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    Risarcimento del danno per illegittima interruzione del rapporto di pubblico impiego

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    N. 6446/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 14 Reg. Ric.
    ANNO 2000
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 14 del 2000, proposto da:
    A. C., rappresentato e difeso dagli avv. ti Francesco Caffarelli e Renato Speranzoni, con domicilio eletto presso lo studio del primo di essi in Roma, Via Tigrè, 37;
    contro
    Gestione Liquidatoria Soppressa U.L.S.S. 16 Venezia; ASL n. 12 Veneziana, entrambi rappresentati e difesi dagli avv.ti Maurizio Trevisan e Nicola Di Pierro, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via Tagliamento 55;
    Regione Veneto, non costituita in giudizio;
    per la riforma
    della sentenza del T.A.R. VENETO, sezione I n. 02182/1998, resa tra le parti, concernente la condanna al pagamento di somme di denaro.
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione della Gestione liquidatoria e dell'ASL n. 12 Veneziana;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2011 il Cons. Hadrian Simonetti, presenti per le parti gli Avvocati Caffarelli e Di Pierro;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
    FATTO E DIRITTO
    1. Il Sig. A. C., con ricorso notificato il 1.8.1994, chiese l'accertamento del diritto di percepire le retribuzioni, ed ogni altro elemento economico accessorio, con conseguente condanna al relativo pagamento, per il periodo, dal 16.4.1982 al 24.9.1989, nel quale illegittimamente era stato allontanato dal servizio, prima che il giudice amministrativo annullasse il relativo atto, permettendogli così di superare positivamente il periodo di prova.
    Dedusse, in particolare, la circostanza che l'Amministrazione (l'ULSS 16 Venezia, poi soppressa), nel dare atto del superamento della prova, dopo la riammissione in servizio, avesse stabilito come decorrenza la data del 25.9.1999 anziché quella originaria, di inizio della prova, del 16.4.1982.
    2. Con sentenza del 18.11.1998 il Tar respinse il ricorso sul duplice rilievo che, per un verso, la delibera di inquadramento del 16.12.1989 non fosse stata impugnata e che, per altro verso, la giurisprudenza sulla restitutio in integrum invocata dal ricorrente non si attagliasse al caso di specie, sul presupposto che alla data di illegittima cessazione il rapporto di lavoro non si fosse ancora costituito stabilmente, siccome sottoposto al periodo di prova.
    3. Con il presente appello, notificato anche nei confronti dell'ASL n. 12 e della Regione Veneto, si censura la sentenza per entrambi i profili.
    Si sostiene, da un lato, che la ricordata delibera del 16.12.1989 nulla avesse stabilito quanto al termine di decorrenza e, dall'altro, che il patto di prova dovesse considerarsi alla stregua di una condizione risolutiva apposta ad un rapporto di lavoro unitario e già pienamente efficace.
    Ha resistito all'appello la gestione liquidatoria della soppressa ULSS n. 16, con articolata memoria difensiva nella quale si sottolinea la differenza tra l'illegittima interruzione del lavoro già in corso e l'illegittimo diniego di costituzione di un nuovo lavoro.
    All'udienza pubblica del 28.10.2011, in vista della quale le difese hanno presentato ulteriori memorie, la causa è passata in decisione.
    4. Osserva preliminarmente il Collegio come la vicenda qui in esame tragga origine dalla cessazione dal servizio, disposta nei confronti del ricorrente nel lontano 1982, a causa del mancato superamento del periodo di prova e come, a seguito dell'annullamento in giudizio di tale atto e del conseguente ripristino del periodo di prova e poi del suo superamento e definitivo inquadramento con decorrenza dal 25.9.1989, il Sig. A. abbia chiesto a distanza di alcuni anni, con azione di accertamento e di condanna, la corresponsione delle retribuzioni e del trattamento economico accessorio non percepiti a causa dell'illegittimo allontanamento dal servizio, nel periodo compreso dal 16.4.1982 al 24.9.1989.
