Vincolo espropriativo e conferenza dei servizi
Mercoledì 22 Giugno 2011 09:50
Valentina Russo
N. 429/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 55 Reg. Ric.
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 55 del 2011, proposto da A. G., rappresentato e difeso dagli avvocati Ugo Verrillo e Gianluca Sasso, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avvocato Palumbo, in Latina, via Cattaneo n. 11;
contro
il comune di Santi Cosma e Damiano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Rossi, da intendersi domiciliato agli effetti del presente giudizio presso la segreteria della sezione;
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione
del decreto di espropriazione n. 1 del 20 ottobre 2010 prot. n. 12527, della determina dirigenziale n. 182 del 21 ottobre 2010, prot. n. 12523, della delibera C.C. n. 10 del 9 aprile 2009, della delibera C.C. n. 38 del 8 ottobre 2009, della delibera G.M. n. 236 del 25 novembre 2009, della delibera G.M. n. 32 del 26 febbraio 2010, della delibera G.M. n. 5 del 14 gennaio 2009, della delibera G.M. n. 4 del 30 aprile 2008, della delibera C.C. n. 7 del 12 maggio 2006, della delibera C.C. n. 46 del 20 dicembre 2006, della delibera C.C. n. 9 del 21 marzo 2002 e di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e /o consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Santi Cosma e Damiano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2011 il dott. Davide Soricelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La controversia in esame si riferisce a una procedura avente a oggetto la realizzazione nel comune di Santi Cosma e Damiano di uno svincolo stradale in località San Lorenzo, implicante l'espropriazione del suolo, di proprietà del ricorrente, contrassegnato in catasto al foglio n. 52, particelle nn. 329, 331, 333, 576, 577, 578, 1075 (ex 579 e 580), 581, 582.
In particolare il ricorrente impugna il decreto con cui, in data 20 ottobre 2010, il comune ha pronunciato l'esproprio del suolo e i relativi atti presupposti.
In estrema sintesi il ricorrente denuncia che: a) il decreto di espropriazione è stato emanato in difetto del suo fondamentale presupposto, cioè un valido ed efficace vincolo di preordinazione all'esproprio; come oltre si vedrà, il ricorrente, premesso che l'opera da realizzare non è conforme allo strumento urbanistico generale, denuncia che il procedimento di variante semplificata ex articolo 10, comma 1, e 19 D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, che era stato iniziato dall'amministrazione, non è mai stato concluso, con la conseguenza che l'opera non può considerarsi conforme allo strumento urbanistico e l'esproprio non si fonda su un valido ed efficace vincolo; b) l'opera è stata illegittimamente inserita nella programmazione dei lavori pubblici comunali, non essendo conforme alla normativa urbanistico-edilizia, con conseguente violazione dell'articolo128, comma 8, del d.lg. 12 aprile 2006, n. 163; c) illegittimamente il comune ha fatto ricorso all'istituto della determinazione urgente dell'indennità provvisoria di esproprio ex articolo 22 del D.P.R. n. 327 citato; d) il comune non ha in alcun modo considerato le osservazioni da lui presentate in corsi di procedimento.
2. Il comune di Santi Cosma e Damiano si è costituito in giudizio e resiste al ricorso.
3. Con ordinanza n. 64 del 27 gennaio 2011 la sezione ha accolto l'istanza di tutela cautelare e fissato l'udienza di discussione del ricorso ex articolo 120 cod. proc. amm.
DIRITTO
1. Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di tardività del ricorso sollevata dal comune resistente.
Per comprendere la sostanza del problema è però opportuna una sintetica premessa sui fatti.
2. Anzitutto il progetto preliminare dei lavori in questione è stato approvato nel 2002 (delibera C.C. n. 9 del 21 marzo 2002); tuttavia, poiché il progetto non è conforme al vigente strumento urbanistico comunale (pur essendolo alle previsioni di uno strumento soltanto adottato in data 31 ottobre 2008), il comune - che già con la delibera (che non risulta abbia avuto alcun seguito) n. 46 del 20 dicembre 2006 aveva imposto il vincolo di preordinazione all'esproprio, senza tuttavia approvare il progetto definitivo pur menzionato nelle premesse - con la delibera C.C. n. 10 del 9 aprile 2009, nel presupposto della necessità di "un'apposita variante urbanistica, in applicazione dell'articolo 10, comma 2, e 19, comma 3, D.P.R. n. 327/2001, in quanto le aree su cui ricadono le opere non sono destinate a pubblico interesse" (così, letteralmente, il preambolo): a) adottava la variante ex articolo 19 D.P.R. n. 327; b) apponeva il vincolo di preordinazione all'esproprio; c) approvava il progetto definitivo delle opere; d) dichiarava la pubblica utilità e l'urgenza e indifferibilità delle medesime.
Alla delibera, pubblicata nel B.U.R.L. del 21 settembre 2010, facevano seguito: a) la delibera C.C. n. 38 del 8 ottobre 2009 con cui il comune prendeva atto e respingeva le osservazioni sul progetto presentate dal ricorrente (cui il 23 aprile 2009 era stata trasmessa la comunicazione dell'avvio del procedimento preordinato all'esproprio dei suoli di sua proprietà); b) la delibera G.M. n. 32 del 26 febbraio 2010 con cui il comune approvava il progetto esecutivo delle opere.
2.1. Ciò premesso, il comune eccepisce che il ricorrente era stato messo a conoscenza della quasi totalità degli atti impugnati almeno due anni prima rispetto alla data di notificazione del ricorso (3 gennaio 2001), che quindi risulta tempestivo solo rispetto al decreto di esproprio (che il ricorrente dichiara in ricorso di aver ricevuto a mezzo posta il 2 novembre 2010).
2.2. L'eccezione è infondata.
In generale la decorrenza del termine d'impugnazione dei provvedimenti amministrativi non può che farsi risalire al momento in cui si verifica la lesione della situazione soggettiva dell'interessato.
Nella fattispecie questo momento va identificato con l'adozione e comunicazione del decreto di espropriazione dei suoli di proprietà del ricorrente; solo in tale momento, infatti, il ricorrente ha avuto piena conoscenza della lesione (o meglio dell'ablazione) del suo diritto di proprietà.
Il punto merita qualche approfondimento in relazione all'impugnazione della delibera C.C. n. 10 del 9 aprile 2009, con cui il comune ha adottato la variante semplificata al proprio P.R.G. e approvato il progetto definitivo dell'opera dichiarandone la pubblica utilità. Si tratta infatti di un provvedimento che il ricorrente ha conosciuto in epoca ampiamente anteriore alla proposizione del ricorso, per cui, tenuto anche conto del tradizionale orientamento giurisprudenziale che ritiene la dichiarazione di pubblica utilità un atto lesivo degli interessi del proprietario del suolo cui essa si riferisce, bisogna effettivamente chiedersi se il ricorrente avesse un onere di tempestiva impugnazione e se quindi egli sia o meno incorso in una decadenza.
La risposta al quesito è negativa per due ragioni.
La prima è che, a ben vedere, benché il ricorrente indichi questa delibera tra gli atti impugnati, egli in realtà non formula alcuna censura nei suoi confronti, poiché la tesi del ricorrente non è che questa delibera sia illegittima ma che essa non è mai divenuta efficace, non essendosi mai perfezionato il procedimento di variante semplificata, il quale presuppone l'invio della delibera alla regione e l'approvazione della variante da parte di quest'ultima ovvero, nel caso d'inerzia della regione protratta per 90 giorni, una successiva delibera di consiglio comunale che, preso atto di questa inerzia, dichiari esecutiva la variante.
La seconda ragione, strettamente connessa alla prima, è che un atto inefficace non può essere considerato lesivo e la dichiarazione di pubblica utilità "qualora non sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio ... diventa efficace al momento di tale apposizione a norma degli articoli 9 e 10" (così l'articolo 12 del D.P.R. n. 327).
In definitiva il ricorrente, non avendo mai avuto conoscenza dell'esistenza ed efficacia di un vincolo di preordinazione all'esproprio dei suoli di sua proprietà prima della comunicazione del decreto del 20 ottobre 2010, non era onerato a impugnare atti presupposti non attualmente lesivi di suoi interessi.
3. Si può quindi passare all'esame del primo motivo che è fondato in quanto il Collegio condivide l'assunto del ricorrente secondo cui l'opera da realizzare non è conforme al piano regolatore comunale non essendosi mai perfezionato il procedimento di variante semplificata, con la conseguenza che mai è stato apposto un valido ed efficace vincolo di preordinazione all'esproprio e mai è divenuta efficace la dichiarazione di pubblica utilità.
Sul punto vanno però fatte alcune precisazioni.
Anzitutto, che il procedimento di variante semplificata ex articoli 10, comma 1, e 19 D.P.R. n. 327 del 2001 non si sia mai perfezionato è un fatto persino non contestato dal comune.
Infatti la tesi sostenuta dal comune nei propri scritti difensivi è che la variante allo strumento urbanistico generale sia stata perfezionata attraverso la conferenza di servizi utilizzando il modulo procedimentale previsto dall'articolo 10, comma 1, del citato D.P.R. n. 327; in particolare la conferenza di servizi si è svolta in data 25 febbraio 2010 ai sensi dell'articolo 14-ter, comma 9, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Quest'argomentazione non può essere condivisa per varie ragioni.
Anzitutto non può essere seriamente contestato che la volontà espressa dal comune intimato nei vari atti della procedura in contestazione al fine di superare il problema della non conformità dell'opera allo strumento urbanistico sia stata quella di fare ricorso alla variante semplificata; il contenuto della delibera C.C. n. 10 del 9 aprile 2009 è sul punto inequivocabile.
Ma, anche se si volesse ammettere che vi sia stato un "ripensamento" e che si sia deciso di far ricorso a un "modulo" diverso (anche se questo ripensamento non si è mai formalizzato in un provvedimento), la conclusione non muterebbe.
