/2016 del 21.4.2016; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 6 luglio 2016 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, le società in epigrafe chiedevano l’annullamento, previa sospensione, del parere reso dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera n), del d.lgs. n. 163/2006, su istanza formulata dalla Regione Umbria in relazione a un appalto avente oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di realizzazione della piattaforma ferroviaria logistica Terni-Narni e alla possibilità di ricorrere a una variante in corso d’opera, ai sensi degli artt. 132, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 163/06, per quanto riguardava lavori di allacciamento tra la Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e la suddetta piattaforma logistica. Con tale parere, l’ANAC riteneva che la prospettata variante non era conforme all’art. 132, comma 1, lett. a), del d.lgs. 163/2006, non essendo intervenute sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari che potevano giustificarla, né alla fattispecie di cui alla lett. b), non essendo giustificata dalla sussistenza di condizioni chiare e riconoscibili che portavano ad escludere, obiettivamente, la possibilità di prefigurarsi l’evento e perché avrebbe comportato una nuova progettazione ed un significativo aumento di costo rispetto al prezzo contrattuale di aggiudicazione, con variazione sostanziale all’oggetto del contratto. Le ricorrenti, quali aggiudicatarie in r.t.i. dell’appalto in questione, lamentavano, in sintesi, quanto segue. “Violazione ed errata applicazione dell’art. 132, comma 1, lettere a) e b), del D.Lgs. n. 163/2006 e s.m.i., eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, travisamento ed erroneità dei presupposti. Difetto di istruttoria. Insufficiente ed inadeguata motivazione”. Le società in epigrafe, premettendo di procedere in “via del tutto prudenziale e cautelativa nel caso in cui il Committente, e cioè la regione Umbria, dovesse determinarsi di procedere nel senso in cui si è espressa l’ANAC con il parere n. 186…avente carattere non vincolante”, evidenziavano l’errore di istruttoria in cui sarebbe incorsa l’ANAC, in quanto non tutte le opere in esame potevano essere considerate come “variante”, poiché risultavano stralciate provvisoriamente dal progetto definitivo approvato dal CIPE solo per mancanza di copertura finanziaria, visto che la realizzazione delle prescrizioni in materia di segnalamento e sicurezza era ritenuta una condizione indispensabile per l’approvazione del Comitato suddetto. Che le opere fossero indiscutibilmente “contrattuali” – secondo le ricorrenti – si evinceva inoltre dalla considerazione per la quale le stesse dovevano realizzarsi nell’ambito del medesimo intervento, secondo quanto desumibile dall’esame del capitolato Speciale d’Appalto. Né poteva invocarsi la rilevanza dell’importo economico relativo, dato che questo non ha alcun valore nella qualificazione di un lavoro come “variante”. La stessa Regione Umbria, poi, aveva rappresentato all’ANAC che l’affidamento delle opere in questione allo stesso appaltatore avrebbe consentito di portare a termine l’intervento nella sua forma più tempestiva, efficace ed economica e anche su tale profilo il parere impugnato era carente di motivazione. Inoltre, la Regione aveva anche in seguito sostanzialmente riconosciuto la sopravvenienza di disposizioni legislative e regolamentari, in applicazione dei presupposti della medesima norma di cui all’art. 132 d.lgs. cit. che invece l’ANAC aveva ritenuto insussistenti. Si costituiva in giudizio l’Autorità intimata deducendo in rito l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, trattandosi il parere impugnato di un atto avente natura non provvedimentale nonché rilevando la sua infondatezza. Si costituiva anche la Regione Umbria, eccependo l’incompetenza territoriale di questo Tribunale nonché l’infondatezza del ricorso. Con l’ordinanza in epigrafe, questa Sezione si pronunciava sulla domanda cautelare, fissando ai sensi dell’art. 55, comma 10, l’udienza di merito. In prossimità di questa, con memorie conclusive le parti costituite ribadivano i rispettivi assunti in rito e nel merito. Alla data del 6 luglio 2016, la causa era quindi trattenuta in decisione. DIRITTO Il Collegio, preliminarmente e in riferimento all’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla Regione Umbria, rileva che nel presente giudizio non risultano impugnati esplicitamente altri atti o provvedimenti di diversa autorità, risultando pendente presso il T.A.R. per l’Umbria il gravame avverso il successivo provvedimento regionale che, in sostanziale adesione alle conclusioni dell’ANAC, ha disposto l’indizione di un nuovo appalto in luogo di procedere con affidamento “in variante” alle ricorrenti. A ciò si aggiunga che, come richiamato in narrativa, questa Sezione si è già pronunciata in sede cautelare e in tale occasione aveva già rilevato la “propria giurisdizione e competenza” - sia pure attraverso l’utilizzazione della formula standardizzata, prevista dal modello di ordinanza cautelare predisposto dal procedimento “NSIGA” - per cui, in ogni caso, la statuizione della competenza territoriale di questo Tribunale, sia essa implicita od esplicita, avrebbe dovuto formare oggetto di tempestiva impugnazione, mediante lo strumento dell’appello cautelare o del regolamento di competenza da parte dei soggetti interessati. Ciò non risulta avvenuto per cui, per tale ragione, la competenza territoriale è ormai radicata presso questo TAR (in tal senso: C.G.R.S., 21.6.16, n. 182). Premesso ciò il Collegio rileva l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesività diretta. Oggetto dell’impugnativa è infatti un parere reso dall’ANAC ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. n), d.lgs. n. 163/2006 vigente “pro tempore”, come integrato per quanto riguarda tale Autorità dall’art. 19, commi 1 e 2, d.l. n. 90/14, conv. in l. n. 114/14. Ebbene tale norma prevede che l’Autorità, tra altre funzioni, “…su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione; si applica l'articolo 1, comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;” E’ evidente, pertanto, il richiamo al carattere “non vincolante” del parere in questione, con la conseguenza per la quale il soggetto istituzionale cui il parere è indirizzato ben potrebbe discostarsi dal medesimo con determinazione congruamente motivata. Ne consegue che la concreta lesività del parere in questione si manifesta solo nell’ipotesi in cui sia trasposto o richiamato nell'atto conclusivo del procedimento che dispone in senso conforme ma non prima. Nel caso di specie tale provvedimento finale coincide con quello della Regione Umbria, del dicembre 2015, posteriore al parere in questione e poi impugnato presso il TAR competente per territorio. Emerge, quindi, la natura non provvedimentale del parere impugnato, dato che la lesività alla sfera giuridica delle ricorrenti si è prodotta soltanto in seguito, quando l’organo istituzionalmente preposto all’assetto degli interessi in esame si è pronunciato nell’ambito della sua potestà discrezionale, sia pure conformandosi alle conclusioni “suggerite” dall’ANAC (v. Cons. Stato, Sez. VI, 3.5.10, n. 2503). In sostanza, il parere dell’ANAC non aveva un valore vincolante e la sua incidenza sulla fattispecie può essere valutata solo in relazione alla capacità di integrare la motivazione del provvedimento finale, con la conseguenza per la quale può essere ritenuto semmai impugnabile unicamente al provvedimento finale che lo recepisce (TAR Lazio, Sez. II ter, 5.9.16, n. 9543; Sez. III, 21.2.12, n. 1730; TAR Lombardia, Bs, 28.1.11, n. 181, nonché Cons. Stato, sez. VI, n. 2053/10 cit.). D’altro canto, le stesse imprese ricorrenti precisano nel ricorso di aver agito in questa sede in via del tutto prudenziale e nell’ipotesi in cui la Regione Umbria si fosse determinata in senso conforme alle conclusioni dell’ANAC, con ciò confermando l’assenza di lesività “attuale” del parere qui impugnato e riconoscendo alla sola Regione Umbria, quale committente, la potestà di adottare provvedimenti finali eventualmente lesivi. Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per carenza di lesività. Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi per la peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe, Presidente Ivo Correale, Consigliere, Estensore Roberta Cicchese, Consigliere
IL SEGRETARIO |
- Processo Amministrativo
Sui limiti alla rilevazione d'ufficio dell'incompetenza territoriale del TAR, dopo la fase cautelare, e sulla non impugnabilità dei pareri di precontezioso ANAC
Rito (speciale ed accelerato) per le controversie in tema di affidamento di concessioni di servizi pubblici
Pubblicato il 27/07/2016
N. 00022/2016REG.PROV.COLL.
N. 00010/2016 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10 di A.P. del 2016, proposto dalla S. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Montanino C.F. MNTCRL65L14A345U, con domicilio eletto presso Quirino D'Angelo in Roma, via Paolo Emilio, n. 34;
contro
Asl N.1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Giuliano Lazzari C.F. LZZGLN59D05H501H, con domicilio eletto presso Stefania Raimondi in Roma, via Antonio Chinotto;
nei confronti di
Si. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Cardaropoli C.F. CRDSRG58E12F839P, con domicilio eletto presso Antonella Sansone in Roma, Circumvallazione Clodia, n.167;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO L’AQUILA: SEZIONE I n. 00034/2016, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del servizio di ristoro tramite distributori automatici di bevande e alimenti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Asl N.1 Avezzano-Sulmona-L'Aquila e della Si. S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Montanino e Lazzari.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo dichiarava irricevibile, negando la concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, il ricorso proposto dalla S. s.r.l. avverso l’affidamento in concessione alla Si. s.r.l. del servizio di ristoro tramite distributori automatici di alimenti e bevande presso i presidi ospedalieri della Azienda Sanitaria Locale n.1 – Avezzano - Sulmona - L’Aquila (d’ora innanzi ASL), siccome proposto oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione della gara alla controinteressata, previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a., e giudicato applicabile anche alle procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi pubblici.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la S., criticando la gravata statuizione di irricevibilità del ricorso di primo grado, sulla base dell’assunto dell’estraneità delle procedure di concessione dei servizi pubblici all’ambito applicativo degli artt.119 e 120 c.p.a., insistendo, comunque, nel sostenere la sussistenza dei presupposti per la concessione del beneficio dell’errore scusabile, ribadendo la sussistenza dei vizi originariamente denunciati a carico dell’affidamento del servizio alla controinteressata Si. e concludendo per la riforma della sentenza impugnata e per il conseguente annullamento della determinazione gravata in prima istanza.