    5. Sempre preliminarmente deve ribadirsi come, per giurisprudenza consolidata, il processo instaurato nei confronti di una ULSS prima della sua soppressione prosegue tra le parti originarie, salva l'ipotesi di intervento o chiamata in giudizio della Regione nella posizione di successore a titolo particolare; di conseguenza, la relativa legittimazione attiva e passiva spetta al menzionato organo di rappresentanza della gestione, non surrogabile dalla nuova azienda ancorché in persona del Direttore generale (Cass., sez. III, n. 19133/2004; Cons. Stato, Sez. VI, n. 6995/2010; V, n. 5501/2007). Con l'ulteriore precisazione che poiché la sentenza di primo grado spiega effetto diretto anche nei confronti del successore a titolo particolare (la Regione), tale soggetto può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del suo dante causa (Cass., sez. II, n. 8889/2002).
    6. Ciò posto, reputa il Collegio che la mancata impugnazione della delibera di inquadramento del 1989, superato il periodo di prova, non comporti alcuna acquiescenza ai fini della decorrenza della retribuzione e di ogni altro elemento del trattamento economico. Per la ragione fondamentale che - anche considerando tale delibera come un atto autoritativo in senso proprio e non come un atto paritetico - la stessa non recava alcuna determinazione espressa in merito al mancato riconoscimento degli emolumenti arretrati e quindi non necessitava di essere impugnata nel termine decadenziale.
    7. Si deve quindi prescindere da tale delibera e qualificare quella del ricorrente come un'azione di accertamento e di condanna al pagamento di un credito, a titolo di responsabilità contrattuale, proposta in sede di giurisdizione esclusiva (pubblico impiego ante riforma) nel pieno rispetto del termine di prescrizione decennale.
    7.1. In questa prospettiva, costituisce jus receptum l'affermazione che, laddove venga annullato in sede giurisdizionale l'atto con il quale l'Amministrazione abbia illegittimamente interrotto o risolto il rapporto di impiego, al dipendente vincitore spetta l'integrale restitutio in integrum nel rapporto medesimo, ai fini sia giuridici che economici, e quindi anche la corresponsione delle competenze retributive relative al periodo di illegittima interruzione del rapporto (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Ad. Pl., n. 10/1991; Cons. Stato, sez. VI, n. 16/2010; id., n. 5822/2008).
    7.2. Se questo è l'indirizzo giurisprudenziale consolidato, invocato appunto dall'appellante, la tesi dell'Amministrazione è nel senso di escludere che il caso di specie possa rientrare nella fattispecie generale, sul rilievo che, all'epoca dei fatti, il Sig. A. non avrebbe ancora goduto di un rapporto di lavoro stabile e consolidato, essendo ancora nel periodo di prova. Di conseguenza sarebbe più pertinente il richiamo al diverso indirizzo giurisprudenziale che esclude la restitutio in integrum nei casi in cui il giudicato abbia riconosciuto illegittimo il diniego di costituzione del rapporto di lavoro, facendo salvo il risarcimento del danno (v., per la distinzione, Cons. St. Ad. Plen. 10/1991 e, più di recente, Cons. St. VI, n. 2735/2008).
    7.3. Così riassunte le contrapposte tesi di parte, osserva il Collegio come la natura giuridica del patto di prova sia controversa nella stessa dottrina giuslavoristica.
    7.3.1. Secondo l'opinione prevalente, si tratterebbe di una clausola apposta al contratto di lavoro, con valore di elemento accidentale da qualificarsi, a seconda delle diverse ricostruzioni possibili, come condizione risolutiva o sospensiva ovvero come termine incerto. In ogni caso non si ravviserebbero due distinti rapporti, uno provvisorio ed uno definitivo, successivi nel tempo, quanto invece un rapporto unico, sebbene caratterizzato da una disciplina particolare nella prima fase, consistente essenzialmente nella diversa regolamentazione del recesso, a seconda che sia esercitato in costanza del periodo di prova oppure successivamente al suo superamento.
    Fin qui il patto di prova nel lavoro privato, a norma dell'art. 2096 c.c.
    7.3.2. Quanto al pubblico impiego, come ricordato di recente dalla Suprema Corte (v. Infra), già prima delle riforme degli anni '90, la l. n. 93 del 1983, art. 20, stabiliva che il lavoratore nominato e assunto in servizio non acquisiva immediatamente la stabilità, subordinando l'iscrizione a ruolo al superamento, con esito positivo di un periodo di prova.
    Tale legge si limitava ad affermare la necessità che la durata della prova fosse congrua ed identica per le medesime qualifiche, rinviando la disciplina dell'istituto alla legislazione di settore o di formazione secondaria.