Anzitutto il Collegio ribadisce l'opinione già espressa in un recente passato dalla sezione (si veda la sentenza n. 268 del 15 marzo 2010) secondo cui l'articolo 10 del D.P.R. n. 327, nel prevedere al comma 1 la possibilità che il vincolo sia apposto attraverso una conferenza di servizi, non ha inteso generalizzare la possibilità di introdurre varianti urbanistiche a mezzo della conferenza limitandola ai soli casi in cui ciò sia ammesso dalla legislazione vigente (es. D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, articolo 4); si tratta di opinione, non incontroversa (si veda ad es. in senso opposto T.A.R. Piemonte, I, 9 settembre 2008, n. 1875), ma che va ribadita, oltre che per gli argomenti recati nella decisione citata, anche in considerazione del rilievo che, ove l'articolo 10 avesse voluto introdurre una innovazione di tale portata, avrebbe verosimilmente introdotto disposizioni sulla partecipazione degli interessati e sulla pubblicità legale delle decisioni prese in merito alla variante che invece difettano.
D'altra parte, se anche si volesse seguire l'opposta opinione secondo cui attraverso la conferenza di servizi sarebbe possibile approvare varianti, nella fattispecie dovrebbe comunque negarsi che la variante sia stata approvata, dato che, affinchè tale effetto possa verificarsi, l'articolo 10 richiede che "espressamente se ne dia atto"; e nel verbale della conferenza di varianti al P.R.G. non si parla assolutamente, limitandosi il verbale a menzionare il parere favorevole sul progetto dell'assessorato regionale all'urbanistica rilasciato in data 14 gennaio 2010.
In definitiva nella fattispecie la variante non si è perfezionata né è stato apposto validamente ed efficacemente il vincolo di preordinazione all'esproprio in quanto: a) il procedimento di variante semplificata non è stato portato a compimento; b) la determinazione conclusiva della conferenza di servizi indetta per l'esame del progetto definitivo non può sostituire la variante né implicare un effetto di approvazione definitiva della variante per le ragioni sopra indicate.
Il primo motivo è quindi fondato.
4. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l'illegittimità del progetto preliminare a causa della sua genericità e inattendibilità e l'illegittimità dell'inserimento del progetto in contestazione nei programmi ed elenchi dei lavori pubblici da realizzare a partire dal 2006 per violazione dell'articolo 128, comma 8, d.lg. 12 aprile 2006, n. 163.
Il motivo è in parte fondato.
Per quanto concerne la dedotta illegittimità del progetto preliminare la censura risulta inammissibile per la sua genericità e per essere formulata quasi in termini ipotetici.
Quanto al profilo inerente alla programmazione dei lavori pubblici, la disposizione che vieta l'inserimento nell'elenco annuale di progetti che si pongano in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti o adottati risulta violata dalla delibera C.C. n. 4 del 30 aprile 2008; con tale delibera, infatti, l'opera in contestazione è stata inserita nell'elenco annuale delle opere relativo al 2008 benchè l'opera non fosse conforme allo strumento urbanistico generale (la variante che ha previsto l'opera è stata infatti adottata solo nel successivo mese di ottobre).
5. Con il terzo motivo il ricorrente sia pur poco chiaramente deduce che il progetto definitivo sarebbe nullo in quanto approvato nonostante la nullità del vincolo di preordinazione all'esproprio o comunque l'inefficacia di esso. Da ciò fa conseguire l'inapplicabilità dell'istituto della determinazione d'urgenza dell'indennità previsto dall'articolo 22 del D.P.R. n. 327.
Questa censura non è fondata.
La circostanza che il vincolo di preordinazione all'esproprio non sia mai divenuto efficace non era infatti preclusiva della possibilità di approvazione del progetto definitivo ma piuttosto della possibilità di pronunciare l'esproprio (che presuppone il vincolo) e di conseguenza della possibilità di iniziare i lavori (che presuppone che l'amministrazione si procuri il suolo occorrente o attraverso l'esproprio o in via di urgenza ex articolo 22-bis).
Pure infondato è l'ultimo motivo con cui si lamenta l'eccesso di potere per non avere il comune di Santi Cosma e Damiano tenuto in conto le osservazioni presentate.
Il motivo è infondato perché in realtà il comune sulle osservazioni del ricorrente si è pronunciato in sede di controdeduzioni, sostanzialmente respingendole quasi in toto sulla base degli argomenti prospettati dal progettista in una nota allegata alla delibera n. C.C. n. 37 del 8 ottobre 2009.
6. Conclusivamente il ricorso deve essere in parte accolto con annullamento del decreto di espropriazione n. 1 del 20 ottobre 2010 prot. n. 12527 e della determina dirigenziale n. 182 del 21 ottobre 2010, prot. n. 12523 nonché, in parte qua, della delibera C.C. n. 4 del 30 aprile 2008.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, come precisato in motivazione.
Condanna il comune di Santi e Cosma e Damiano al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro tremila.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Francesco Corsaro
L'ESTENSORE
Davide Soricelli
IL CONSIGLIERE
Santino Scudeller
Depositata in Segreteria il 25 maggio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
"Strutture lineari energetiche": procedura semplificata
Lunedì 13 Giugno 2011 10:27
Melita Manola
N. 1235/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 47 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 47 del 2010, proposto da:
B. M., rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberta Mandelli e Giovanni Brambilla Pisoni, con domicilio eletto presso lo Studio di quest'ultimo in Milano, via Visconti di Modrone n. 6;
contro
PROVINCIA DI LECCO, in persona del Presidente p.t., non costituita;
nei confronti di
S. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Fabio Todarello, con domicilio eletto lo Studio di quest'ultimo in Milano, P.zza Velasca n. 4;
RFI RETE FERROVIARIA ITALIANA s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Mario Bucello, con domicilio eletto presso lo Studio di quest'ultimo in Milano, Via Mozart n. 9;
per l'annullamento
del decreto n. 20.dd.2009 cl 9.10 del 31 agosto 2009 emanato dalla Provincia di Lecco - settore affari generali appalti contratti ed espropriazioni - notificato in data 29 ottobre 2009;
nonché di tutti gli atti preordinati e conseguenti e/o connessi al medesimo, ivi compreso l'avviso di deposito del progetto della Provincia di Lecco del 19.06.2007; il provvedimento di autorizzazione del 20.04.2009 n. 256 emesso dalla Provincia di Lecco ex art. 52 sexies del d.P.R. 8.06.2001 n. 327; il verbale di immissione in possesso redatto da S. in data 26.11.2009, notificato in data 10.12.2009.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di S. s.p.a. e di Italiana s.p.a. Rete Ferroviaria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 marzo 2011 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Il sig. B. M., odierno ricorrente, è proprietario di un terreno sito nel Comune di Cernusco Lombardone, identificato al Catasto Urbano al foglio 2, mappali nn. 508 e 1434.
Detto terreno è attraversato da un metanodotto di proprietà di S. s.p.a. (d'ora innanzi anche S.), posto in adiacenza alla fascia di rispetto di una linea ferroviaria.
La linea ferroviaria è in procinto di essere ampliata; ciò determinerà il conseguente ampliamento della fascia di rispetto la quale andrà a ricomprendere anche la porzione di terreno sulla quale insiste il metanodotto.
Le competenti autorità hanno dovuto quindi individuare un nuovo tracciato della condotta energetica, onde assicurare che questa venga collocata in zona esterna alla fascia di rispetto suindicata.
Con decreto n. 20DD2009 del 31 agosto 2009, la Provincia di Lecco ha disposto l'asservimento in favore di S. s.p.a. dell'area interessata dal nuovo tracciato; area sempre situata all'interno del terreno di proprietà del sig. B..
Avvero tale provvedimento è diretto il ricorso in esame.
Vengono altresì impugnati, con il presente ricorso, l'avviso di deposito del progetto di variante al metanodotto esistente del 19 giugno 2007 (con il quale si è comunicato l'avvio della procedura di asservimento); il provvedimento di autorizzazione n. 256 del 20 aprile 2009, emesso dalla Provincia di Lecco ai sensi dell'art. 52 sexies del d.P.R. n. 327/01; ed infine il verbale di immissione in possesso redatto da S. s.p.a. in data 26 novembre 2009.
Il ricorrente propone inoltre domanda risarcitoria, finalizzata ad ottenere il ristoro della perdita di valore del terreno
Si sono costituite in giudizio S. s.p.a. e RFI Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (d'ora innanzi anche RFI) per resistere al gravame.
La Provincia di Lecco non si è invece costituita.
Con ordinanza n. 297 del 29 dicembre 2010, emessa a seguito dell'udienza di merito tenutasi in data 4 novembre 2010, la Sezione ha disposto l'espletamento di incombenti istruttori.
La causa è stata quindi chiamata nuovamente all'udienza pubblica del 31 marzo 2011, in esito alla quale è stata trattenuta dal Collegio in decisione.
2. Prima passare all'esame dei motivi di merito proposti, occorre rilevare che S. eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del gravame per tardiva impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità.
Como noto, le eccezioni di carattere processuale vanno di regola esaminate prioritariamente ai motivi di merito. Nel caso di specie tuttavia il ricorrente, con il secondo motivo e con il terzo motivo, contesta proprio l'omessa comunicazione nei suoi confronti del provvedimento con il quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera, deducendo di averne preso conoscenza solo con la notifica del provvedimento che ha decretato l'asservimento dell'area. In particolare con il secondo motivo l'istante lamenta la mancata comunicazione personale del provvedimento n. 256 del 20 aprile 2009, con il quale la Provincia di Lecco ha approvato il progetto di variante del metanodotto, ha apposto il vincolo preordinato all'esproprio, ed ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera.