Resistevano la ASL e la Si., difendendo la correttezza della decisione appellata, contestando, nel merito, la fondatezza dell’appello e domandandone la reiezione.
Con ordinanza n.1927/2016 in data 12 maggio 2016 la Terza Sezione, dopo aver disatteso l’istanza cautelare di sospensione della sentenza appellata, rimetteva all’Adunanza Plenaria la soluzione delle questioni (meglio di seguito illustrate) relative all’applicabilità del combinato disposto degli artt.119, comma 1, lett. a), e 120 del c.p.a. alle concessioni di servizi pubblici e, in caso di soluzione positiva al primo quesito, alla concedibilità del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a.
Alla pubblica udienza del 13 luglio 2016, dinanzi all’Adunanza Plenaria, l’appello veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- Come già rilevato in fatto, la prima questione devoluta allo scrutinio dell’Adunanza Plenaria resta circoscritta alla disamina del perimetro applicativo delle disposizioni del c.p.a. dedicate a regolare il rito speciale in materia, tra l’altro, di “affidamenti di servizi” e, in particolare, alla verifica se siano o meno ascrivibili entro i suoi confini anche le controversie relative alle concessioni di servizi pubblici previste dall’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006.
1.1- Nella fattispecie in esame, infatti, i giudici di prima istanza hanno ritenuto applicabile anche alle concessioni di servizi le suddette disposizioni processuali, giudicando, quindi, tardivo il ricorso proposto dalla S., siccome notificato alla controinteressata Si. oltre il termine perentorio di trenta giorni (stabilito dall’art.120, comma 5, c.p.a.) dalla formale comunicazione dell’affidamento del servizio.
1.2- La Terza Sezione, dopo aver qualificato come concessione di servizio pubblico l’affidamento nella specie controverso (si ricorda: gestione di distributori automatici di alimenti e bevande nelle strutture sanitarie e ospedaliere della ASL), ha affidato la soluzione della predetta questione all’Adunanza Plenaria, avendo registrato un contrasto di indirizzi, che esige un chiarimento definitivo del problema, tra una lettura restrittiva dell’ambito applicativo dell’art.119, comma 1, lett. a), che esclude, cioè, la sua applicazione anche alle concessioni di servizi pubblici (Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2015, n.2679; Cons. St., sez. V, 14 ottobre 2014, n. 5065; Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n.2620; Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2014, n. 152), e un’esegesi più ampia, che vi comprende anche le controversie aventi ad oggetto le concessioni (Cons. St., sez. V, 1° agosto 2015, n. 3775; Cons. St., sez. III, 29 maggio 2015, n. 2704; Cons. St., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 416; Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n. 3989; Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2013, n.811).
1.3- La questione devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria può, quindi, essere riassunta nella disamina dell’ascrivibilità delle controversie aventi ad oggetto gli affidamenti di concessioni di servizi pubblici entro i confini dell’ambito applicativo del combinato disposto degli artt.119 e 120 c.p.a. e, in particolare, per quanto qui rileva, nell’identificazione del termine di decadenza per la proposizione del ricorso di primo grado in quello, dimezzato, di trenta o in quello, ordinario, di sessanta giorni.
2.- Così sintetizzati i termini del problema, occorre, anzitutto, confermare la (logicamente presupposta) qualificazione, già operata dalla sezione rimettente, della procedura controversa come avente ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’art.30 del d.lgs. n. 163 del 2006 (vigente al momento dell’indizione della gara).
2.1- Dalla scarna disciplina contenuta in quest’ultima disposizione si ricava unicamente che le concessioni di servizi sono strutturate in modo che al concessionario spetta solo “il diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio” (senza alcun onere economico a carico dell’amministrazione concedente, che, anzi, riceve solitamente un corrispettivo dal concessionario per l’attribuzione del predetto diritto) e che il loro affidamento resta sottratto all’applicazione delle regole stabilite per l’aggiudicazione degli appalti e obbedisce ai soli principi generali in materia di contratti pubblici.
2.2- La giurisprudenza (nazionale ed europea) è stata, così, costretta a farsi carico delle questioni attinenti alla qualificazione della natura giuridica delle procedure controverse, discendendo, da essa, una diversa identificazione delle regole di condotta stabilite a presidio della corretta scelta del contraente.
E’ stato, al riguardo, chiarito che i criteri discretivi più sicuri ed affidabili (tra appalti e concessioni di servizi) dovevano essere identificati nell’assunzione, da parte del concessionario, del “fattore rischio”, implicato dalla traslazione al gestore dell’incertezza sull’utilità economica dell’erogazione del servizio, che caratterizza le concessioni e le distingue dagli appalti (Corte di Giustizia UE, 13 ottobre 2005, causa C-458-03 – Parking Brixen GmbH), nella somministrazione del servizio a favore della generalità degli utenti, e non solo alla pubblica amministrazione, (Cass. Civ. SS. UU., 27 maggio 2009, n. 12252), nella esclusiva coincidenza del corrispettivo con il diritto di sfruttare economicamente il servizio, ovvero in tale diritto accompagnato da un prezzo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 21 maggio 2014, n. 2624) nonchè, da ultimo, nella traslazione a un soggetto privato della facoltà di esercizio di quest’ultimo, ferma restando la titolarità della funzione in capo all’Amministrazione concedente (Cons. St., sez. VI, 16 luglio 2015, n.3571).
2.3- Le carenze regolative ravvisabili nell’art.30 del d.lgs. n.163 del 2006 (e nella presupposta, pressochè insistente, disciplina europea), le relative incertezze applicative e la crescente diffusione dello strumento concessorio (sia in ordine ai lavori che ai servizi), dovuta alla crisi economica e alla connessa esigenza di ricorrere con maggiore frequenza al capitale privato, a fronte della drastica diminuzione di investimenti pubblici, hanno imposto (finalmente) l’introduzione, prima a livello europeo (con la direttiva 2014/23/UE) e poi nazionale (con gli artt.164 e seguenti del d.lgs. n.50 del 2016), di una completa e dettagliata disciplina normativa, sia in ordine agli aspetti sostanziali del contratto di concessione, che riceve una definizione puntuale dei suoi elementi costituivi (con l’opportuna precisazione del carattere essenziale del trasferimento, almeno in parte, del rischio operativo), sia in merito alle modalità di procurement, con una tendenziale e strutturata assimilazione delle procedure di affidamento delle concessioni a quelle di aggiudicazione degli appalti.
La definizione della concessione di servizi rinvenibile nell’art.3, comma 1, lett. vv), d.lgs. n.50 del 2016, come un “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi” e la previsione di puntuali e cogenti regole procedurali per l’affidamento dei servizi in concessione consentono di ritenere, ormai, superate gran parte delle difficoltà definitorie e delle ambiguità regolative prodotte dalla scarna disciplina preesistente.
2.4- Così ricostruita, anche in via diacronica, la normativa di riferimento, si rileva che i caratteri essenziali dell’istituto, per come evincibili, sia dal regime precedente (per come decifrato dalla richiamata giurisprudenza), sia da quello vigente, sono senz’altro rintracciabili nel contratto con cui una pubblica amministrazione affida a un operatore economico il diritto di installare e gestire un distributore automatico di alimenti e bevande.
In tale fattispecie, infatti, per un verso, il rischio economico della gestione viene assunto in via esclusiva dal gestore (che, anzi, corrisponde all’Amministrazione un prezzo in cambio dell’affidamento del diritto alla gestione del distributore automatico) e, per un altro, l’erogazione del servizio viene rivolta, non già all’Amministrazione, ma alla collettività degli utenti che frequenta la struttura pubblica (Ospedale, Università, ecc.) dove viene installato il distributore (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 4 settembre 2012, n.4682).
3.- Così classificato l’oggetto della controversia, occorre scrutinare il problema della definizione del perimetro applicativo del rito speciale di cui agli artt.119 e 120 c.p.a., onde verificare la riconducibilità entro il relativo ambito del ricorso in esame.
3.1- La questione si risolve nell’esegesi dell’art.119, comma 1, lett. a), rispetto al quale la prescrizione contenuta nell’art.120 c.p.a., comma 5, si rivela del tutto dipendente e conseguente, e, segnatamente, della locuzione “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture”.
Si tratta, in altri termini, di verificare se, nella predetta espressione lessicale, siano o meno compresi anche i provvedimenti concernenti le procedure aventi ad oggetto le concessioni di servizi.
3.2- La relativa attività ermeneutica dovrà essere condotta secondo i canoni di seguito precisati.
La disposizione oggetto di esame definisce le controversie assoggettate alle regole del rito speciale contestualmente introdotto.
La specialità si risolve, perlopiù, nella fissazione di termini più brevi di quelli ordinari, al fine di configurare un sistema processuale che permetta la definizione del giudizio in tempi certi e contenuti, in ragione della rilevanza degli interessi pubblici implicati dalle controversie presidiate da quel rito.
Il carattere derogatorio, rispetto alla disciplina processuale comune, delle regole contenute negli artt.119 e 120 del c.p.a. implica, sul piano ermeneutico, l’utilizzo dei parametri interpretativi appresso indicati.