    Ferma la varietà della disciplina nei vari settori, elementi comuni a tutto il settore del pubblico impiego erano - sempre secondo la ricostruzione della Cassazione -: a) la durata dell'esperimento che doveva essere calcolata con riferimento esclusivo al servizio effettivamente prestato; b) nel caso in cui l'esperimento si fosse concluso negativamente, la prova poteva e, in alcuni settori doveva essere prorogata; c) il giudizio conclusivo doveva essere motivato, anche se talvolta con motivazione generica per non compromettere la posizione futura del lavoratore; d) la prova si intendeva superata se al termine non veniva comunicato l'esito negativo o la proroga; e) l'impiegato in prova aveva gli stessi doveri e diritti dell'impiegato di ruolo ed il suo trattamento economico era pari a quello iniziale della qualifica corrispondente.
    In conclusione, il sistema delineato dalla legge si distingueva dall'art. 2096 c.c., solo per l'automaticità della prova, oltre che per la funzione più ampia, anche di formazione, attribuita al periodo di verifica. (Cass. sez. lav. n. 17970/2010).
    7.4. Tanto premesso in linea generale, il caso qui in esame è (se non del tutto conforme) sicuramente più prossimo all'ipotesi in cui sia cessato illegittimamente un rapporto di lavoro già in corso, per fatto imputabile alla sola amministrazione pubblica, rispetto a quella in cui sia stata negata illegittimamente la costituzione di un rapporto di lavoro del tutto nuovo.
    Ne consegue il diritto del dipendente alla riduzione in pristino anche agli effetti economici.
    7.5. Anche diversamente opinando nei presupposti, nella direzione già seguita dal Giudice di primo grado, la conclusione sarebbe tuttavia la stessa ove la domanda in origine proposta dall'A. potesse essere (ri)qualificata come di natura sostanzialmente risarcitoria, non mutandone né il petitum né la causa petendi.
    Come noto infatti, alla data di proposizione del ricorso, nel 1994, al giudice amministrativo non era stata ancora devoluta la tutela risarcitoria, neppure in sede di giurisdizione esclusiva dove, tuttavia, già disponeva del potere di condannare l'amministrazione al pagamento di somme di denaro.
    Ebbene, facendo applicazione della lettura più corretta invalsa della regola processuale della perpetuatio iurisdictionis - secondo cui l'art. 5 c.p.c. rende irrilevanti, ai fini della giurisdizione, i mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda nel caso in cui il mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione che egli aveva quando la domanda è stata introdotta, ma non nel caso, inverso, in cui esso comporti l'attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era inizialmente privo (Corte cost., ord. n. 134/2000; Cass. SS.UU. n. 6774/2003) - e valorizzando il dato per cui nel codice del processo amministrativo quella risarcitoria è ora una variante, ovvero una specie, della generale azione di condanna (art. 30), sarebbe comunque possibile qualificare l'azione a suo tempo proposta dall'A. nei termini di un'azione risarcitoria per equivalente (v. per un precedente Cons. St., VI, 2735/2008), di cui ricorrerebbero tutti gli elementi costitutivi, compresa la colpevolezza dell'amministrazione.
    8. In conclusione, la pretesa vantata dal ricorrente è fondata e, accertato il suo diritto a percepire il trattamento economico illegittimamente non goduto, relativamente al periodo dal 16.4.1982 al 24.9.1989, ad esclusione degli emolumenti strettamente legati alla prestazione lavorativa effettiva, vanno condannate le amministrazioni intimate (Gestione liquidatoria e Regione, in solido) al pagamento delle relative somme - maggiorate della rivalutazione e degli interessi di legge ex art. 429 c.p.c. secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale (v., ex multis, Tar Lazio, I, n. 6469/2009) - nonché alla regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale del ricorrente.