Analoga censura è contenuta nel terzo mezzo di gravame, con il quale si deduce la violazione degli artt. 17 e 52 quater del d.P.R. n. 327/01 che, a dire del ricorrente, avrebbero imposto la comunicazione personale, mediante raccomandata con avviso di ricevimento o altra forma equipollente, della conclusione del procedimento unico finalizzato all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio ed alla dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
L'eccezione sollevata da S. va quindi esaminata congiuntamente ai suindicati motivi giacché, ove questi fossero fondati, l'impugnazione qui proposta avverso il decreto di dichiarazione di pubblica utilità non potrebbe considerarsi tardiva.
2.1. In proposito si osserva quanto segue.
In base all'art. 52 ter, comma primo, del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità") "Per le infrastrutture lineari energetiche, qualora il numero dei destinatari sia superiore a cinquanta, ogni comunicazione, notificazione o avviso previsto dal presente testo unico e riguardante l'iter per l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio o la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera è effettuato mediante pubblico avviso da affiggere all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili interessati dalla infrastruttura lineare energetica, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili interessati dall'opera".
E' pacifico che l'opera da realizzare nel caso concreto rientri nella nozione di "infrastruttura lineare energetica" di cui alla citata norma stante l'espressa qualificazione in tal senso operata dall'art. 52 bis, comma primo, dello stesso d.P.R. n. 327/01, in base al quale "Ai fini del presente decreto si intendono per infrastrutture lineari energetiche (fra l'altro) i gasdotti....".
Ciò premesso, va osservato che, ad esito dell'istruttoria disposta dalla Sezione, la Provincia di Lecco ha depositato in giudizio documentazione dalla quale si evince che i soggetti interessati dalla procedura espropriativa ammontano in totale a 71.
Ne discende dunque l'applicabilità della disposizione recata dal citato comma primo dell'art. 52 ter.
Tale conclusione non può essere smentita richiamando il combinato disposto degli artt. 17 e 52 quater, comma 7, del d.P.R. n. 327/01. In base a quest'ultima disposizione, l'Autorità espropriante è tenuta a comunicare ai proprietari delle aree interessate dagli espropri l'avvenuta conclusione del procedimento unico, in esito al quale viene apposto il vincolo preordinato all'espropriazione e viene dichiarata la pubblica utilità dell'opera. La norma richiama le disposizioni di cui all'art. 17, comma 2, il quale stabilisce a sua volta che "Mediante raccomandata con avviso di ricevimento o altra forma di comunicazione equipollente al proprietario è data notizia della data in cui è diventato efficace l'atto che ha approvato il progetto definitivo e della facoltà di prendere visione della relativa documentazione. Al proprietario è contestualmente comunicato che può fornire ogni utile elemento per determinare il valore da attribuire all'area ai fini della liquidazione della indennità di esproprio".
Secondo il ricorrente il richiamo a quest'ultima disposizione sarebbe segno della volontà del legislatore di imporre comunque la comunicazione individuale dell'avvenuta approvazione del provvedimento che dichiara la pubblica utilità, anche qualora i destinatari della comunicazione siano in numero superiori a cinquanta.
Tale conclusione, a parere del Collegio, non è corretta, quantomeno nei casi in cui, come quello in esame, l'opera da realizzare consista in una infrastruttura lineare energetica. Invero come già osservato, l'art. 52 bis, comma 2, prevede che, per tale tipologia di opere (e sempre che il numero dei destinatari sia superiore a cinquanta), la procedura semplificata ivi prevista può essere attuata per tutte le comunicazioni, le notifiche e gli avvisi previsti dal testo unico, comprese quindi anche le comunicazioni riguardanti l'avvenuta conclusione del suindicato procedimento unico.
E' palmare dunque la differenza fra questa disposizione e la norma di contenuto analogo di cui all'art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 327/01 la quale, nel prevedere la possibilità di attuare una procedura semplificata simile a quella sopra esaminata per la generalità delle procedure espropriative (aventi ad oggetto opere diverse dalle infrastrutture lineari energetiche), fa riferimento esclusivo alle comunicazioni riguardanti l'avviso di avvio del procedimento, e non anche alla comunicazione dell'avvenuta dichiarazione di pubblica utilità.
La ragione di tale differenza risiede nelle esigenze di celerità che connotano sempre le procedure volte alla realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche, la cui sussistenza è testimoniata dalla presenza delle diverse disposizioni speciali che dettano norme derogatorie di semplificazione (emblematica in tal senso è la previsione di un procedimento unico per l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e per la dichiarazione di pubblica utilità): con gli artt. 52 bis e seguenti del d. P.R. n. 327/01 il legislatore ha infatti voluto introdurre una disciplina normativa che configura procedure caratterizzate da snellezza e semplicità affinché si assicuri sempre una pronta realizzazione delle suddette infrastrutture; è quindi logico ritenere che l'intenzione sia stata quella di semplificare anche le procedure di comunicazione dei provvedimenti con i quali viene dichiarata la pubblica utilità dell'opera.
Il richiamo all'art. 17, comma secondo, è pertanto pienamente operativo solo nel caso in cui i destinatari della comunicazione siano pari o inferiori a cinquanta; mentre nel caso contrario vale solo con riferimento al contenuto da dare alla comunicazione, giacché in ogni caso gli interessati debbono essere informati, come stabilisce tale norma, oltre che dell'avvenuta approvazione degli atti, della facoltà di prendere visione della relativa documentazione, nonché della facoltà di fornire ogni utile elemento per determinare il valore da attribuire all'area ai fini della liquidazione della indennità di esproprio.
2.2. Ciò premesso in punto di diritto va osservato, in punto di fatto, che l'Autorità espropriate non ha fatto corretta applicazione delle suindicate norme.
Invero se da un lato, come ammette lo stesso ricorrente, il provvedimento di autorizzazione n. 256 del 20 aprile 2009, con cui è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera, è stato pubblicato all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili interessati dall'infrastruttura, nonché su due quotidiani di cui uno a diffusione nazionale e altro a diffusione locale; non è stata invece dimostrata l'avvenuta pubblicazione del provvedimento sul sito informatico della Regione.
In verità, nella relazione depositata in atti, in esecuzione dell'ordinanza istruttoria, il Dirigente del Sevizio dichiara di aver proceduto ad una pubblicazione sul sito della Regione; ma tale adempimento non può riguardare il provvedimento qui considerato giacché, come riferisce lo stesso Responsabile, tale pubblicazione è avvenuta nel periodo 19 giugno 2007 - 9 luglio 2007, mentre il provvedimento di dichiarazione della pubblica utilità è stato adottato, come visto, in data 20 aprile 2009 e quindi in epoca successiva a quel periodo.
L'omissione determina il mancato perfezionamento della procedura e quindi l'inefficacia della comunicazione ai proprietari interessati.
2.3. Occorre a questo punto verificare quali siano le conseguenze che tale violazione determina.
Il ricorrente pretende di farne derivare l'illegittimità del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità e, di conseguenza, richiamando l'istituto dell'invalidità derivata, del provvedimento che ha disposto l'asservimento dell'area.
La tesi non può essere condivisa.
Costituisce invero principio consolidato in giurisprudenza che la procedura di comunicazione del provvedimento amministrativo costituisce fase autonoma e separata da quella antecedente diretta alla deliberazione ed alla formazione del suo contenuto, esaurita la quale l'atto è ormai perfezionato. Ne consegue che i vizi che inficiano la procedura di comunicazione non si riverberano sulla validità del provvedimento, ma assumono rilievo esclusivo ai fini della conoscenza legale dello stesso, nel senso che, non essendosi la procedura correttamente realizzata, il destinatario dell'atto non può considerarsi legalmente a conoscenza dello stesso (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 02 febbraio 2009, n. 543).
Pertanto, se da un lato sono infondati i motivi sollevati dal ricorrente, giacché l'atto non può considersi illegittimo per le irregolarità commesse nella fase di comunicazione dello stesso; da altro lato neppure fondata è l'eccezione di tardività dell'impugnazione sollevata da S.; eccezione che postula, contrariamente a quanto avvenuto nella realtà, il corretto e completo espletamento della procedura partecipativa (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 86 riguardante proprio il caso di omessa comunicazione del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità ai sensi dell'art. 17 comma 2, del d.P.R. n. 327/01).
Vanno quindi disattesi sia l'eccezione processuale sollevata da parte resistente, sia il secondo ed il terzo motivo di ricorso,
3. Può ora essere affrontato l'esame degli altri motivi di merito.
Come anticipato, con il primo mezzo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 7 e 8 della legge sul procedimento amministrativo, posto che l'Autorità ha omesso di comunicargli l'avvio del procedimento espropriativo.
3.1. In proposito è sufficiente rilevare che il ricorrente ha di fatto partecipato al procedimento finalizzato alla emanazione del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità dell'opera presentando memorie poi disattese dall'Amministrazione procedente; come noto, è pacifico in giurisprudenza il principio secondo il quale l'avvenuta conoscenza aliunde della sussistenza del procedimento da parte dell'interessato e l'effettiva partecipazione allo stesso da parte di quest'ultimo sanano l'omessa comunicazione dell'avvio, posto che scopo degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241/90 è proprio quello di permettere a chi ne abbia interesse la partecipazione procedimentale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 7 dicembre 2005 n. 6990; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 14 dicembre 2010, n. 2908; T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 29 aprile 2010, n. 216).
La doglianza non può quindi essere accolta, neppure se si ammettesse, come afferma il ricorrente, che la comunicazione di avviso di avvio del procedimento avrebbe dovuto essergli inoltrata personalmente (ma l'affermazione non è corretta in quanto come visto i proprietari interessati sono in numero superiore a cinquanta) o, comunque, che le procedure di comunicazione collettiva di cui al citato art. 11 non siano state correttamente espletate.