La natura eccezionale delle disposizioni esaminate impone, innanzitutto, all’interprete di evitare l’utilizzo di canoni interpretativi estensivi e analogici, ma anche teleologici (sulla necessità di seguire canoni di stretta interpretazione delle norme eccezionali si veda Cass. Civ., SS. UU, 24 novembre 2008, n.27863).
L’attitudine delle norme oggetto di indagine a comprimere i diritti di difesa, riducendo i tempi per il loro valido esercizio, impedisce, infatti, di leggere la loro portata precettiva come estesa ad ambiti non direttamente segnati dal significato letterale delle espressioni lessicali utilizzate, così come preclude di ricavare, in esito a un’indagine che valorizzi la ratio della disposizione descrittiva, con valenza tassativa, delle controversie regolate dal rito speciale, effetti prescrittivi diversi da quelli direttamente riferibili al senso delle parole usate.
Accedendo, infatti, a canoni ermeneutici diversi da quello letterale si rischierebbe, invero, di assegnare alle disposizioni in esame, che, si ricorda, conformano, in senso restrittivo, l’esercizio del diritto di difesa, un significato diverso da quello immediatamente percepibile dalla loro lettura.
Ne consegue che l’operazione ermeneutica dev’essere condotta alla stregua del (solo) criterio letterale, al fine di verificare se nel significato dell’espressione testuale descrittiva delle controversie assoggettate al rito speciale rientrino o meno anche le liti relative ai provvedimenti concernenti le concessioni.
3.3- Così identificato il paradigma interpretativo in coerenza con il quale dev’essere risolto il quesito indirizzato all’Adunanza Plenaria, si rileva che l’espressione “procedure di affidamento”, usata dall’art.119, comma 1, lett. a), c.p.a., ha ricevuto una definizione puntuale all’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 (ma, poi, ripetuta, con le medesime parole, dall’art.3, lett. rrr, nel d.lgs. n.50 del 2016) nei termini che seguono: “Le «procedure di affidamento» e l'«affidamento» comprendono sia l'affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l'affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l'affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee.”
Come si vede, dunque, la stessa locuzione analizzata nel presente giudizio è già stata oggetto, in un altro provvedimento normativo, di una definizione esplicativa del suo significato, che ne ha chiarito i contenuti, precisando, per quanto qui rileva, che in essa resta compreso anche “l'affidamento di lavori o servizi mediante concessione”.
Orbene, a fronte di una definizione così chiara del significato dell’espressione contenuta nell’art.119, comma 1, lett. a) c.p.a., non residua spazio per esegesi difformi da essa, alla quale l’interprete deve intendersi, infatti, vincolato.
Le definizioni contenute negli atti nomativi più complessi (da valersi quale regola di buona tecnica legislativa) assolvono, in particolare, la precipua funzione di chiarire il significato dei termini e delle espressioni ivi utilizzate e, quindi, di evitare ogni incertezza circa il senso da attribuire ad essi.
In coerenza con lo scopo delle definizioni e con la relativa valenza cogente attribuibile ad esse, deve, quindi, concludersi nel senso che a un’espressione lessicale non può assegnarsi un significato diverso da quello reso palese dalla formula definitoria usata nel medesimo provvedimento che la contiene.
3.4- Né il segnalato vincolo semantico può intendersi annullato o diminuito quando l’espressione oggetto di indagine ha ricevuto una definizione in un diverso e precedente atto normativo (come nella fattispecie in esame).
Ove, infatti, il legislatore utilizzi una locuzione già definita in un previgente corpus normativo e lo faccia con evidente riferimento alla medesima nozione giuridica oggetto della definizione, deve presumersi che abbia inteso usare quel concetto con lo stesso significato già chiarito dall’ordinamento.
In particolare, quando l’istituto richiamato in un atto normativo abbia già ricevuto una definizione chiara del suo significato e una autonoma disciplina sostanziale in un diverso provvedimento legislativo, l’interprete, in difetto di indizi significativi di una diversa volontà del legislatore, deve stimare quel richiamo coerente con la formula definitoria già vigente.
Tale vincolo deve, peraltro, intendersi particolarmente stringente nelle ipotesi in cui l’enunciazione normativa risulta chiaramente riferibile a un concetto giuridico proprio del corpus normativo all’interno del quale è contenuta la definizione cogente (per l’interprete), e, viceversa, estraneo all’oggetto principale dell’atto legislativo da interpretare (e non v’è alcun dubbio che la nozione di “procedure di affidamento” resta tecnicamente compresa nella materia dei contratti pubblici ed ontologicamente avulsa da quella del processo amministrativo).
3.5- Declinando alla fattispecie esaminata i canoni ermeneutici appena enunciati, deve riconoscersi, per un verso, l’insussistenza di qualsivoglia elemento che indichi la volontà del legislatore del processo amministrativo di assegnare all’espressione “procedure di affidamento” un significato diverso da quello fatto palese dall’art.3, comma 36, del d.lgs. n.163 del 2006 e, per un altro, in coerenza con la suddetta definizione, l’ascrivibilità delle procedure di affidamento di servizi mediante concessione alla categoria delle “procedure di affidamento di servizi” (di cui all’art.119, comma 1, lett. a, c.p.a.) e, quindi, nel novero delle controversie disciplinate dagli artt.119 e 120 c.p.a.
4.- Al dirimente (e, di per sé, decisivo) argomento letterale appena illustrato, possono, peraltro, aggiungersi le ulteriori sintetiche (e convergenti) considerazioni che seguono.
5.- Va, innanzitutto, osservato che, anche prescindendo dalla predetta definizione legislativa del concetto di “procedure di affidamento”, si perverrebbe alle medesime conclusioni.
Una corretta esegesi testuale della più volte menzionata disposizione di riferimento conduce, infatti, al riconoscimento della riferibilità anche dei procedimenti aventi ad oggetto concessioni di servizi alla nozione di “procedure di affidamento”.
La parola “affidamento”, infatti, se usata senza ulteriori precisazioni o limitazioni del suo oggetto (come nella fattispecie in esame), dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto.
La valenza generale del termine, quindi, deve intendersi come comprensiva di tutte le tipologie contrattuali in relazione alle quali resta logicamente concepibile un affidamento e, quindi, sia degli appalti che delle concessioni.
La definizione del contenuto semantico del lemma “affidamento” non può essere, in altri termini, ridotta o circoscritta in relazione ad alcuni solo dei diversi schemi formali nei quali si articola l’attività contrattuale pubblica e che, al contrario, esigono, tutti, appunto, un “affidamento”.
6.- Non solo, ma concorre ad avvalorare la soluzione ut supra indicata anche l’utilizzo del criterio ermeneutico finalistico, ancorchè non utilizzabile in via principale o esclusiva (come già rilevato).
E’ sufficiente, al riguardo, osservare che la ratio del rito speciale in questione, agevolmente identificabile nell’esigenza della sollecita definizione dei giudizi aventi a oggetto provvedimenti amministrativi riferibili all’esercizio di funzioni pubbliche che implicano la cura di interessi generali particolarmente rilevanti (e che, come tali, non tollerano una prolungata situazione giudiziaria di incertezza), risulta riferibile nella stessa misura alle controversie relative agli appalti e a quelle concernenti le concessioni.
Anche gli atti che incidono su quest’ultima formula contrattuale, infatti, necessitano di una cognizione giurisdizionale rapida, al pari di (o, comunque, non inferiore a) quelli che riguardano gli appalti, con il duplice corollario che un’esegesi che li escludesse dall’ambito applicativo del rito speciale finirebbe per vanificare la predetta (palese) finalità e che, viceversa, una compiuta soddisfazione dell’anzidetto interesse pubblico impone una lettura degli artt.119 e 120 c.p.a. che vi comprenda anche le controversie relative alle concessioni.
7.- Non solo, ma le ineludibili esigenze sistematiche di sicurezza giuridica e di coerenza ordinamentale impongono di assoggettare al rito speciale anche le procedure concernenti le concessioni, al fine di evitare ogni incertezza circa le regole processuali applicabili ai contratti misti.
Le controversie relative a tale tipologia contrattuale, ampiamente conosciuta nella prassi e adesso codificata dall’art.169 del d.lgs. n.50 del 2016, soffrirebbero, infatti, di un’inammissibile instabilità regolativa, se si accedesse alla tesi che il rito speciale si applica solo agli appalti, costringendo il giudice a indagare l’oggetto principale del contratto, al solo fine di identificare le norme processuali di riferimento.
Si tratta, come si intuisce agevolmente, di un effetto paradossale e pericoloso, che espone i giudizi sui contratti pubblici ad inaccettabili ambiguità processuali, che contraddicono proprio le esigenze di speditezza delle controversie in questione e che vanno, appunto, scongiurate, accedendo all’opzione ermeneutica sopra preferita.
8.- Alle considerazioni che precedono consegue, in definitiva, la reiezione del primo motivo di appello e la conferma della statuizione dichiarativa dell’irricevibilità del ricorso di primo grado.
9.- La soluzione del primo quesito impone l’esame della seconda questione rimessa all’Adunanza Plenaria e relativa alla riconoscibilità del beneficio della rimessione in termini della società ricorrente per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 c.p.a.
9.1- Il Collegio non ignora, e, anzi, condivide, i principi costantemente affermati in merito alla natura eccezionale del predetto beneficio, ma reputa che, nella fattispecie, ricorrano le condizioni che autorizzano (anzi: impongono) la rimessione in termini dell’impresa ricorrente.
9.2- Se è vero, infatti, che la norma che disciplina l’istituto in esame deve intendersi di stretta interpretazione, in quanto si risolve in una deroga della regola relativa agli effetti decadenziali prodotti dall’inosservanza di un termine processuale perentorio (Cons. St., sez. V, 28 luglio 2014, n.3986) e che una somministrazione eccessivamente benevola del relativo beneficio “finirebbe per inficiare il principio, quantomeno di pari dignità rispetto all’esigenza di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti relativamente all’osservanza dei termini processuali perentori” (Cons. St., Ad. Plen., 19 novembre 2014, n.33), è anche vero che, al fine di garantire una qualche utilità alla norma in questione, risulta necessario riconoscerne l’applicabilità a situazioni in cui siano ravvisabili oggettive ragioni di incertezza in ordine alla durata del termine che la parte ha mancato di rispettare.