    9. È utile precisare come, nella ricostruzione della carriera economica per il periodo sopra indicato, l'amministrazione dovrà comunque detrarre quanto il ricorrente risulti avere percepito a qualsiasi titolo, per prestazioni o attività svolte nel periodo di tempo durante il quale il rapporto è stato interrotto; e che, ai fini della corretta liquidazione degli importi, l'amministrazione si atterrà alle linee guida sancite dall'Adunanza Plenaria di questo Consiglio con pronuncia 15 giugno 1998, n. 3 e dalla giurisprudenza successiva (Ad. Plen. n. 18/2011; sez. VI, n. 1489/1999; sez. IV, n. 115/1999,), in armonia con quanto affermato dalla Corte di Cassazione (cfr. n. 5795/1998; n. 1712/1995; n. 5525/1995). Pertanto, gli interessi legali e la rivalutazione dovranno essere calcolati separatamente sull'importo nominale del credito retributivo, escludendo sia il computo degli interessi e della rivalutazione monetaria sulla somma dovuta quale rivalutazione sia il riconoscimento di ulteriori interessi e rivalutazione monetaria sulla somma dovuta a titolo di interessi.
    10. Le spese di lite, poste a carico della Gestione liquidatoria e compensate nei confronti altre parti, sono liquidate con il dispositivo.
    P. Q. M.
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ai sensi e con gli effetti di cui in motivazione.
    Condanna l'appellata Gestione liquidatoria al pagamento delle spese di lite in favore di A. C., liquidate nell'importo complessivo di euro 2.500,00 oltre ad IVA e CPA come per legge.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
    - Pier Giorgio Lignani - Presidente
    - Lanfranco Balucani - Consigliere
    - Marco Lipari - Consigliere
    - Vittorio Stelo - Consigliere
    - Hadrian Simonetti - Consigliere, Estensore
     
    IL PRESIDENTE
    Pier Giorgio Lignani
    L'ESTENSORE
    Hadrian Simonetti
     
    Depositata in Segreteria il 7 dicembre 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Estensione degli effetti del giudicato a soggetti estranei alla lite. Obblighi della P.A.

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    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 952 del 1999, proposto da R. R., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Mingiardi, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via G. D'Annunzio, 39/A;
    contro
    INPDAP - Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;
    per l'annullamento
    del provvedimento INPDAP prot. n. 1466 del 17 dicembre 1998, di rigetto della istanza di riconoscimento del diritto all'inquadramento nella VII qualifica funzionale, profilo collaboratore di amministrazione, con corresponsione del relativo trattamento economico,
    nonché per l'accertamento
    del diritto del ricorrente a tale inquadramento, ed alla corresponsione del correlato trattamento economico, con arretrati.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2011 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Il ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe e chiede che venga accertato il suo diritto all'inquadramento nella VII qualifica funzionale, ed alla corresponsione del correlato trattamento economico, con arretrati.
    Affida il ricorso al seguente motivo: violazione e falsa applicazione del DPR 285/88; eccesso di potere per disparità di trattamento ed intima contraddittorietà. In esecuzione delle sentenze 447/97 e 448/97 del TAR Lazio - Latina, INPDAP avrebbe dovuto riesaminare le istanze avanzate dai dipendenti.
    Il ricorrente precisa di non aver chiesto l'estensione in suo favore degli effetti di tali pronunce.
    Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
    Il ricorrente, con l'istanza datata 18 settembre 1998, rigettata con il provvedimento impugnato, aveva chiesto «...di essere inquadrato nella settima qualifica funzionale (...) in applicazione dei principi enunciati dal T.A.R. Lazio-Latina con sentenze n. 447 e 448 del 18/4/97, ai quali l'I.N.P.D.A.P. si è già conformata con la delibera C.A. n. 775 dell'8/5/98...».
    La Direzione Centrale del personale di INPDAP, con la nota impugnata, ha risposto che «...Le sentenze del TAR Lazio - Latina nn. 447 e 448 del 18/4/97, di cui si invoca l'applicazione, fanno stato esclusivamente nei confronti dei ricorrenti e non sono suscettibili di estensione nei confronti dei terzi...».
    Il ricorrente, pur affermando esplicitamente di non chiedere l'estensione delle citate sentenze 447 e 448 del 1997, che ha accolto il ricorso per colleghi asseritamente nella stessa posizione, nella sostanza chiede l'estensione del giudicato reso in tali pronunce.