4. Con il quarto motivo l'istante, dopo aver premesso che l'Amministrazione si è avvalsa nel caso concreto della procedura accelerata di cui all'art. 22 del d.P.R. n. 327/01, lamenta che nel provvedimento di asservimento non sono state indicate le ragioni di particolare urgenza che hanno indotto l'Autorità ad avvalersi di tale procedura, contravvenendo in tal modo, secondo la sua opinione, al disposto di tale norma. Inoltre sempre nel quarto motivo, si evidenzia che con il decreto di asservimento è stata altresì disposta l'occupazione temporanea dell'area; ma la qualificazione di "temporanea" data all'occupazione" sarebbe, a dire dell'istante, erronea in quanto avente durata superiore a dodici mesi. Da ciò l'interessato fa discendere un altro motivo di illegittimità del provvedimento.
4.1. Per quanto concerne il primo profilo, va rilevato che, nel caso concreto, essendo i proprietari espropriati in numero superiore a cinquanta, non era necessario individuare - ed indicare nel provvedimento di asservimento - ragioni di particolare urgenza che giustificassero il ricorso alla procedura accelerata di cui all'art. 22 del d.P.R. n. 327/01.
Stabilisce infatti il secondo comma, lett. b), di tale disposizione che il decreto di esproprio può essere emanato ed eseguito in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione senza particolari indagini o formalità "allorché il numero dei destinatari della procedura espropriativa sia superiore a cinquanta"; senza che in questo caso sia quindi necessario dimostrare la sussistenza di ragioni di particolari urgenza.
4.2. Per ciò che concerne il secondo profilo, si osserva innanzitutto che il decreto di asservimento autorizza S. ad occupare le aree per un periodo di dodici mesi decorrenti dalla data del provvedimento di approvazione del progetto definitivo. Il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità stabilisce, a sua volta, a tutela degli interessi del proprietario a non vedersi assoggettato a tale dichiarazione nonostante l'ipotetica perdurante inerzia dell'Amministrazione a completare l'opera, che i lavori siano conclusi entro tre anni dalla data del decreto stesso (il decreto non dice quindi che i lavori possono protrarsi per tre anni).
I due atti non sono pertanto in contraddizione, come sembra sostenere il ricorrente.
In ogni caso l'Amministrazione, qualora le circostanze concrete lo avessero richiesto, ben avrebbe potuto disporre che l'occupazione si sarebbe potuta protrarre per tre anni, senza per ciò violare alcuna disposizione, e senza per ciò far perdere la qualificazione di "temporanea" all'occupazione stessa: nessuna norma stabilisce, infatti, il termine massimo di dodici mesi per l'occupazione temporanea finalizzata alla realizzazione delle opere; mentre la giurisprudenza richiamata a contrario dal ricorrente non si riferisce alle occupazioni di aree da espropriare ma, come correttamente rileva la difesa di S., alla tassa di occupazione di suolo pubblico.
Anche il motivo in esame non merita pertanto accoglimento.
5. Infine nel quinto mezzo, si deduce il vizio di eccesso di potere dovuto, secondo la prospettazione di parte, all'irrazionalità della scelta compiuta dall'Amministrazione procedente la quale, decidendo di posizionare il nuovo tracciato del metanodotto a ridosso della strada pubblica che corre attigua al terreno di sua proprietà, ha completamente inibito lo sfruttamento delle potenzialità edificatorie dell'area. Potenzialità che invece sarebbero rimaste intatte qualora si fossero esaminate soluzioni alternative ritenute praticabili dall'interessato.
5.1. In proposito si osserva che la giurisprudenza afferma in maniera costante che le scelte operate dalla pubblica amministrazione in ordine alla localizzazione delle opere pubbliche o di pubblica utilità costituiscono valutazioni di merito amministrativo, e sono di massima sottratte al sindacato del giudice, il quale non può sostituire il proprio giudizio a quello di graduazione degli interessi già operato dall'autorità procedente. Il sindacato giurisdizionale può quindi compiersi solo quando la valutazione discrezionale trasmodi in eccesso di potere, e cioè quando questa sia palesemente inficiata da illogicità, travisamento di fatti o, comunque, quando nell'operazione di graduazione degli interessi operata dall'amministrazione non si sia tenuto conto di tutti gli interessi coinvolti (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 11 gennaio 2011, n. 50; T.A.R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 18 luglio 2008, n. 360; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 05 dicembre 2007, n. 12589).
Nel caso concreto, come anticipato, il ricorrente ha partecipato al procedimento finalizzato all'approvazione del progetto definitivo dell'opera ed alla dichiarazione di pubblica utilità; e nel corso di tale procedimento egli ha dedotto le doglianze poi riportate nel motivo qui in esame, proponendo soluzioni alternative.
Risulta tuttavia dagli atti che S. ha preso in considerazione le soluzioni proposte dall'istante e, controdeducendo alle sue osservazioni, le ha respinte rilevando, in primo luogo, che tali soluzioni "...prevedono un tracciato completamente diverso da quello progettato, il quale vincola pesantemente altre e diverse proprietà ad esclusivo beneficio dei mappali dello stesso B."; ma soprattutto che sulle aree di proprietà dell'interessato è già preclusa la possibilità di edificazione in quanto rientranti in Zona a verde paesaggistico.
Questo passaggio è a parere del Collegio decisivo in quanto l'interessato pretende di valorizzare un interesse, quello all'edificazione appunto, che tuttavia è già stato sacrificato dagli strumenti di pianificazione urbanistica.
Né può darsi rilievo alla speranza che la pianificazione futura cambi la destinazione urbanistica delle aree stesse, destinandole a vocazione residenziale, giacché trattasi di aspettativa di mero fatto (che non si sa se e quando potrà realizzarsi), e che quindi non può dare consistenza ad un interesse concreto degno di sopravanzare gli altri interessi tenuti in considerazione nell'operazione di scelta di localizzazione del nuovo tracciato del metanodotto.
La valutazione compiuta dall'autorità procedente non presenta quindi quei profili di manifesta illogicità che soli potrebbero giustificare il sindacato di questo giudice; anche il motivo in esame è quindi infondato.
6. Essendo i motivi di ricorso tutti infondati va di conseguenza rigettata anche la domanda risarcitoria.
7. In conclusione, per le motivazioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.
8. Sussistono nondimeno giustificate ragioni per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 31 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Domenico Giordano
L'ESTENSORE
Stefano Celeste Cozzi
IL REFERENDARIO
Dario Simeoli
Depositata in Segreteria il 13 maggio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Espropriazione illegittima: paga la Cooperativa edilizia?
Sabato 11 Giugno 2011 15:22
Alessandra Vindigni
N. 654/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 3057 Reg. Ric.
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3057 del 2009, proposto da:
Coop. Edilizia a r.l. "B.", in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'Avv. Salvatore Cittadino, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Salvatore Cittadino in Catania, via O. Scammacca, 23/C;
contro
Comune di Caltagirone, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Paterniti La Via, con domicilio eletto presso lo stesso avv. Pietro Paterniti La Via in Catania, viale XX Settembre, 19;
per l'annullamento
- dell'ordinanza ingiunzione n. 3/09, prot. n. 55911 del 15.10.2009, notificata in data 16.10.2009, con cui il Comune di Caltagirone e specificatamente il Dirigente dell'Area 4^ assumendo di essere creditore nei confronti della Cooperativa, odierna ricorrente, della somma che il medesimo Comune ha pagato ai proprietari dell'area assegnata alla cooperativa a seguito della Sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 334/02, ha ingiunto alla Cooperativa B. il pagamento della complessiva somma di Euro 100.590, 28 e di ogni altro atto antecedente, connesso o conseguenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Caltagirone;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il dott. Maria Stella Boscarino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio la Coop. Edilizia a r.l. "B." impugnava l'ordinanza ingiunzione n. 3/09, prot. n. 55911 del 15.10.2009, notificata in data 16.10.2009, con cui il Comune di Caltagirone, premettendo di aver corrisposto somme a titolo di risarcimento dei danni ai proprietari dell'area assegnata alla cooperativa in diritto di superficie (aree sulle quali la ricorrente aveva realizzato il proprio programma costruttivo) a seguito della Sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 334/02, aveva ingiunto alla Cooperativa B. il pagamento della complessiva somma di Euro 100.590, 28.
Il Comune aveva ritenuto che tali somme potessero essere pretese in capo alla Cooperativa Edilizia in dipendenza dell'obbligo, assunto dalla stessa in convenzione, di pagamento del corrispettivo dovuto al Comune per l'assegnazione in diritto di superficie delle aree di edilizia residenziale pubblica in questione.
In particolare, l'art. 4 della convenzione del 14.2.1995, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 865/1971, aveva posto a carico della Cooperativa il pagamento al Comune di "una somma pari al costo di acquisizione delle aree sulle quali è concesso il diritto di superficie". Il successivo art. 6, lett.a), aveva ulteriormente precisato che "la Cooperativa si obbliga altresì a pagare direttamente o ad anticipare al Comune le ulteriori somme che, a qualsiasi titolo, dovranno o potranno essere riconosciute con provvedimento dell'autorità giudiziaria in via definitiva".
Il Comune aveva pertanto ritenuto che la Cooperativa fosse tenuta a pagare direttamente, o ad anticipare al Comune, le somme che questi risultasse tenuto a pagare a qualsiasi titolo per l'acquisizione delle aree a seguito di un provvedimento definitivo dell'Autorità Giudiziaria.
La Cooperativa, con il ricorso in epigrafe, avversava tale pretesa, ritenendola del tutto estranea agli obblighi dalla stessa assunti in convenzione, posto che la condanna al risarcimento dei danni era stata originata dall'annullamento dell'originaria procedura espropriativa per vizi riconducibili esclusivamente a fatto e colpa del Comune.
L'Amm.ne comunale si costituiva in giudizio e sollevava, pregiudizialmente, l'eccezione di difetto di giurisdizione.