Ove, infatti, resti dimostrata un’obiettiva ambiguità in relazione alla stessa consistenza dell’onere processuale in relazione al quale si è verificata la decadenza, il beneficio in questione deve intendersi come il rimedio, ancorchè eccezionale, più appropriato ad assicurare l’effettività del diritto di difesa, in situazioni (si ripete) nelle quali il mancato rispetto del termine non può ritenersi rimproverabile alla parte.
9.3- Orbene, nel caso in esame si è verificata una situazione in cui, ancorchè la disposizione legislativa fosse testualmente interpretabile come comprensiva, nel suo ambito applicativo, anche delle controversie in materia di concessioni di servizi, non poche decisioni del Consiglio di Stato l’hanno letta, valorizzando il suo carattere eccezionale e derogatorio, come riferita solo ai ricorsi in materia di appalti, escludendo espressamente, dal suo perimetro operativo, i giudizi in materia di concessioni.
A fronte della controversa e incerta elaborazione giurisprudenziale appena descritta, appare, per un verso, arduo giudicare inescusabile l’errore in cui è incorsa la parte che, aderendo a un significativo e consistente indirizzo giurisprudenziale, ha (in buona fede) ritenuto che il termine per la proposizione del ricorso fosse di sessanta (e non di trenta) giorni e, per un altro, doveroso il riconoscimento in favore di quest’ultima del beneficio della rimessione in termini.
9.4- Una interpretazione eccessivamente rigorosa dell’art.37 c.p.a., che comportasse, cioè, il rifiuto del beneficio della rimessione in termini anche nella situazione in esame, finirebbe, a ben vedere, per vanificare la finalità dell’istituto e per privarlo di ogni utilità pratica (ove negato, appunto, anche a fronte di una palese incertezza giurisprudenziale sulla stessa misura del termine in relazione al quale si è consumata la decadenza).
10.- Alla stregua delle considerazioni che precedono possono, in definitiva, essere enunciati i seguenti principi di diritto:
a) “Gli artt.119 e 120 del c.p.a. sono applicabili alle procedure di affidamento di servizi in concessione”;
b) “Dev’essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell’art.37 del c.p.a., in favore dell’impresa ricorrente che ha notificato il ricorso avverso l’affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall’art.120, comma 5, c.p.a. (ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni)”.
11.- Il ricorso dev’essere restituito alla Sezione rimettente, perché lo decida in applicazione dei suddetti principi di diritto.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
a) formula i principi di diritto di cui in motivazione;
b) restituisce gli atti alla III Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio Santoro, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Nicola Russo, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
IL PRESIDENTE
Alessandro Pajno
L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO
Carlo Deodato
Silenzio della Stazione appaltante dopo l'aggiudicazione provvisoria
N. 01710/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00226/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 226 del 2016, proposto da: F.S. Ditta Individuale e I. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avvocato Riccardo Rotigliano, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Filippo Cordova N.95;
contro
Comune di Marsala in Persona del Sindaco P.T. non costituito in giudizio;
per l'accertamento dell’illegittimità
del silenzio inadempimento serbato dal Comune di Marsala sulla conclusione della procedura di gara per la valorizzazione archeologico di Lilibeo a Marsala;
nonché per il risarcimento del danno ex art. 30, co. 2, c.p.a. anche a titolo di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2016 la dott.ssa Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato che con il ricorso indicato in epigrafe, la ditta F.S. esponeva che in data 30 dicembre 2010, con la determina n. 1655, il Comune di Marsala approvava il progetto avente ad oggetto la “Valorizzazione del parco archeologico di Lilibeo a Marsala”, approvando poi i bando di gara e che in data 10 aprile 2012 era approvata l’aggiudicazione provvisoria a favore dell’odierno ricorrente alla quale faceva seguito la produzione della documentazione;
Rilevato che la ricorrente comunicava in data 24 dicembre 2013 di aver ceduto il ramo d’azienda in favore della I. S.r.l. e che nonostante la diffida del Comune a concludere il procedimento l’Amministrazione è rimasta inerte;
Rilevato che, pertanto, le istanti ricorrono per sentir accertare l’illegittimità del silenzio e per ottenere la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale;
Rilevato che il Comune non si è costituito;
Ritenuto che – come è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, Tar Campania, della sezione I di Napoli con la sentenza del 13 maggio 2015 n. 2654) - ogni stazione appaltante, una volta avviato un procedimento di gara, non può tenere sospeso sine die il procedimento amministrativo ma ha l'obbligo di portarlo a conclusione sia attraverso l'assegnazione definitiva oppure attraverso l'eventuale ritiro, adeguatamente motivato, degli atti adottati;
Ritenuto, pertanto, che per quanto concerne l’illegittimità del silenzio serbato, il ricorso è fondato e deve essere accolto e, per l’effetto, l’Amministrazione deve essere condannata ad adottare - nel termine di 30 giorni dalla notifica della presente sentenza - un motivato atto conclusivo in ordine alla definizione del procedimento di verifica sulla sospensione della procedura;
Ritenuto che, per quanto concerne la domanda risarcitoria, la causa deve essere rimessa sul ruolo ordinario ex art. 117 co. 6 c.p.a., fissando sin d’ora la seconda udienza pubblica del mese di giugno 2017.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)
parzialmente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie con riguardo al primo capo di domanda e per l’effetto – accertata l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione, condanna quest’ultima ad adottare - nel termine di 30 giorni dalla notifica della presente sentenza - un motivato atto conclusivo in ordine alla definizione del procedimento di verifica sulla sospensione della procedura;
Per quanto concerne la domanda risarcitoria, dispone la rimessione della causa sul ruolo ordinario ex art. 117 co. 6 c.p.a. ed è fissa sin d’ora la seconda udienza pubblica del mese di giugno 2017.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2016 con l'intervento dei magistrati:
Solveig Cogliani, Presidente, Estensore
Nicola Maisano, Consigliere
Lucia Maria Brancatelli, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Atti elusivi emessi dopo il giudicato
N. 02769/2016REG.PROV.COLL.
N. 10084/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10084 del 2015, proposto dalla s.r.l. BRS Cappuccio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Simona Gambardella e Corrado Diaco, con domicilio eletto presso il signor Alberto Linguiti in Roma, viale G. Mazzini, n. 55;
contro
L’Azienda Sanitaria Locale Asl Napoli 2 Nord, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Spagna, con domicilio eletto presso il signor Luigi Albisinni in Roma, via F. Cesi, n. 72;
nei confronti di
La s.r.l. Mi Medical, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione Terza del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
la s.r.l. Carestream Healt Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Cristina Lenoci, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via E. Gianturco, n. 1;per l’ottemperanza
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 4133/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Asl Napoli 2 Nord, della Mi Medical S.r.l. e della Carestream Healt Italia S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti l’Avvocato Corrado Diaco, l’avvocato Michele Spagna, l’avvocato Carlo Malinconico su delega degli avvocati Maria Cristina Lenoci e Luigi Adinolfi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con il ricorso in epigrafe, la s.r.l. BRS Cappuccio (d’ora innanzi BRS) chiede l’ottemperanza della sentenza (Cons. St., sez. III, 7 settembre 2015, n.4133), con cui questa Sezione aveva annullato, in riforma della sentenza del TAR per la Campania n.181 del 2015, la delibera n. 534 del 5 giugno 2013, con cui il direttore generale dell’ASL NA 2 Nord (d’ora innanzi ASL) aveva affidato alla s.r.l. Medical e alla s.r.l. Carestream Health Italia (d’ora innanzi Carestream) il servizio di «implementazione dei sistemi ris/pacs completi di digitalizzazione diretti e indiretti», rilevandone, come si chiarirà meglio infra, la difformità dal paradigma legale di riferimento, individuato nell’art.15, comma 13, lett. b), d.l. n. 95 del 2012 (convertito nella legge n.135 del 2012).
Resiste in giudizio Carestream, eccependo l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso per la mancata impugnazione della sopravvenuta delibera n. 727 del 30 dicembre 2015, con cui l’ASL aveva ribadito l’affidamento originariamente annullato, in asserito rispetto dell’effetto conformativo derivante dalla decisione di cui si domanda l’esecuzione.
Si è costituita anche l’ASL, rilevando la coerenza della propria successiva determinazione alla portata prescrittiva della decisione della cui ottemperanza si discute e chiedendo, quindi, la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio del 26 maggio 2016, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2.- Come già rilevato, si controverte se vi sia stata l’ottemperanza, negata dalla BRS, al giudicato di annullamento della delibera di affidamento diretto alle società Medical e Carestream del servizio ut supra descritto, sotto il peculiare profilo della rilevanza, ai fini dell’esecuzione della citata decisione, della sopravvenuta determinazione con cui la ASL, integrando la motivazione di quella già giudicata illegittima, ha reiterato l’assegnazione dell’appalto alle medesime imprese.
La società ricorrente deduce la persistente inosservanza dell’effetto conformativo derivante dal predetto giudicato demolitorio, che avrebbe imposto l’indizione di una nuova procedura di aggiudicazione.
Invece, la Carestream e la ASL sostengono, seppur con prospettazione difensive parzialmente diverse, che vi sia stato il rispetto del dictum giudiziale ad opera della sopravvenuta determinazione n. 727 del 30 dicembre 2015, non impugnata, e deducono, di conseguenza, l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza del ricorso per ottemperanza (rilevando che il decisumimponeva solo l’integrazione della motivazione, inizialmente carente, in ordine ai presupposti per l’affidamento diretto ai sensi dell’art. 15, comma 13, d.l. cit.).