    In proposito, è opportuno rimarcare che, secondo condivisibile giurisprudenza, anche di questa Sezione, da cui il Collegio non ritiene vi siano motivi per discostarsi «...L'estensione degli effetti di un giudicato a soggetti estranei alla lite, ma titolari di posizioni giuridiche del tutto analoghe alla fattispecie decisa, non costituisce per l'Amministrazione adempimento di uno specifico obbligo...» (TAR Sicilia - Catania, sez. II, 9 settembre 2010, n. 3678; analogamente, TAR Marche, 4 febbraio 2005, n. 110).
    Inoltre, il ricorrente afferma, in maniera puramente labiale, «...di trovarsi in situazione identica a quella dei dipendenti inquadrati con delibera C.A. n. 775 dell'8/5/98», ciò che impedirebbe comunque a questo Giudice di valutare l'esistenza del denunciato vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento.
    In proposito, è peraltro il caso di ricordare che, seppure in tema di onere della prova a carico del ricorrente si possano ritenere sussistere diversi orientamenti giurisprudenziali in seno alla giustizia amministrativa, costituisce comunque un onere del ricorrente l'allegazione precisa del fatto: «...il ricorrente può limitarsi a rappresentare semplicemente il fatto storico causativo della presunta lesione dell'interesse che si intende far valere...» (TAR Sicilia - Catania, Sez. I, 3 maggio 2007, n. 760), nonché che tale descrizione debba essere precisa nonchè congruente con il petitum, poichè «...il principio acquisitivo attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti...» (Cons. Stato, Sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143).
    Poiché l'Amministrazione non si è costituita, non occorre fare luogo a pronuncia sulle spese.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione II interna), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
    Nulla per le spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Filippo Giamportone
    L'ESTENSORE
    Diego Spampinato
    IL CONSIGLIERE
    Francesco Brugaletta
     
    Depositata in Segreteria il 27 giugno 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Si lavora o si riposa in via straordinaria?

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    N. 421/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 731 Reg. Ric.
    ANNO 2008
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 731 del 2008, proposto da:
    G. P., rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Giusta ed Elivia Lobera, con domicilio eletto presso lo studio della seconda in Torino, via Barbaroux, 25;
    contro
    Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Torino, corso Stati Uniti, 45;
    S. T., rappresentato e difeso dall'avv. Erasmo Besostri Grimaldi, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, via XX Settembre, 58;
    per la condanna
    al pagamento del compenso per lavoro straordinario, riposo compensativo non goduto e al risarcimento danni.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
    Vista la memoria difensiva del ricorrente;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2011 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1) Con ricorso giurisdizionale notificato il 22 aprile 2008, l'esponente - che riferisce di aver prestato servizio presso l'Ufficio tecnico territoriale di Torino del Ministero della difesa, con il grado di tenente colonnello, dal luglio 1987 al settembre 2005 - propone tre azioni di condanna con funzione risarcitoria nei confronti del Ministero della difesa e del colonnello S. T., già direttore dell'Ufficio predetto.
    1.1) La prima domanda fa riferimento all'istanza di riscatto di periodi di servizio ai fini della buonuscita, presentata dal ricorrente in data 3 dicembre 2001 e regolarmente registrata al protocollo dell'Ufficio di appartenenza, ma non istruita né trasmessa all'INPDAP.
    Tale omissione avrebbe privato il ricorrente della possibilità di lasciare il servizio con quattro anni di anticipo ovvero gli avrebbe imposto di sostenere un aggravio di spesa pari a euro 20.000,00 per riscattare il periodo contributivo.
    1.2) L'esponente riferisce, quindi, di aver maturato, a tutto il mese di dicembre del 2004, 424 ore di lavoro straordinario, 295 delle quali non sono state retribuite né hanno formato oggetto di riposo compensativo, essendo state arbitrariamente "annullate" dall'amministrazione.
    1.3) Infine, l'esponente lamenta che l'amministrazione non gli avrebbe consentito di partecipare al corso in "Disaster Management" organizzato dalla Regione Piemonte nel 2005, nonostante l'autorizzazione rilasciata dal precedente responsabile dell'Ufficio di appartenenza.
    1.4) Il ricorrente chiede, in conclusione, che l'amministrazione e il colonnello T. siano condannati, in solido tra loro, al pagamento:
    - della somma di euro 20.000,00, corrisposta ai fini del riscatto dei periodi di servizio;
    - della somma di euro 7.540,00, pari al compenso dovuto per le ore di straordinario non liquidate;
    - dei danni non patrimoniali (morale, esistenziale e da perdita di chances) cagionati dalle vicende sopra sinteticamente riferite.