Infatti, tutte le controversie in materia di diritti ed obblighi tra concedente e concessionario erano state rimesse dalle parti al giudizio di un collegio arbitrale (art. 18 della convenzione del 14.02.1995). Conseguentemente, secondo il Comune, sarebbe sottratto alla giurisdizione del Giudice Amministrativo ogni sindacato sul provvedimento amministrativo di ingiunzione alla Cooperativa di pagare quanto ancora dovuto a titolo di corrispettivo della concessione; provvedimento sindacabile soltanto innanzi al Collegio Arbitrale, a norma della su richiamata clausola compromissoria.
A contrasto di tale pregiudiziale eccezione la ricorrente, con memoria depositata il 7 gennaio 2011, sollevava diversi tipi di obiezioni, deducendo, sotto un primo profilo, la nullità della clausola compromissoria ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. perché non approvata con separata sottoscrizione, e, sotto un secondo profilo eccepiva che il Comune di Caltagirone con l'ordine di pagamento avrebbe automaticamente rinunciato alla clausola compromissoria.
La ricorrente, inoltre, invocava l'art. 3 della L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), che al comma 21 ha previsto che nel caso di contratti sottoscritti precedentemente all'entrata in vigore della legge che prevedano clausole compromissorie è obbligatorio declinare la competenza arbitrale, se i relativi collegi arbitrali non si sono ancora costituiti alla data del 30 settembre 2007.
Il Comune, oltre a replicare a tali eccezioni, deduceva che, comunque, la controversia non apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Le somme che la Cooperativa è stata diffidata a pagare con l'ordinanza oggetto di causa costituiscono, secondo il Comune, il corrispettivo dovuto dalla Cooperativa concessionaria al Comune per l'acquisizione delle aree su cui la stessa ha realizzato il proprio programma costruttivo di edilizia agevolata convenzionata, secondo quanto previsto dall'art. 4 della convenzione.
E poichè l'attività svolta dallo Stato o dagli Enti pubblici in materia di edilizia popolare integra una fattispecie di "servizio pubblico", materia che, successivamente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 204/04, è stata sottratta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, in ogni caso la questione sarebbe sottratta a questo Giudice.
Questo Tribunale, con ordinanza cautelare n. 19/10 del 12 gennaio 2010, negava la chiesta sospensione, ritenendo infondato il ricorso introduttivo, alla luce dell'art. 6 della convenzione.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, con ordinanza n. 283/10, riformava in appello la decisione cautelare di questo TAR, disponendo, nelle more del giudizio di merito, la sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato ed affermando che "appare necessario che la controversia sia esaminata nel merito con particolare riferimento all'eccezione di difetto di giurisdizione, che è stata sollevata dall'Amministrazione appellata".
Le parti hanno prodotto memorie, insistendo nelle rispettive difese.
Infine, all'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011, esaurita la trattazione orale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
I. Come esposto in premesse di fatto, la controversia riguarda la legittimità o meno dell'ingiunzione di pagamento emessa da parte del Comune a carico della Cooperativa Edilizia resistente per somme dovute dal Comune stesso ai proprietari espropriati a titolo di risarcimento danni per illegittima occupazione, somme che da parte dell'Amm.ne si ritengono rientrare nel corrispettivo dovuto dalla Cooperativa al Comune per l'assegnazione in diritto di superficie delle aree di edilizia residenziale pubblica su cui la ricorrente ha realizzato il proprio programma costruttivo.
Ciò posto, preliminarmente va risolta la questione, agitata dalle parti, circa la giurisdizione a conoscere della controversia, questione sulla quale si sono delineate in premesse le rispettive contrapposte posizioni delle parti ricorrente e resistente.
Il Collegio ritiene che la questione sia devoluta a questo Giudice amm.vo, sulla base del condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo il quale nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, così come individuata nell'art. 34 l. 21 luglio 2000 n. 205, rientra la controversia riguardante il pagamento del corrispettivo versato dall'ente pubblico per l'acquisizione di un'area di piano per l'edilizia economica e popolare, giacché la scelta di inserire un'area in un piano per l'edilizia economica e popolare, così come la concessione in superficie ad una cooperativa edilizia, costituisce un concreto uso del territorio, espressione al tempo stesso di esercizio di poteri pubblicistici, in funzione dell'interesse pubblico che l'ente ha voluto perseguire, e fonte - sub specie della convenzione - di obblighi e diritti nei confronti dei soggetti privati beneficiari dell'assegnazione dell'area (Consiglio Stato, sez. IV, 11 ottobre 2001, n. 5359).
Anche in materia di obbligazioni di carattere risarcitorio la Giurisprudenza ha ritenuto che la convenzione ex art. 35 della I. n. 865 del 1971 con la quale sono cedute aree destinate all'edilizia economica e popolare a una cooperativa, che si obbliga all'edificazione ed urbanizzazione a determinate condizioni, è riconducibile ad una fattispecie pubblicisticamente connotata nella quale qualsiasi forma di intervento, anche atto ad incidere sul rapporto, può ritenersi attratta, ex art. 5 della 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nella quale rientrano nella giurisdizione anche le vicende risarcitorie del rapporto (T.A.R. Lazio Latina, 01 settembre 2005, n. 662).
Più di recente, la S.C. di Cassazione Civ., SS.UU., con sent. N. 7573 del 30.3.2009, dopo ampia disamina della normativa che regola l'espropriazione e la successiva assegnazione delle aree da destinare ad edilizia economica e popolare (alla quale per brevità si fa rinvio), con specifico riferimento alle convenzioni stipulate per atto pubblico tra amministrazione e richiedente, ivi incluse le convenzioni di cui all'art. 35 della L. n. 865/1971, dopo aver qualificato le stesse "contratti di diritto pubblico che, accessivi alle determinazioni autoritative della P.A., danno vita a rapporti qualificabili come concessioni amministrative complesse", la cui cognizione è devoluta ex art. 5 della L. n. 1034/1971 (applicabile alla fattispecie in esame) alla giurisdizione amm.va esclusiva, fatta salva la competenza dell'AGO per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ha precisato che tale deroga è "limitata alle controversie relative al mero pagamento delle somme dovute in ragione dei titoli indicati, ...., che non comportano alcuna indagine sul contenuto del rapporto e sugli atti posti in essere dalla PA al momento della sua costituzione o nel corso del suo svolgimento, non anche a quelle nelle quali si discuta della determinazione del contenuto dell'obbligazione stessa, qual è anche la determinazione della somma da corrispondere".
Ebbene, il caso in esame consiste in una controversia circa la portata della convenzione, nella parte in cui ha previsto la corresponsione da parte della Cooperativa del corrispettivo del diritto di superficie, dovendosi interpretare la relativa clausola e la legittimità della stessa, sotto lo specifico aspetto se debba o meno intendersi ricompreso il rimborso di somme dovute a titolo di risarcimento dei danni per illegittima occupazione.
Pertanto, contrariamente alle tesi difensive dell'Amm.ne, la questione non è sottratta alla cognizione di questo Giudice.
II. Tanto chiarito, occorre soffermarsi sulla compromettibilità in arbitri della controversia, per come previsto dall' art. 18 della convenzione del 14.02.1995.
La stessa va esclusa, sebbene per ragioni diverse da quelle opposte dalla Difesa di parte ricorrente, e precisamente va ritenuta la nullità della clausola compromissoria in quanto, sussistendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 5 della legge n. 1034 del 1971 e trattandosi di una convenzione anteriore alla legge n. 205 del 2000, è esclusa la possibilità di ricorrere all'arbitrato, non potendo avere alcun rilievo (sanante) il sopravvenuto art. 6 della legge n. 205 del 2000: la suddetta norma sopravvenuta, in mancanza della espressa previsione della sua efficacia retroattiva, non può infatti avere effetti sananti della originaria invalidità della clausola stipulata, valutata sulla base delle norme vigenti al momento del perfezionamento dell'atto, secondo i principi in materia di successione di leggi nel tempo propri dei contratti.
In proposito, la problematica è stata ben ricostruita da T.A.R. Lazio Roma, con sentenza della sez. II, 23 marzo 2006, n. 2073, con la quale si è chiarito che "antecedentemente all'entrata in vigore dell'art. 6 comma 2, l. n. 205 del 2000 - il quale ha previsto che le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto - era giurisprudenza consolidata che il potere giurisdizionale degli arbitri, in quanto trova fondamento nella volontà delle parti di derogare convenzionalmente alla competenza del giudice civile, sussiste solo nell'ambito della giurisdizione di quest'ultimo; ne consegue che non potevano essere deferite al giudice privato controversie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordinario per essere la materia deferita al giudice amministrativo, sia come giurisdizione generale di legittimità, sia come giurisdizione esclusiva, con conseguente nullità delle clausole convenzionali che deferivano alla competenza arbitrale le controversie relative a situazioni di diritto soggettivo rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In tale contesto, la disposizione di cui all'art. 6 comma 2, l. n. 205 del 2000, risolve un problema di merito in quanto investe la validità del compromesso o della clausola arbitrale, ma alla stessa non può riconoscersi efficacia sanante dell'originaria invalidità del compromesso o della clausola arbitrale, stipulati anteriormente all'entrata in vigore della stessa, in assenza di una specifica previsione di efficacia retroattiva della menzionata norma".
Nello stesso senso: Cassazione civile, sez. un. , 18 novembre 2008, n. 27336 e 29 aprile 2009, n. 9952; più di recente, T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 18 novembre 2010, n. 10394.
Ne consegue la nullità della clausola arbitrale in questione; la quale, per inciso, sarebbe comunque nulla per una ulteriore autonoma causa, trattandosi di arbitrato secondo equità, come espressamente stabilito nell'ultimo capoverso dell'art. 18 della convenzione di cui trattasi.