3.- La disamina dei profili processuali di ammissibilità e di procedibilità del ricorso in esame, ma anche di quelli, inscindibilmente connessi, della sua fondatezza, esige una preliminare ricognizione dei principi applicabili sulla proponibilità dell’azione di ottemperanza, ivi compresi quelli che attengono alla rilevanza dei provvedimenti sopravvenuti alla formazione del giudicato.
E’ stato, al riguardo, chiarito, in estrema sintesi (trattandosi di ius receptum), che:
a) il giudizio di ottemperanza ha la precipua funzione di un controllo successivo del rispetto, da parte dell’Amministrazione, degli obblighi derivanti dal giudicato, al fine di attribuire alla parte vittoriosa in sede di cognizione l’utilità ivi accertata come spettantegli (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 30 agosto 2013, n. 4322);
b) tale verifica sull’esatta attuazione del giudicato implica la precisa individuazione dei contenuti dell’effetto conformativo derivante dalla sentenza di cui si chiede l’esecuzione, in esito all’interpretazione della sequenza causa petendi –petitum - decisum(Cons. St., sez. V, 14 marzo 2016, n.984);
c) con il peculiare rimedio in questione può essere lamentata non solo la totale inerzia dell’Amministrazione nell’esecuzione del giudicato, e, cioè, la mancanza di qualsivoglia attività esecutiva, ma anche la sua attuazione inesatta, incompleta o elusiva, per mezzo, cioè, dell’adozione di atti che violano o eludono il comando contenuto nella sentenza di cui si chiede l’esecuzione (cfr. Cons. St., sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6501, nonché la fondamentale sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 6 del 1984);
d) il provvedimento sopravvenuto ed emanato in dichiarata esecuzione del giudicato dev’essere impugnato, nel termine di decadenza, con il ricorso ordinario, che attivi, cioè, un nuovo giudizio di cognizione, quando se ne deduce l’illegittimità per la violazione di regole di azione estranee al decisum della sentenza da eseguire, mentre l’atto asseritamente emesso in violazione o in esecuzione del giudicato dev’essere impugnato con il ricorso per ottemperanza nel termine di prescrizione dell’actio iudicati, in quanto nullo ai sensi dell’art.21-septies l. n.241 del 1990 e 114, comma 4, lett. b), del c.p.a. (Cons. St., sez. V, 23 maggio 2011, n. 3078), salve le regole sulla conversione del rito, in presenza dei relativi presupposti (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2).
4.- Ciò posto, occorre stabilire se si possa dedurre con una memoria difensiva l’elusione del giudicato, quando l’atto ‘sopravvenuto’ – di cui si lamenti tale natura – sia stato emesso dopo la proposizione del ricorso per ottemperanza (senza una rituale contestazione con atto notificato) e, dunque, occorre stabilire se in tal caso l’azione di giudicato resti procedibile.
4.1- Ritiene la Sezione che – sulla base del tenore letterale delle disposizioni ad esso dedicate e delle finalità del rimedio in questione - occorre seguire la soluzione dell’ammissibilità e, in ogni caso, della procedibilità del ricorso proposto ai sensi dell’art.112 c.p.a., pur se non vi sia stata l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto elusivo del giudicato, non potendosi ravvisare qualsivoglia preclusione o decadenza processuali in conseguenza della mancata impugnazione.
4.2- L’art. 112 c.p.a., infatti, si limita a stabilire le condizioni di ammissibilità del ricorso per ottemperanza e, per quanto qui interessa, richiede la formulazione della domanda di attuazione dei provvedimenti indicati al comma 2, mentre l’art.114, comma 4, c.p.a. descrive la latitudine dei poteri del giudice, in caso di accoglimento del ricorso.
La lettura coordinata e sistematica delle due disposizioni vincola l’interprete a slegare – almeno, in parte, ossia nei sensi di cui infra - l’esercizio dei poteri (d’ufficio) attribuiti al giudice dell’ottemperanza dall’art.114, comma 4, c.p.a dal principio della domanda, tranne che per i casi espressamente previsti.
Anzi, la lett. e) - sulla necessità di una specifica domanda per le astreintes - costituisce un ulteriore riscontro all’opzione ermeneutica secondo cui per l’esercizio degli altri poteri ivi previsti non è necessaria la richiesta del ricorrente, in coerenza con la tradizione dell’istituto (rimessa alle ricostruzioni del giudice amministrativo) e con il noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.
In altri termini, il giudice dell’ottemperanza è investito, per un verso, della potestà della cognizione piena del rispetto del giudicato e, quindi, della regola di azione stabilita con il dictum della decisione di cui si domanda l’esecuzione e, per un altro verso, ove ne ravvisi la mancata attuazione, la violazione o l’elusione, dei poteri dispositivi catalogati all’art.114, comma 4, c.p.a.
La titolarità e l’esercizio di tali poteri si rivela, peraltro, del tutto funzionale alla compiuta attuazione del decisum (in un’ottica di piena effettività della tutela) e alla conseguente conformazione ad esso dell’azione amministrativa e, come tale, automaticamente implicata dalla proposizione dell’azione di giudicato.
4.3- Perché il ricorso per ottemperanza risulti idoneo ad investire il giudice adìto delle potestà cognitive e dispositive sopra indicate, è sufficiente che la causa petendi e il petitum siano coerenti con l’art.112 c.p.a. e risultino adeguatamente dettagliati nell’atto introduttivo del giudizio.
Quanto alla causa petendi, è sufficiente che il ricorrente indichi il provvedimento di cui chiede l’attuazione e deduca la sua mancata esecuzione, mentre, in ordine al petitum, basta che, nelle conclusioni, chieda, senza l’uso di formule sacramentali, l’adozione dei provvedimenti più utili per disporre l’ottemperanza.
4.4- Ne consegue che, nell’ipotesi in cui sia sopravvenuto (al giudicato ed al ricorso d’esecuzione) un provvedimento che il ricorrente reputi violativo o elusivo del decisum, non è necessaria la sua formale impugnazione perché il giudice dell’ottemperanza sia ritualmente investito del potere di dichiararne la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt.21septies, l. n. 241 del 1990 e 114, comma 4, lett. b), c.p.a.
Se l’atto elusivo è stato emesso prima della proposizione del ricorso, non è indispensabile che il ricorrente indichi, nella sua epigrafe, gli estremi del provvedimento sopravvenuto come oggetto di impugnazione (né che ne deduca esplicitamente l’invalidità radicale, nel corpo dell’atto, né, infine, che nelle conclusioni domandi formalmente la declaratoria della sua nullità), mentre – se l’atto elusivo è stato emesso nel corso del giudizio d’ottemperanza – per la sua contestazione non occorre un atto notificato, bastando comunque una memoria difensiva (non rilevando in questa sede verificare il perimetro dei poteri del giudice e l’ambito di applicazione dell’art. 73, comma 3, del c.p.a., quando il ricorrente nulla abbia dedotto avverso l’atto emesso nel corso del giudizio d’ottemperanza, che risulti elusivo).
4.5- Compete, in definitiva, al giudice, una volta riscontrato il carattere violativo o elusivo (del giudicato) del provvedimento adottato dall’Amministrazione dopo che la decisione da eseguire è divenuta irrevocabile e che sia stato proposto il giudizio d’ottemperanza, adottare tutti i provvedimenti, tra quelli elencati all’art. 114, comma 4, c.p.a., che risultino strumentali alla più compiuta attuazione delle statuizioni contenute nel dictum giudiziale, ivi compresa, ovviamente, la dichiarazione della nullità dell’atto sopravvenuto con esso confliggente.
Particolarmente significativo, in tal senso, risulta altresì il confronto tra l’art. 31, comma 4, del c.p.a. (che l’ultimo periodo dichiara espressamente inapplicabile al giudizio d’ottemperanza, che così non è sottoposto al principio dispositivo che connota in termini generali l’azione di nullità in sede cognitoria), e l’art. 114, comma 4, lett. b), del c.p.a.
Tale confronto evidenzia la diversa modulazione del potere d’ufficio del giudice di dichiarare la nullità in cui si imbatta nella decisione di una causa: nel primo caso, infatti, il rilievo d’ufficio è un’eccezione, rigorosamente delimitata, al principio della domanda che, in linea di massima, informa di sé anche l’art. 31; nel secondo, viceversa, esso è regola fondamentale e ineludibile del giudizio ex art. 114, tanto che il legislatore ha disposto che il principio della domanda (evidentemente rispetto alla nullità di un atto sopravvenuto) non trova applicazione in sede di ottemperanza, neppure in quei sensi attenuati in cui esso è stato tratteggiato ai fini dell’azione cognitoria ex art. 31.
4.6- Ne consegue, in ultima analisi, che la mancata proposizione, con atto notificato, di una domanda intesa all’accertamento della nullità del provvedimento sopravvenuto (ed elusivo del decisum di cui si chiede l’attuazione) non impedisce lo scrutinio del merito dell’azione di giudicato e, soprattutto, non preclude al giudice la declaratoria (d’ufficio) della nullità dell’atto elusivo.
4.7- Le conclusioni appena raggiunte risultano basate anche sui principi enunciati dall’Adunanza Plenaria con la decisione 15 gennaio 2013, n. 2.