    2) Si è costituito in giudizio, con comparsa di stile, il colonnello S. T..
    Nel prosieguo del giudizio, si è costituita anche l'Avvocatura distrettuale dello Stato, in rappresentanza del Ministero della difesa, contrastando nel merito la fondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento.
    In prossimità del pubblica udienza, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria con cui ribadisce le proprie domande.
    Il ricorso è stato chiamato all'udienza del 7 aprile 2011 e ritenuto in decisione.
    3) Va preliminarmente dichiarata la parziale inammissibilità del ricorso in trattazione, nella parte in cui vengono dispiegate azioni di condanna nei confronti del colonnello T., nella sua veste di titolare pro tempore dell'Ufficio al quale era assegnato il ricorrente medesimo (la questione, rilevata d'ufficio, è stata segnalata ai difensori in pubblica udienza, come previsto dall'art. 73, comma 3, cod. proc. amm.).
    Il rapporto di immedesimazione organica comporta, infatti, che gli atti adottati dai responsabili degli organi e degli uffici della pubblica amministrazione risultano direttamente imputabili all'amministrazione stessa, cosicché le persone fisiche preposte all'organo o ufficio non sono titolari di una propria capacità giuridica né è ipotizzabile alcun loro interesse personale, distinto dall'interesse proprio dell'amministrazione di appartenenza, a contrastare le pretese della parte privata che abbia inteso opporsi ai provvedimenti amministrativi da questi emanati.
    Ne discende che la legittimazione passiva a resistere al ricorso instaurato dal privato avverso un provvedimento amministrativo non appartiene mai alla persona fisica titolare dell'organo o dell'ufficio che ha emesso il provvedimento, ma solo ed esclusivamente all'amministrazione in cui tale organo o tale ufficio sono incardinati (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 5 maggio 2010, n. 1230).
    Tale situazione non è diversa nel caso di azioni di condanna con funzione risarcitoria, atteso che anche a tali fini l'unico soggetto passivamente legittimato è l'amministrazione, non sussistendo verso l'esterno una responsabilità diretta dei dipendenti per i danni derivanti dagli atti dell'amministrazione.
    4) Nel merito, la prima domanda proposta da parte ricorrente si fonda su presupposti contraddittori e incongrui in quanto, come rileva esattamente la difesa erariale, la richiesta presentata dal dipendente, pur ingiustificatamente trattenuta dall'Ufficio di appartenenza e non trasmessa all'Ente previdenziale, non aveva ad oggetto un riscatto a fini pensionistici, bensì ai fini del computo della buonuscita: non essendo stata fornita prova circa la presentazione di una domanda di pensionamento, non risulta conseguentemente dimostrato che il dipendente avrebbe potuto accedere al trattamento di quiescenza con quattro anni di anticipo.
    Si soggiunge che, alla luce degli elementi riferiti nel ricorso e nella memoria difensiva, non è neppure chiaro se il danno lamentato dal ricorrente si riferisca al mancato accesso al pensionamento anticipato ovvero al pagamento di maggiori somme, asseritamente pari all'importo di euro 20.000,00, per beneficiare dello stesso, fermo restando che, nel secondo caso, non sarebbe stata fornita alcuna prova del maggior esborso sostenuto.
    5) La seconda azione di condanna riguarda la decurtazione di 295 ore di lavoro straordinario, dapprima contabilizzate, ma non riconosciute al dipendente né sotto forma di remunerazione né di riposo compensativo.
    Anche in questo caso, i chiarimenti e la documentazione prodotta dalla difesa erariale consentono di far luce sui termini della controversia e di escludere la fondatezza della pretesa avanzata da parte ricorrente, dal momento che l'accennata decurtazione è stata effettuata in misura pari alle ore di straordinario che, secondo le disposizioni interne dell'Esercito, avrebbero dovuto essere fruite sotto forma di riposo compensativo entro il 31 dicembre 2004: la mancata fruizione dei riposi è stata unicamente determinata dall'inerzia del dipendente il quale, avendo omesso di farne richiesta nei termini prefissati, non ha titolo per dolersi delle consequenziali misure adottate dall'amministrazione.