In proposito, la Giurisprudenza ha chiarito che il ricorso all'arbitrato, previsto dall'art. 6, comma 2, l. 21 luglio 2000 n. 205, nelle controversie concernenti materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo l'art. 34 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, è possibile solo per le controversie da risolvere mediante arbitrato rituale di diritto, e non anche quando la clausola compromissoria demandi agli arbitri una decisione da adottare secondo equità. (Cassazione civile, sez. un. , 25 novembre 2008, n. 28043).
III. Così definite le questioni pregiudiziali, nel merito il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, alla luce delle considerazioni che seguono, alle quali occorre brevemente premettere che, dall'esame della documentazione in atti, ed in particolare la Convenzione e le decisioni giurisprudenziali da cui origina il contenzioso, risulta che:
la Cooperativa ricorrente venne ammessa nell'anno 1985 a contributo regionale per la realizzazione di un programma sociale costruttivo a proprietà indivisa per la realizzazione di 12 alloggi sociali nel Comune di Caltagirone; pertanto la Cooperativa chiese l'assegnazione in diritto di superficie di mq 1972 di area.
Il comune, in accoglimento della richiesta, con delib. C.C. del 29.4.1986 n. 77 assegnò alla Coop. S. B. in diritto di superficie l'area in questione.
Il 21.10.1986 venne stipulata la convenzione.
Ma "durante la fase di realizzazione del programma costruttivo (cfr. lett.P delle "premesse" della Convenzione del 14.2.1995) " il TAR Catania accolse il ricorso dei proprietari dei terreni interessati dall'intervento, annullando la delib. CC n. 74/1986 e gli atti conseguenziali, giusta sent. N. 398/1990, confermata in appello con decisione del CGA n. 82/1993.
Pertanto, con delib. C.C. n. 6 del 4.2.1994 il Comune riapprovò il programma costruttivo e, con successiva delib. C.C. n. 135/1994 riassegnò l'area alla Coop. S.B..
Indi venne stipulata, il 14.2.1994, la Convenzione, ove tutti i citati precedenti, anche giudiziari, vennero riportati nelle premesse.
Dalla lettura della sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 334/2003, emessa sul proc. N. 791/1995, incardinato dai proprietari espropriandi per ottenere il risarcimento dei danni da illegittima occupazione, si ricava che, a seguito della delib. C.C. del 29.4.1986 n. 77, di assegnazione dell'area alla Coop. S. B., il Comune, con ordinanza sindacale n. 37 del 17.9.1988, ne disponeva l'occupazione d'urgenza, che veniva eseguita il 31.10.1988.
Il Tribunale, accertato che il programma costruttivo era stato annullato in sede giurisdizionale e che l'immissione in possesso era avvenuta il 31.10.1988 in assenza di valido titolo, con conseguente illegittimità dell'occupazione fino al 4.2.1994 (data di riapprovazione del programma costruttivo), condannava il Comune al risarcimento del danno, determinato con il criterio degli interessi legali sul valore venale del terreno.
Tanto premesso, va ricordato che l'art. 4 della convenzione del 14.2.1995, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 865/1971, aveva posto a carico della Cooperativa il pagamento al Comune di "una somma pari al costo di acquisizione delle aree sulle quali è concesso il diritto di superficie".
Ma il successivo art. 6, lett.a), aveva ulteriormente precisato che "la Cooperativa si obbliga altresì a pagare direttamente o ad anticipare al Comune le ulteriori somme che, a qualsiasi titolo, dovranno o potranno essere riconosciute con provvedimento dell'autorità giudiziaria in via definitiva".
La portata della disposizione da ultimo citata appare apprezzabile se si pone mente alla circostanza che, nella premesse della convenzione del 14.2.1995, venivano dettagliatamente riportati tutti gli antefatti, con particolare riferimento alla circostanza che l'originario programma costruttivo era stato annullato in sede giurisdizionale.
Ebbene, facendo uso degli usuali criteri teleologici in tema di interpretazione del contratto, è agevole desumere che, se l'art. 4 della convenzione del 14.2.1995 si è limitato, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 865/1971, a porre a carico della Cooperativa il pagamento al Comune del costo di acquisizione delle aree, l'art. 6, nell'addossare alla Cooperativa, con una formulazione di chiusura, tutte le "somme che, a qualsiasi titolo, dovranno o potranno essere riconosciute con provvedimento dell'autorità giudiziaria in via definitiva", ha evidentemente avuto lo scopo di tenere indenne l'Amm.ne comunale da qualsiasi pregiudizio economico che sarebbe potuto derivare, anche in futuro, da eventuali contenziosi incardinati da terzi in dipendenza dalla procedura espropriativa in questione.
In altri termini, è evidente l'intento del Comune di garantirsi da futuri esborsi, che al momento della stipula della convenzione (nell'anno 1994) non potevano che apparire altamente probabili, atteso che era già intervenuto l'annullamento degli atti che avevano condotto alla prima immissione in possesso; e tale precedente entrò a far parte della formazione delle volontà delle parti, al momento in cui venne dettagliatamente riportata nelle premesse della convenzione.
Al riguardo, è senz'altro condivisibile l'orientamento espresso da Consiglio Stato, sez. IV, con la decisione n. 4813 del 22 luglio 2010 invocata da parte ricorrente, secondo la quale, nell'ipotesi in cui l'acquisizione delle aree da destinare alla realizzazione dei piani di edilizia economica e popolare avvenga non già mediante le procedure espropriative di legge, bensì come effetto di un fatto illecito che fa sorgere nei proprietari delle aree il diritto al risarcimento del danno per la perdita della proprietà ai sensi dell'art. 2043 c.c., il principio dell'integrale copertura dei costi sostenuti per l'acquisto viene meno, atteso che si è fuori dalla lettera e dalla ratio dell'art. 35, l. 22 ottobre 1971 n. 865, non potendosi fare ricadere sui concessionari delle aree e loro aventi causa i maggiori costi determinatisi in forza di una acquisizione delle aree realizzate con un fatto civilisticamente illecito.
Ma tale principio, secondo il quale il beneficiario non può ritenersi obbligato nei confronti del Comune se non nei soli limiti impostigli dalla legge e dal corretto comportamento dell'Amministrazione, legato alla corretta acquisizione delle aree nel rispetto della procedura espropriativa prevista dalla legge, ben poteva essere invocato dalla Cooperativa prima della stipula della convenzione, allo scopo di circoscrivere la portata delle relative obbligazioni, sottraendosi alla richiesta, da parte del Comune, di essere garantito da ipotetici futuri esborsi in dipendenza da controversie risarcitorie connesse all'annullamento di propri atti.
Ma avendo la Cooperativa, liberamente, pattuito una clausola siffatta, non può oggi sottrarsi al relativo adempimento.
Pertanto, interpretata nei superiori sensi la portata dell'art. 6 della convenzione, ne discende la debenza delle somme pretese dal Comune.
Quanto all'eccezione di prescrizione, la stessa va disattesa, in quanto, come obiettato dal Comune, non si verte in materia di risarcimento danni, ma di obbligo contrattualmente assunto dalla Cooperativa di corrispondere al Comune quanto dallo stesso dovuto a terzi per l'acquisizione delle aree, di guisa che si tratta di rapporto contrattuale, soggetto alla ordinaria prescrizione decennale, decorrente dalla data della notifica della sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 334, depositata il 22.6.2002.
Quanto alla circostanza che non risulterebbero ancora pagate le somme di cui alla richiamata sentenza, occorre ricordare che con l'art. 6, lett.a), della Convenzione la Cooperativa si è obbligata a pagare direttamente " o ad anticipare" al Comune le ulteriori somme riconosciute con provvedimento dell'autorità giudiziaria, per cui non è affatto richiesta la dimostrazione dell'intervenuto pagamento da parte del Comune.
IV. Conclusivamente il ricorso viene rigettato.
Nella complessità delle questioni trattate si ravvisano, in via eccezionale, giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio (cfr., sui presupposti per disporre la compensazione delle spese secondo il nuovo c.p.a., Consiglio di Giustizia Amministrativa - Sezione Giurisdizionale - Sentenza 25 gennaio 2011 n. 89).
P. Q. M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Calogero Ferlisi
L'ESTENSORE
Maria Stella Boscarino
IL CONSIGLIERE
Gabriella Guzzardi
Depositata in Segreteria il 15 marzo 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Espropriazioni illegittime: sul diritto al risarcimento non si discute!