Nel riconoscere, infatti, il «carattere polisemico» dell’azione di ottemperanza e la sua funzione naturale ed unitaria di strumento processuale di conformazione al giudicato dell’azione amministrativa ad esso conseguente, l’Adunanza Plenaria ha individuato i presupposti perché vi sia la «conversione del rito» in quello ordinario di cognizione, quando il giudice dell’ottemperanza non ritiene nullo - per elusione o violazione del giudicato – l’atto sopravvenuto, in particolare rilevando la necessità della sua impugnazione nel termine di decadenza (e non in quello, più lungo, di prescrizione dell’actio iudicati).
L’Adunanza Plenaria non solo, quindi, non ha stabilito la necessaria proposizione di una specifica domanda, perché il giudice dell’ottemperanza possa dichiarare la nullità del provvedimento violativo o elusivo del giudicato, ma ha identificato nel giudizio di esecuzione la sede processuale naturale dello scrutinio dell’esatta conformazione dell’Amministrazione agli obblighi nascenti dal giudicato, riconoscendo chiaramente (ancorchè implicitamente), l’automatica riconducibilità, entro il petitumdell’azione di ottemperanza, di tutte le domande logicamente implicate dalla richiesta al giudice della più completa e satisfattiva attuazione del dictum giudiziale.
5.- Una volta verificata l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso in esame, se ne deve rilevare la fondatezza nel merito.
5.1- Con la decisione della cui ottemperanza si discute, la Sezione non si è limitata a riscontrare una carenza di motivazione nella delibera annullata, ma ne ha accertato l’illegittimità per essere stata adottata in difetto dei presupposti di legge che ne avrebbero consentito l’emanazione.
La ratio decidendi della statuizione di annullamento della delibera impugnata dev’essere, infatti, individuata nel rilievo dell’insussistenza dei presupposti che, ai sensi dell’art. 15, comma 13, lett. b), d.l. cit., avrebbero potuto consentire l’affidamento diretto del servizio in questione, e non, come erroneamente sostenuto dalle parti resistenti, del difetto di motivazione della determinazione giudicata illegittima.
Dalla piana lettura del punto 5 della motivazione della sentenza della cui attuazione si controverte, si ricava, infatti, il sicuro convincimento che la ragione dell’annullamento della delibera della ASL è costituita dal riscontro della sostanziale differenza tra l’oggetto del contratto affidato alle società Medical e Carestream senza gara e i contenuti di quelli già assegnati alle stesse società dalle ASL poi confluite nella ASL NA 2 Nord.
E’ stato, al riguardo, rilevato che l’aggiunta, rispetto ai contratti già intestati alle medesime società, dell’attività di omogeneizzazione/riorganizzazione dei diversi sistemi di gestione e di refertazione della diagnostica per immagini ric/pacs servizi (già dalle stesse amministrati sulla base dei precedenti contratti) impediva l’utilizzo dello strumento previsto dalla disposizione legislativa citata (nella misura in cui postulava la continuità, rispetto a quello preesistente, del nuovo contratto affidato senza gara), che, in quanto eccezionale e derogatoria (rispetto alle regole generali della concorrenza), imponeva una sua stretta interpretazione ed impediva ogni esegesi analogica o estensiva.
5.2- Il rilievo della mancata motivazione, quindi, nell’economia motivazionale del giudizio di illegittimità della delibera di affidamento diretto del servizio in questione, è stato rimarcato dalla sentenza su cui si è formato il giudicato, ma ha costituito una considerazione aggiuntiva rispetto alla statuizione ‘principale’, per la quale risultavano insussistenti i presupposti sull’assegnazione del contratto senza gara.
5.3- L’effetto conformativo derivante dal giudicato va, quindi, individuato nell’obbligo di bandire una nuova procedura aperta per la selezione dell’operatore economico a cui affidare il servizio in questione, e non nell’integrare la motivazione di una determinazione annullata per la rilevata carenza dei suoi presupposti sostanziali.
5.4- Ne consegue, quindi, che la sopravvenuta delibera n. 727 del 2015 si rivela elusiva del giudicato, per come sopra interpretato, nella misura in cui, lungi dall’osservare la regola di azione ivi stabilita, reitera il medesimo contenuto dispositivo di quella annullata, in esito a un percorso motivazionale inteso a sorreggere una determinazione che risulta direttamente in contrasto col decisum.
La medesima determinazione risulta, quindi, affetta dal vizio della nullità, ai sensi dell’art.21 septies l. n.241 del 1990.
6.- Alle considerazioni che precedono conseguono, quindi, l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, la dichiarazione della nullità della delibera ASL NA 2 Nord n. 727 del 2015 e l’ordine alla ASL di ottemperare alla sentenza di questa Sezione n. 4133 del 7 settembre 2015, mediante l’indizione di una procedura pubblica per l’affidamento del servizio di «implementazione dei sistemi ris/pacs completi di digitalizzazione diretti e indiretti», nel termine di quarantacinque giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, ove l’Amministrazione intenda affidare il medesimo servizio.
7.- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso d’ottemperanza n. 10084 del 2015, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la nullità della delibera dell’ASL NA 2 Nord n.727 del 2015 e ordina alla ASL di ottemperare alla sentenza di questa Sezione n. 4133 del 7 settembre 2015, nei sensi e nei termini precisati in motivazione, riservandosi la nomina di un Commissario ad Acta, per l’ipotesi di persistente inottemperanza.
Condanna la ASL e la Carestream s.r.l. a rifondere alla società ricorrente le spese del giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 a carico di ciascuna parte, senza vincolo di solidarietà.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2016, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Notifica all'Ente utilizzatore nel caso di "avvalimento tra enti"
N. 00376/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00030/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 30 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C. Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Francesca Petulla', con domicilio eletto presso Avv. Ferdinando D'Amario in L'Aquila, Via Ulisse Nurzia, Snc;contro
Comune di Carsoli, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Rosati, con domicilio eletto presso Avv. Mario Antonio Rossi in L'Aquila, S.S. 17, N.53 - Sassa Scalo;
nei confronti di
D.L. Spa, rappresentata e difesa dagli avv. Daniele Bracci, Gianni Marco Di Paolo, Pierluigi Piselli, con domicilio eletto presso Paola Iacone in L'Aquila, Via delle Tre Spighe 1; M.C.Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Arrigo Varlaro Sinisi, con domicilio eletto presso Tar Segreteria in L'Aquila, Via Salaria Antica Est;
per l'annullamento della determina dirigenziale n. 43 del 18.12.2015, con la quale è stata aggiudicata la gara per l’affidamento dei lavori relativi all’esecuzione di opere di sistemazione fluviale nel Comune di Carsoli.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Carsoli e di D.L. Spa e di M.C.Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2016 la dott.ssa Lucia Gizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.La società ricorrente ha impugnato gli esiti della gara indetta dal Comune di Carsoli con bando del 31.12.2014, per l’affidamento dei lavori relativi all’esecuzione di opere di sistemazione fluviale nel territorio comunale, nei confronti del Comune di Carsoli, della D.L.s.p.a., aggiudicataria, e della M.C.s.r.l., deducendo in diritto: A) violazione dell’art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto non le sarebbe stato comunicato il provvedimento di aggiudicazione; B) violazione della lex specialis e in particolare del punto B2) e B3), eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento di fatti, in quanto il bando prevedeva che l’appalto fosse aggiudicato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e poneva limiti all’ammissibilità delle migliorie, non consentendo in particolare, rispetto al progetto esecutivo, delle varianti tecniche ancorché migliorative, mentre l’aggiudicataria avrebbe presentato una proposta progettuale non conforme al progetto esecutivo, prevedendo il tombamento del torrente Valle Mura all’altezza di via Prato La Terra, mediante due passerelle e una piastra in cemento armato, e l’abbassamento degli argini; la D. non avrebbe previsto, inoltre, alcuna opera in prossimità dei ponti esistenti in stato franoso, rispetto ai quali invece il progetto esecutivo richiedeva la presentazione di proposte migliorative; C) violazione del punto A) del disciplinare di gara e dell’art. 83 del d.lgs. n. 163 del 2006, con riferimento alla seconda graduata M.C.s.r.l., in quanto il progetto è stato presentato in copia e non firmato in modo autentico dai tecnici e dall’impresa; D) violazione della lex specialis, con riferimento alla seconda graduata M.C.s.r.l., in quanto gli elaborati tecnici non corrisponderebbero al computo metrico allegato al progetto né al computo estimativo allegato all’offerta economica, con conseguente incertezza sull’offerta economica e tecnica; E) violazione dell’art. 83 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell’art. 120 del Dpr n. 207 del 2010, in quanto la mera assegnazione numerica dei punteggi non costituirebbe sufficiente motivazione della valutazione delle offerte. Inoltre non sarebbe stata eseguita la riparametrazione sui punteggi parziali e su quelli finali; F) violazione degli artt. 86-88 del d.lgs. n. 162 del 2006, in quanto l’offerta della D. sarebbe anomala e la Commissione, illegittimamente, avrebbe verificato solamente il 75% delle voci componenti l’offerta e avrebbe ritenuto congruo il costo della manodopera; G) violazione dell’art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006, con riferimento alla seconda graduata M.C.s.r.l., in quanto il ribasso del 20% offerto sarebbe del tutto incongruo, anche alla luce del costo dell’opera migliorativa offerta.
Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare, spiegando anche istanza risarcitoria, in forma specifica, previa declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato, ovvero per equivalente.
Con ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente proponeva nuove censure nei confronti del medesimo provvedimento impugnato con il ricorso principale, lamentando violazione degli artt. 86-88 del d.lgs. n. 163 del 2006 per illegittimità del subprocedimento di verifica delle anomalie dell’offerta della D..