    La giurisprudenza amministrativa ha chiarito, ad ogni buon conto, che la commutazione delle ore di lavoro straordinario in riposi costituisce adeguata misura di contemperamento della pluralità di interessi in gioco nella materia della retribuzione del lavoro dei pubblici dipendenti, consentendo, da un lato, di evitare che mediante incontrollate erogazioni di somme per prestazioni rese in eccedenza all'orario di lavoro si possano superare i limiti di spesa fissati dalle previsioni di bilancio e, dall'altro, di salvaguardare l'integrità psico-fisica del lavoratore (cfr., fra le ultime, T.A.R Lazio, Roma, sez. II, 5 gennaio 2011, n. 29).
    Sotto un diverso angolo prospettico, va ancora rimarcato come il ricorrente non abbia prodotto agli atti del giudizio le autorizzazioni allo svolgimento delle ore di lavoro straordinario in questione: tale omissione precluderebbe di per sé l'accoglimento della domanda di condanna, poiché la retribuibilità del lavoro straordinario è in via di principio condizionata all'esistenza di una previa e formale autorizzazione la quale implica la verifica in concreto della sussistenza delle ragioni di pubblico interesse che rendono necessario il ricorso a prestazioni lavorative eccedenti l'orario normale di lavoro (Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1427).
    6) Infine, l'esponente lamenta di non essere stato autorizzato a partecipare al corso in "Disaster Management" organizzato dalla Regione Piemonte e riferisce anche a tale vicenda la domanda di risarcimento dei danni morali e da perdita di chances.
    La domanda andrebbe respinta innanzitutto per la sua genericità, non avendo l'esponente medesimo chiarito in qual modo una vicenda che appartiene al normale estrinsecarsi del rapporto di pubblico impiego (quale il diniego di autorizzazione alla frequenza di un corso di formazione, pur inizialmente approvato dall'amministrazione di appartenenza), possa costituire fonte di sofferenza soggettiva ovvero influire negativamente sulle prospettive di sviluppo e progressione della carriera del dipendente interessato.
    In ogni caso, emerge dalle produzioni della difesa erariale che l'autorizzazione in parola è stata definitivamente negata con atto del superiore gerarchico in data 18 maggio 2005, motivato con riferimento all'estraneità della materia del corso alla sfera di interesse dell'amministrazione ed alle sopravvenute esigenze del servizio che non consentivano l'allontanamento del militare per lungo tempo.
    Il ricorrente non ha impugnato detto diniego né ha contrastato la fondatezza delle argomentazioni poste a sostegno del medesimo.
    7) La natura della controversia consiglia di compensare integralmente le spese di lite fra le parti costituite.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in parte lo respinge, come da motivazione.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Franco Bianchi
    L'ESTENSORE
    Richard Goso
    IL REFERENDARIO
    Paola Malanetto
     
    Depositata in Segreteria il 21 aprile 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Quando spettano la rivalutazione e gli interessi?

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    N. 205/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 1127 Reg. Ric.
    ANNO 2000
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 1127 del 2000, proposto da:
    C. A., rappresentato e difeso dall'avv. Maria Scambia, con domicilio eletto presso Maria Scambia Avv. in Reggio Calabria, via G. Melacrino 36;
    contro
    Azienda Ospedaliera Bianchi - Melacrino - Morelli di Reggio Calabria, non costituita in giudizio;
    per ottenere
    il pagamento degli interessi dovuti per il ritardo nel pagamento dell'aumento dell'indennità di qualificazione professionale
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il dott. Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    Con ricorso notificato il 16 giugno 2000 e depositato il successivo giorno 5 luglio C. A., premesso di aver avuto corrisposto solo nei mesi di luglio e dicembre 1999, quanto a lui spettante a titolo di aumento mensile dell'indennità di qualificazione professionale in base all'art. 45, co. 3, CCNL per il quadriennio 1994-97 per il periodo compreso tra il dicembre 1995 ed il dicembre 1997, chiedeva di aver corrisposti gli interessi legali maturati sulle mensilità di Lire 86.000 a decorrere dall'1 febbraio 1996.
    Nessuno si costituiva per l'Azienda ed all'udienza pubblica del 9 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
    La richiesta avanzata è priva di fondamento (vd. Tar Piemonte, II, 29 aprile 2010 n. 2096).