Sabato 11 Giugno 2011 15:03
Alessandra Vindigni
N. 615/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 898 Reg. Ric.
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 898 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da P. S. e S. S., rappresentati e difesi dall'avv. Augusto Saija, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Marco Bredice in Catania, via Umberto, 143;
contro
il Comune di Villafranca Tirrena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Celona, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Paola Strano in Catania, via Napoli, 61
nei confronti di
Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente e Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, presso la quale ope legis domiciliano in Catania, via Vecchia Ognina, 149
per l'annullamento,
previa sospensione dell'efficacia,
- dell'ordinanza n. 2 del 25 gennaio 2010 avente ad oggetto "lavori di realizzazione di un centro di animazione culturale, laboratorio teatrale ed attività culturale per il tempo libero - acquisizione beni utilizzati per scopi di interesse pubblico";
nonché, con motivi aggiunti,
- dell'ordinanza n. 23 del 4 agosto 2010, con cui il Comune ha annullato la precedente ordinanza 2/2010 ed ha acquisito al patrimonio comunale i beni immobili;
nonché per la condanna del Comune al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villafranca Tirrena, dell'Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente e della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 7 aprile 2010 al Comune di Villafranca Tirrena, ed il 2 aprile 2010 all'Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente ed alla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, e depositato il successivo 14 aprile, i ricorrenti espongono:
- di essere proprietari di un complesso artistico mobiliare ed immobiliare situato nel territorio del Comune, in catasto al foglio 3, particelle 3459, 3461, 6, 3369, 1179, 3460, ampio complessivamente 6.000 mq, costituito dai giardini ove è situato il castello di Bauso, un laghetto artificiale, l'ingresso monumentale ed una storica fontana ottocentesca denominata "fontana dei quattro leoni";
- che tale complesso, dal 1996 in avanti, è stato concesso in comodato e quindi in locazione, alla A. srl, allo scopo di utilizzarlo come arena cinematografica e per l'espletamento di attività ricreative e culturali;
- che, con deliberazione di giunta municipale del 2006, il Comune ha approvato un progetto di opera pubblica concernente i lavori per la realizzazione di un centro di animazione culturale e laboratorio teatrale, avviando l'espropriazione dell'immobile;
- che gli odierni ricorrenti hanno proposto ricorso a questo TAR che, con sentenza numero 699/2009, ha accolto la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati;
- che la sentenza è stata confermata con decisione numero 15/2010 del CGARS;
- che, con provvedimento n. prot. 2667 del 30 gennaio 2009 e n. prot. 2415 del giorno 8 luglio 2009, la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina ha comunicato ai ricorrenti l'avvio di un procedimento amministrativo teso alla dichiarazione dell'interesse culturale dell'intero complesso immobiliare ex Parco Castello di Bauso avvertendo il Comune della necessità di essere sentiti in relazione a qualunque intervento urbanistico o edilizio, anche al fine di poter esercitare il diritto di prelazione di cui agli articoli 59 e 60 del D. Lgs. 42/2004;
- che il Comune, con ordinanza numero 2 del 25 gennaio 2010, rep. 4436, ha disposto l'acquisizione al proprio patrimonio indisponibile del Parco del Castello di Bauso, prevedendo il deposito presso la Cassa DD. PP. della somma complessiva di circa euro 78.000,00, determinata per il risarcimento dei danni per la perdita della proprietà.
I ricorrenti affidano il ricorso ai seguenti motivi.
1. Violazione dell'articolo 7 della legge 241/90. Eccesso di potere. Violazione dei principi di giusto procedimento. Il Comune avrebbe avviato e poi concluso il procedimento amministrativo teso all'espropriazione senza coinvolgerli.
2. Violazione falsa applicazione dell'articolo 1 protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dell'articolo 6 della stessa convenzione, ratificati con la legge numero 848/55. Carenza di potere assoluto in relazione alla decisione numero 15/2010 CGARS. Nullità del provvedimento ex articolo 21-septies della legge 241/90. Interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 43 del TU espropriazione. Violazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione. L'istituto dell'acquisizione coattiva sanante di cui all'articolo 43 del TU espropriazione non sarebbe conforme con le disposizioni del primo protocollo della convenzione europea in relazione al già intervenuto annullamento in sede giudiziaria.
3. Non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 43 del TU espropriazione in relazione agli articoli 3, 24, 42, 97, 113 della Carta Costituzionale.
4. Violazione dell'articolo 43 del TU espropriazione. Eccesso di potere anche sotto il profilo dello sviamento dalla causa tipica. Assenza dei presupposti previsti dalla norma. Nel provvedimento mancherebbe una valutazione degli interessi pubblici che possono essere soddisfatti solo ed esclusivamente mediante la realizzazione di un museo, così da giustificare l'acquisizione del complesso.
5. Violazione dell'articolo 43 del TU espropriazione sotto ulteriore profilo. Eccesso di potere per mancanza del necessario presupposto dell'avvenuta modifica del bene. Mancanza di motivazione sotto ulteriore profilo. Nel caso di specie, gli immobili non sarebbero stati modificati fisicamente.
6. Violazione degli articoli 43 e 52 del TU espropriazione e dell'articolo 100 del D. Lgs. 42/2004. Carenza di potere. Difetto di istruttoria. Difetto assoluto di attribuzione. Incompetenza. Violazione dell'articolo 21 della LR numero 80/1977. Violazione degli articoli 59 e 60 del D. Lgs. 42/2004. L'articolo 43 del TU espropriazione non permetterebbe l'acquisizione di beni culturali come quello di cui si tratta; inoltre il Comune non avrebbe in alcun modo coinvolto la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina.
7. Violazione dell'articolo 43, comma sesto, del TU espropriazione. Risarcimento del danno. Valore venale dell'area edificabile e dei beni accessori. I ricorrenti censurano comunque l'entità della somma stanziata ai fini del risarcimento del danno per la perdita della proprietà dell'immobile, reputando, in base alle consulenze di parte, che esso debba essere quantificato nella misura di euro 710.000,00.
Si sono costituiti sia il Comune che l'Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina.
Con ordinanza 7 maggio 2010, n. 560, questa Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato.
Con istanza notificata in data 9 e 10 giugno 2010, i ricorrenti hanno chiesto l'esecuzione della citata ordinanza numero 560, atteso che il Comune non avrebbe provveduto al rilascio dell'area, proseguendo nella modifica dello stato dei luoghi.
Con ordinanza 7 luglio 2010, n. 886, questa Sezione ha rigettato l'istanza.
Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 6 ottobre 2010 alle Amministrazioni costituite, i ricorrenti espongono:
- che il Comune, previa comunicazione di avvio di un nuovo procedimento teso all'adozione di provvedimenti di cui all'articolo 43 TU espropriazioni, e previo annullamento della citata ordinanza numero 2/2010, ha adottato una nuova ordinanza con cui ha acquisito al patrimonio del Comune i beni dei ricorrenti, determinando peraltro in maniera del tutto errata il valore venale dovuto a titolo di risarcimento per equivalenti.
Il ricorso per motivi aggiunti è affidato ai seguenti motivi.
1. A) risarcimento del danno in relazione agli effetti negativi prodotti dei precedenti provvedimenti annullati in via giudiziaria, nonché della ordinanza 2/2010 annullata in autotutela. Illegittimità della ordinanza 2/2010 alla luce dei motivi spiegati con il ricorso introduttivo. Interesse residuale a ricorrere. In seguito all'annullamento dei precedenti provvedimenti occorrerà risarcire l'illegittima occupazione, effettuata in base alla ordinanza numero 13 del 29 ottobre 2008, sino al 5 agosto 2010, data di notifica della ordinanza impugnata con il presente ricorso per motivi aggiunti.
1. B) carenza di potere assoluta. Efficacia preclusiva della decisione numero 15/2010 CGARS. Nullità del provvedimento ex articolo 21-septies della legge 241/90. Interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 43 del TU espropriazione. Violazione degli articoli 42 e 97 della Costituzione. Violazione dell'articolo 43 del TU espropriazione. L'istituto dell'acquisizione coattiva sanante non potrebbe essere applicabile allorché il provvedimento intervenga in un momento in cui spiega efficacia una pronuncia di annullamento.
2. Violazione dell'articolo 43 del TU espropriazione. Assenza dei presupposti previsti dalla norma. Difetto di motivazione. Non vi sarebbe, nel provvedimento impugnato, motivazione circa la ponderazione di tutti gli interessi in conflitto, nonché della impossibilità di percorrere soluzioni alternative, né dell'assoluta necessità di acquisire l'immobile.
3. Violazione dell'articolo 43, comma sesto, del TU espropriazione. Risarcimento del danno. Esatta e congrua determinazione del valore venale dell'area edificabile e dei beni accessori. I ricorrenti censurano comunque l'entità della somma stanziata ai fini del risarcimento del danno per la perdita della proprietà dell'immobile (euro 78.000,00), reputando, in base alle consulenze di parte, che esso debba essere quantificato nella misura di euro 710.000,00.
4. Violazione dell'articolo 100 del D. Lgs. 42/2004. Carenza di potere. Difetto di istruttoria. Incompetenza. Violazione degli articoli 59 e 60 del D. Lgs. 42/2004. L'articolo 43 del TU espropriazione non permetterebbe l'acquisizione di beni culturali come quello di cui si tratta; inoltre il Comune non avrebbe in alcun modo coinvolto la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina.
Con ordinanza 20 ottobre 2010, n. 1338, questa Sezione ha rigettato la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti.
Con secondo ricorso per motivi aggiunti notificato il 5 novembre 2010 alle Amministrazioni costituite, i ricorrenti, in seguito alla sentenza 8 ottobre 2010, n. 293, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 43 TU espropriazioni, propongono i seguenti ulteriori motivi di impugnazione.
1. Nullità degli atti impugnati con il ricorso introduttivo con il primo ricorso per motivi aggiunti per difetto assoluto di attribuzione del potere esercitato nonché per violazione del giudicato. L'eliminazione dall'ordinamento giuridico del citato articolo 43 darebbe luogo ad un vizio di difetto assoluto di attribuzione con conseguente nullità dei provvedimenti amministrativi; inoltre, sussisterebbe una violazione del diritto alla restituzione dei beni sancito dalla citata sentenza n. 699/2009 di questo TAR, confermata con la citata decisione n. 15/2010CGARS.
2. Risarcimento del danno per l'equivalente in relazione all'occupazione usurpativa dei beni. I ricorrenti chiedono un importo di 1.800,00 euro mensili a decorrere dal mese di maggio 2008 e fino alla data dell'effettivo rilascio, con rivalutazione ed interessi, in considerazione della mancata percezione di canone pattuito con terzi per la locazione dei beni.
All'udienza del 9 febbraio 2011 la causa è stata trattata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, in relazione alla domanda di «...una pronuncia di estraneità delle Amministrazioni regionali in ordine alla pretesa dei ricorrenti...», formulata dalla difesa erariale con memoria depositata il 31 dicembre 2010, va precisato che i ricorrenti hanno impugnato esclusivamente atti del Comune, e che i tre ricorsi di cui si tratta sono proposti «...contro...» il Comune e «...nei confronti...» delle Amministrazioni regionali, che si sono in un primo momento costituite per contrastare le ragioni dei ricorrenti; in seguito alla loro dichiarazione di «...non doversi opporre al ricorso...», contenuta in tale memoria, può essere dichiarata la loro carenza di legittimazione passiva e disposta la loro estromissione dal giudizio.