Si costituivano il Comune di Carsoli e la controinteressata che contestavano l’avverso dedotto, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato al Commissario per il rischio idrogeologico per l’Abruzzo, cui gli atti di gara erano imputabili; nel merito, l’infondatezza del ricorso, posta la sicura ammissibilità delle “migliorie” presentate; la controinteressata svolgeva anche ricorso incidentale deducendo la mancata indicazione degli oneri di sicurezza aziendale previsti dal bando e dalla legge, la mancata sottoscrizione dell’offerta (mancando la sottoscrizione su ogni pagina delle tavole progettuali) e comunque l’inammissibilità della stessa offerta della ricorrente sotto il profilo tecnico, importando varianti sostanziali ben più problematiche di quelle offerte dalla controinteressata.
Si costituiva altresì in giudizio la M.C.s.r.l.
Il TAR respingeva la proposta istanza cautelare.
All’esito della pubblica udienza dell’11 maggio 2016, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
2. Il ricorso è inammissibile.
Come già prospettato in fase cautelare (cfr. ordinanza n. 52 del 2016), il ricorso (principale) non è stato notificato al Presidente della Regione Abruzzo, in qualità di Commissario straordinario per l’attuazione degli interventi di risanamento ambientale di cui agli art. 17, comma 1, d.l. n. 195 del 2009 e 10 del d.l. n. 91 del 2014, che, giusta quanto risulta dal bando – il quale richiama espressamente l’accordo di programma stipulato il 16.9.2010 tra il Ministero dell’Ambiente e la Regione Abruzzo per la realizzazione di interventi urgenti e prioritari finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico – è l’Amministrazione cui gli atti della procedura (bando e aggiudicazione, in primis) sono soggettivamente imputabili.
Il Comune di Carsoli, o meglio il Servizio Urbanistico del Comune, è mero soggetto attuatore dell’intervento, riconducibile al detto Commissario, il quale si è avvalso degli Uffici (tecnici) del Comune in virtù della convenzione di avvalimento del 28.1.2012, richiamata dal bando stesso.
Benché l’istituto dell’avvalimento (tra Enti) non sia particolarmente approfondito in dottrina e/o giurisprudenza, il Collegio ritiene di definirlo nel rapporto intersoggettivo per cui un Ente (utilizzatore) si serve di altro Ente (o, come nel caso di specie, dei suoi Uffici), restando titolare degli atti, nelle forme e secondo le modalità regolate dalla apposita convenzione di avvalimento; la quale, essendo atto formalmente privatistico, non costituirebbe fonte idonea a traslare la competenza che è regolata dalla legge.
La convenzione, dunque, consente all’Ente utilizzatore di avvalersi degli Uffici dell’Ente avvalso, ma gli atti restano imputabili all’Amministrazione avvalente che è il soggetto che deve essere evocato in giudizio qualora, come nel caso di specie, si intenda impugnarli, esattamente come nel caso di atti emanati dagli Uffici degli Enti che non hanno soggettività distinta da quella degli Enti stessi.
E, come detto, nel caso di specie, gli Uffici, in forza della richiamata convenzione, non rispondono al Comune di Carsoli, ma al Commissario straordinario.
Tra le scarne pronunce in materia, giova richiamare almeno CGARS n.372/08 che definisce l’istituto dell’avvalimento come non incidente sulla titolarità delle competenze, bensì come una figura organizzatoria che comporta l’assunzione funzionale di un Ufficio di un Ente nell’organizzazione di un altro; in forza dell’avvalimento, l’Ufficio locale o periferico si pone in una posizione di dipendenza funzionale dall’Ente avvalente, agendo come Ufficio dello stesso e restando soggetto, limitatamente all’esercizio delle attribuzioni rientranti nella competenza dell’Ente avvalente, ai poteri di direzione e controllo degli organi dello stesso Ente avvalente.
Calando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso in esame, discende pianamente che l’Ufficio urbanistico del Comune di Carsoli lavorasse per conto del Commissario straordinario per il rischio idrogeologico ex d. lgs. n. 91 del 2014 e non per il Comune stesso.
Il che risulta esplicitamente nell’avviso di gara pubblica (cfr. all. n. 4 della produzione di parte ricorrente), secondo cui “il Comune di Carsoli … opera quale stazione appaltante in virtù della convenzione di avvalimento stipulata il 28.1.2012 con il Commissario Straordinario ing. E.S.e la Regione Abruzzo e confermata dall’attuale Commissario Straordinario Presidente della Regione Abruzzo designato con Decreto legge n. 91/2014”.
Risulta altresì che il Comune di Carsoli non ha mai, per mezzo dei suoi organi politici, programmato l’intervento de quo, in tutto riconducibile, quindi, all’attività commissariale, essendosi limitato, per converso, alla “redazione degli elaborati tecnici necessari ai vari livelli di approfondimento” e all’acquisizione di tutti i pareri e nulla-osta (ad eccezione del parere VIA all’epoca del bando “in corso di rilascio”).
Per quanto precede, può agevolmente concludersi che gli atti della procedura, formalmente e sostanzialmente, non possano che imputarsi al Commissario straordinario per l’emergenza idrogeologica, sopra meglio individuato, che è contraddittore necessario in quanto competente in via esclusiva all’indizione, regolazione e gestione della gara e, dunque, responsabile della stessa, benché le attività in questione siano state svolte “avvalendosi” degli Uffici del Comune di Carsoli.
In definitiva, è convincimento del Collegio che il modulo organizzatorio dell’avvalimento, nella specie utilizzato, non valga a determinare lo spostamento delle competenze, ma, a tutto volere concedere, solo a inserire altri soggetti nel procedimento, senza far venire meno l’originaria titolarità dei poteri esercitati.
Sul piano processuale, l’omessa notifica del ricorso a una parte necessaria del giudizio osta alla possibile delibazione della controversia nel merito, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.
Poiché con il ricorso per motivi aggiunti, notificato anche al Commissario straordinario per il rischio idrogeologico, la società ricorrente non ha impugnato nuovi provvedimenti, ma ha formulato ulteriori censure nei confronti del provvedimento gravato in via principale, l’inammissibilità del ricorso principale comporta l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, risultando questo strettamente connesso e consequenziale rispetto al primo.
Il Collegio ritiene, peraltro, di non poter aderire alla richiesta di rimessione in termini, formulata da parte ricorrente, non essendo dubbio, fin dalla proposizione del ricorso, e come emerge dagli stessi atti impugnati, il ruolo “sostanziale” del Commissario straordinario nella procedura de qua.
Quanto al ricorso incidentale proposto dalla controinteressata, lo stesso va dichiarato improcedibile, tenuto conto dell’esito del ricorso principale, non potendo la ricorrente incidentale ottenere alcun vantaggio ulteriore dall’esito eventualmente favorevole del gravame incidentale.
La novità della questione impone l’integrale compensazione delle spese di giudizio, fatta eccezione per il contributo unificato che resta a carico delle parti anticipatarie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sui ricorsi principale e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li dichiara inammissibili. Dichiara improcedibile il ricorso incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Amicuzzi, Presidente
Maria Abbruzzese, Consigliere
Lucia Gizzi, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Piani per l'edilizia economica e popolare
N. 06157/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00888/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 888 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc Cooperativa Edilizia D.B. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Gianluigi Barone, con domicilio eletto presso Gianluigi Barone in Roma, Via Marziale,47;contro
Comune di Ciampino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. Pasquale Di Rienzo, Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso Pasquale Di Rienzo in Roma, Viale G. Mazzini, 11;
per ottenere
l’accertamento della intervenuta violazione da parte del Comune di Ciampino dei parametri per la determinazione del prezzo di cessione dell'area in relazione alla convenzione del 19.12.14 nei rogiti del notaio Raiti di Tivoli, rep.43489, con la quale il comune ha ceduto alla ricorrente il diritto di proprietà di aree incluse nel Piano di Zona di lottizzazione;
e con motivi aggiunti,
per l’annullamento
della nota prot. 4232 del 12 febbraio 2016 con cui il Comune di Ciampino ha diffidato la ricorrente al pagamento, entro 30 giorni, della seconda rata del corrispettivo della cessione dell’area di cui alla Convenzione ex art. 35 della legge n. 865 del 1971, sottoscritta in data 19 dicembre 2014, con avviso, in caso di mancato pagamento, di escussione della polizza fidejussoria versata;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ciampino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2016 la dott.ssa Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Con il ricorso in esame viene veicolata - attraverso azione di accertamento della intervenuta violazione da parte del Comune di Ciampino dei parametri per la determinazione del prezzo di cessione dell'area in relazione alla convenzione del 19.12.14 con la quale il comune ha ceduto alla ricorrente il diritto di proprietà di aree incluse nel Piano di Zona di lottizzazione nonchè attraverso l’impugnazione della determinazione recante la diffida al pagamento della seconda rata del corrispettivo della cessione dell’area - azione volta alla contestazione della quantificazione del corrispettivo di cessione di dette aree.
Così dato atto dell’oggetto del giudizio, inerente la quantificazione della somma dovuta a titolo di ristoro delle spese sostenute dal Comune per l’acquisizione delle aree occorrenti per la realizzazione del piano di Zona di Lottizzazione, ritiene il Collegio che debba essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice adito.
Al riguardo, deve osservarsi, in linea generale, che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo della concessione del diritto di superficie di cui alla legge n. 167 del 1962, come modificata dalla legge n. 865 del 1971, su aree comprese nei piani per l'edilizia economica e popolare o la sua quantificazione, allorchè non siano in contestazione questioni relative al rapporto di concessione e, in ordine alla quantificazione del predetto corrispettivo, non sussista alcun potere discrezionale della p.a. (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 10 agosto 2011, n. 17142; 10 settembre 2004 n. 18257).
Pur trattandosi di una materia relativa a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici, con specifico riferimento all'edilizia economica e popolare, che risulta attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tuttavia, nel caso in cui si controverta esclusivamente sulla correttezza della determinazione della somma – come nella fattispecie in esame - da corrispondersi a titolo di conguaglio del prezzo di cessione del diritto sulle aree utilizzate per realizzare gli interventi edilizi, deve ritenersi la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, involgendo la concreta determinazione del corrispettivo posizioni paritetiche di diritto soggettivo, estranee all’ambito di incidenza dei poteri autoritativi dell’Amministrazione.