    L'indennità di qualificazione professionale e valorizzazione delle responsabilità, prevista dall'art. 45, co. 6, del CCNL del personale del Servizio Sanitario Nazionale in data 1 settembre 1995, di cui il ricorrente lamenta la tardiva erogazione, è un'indennità che necessita di un previo provvedimento costitutivo da parte dell'Amministrazione, afferendo - a ben osservare - a quella parte di indennità incrementabile in sede aziendale, di cui può beneficiare un numero massimo di dipendenti, pari al 45% della dotazione organica complessiva di ciascuno dei ruoli previsti (art. 45, co. 4).
    A norma del suindicato contratto collettivo, l'attribuzione di tale incremento avviene mediante selezione del personale interessato, sulla base di obiettivi criteri predeterminati in sede di contrattazione decentrata (co. 6, primo periodo) e alla sua corresponsione l'amministrazione provvede comunque nei limiti del fondo a tal fine previsto, che è costituito da una somma pari allo 0,86 per cento del monte salari annuo calcolato con riferimento all'anno 1993, incrementabile con le somme dei fondi per il compenso del lavoro straordinario e per la remunerazione di particolari condizioni di disagio, pericolo o danno, qualora non utilizzate, al netto degli eventuali maggiori oneri riflessi derivanti per il perseguimento delle finalità previste (co. 4, ultimo periodo).
    E' evidente, pertanto, che i dipendenti non possono far discendere in alcun modo direttamente dalla norma contrattuale il loro diritto ad ottenere l'incremento in questione.
    Inoltre, la disposizione di cui al co. 6 dell'art. 45, nel prevedere di far retroagire l'attribuzione del beneficio alla data del 1 dicembre 1995, peraltro facoltizzando espressamente lo svolgimento della selezione necessaria ad individuare i beneficiari in epoca successiva a tale data, ha di fatto pacificamente ammesso un'erogazione successiva alla data convenzionale di decorrenza dell'attribuzione, senza, peraltro, lasciare assolutamente intendere che la si dovesse considerare erogazione "tardiva", produttiva di interessi e soggetta a rivalutazione.
    In tal senso depone, infatti, la lettera della norma, che, per l'appunto, parla chiaramente di attribuzione dell'incremento e non di erogazione dell'incremento.
    E' principio pacifico, peraltro, quello secondo cui, laddove l'amministrazione attribuisca con provvedimento costitutivo un beneficio economico con efficacia retroattiva, gli interessi e la rivalutazione economica sulle somme relative al periodo anteriore all'atto con cui il beneficio è stato concesso non spettano al dipendente, trovando il diritto stesso la propria fonte nell'atto amministrativo presupposto.
    Diversamente, invece, laddove il beneficio risulti fondato in via immediata e diretta sulla norma di legge (o di contratto), i benefici accessori della rivalutazione e degli interessi devono essere automaticamente concessi al privato a far data dalla scadenza dell'emolumento principale ovvero del suo rateo ed indipendentemente da qualsiasi atto (paritetico) dell'amministrazione (Cons. St. n. 2363 del 20 maggio 2008, Tar Sicilia - Palermo, sez. I, n. 506 del 12 febbraio 2002; T.A.R. Campania - Salerno n. 415 del 21 ottobre 1999; T.A.R. Campania - Napoli n. 1054 del 19 aprile 1999).
    Nel caso di specie, non v'è dubbio che il diritto può essere sorto solo a seguito della selezione (sebbene il ricorrente non ne faccia menzione). Non può essere, quindi, considerata tardiva l'erogazione di somme se non con riguardo al termine di conclusione della selezione, di approvazione degli atti relativi e soprattutto di individuazione degli aventi diritto che non vengono, però, indicati.
    Anche alla luce delle considerazioni da ultimo riportate è evidente, pertanto, che la lettura fornita dal ricorrente della norma contrattuale in questione non può essere accolta ed il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
    Stante la mancata costituzione in giudizio dell'amministrazione, non occorre disciplinare le spese.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
    Nulla spese.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio/10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Ettore Leotta
    L'ESTENSORE
    Caterina Criscenti
    IL CONSIGLIERE
    Giuseppe Caruso
     
    Depositata in Segreteria il 23 marzo 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
    Ultimo aggiornamento Mercoledì 08 Giugno 2011 18:43
     


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