Appare, infatti, evidente che la determinazione della somma complessivamente dovuta non richiede alcun tipo di discrezionalità in capo all'ente pubblico, essendo individuati direttamente dalla normativa i criteri per giungere alla quantificazione finale dell'importo che deve, eventualmente, essere corrisposto a titolo di conguaglio.
Non essendo l'attività connotata dal carattere autoritativo e venendo in rilievo un rapporto di tipo paritetico (Corte costituzionale, sentenza n. 204 del 2004), la giurisdizione in ordine alla determinazione del giusto prezzo del bene, non rimessa alla libera contrattazione delle parti ma prestabilita direttamente dalla legge, spetta al giudice ordinario.
Infatti, pur dovendo l’Amministrazione, nella determinazione dell'ammontare del corrispettivo, fare ricorso a criteri di apprezzamento tecnico-contabile, si tratta pur sempre di operazioni afferenti alla corretta determinazione del corrispettivo dovuto e, quindi, di questione afferente a diritti soggettivi, correlati ad un rapporto paritetico, mentre esula da tale determinazione ogni profilo di discrezionalità amministrativa (Consiglio di Stato, V, 28 dicembre 2006, n. 8065).
Su fattispecie analoga a quella in esame si è orientato il giudice della giurisdizione (citata sentenza SS.UU. 10 settembre 2004, n. 18257; in senso analogo, SS.UU. 22 dicembre 1987 n. 9565) allorquando ha sostenuto che laddove oggetto esclusivo della controversia sia il pagamento del corrispettivo della concessione, ed in particolare la quantificazione dello stesso, che si assume inferiore a quello determinato dal Comune in sede di convenzione (tenendo anche conto dei nuovi criteri di cui all'art. 5 bis L. n. 359/92), non sussiste alcun potere discrezionale della P.A.
Nè in senso contrario può richiamarsi la sentenza della Cassazione n. 7573 del 2009, con la quale è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in una controversia in cui, a differenza dalla fattispecie in esame, era messa in discussione la legittimità delle determinazioni autoritative della p.a. nell'adozione del provvedimento concessorio cui la convenzione accede.
La concessione in diritto di superficie di aree su cui siano localizzati interventi di edilizia residenziale pubblica dà luogo, invero, ad una "concessione-contratto" sicché le controversie aventi ad oggetto la quantificazione ed il pagamento del corrispettivo pattuito in sede di convenzione accessiva (alla concessione), nonché l'individuazione del soggetto debitore sono riservate alla giurisdizione ordinaria, prima ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1034/1971, ed ora ex art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a. (ex multis, Cassazione Civile, SS.UU., 10 agosto 2011, n. 17142; 5 maggio 2011, n. 9842; 30 marzo 2009, n. 7573).
Anche il Consiglio di Stato ha statuito che "rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda avente ad oggetto la determinazione e il pagamento del corrispettivo della concessione del diritto di superficie in relazione ad aree comprese nei piani per l'edilizia economica e popolare e, in particolare, la quantificazione di tale corrispettivo che si assuma inferiore a quello determinato dal Comune, atteso che in siffatte ipotesi non vengono in contestazione questioni relative al rapporto di concessione e che, fra l'altro, in ordine alla quantificazione del predetto corrispettivo non sussiste alcun potere discrezionale della P.A." (Cons. St., Sez. V, 20 luglio 2010, n. 4660).
È stato altresì specificato che "la controversia avente ad oggetto la determinazione del corrispettivo dovuto dal privato per il trasferimento del diritto di proprietà e la cessione del diritto di superficie , nell'ambito di convenzione stipulata ai sensi della normativa che regola le espropriazioni e la successiva assegnazione delle aree da destinare ad edilizia economica e popolare, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 5 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 e 11 della L. 7 agosto 1990, n. 241, solo laddove sia messa in discussione la legittimità delle autoritative manifestazioni di volontà della P.A. nell'adozione del provvedimento concessorio cui la convenzione accede, della quale sia contestato "ex ante" il contenuto con riguardo alla determinazione del corrispettivo dovuto dal concessionario, e non siano messe in discussione "ex post" solo la misura del corrispettivo (da stabilirsi in base alle pattuizioni ivi contenute) o l'effettività dell'obbligazione di pagamento" (Cass.Civile, SS.UU. 30 marzo 2009, n. 7573).
L'assunto, con isolate pronunce contrarie, è ribadito costantemente dal giudice amministrativo (ex plurimis, TAR Bari, sentenza n. 510/2012, confermata da Cons. Stato Sez. IV, 13 dicembre 2012 n. 6411; Sez. V, 28 dicembre 2006, n. 8065; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 2 dicembre 2014, n. 12133; 24 marzo 2016 n. 3765; TAR Lazio, Latina, 12 febbraio 2015, n. 144; T.A.R. Lombardia, Milano, 8 novembre 2012, n. 2692; 23 febbraio 2010, n. 436) e corrisponde, a ben vedere, al tenore letterale dell'art. 133, comma 1, lett. b) c.p.a., che affida alla giurisdizione esclusiva amministrativa le controversie aventi ad oggetto "atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (...)".
Quando, quindi, come nella fattispecie in esame, viene contestata la quantificazione diritto di credito al conguaglio vantato dal Comune, non viene in rilievo il rapporto concessorio, bensì soltanto, per così dire, la determinazione del corrispettivo dovuto, sicché la relativa controversia, avente ad oggetto la quantificazione ed il pagamento del corrispettivo pattuito in sede di convenzione accessiva (alla concessione), è riservata alla g.o. ex art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a.
Nè la giurisdizione del giudice amministrativo potrebbe ritenersi radicata nella considerazione che le controversie nascenti dal recupero delle maggiori somme sopportate dall'Amministrazione per l'acquisizione dai privati delle aree occorrenti per la costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, in quanto riconducibili nell'ambito della speciale normativa che regola l'espropriazione e la successiva assegnazione delle aree da destinare all'edilizia economica e popolare, postula la previa deliberazione del Comune di concedere dette aree agli interessati, cui fa seguito una convenzione, da stipularsi per atto pubblico, i cui contenuti essenziali (corrispettivo della cessione del diritto di superficie o prezzo del trasferimento del diritto di proprietà) sono anch'essi oggetto di previa deliberazione dell'ente.
Dalla procedimentalizzazione dell’acquisizione di aree da concedere in diritto di superficie a scopi edilizi non può trarsi la conclusione che, trattandosi di una fattispecie complessa di concessione amministrativa costituita da una deliberazione, con cui l'ente manifesta la volontà di concedere l'area a titolo di diritto di superficie o di proprietà, cui accede necessariamente una convenzione, verrebbe in rilievo un rapporto unitario ed unificato, con la conseguenza che le relative questioni apparterrebbero tutte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, indipendentemente dalle singole e specifiche posizioni giuridiche in capo al concessionario (in tal senso TAR Emilia Romagna, Bologna, 26 settembre 2014 n. 909).
Ed infatti, nell’ambito della concessione-contratto che regola la concessione del diritto di superficie su aree su cui siano localizzati interventi di edilizia residenziale pubblica, vanno tenute distinte le questioni afferenti l’attività autoritativa e discrezionale dell’Amministrazione, attribuite alla giurisdizione amministrativa, da quelle inerenti la mera quantificazione del corrispettivo che, involgendo posizioni di diritto soggettivo regolate dalla legge o dalla convenzione ed estranee all’esercizio di attività autoritativa, sono rimesse alla giurisdizione del giudice ordinario.
Il che rende ragione della preclusione al radicamento della giurisdizione amministrativa esclusiva attraverso la qualificazione della convenzione di lottizzazione quale accordo sostitutivo del contratto o quale strumento incidente in materia urbanistica – per come affermato da parte ricorrente - venendo in rilievo un provvedimento concessorio cui la convenzione accede ed incidendo la determinazione del corrispettivo unicamente alla fase esecutiva della convenzione, mentre le funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia si esplicano nel diverso momento dell'assegnazione di aree edificabili nell'ambito di un piano di zona per la realizzazione dell'anzidetta tipologia di alloggi.
Vertendo la controversia in esame sulla esatta quantificazione del residuo del corrispettivo di concessione del diritto di superficie – di cui parte ricorrente denuncia l’erronea quantificazione – è evidente come le relative questioni, in quanto riferite unicamente alla quantificazione e al pagamento del corrispettivo pattuito in sede di convenzione accessiva, non coinvolge alcun profilo di discrezionalità amministrativa, ed è quindi riservata alla giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. b), c.p.a., in quanto estranea ai profili della fattispecie complessa di concessione amministrativa che giustifica il radicarsi della giurisdizione amministrativa, dalla quale risultano comunque estranee le azioni relative a indennità, canoni o altri corrispettivi.
In conclusione, il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito e, in applicazione dell'art. 11 c.p.a., viene indicato il giudice ordinario quale giudice nazionale fornito di giurisdizione per la suindicata controversia, davanti al quale il processo potrà essere riproposto nel termine perentorio previsto dal medesimo art. 11, comma 2, con salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, ferme rimanendo le preclusioni e le decadenze già intervenute.
Le spese di giudizio, tenuto conto del tenore della pronuncia, possono essere equamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma - Sezione Seconda Bis
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 888/2016 R.G., come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, indicando il giudice competente in quello ordinario, innanzi al quale parte ricorrente potrà riproporre il processo, ai sensi dell’art. 11, comma 2, c.p.a., ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente decisione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere
Francesco Elefante, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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