Sempre preliminarmente, deve essere dichiarata la parziale sopravvenuta carenza di interesse per quello che riguarda il ricorso introduttivo, in conseguenza dell'annullamento in via di autotutela della ordinanza n. 2 del 25 gennaio 2010, impugnata con tale ricorso. Permane tuttavia l'interesse dei ricorrenti in relazione alla domanda risarcitoria proposta con tale ricorso.
Deve quindi, ai fini del decidere, essere precisato che l'ordinanza n. 23 del 4 agosto 2010, impugnata con i due ricorsi per motivi aggiunti, è stata emessa in base all'articolo 43 TU espropriazione; tale norma, in corso di giudizio, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte Costituzionale 8 ottobre 2010, n. 293.
Quindi, essendo venuta meno la norma attributiva del potere di acquisizione coattiva dei beni, il provvedimento impugnato deve essere dichiarato nullo sotto l'assorbente profilo del difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell'art. 21-septies della legge 241/90, sussistente nei casi di c.d. "carenza in astratto del potere", vale a dire la mancanza della norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo (ex plurimis, TAR Sicilia - Palermo, Sez. III, 4 novembre 2009, n. 1730).
Residua da statuire sulla domanda risarcitoria, con cui i ricorrenti hanno richiesto, anche in relazione ai provvedimenti annullati con la sentenza 7 aprile 2009, n. 699 di questo TAR, confermata con decisione 26 ottobre 2010, n. 1303 (dispositivo 26 febbraio 2010, n. 15):
a) il risarcimento del danno in forma specifica mediante restituzione dell'intero complesso mobiliare e immobiliare (ricorso introduttivo, pag. 22; primo ricorso per motivi aggiunti, pagg. 19-20; secondo ricorso per motivi aggiunti, pag. 9);
b) il risarcimento per equivalente dei danni derivanti dalla perdita della proprietà del complesso immobiliare di cui si tratta comprensivo anche degli accessori e delle pertinenze (quali il monumentale cancello d'ingresso alla villa, i resti architettonici ed artistici del laghetto, la fontana dei quattro leoni), quantificati in euro 710.000,00; tale domanda viene presentata variamente nei tre ricorsi: nel ricorso introduttivo, a pag. 22, viene qualificata come «...in via subordinata...»; nel primo ricorso per motivi aggiunti, a pag. 20, si chiede di disporre la condanna del Comune, in relazione a questo capo di domanda, «...in ogni caso...», pur essendosi richiesta la restituzione dei beni; nel secondo ricorso per motivi aggiunti questo capo di domanda manca, essendo espressamente richiesta la restituzione dei beni ed il ristoro dei danni derivanti dal mancato godimento, e facendosi generico rinvio alle «...domande (...) di risarcimento per l'equivalente ed in forma specifica già spiegate con il ricorso introdutivo e con il I^ ricorso per motivi aggiunti che in questa sede devono intendersi confermate e riproposte...»; seppure in maniera non sempre lineare, il Collegio ritiene che sia stata proposta in via principale la richiesta di risarcimento in forma specifica mediante restituzione dei beni e, in via subordinata, la richiesta di risarcimento per equivalente;
c) il risarcimento dei danni derivanti dall'illegittimo spossessamento e dal mancato godimento del bene (a fare data dall'inizio della occupazione e fino alla effettiva restituzione), anche in forza dell'esecuzione degli atti ablatori annullati in via giudiziaria o per autotutela, quantificati in euro 15.000,00 (primo ricorso per motivi aggiunti, pag. 19);
d) il risarcimento dei danni derivanti dalla sopraggiunta inefficacia del contratto di locazione del bene sottoscritto il 30 maggio 2007 con la società A. srl, quantificati in euro 52.200,00 oltre interessi e rivalutazione (secondo ricorso per motivi aggiunti, pag. 9);
e) la condanna, oltre che alle spese processuali, alla restituzione della somma di euro 3.000,00 anticipata per il versamento dei contributi unificati.
Il Comune si oppone alla restituzione del bene affermando che essa «... risulterebbe irragionevolmente antieconomica, a fronte del consistente impegno economico sostenuto dal comune per recuperare l'immobile dei ricorrenti, con conseguente violazione dell'articolo 2058 comma 2 del codice civile...» (memoria depositata il 18 gennaio 2011, pag. 3), ritenendo congrua la misura del risarcimento come indicato nella ordinanza impugnata, e concludendo che dalla restituzione del bene deriverebbe al Comune un danno grave e irreparabile anche «... per lo "spreco" del denaro pubblico all'uopo impiegato...» (ibidem, pag. 4).
Sotto tale ultimo profilo, giova ricordare che le pubbliche amministrazioni erano e sono tenute ad effettuare le espropriazioni secondo il modello previsto dalla legge, non configurando né l'istituto dell'acquisizione coattiva sanante, di cui al citato articolo 43, né gli istituti giurisprudenziali originati a partire dalla nota sentenza della Corte di cassazione 26 febbraio 1983, n. 1464, ipotesi legittime di ablazione, ma solo un rimedio extra ordinem concepito per ovviare alla «...nutrita serie di patologie dei procedimenti amministrativi di espropriazione...» (Corte Costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293), da ciò derivandone che la causa di eventuali "sprechi" di denaro pubblico è da ricondurre alle procedure ablative effettuate contra legem.
Né in linea generale è possibile avallare l'orientamento secondo cui sarebbe possibile utilizzare in materia l'art. 2058, comma 2, codice civile, disponendo che il risarcimento avvenga solo per equivalente, in considerazione della eccessiva onerosità per il debitore; la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha infatti, già a partire dal 2000 (sentenze CEDU 30 maggio 2000, n. 24638/94, Carbonara e Ventura e n. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera; sul punto, TAR Sicilia - Palermo, Sez. II, 1° febbraio 2011, n. 175), censurato la pratica della espropriazione cd. "indiretta", o "sostanziale", ed ha affermato «...che l'espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assicurare un sufficiente grado di certezza e permette all'amministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situazione di fatto derivante da «azioni illegali», e ciò sia allorchè essa costituisca conseguenza di un'interpretazione giurisprudenziale, sia allorchè derivi da una legge - con espresso riferimento all'articolo 43 del t.u. qui censurato -, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costituire un'alternativa ad un'espropriazione adottata secondo «buona e debita forma» (Causa Sciarrotta ed altri c. Italia - Terza Sezione - sentenza 12 gennaio 2006 - ricorso n. 14793/02)...» (Corte Costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293); utilizzare in materia il citato art. 2058, comma 2, consentirebbe di far comunque conseguire all'amministrazione un risultato utile in presenza di una procedura espropriativa illegittima; tale interpretazione non può quindi essere accolta.
Ne consegue che «... una volta venuta meno la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l'effetto traslativo, è chiaro che la produzione di quest'ultimo non può prescindere dal concorso della volontà dell'espropriato...» (Cons. Stato, 28 gennaio 2011, n. 676).
Occorre quindi accogliere la domanda di risarcimento del danno in forma specifica mediante restituzione dei beni che i ricorrenti risultano aver proposto in via principale.
La domanda di risarcimento per equivalente del danno derivante dalla mancata percezione dei canoni di locazione da parte delle A. srl, giusto contratto stipulato in data 30 maggio 2007 e registrato in data 8 giugno 2007 al n. 2765 Ag. Entrate di Messina, versato in atti in allegato al ricorso introduttivo sub 9, deve essere rigettata.
Per quanto riguarda il periodo corrente dal 30 maggio 2008 (data di inizio della locazione) fino al 24 novembre 2008 (data di immissione in possesso dei beni da parte del Comune), è in atti la prova che la società A. srl ha avuto il possesso dei beni: risulta infatti dal citato verbale di immissione in possesso allegato al controricorso del Comune che, alla data del 24 novembre 2008, la società A. era nel possesso dei luoghi: «...il Sig. P. S. (...) Produce copia del contratto di locazione intercorrente con la società A. srl con sede in Messina, regolarmente registrato in data 08/06/07 e pertanto dichiara di non poter accedere negli immobili non possedendone le relative chiavi d'accesso (...) si verbalizza che, i sottoscritti incaricati sono entrati dal cancello principale posto alla fine della via ...omissis..., aperto dal Sig. G., collaboratore della ditta A. s.r.l....».
Per quanto riguarda il periodo successivo, si legge nell'impugnata ordinanza 23/2010: «... con riferimento alle doglianze relative all'impossibilità di utilizzo della zona adibita ad Arena cinematografica da parte della ditta A. srl, proprio al fine di consentire il normale prosieguo delle attività precedentemente svolte, nel mese di novembre 2008, sono state consegnate alla predetta Società le chiavi dei lucchetti di accesso applicati ai cancelli d'ingresso, realizzati in ferro battuto...». Il Collegio ritiene quindi che l'immissione in possesso non abbia interferito con il rapporto di locazione, ciò che esclude l'esistenza del danno prospettato dai ricorrenti.
Deve quindi essere rigettata anche la domanda di risarcimento per equivalente in relazione alla illegittima occupazione dei beni, per il periodo corrente dalla data di illegittima occupazione (verificatasi il 24 novembre 2008, come da verbale di immissione in possesso allegato al controricorso del Comune), fino alla data di effettivo rilascio.
E' infatti in linea generale condivisibile l'orientamento secondo cui «...L'utilizzazione senza titolo di un bene di proprietà privata comporta, normalmente, due distinti danni, i quali vanno entrambi risarciti, anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo (CEDU), relativi alla necessaria integrità del ristoro del pregiudizio derivante da attività illecita dell'amministrazione (...) Il secondo danno riguarda la mancata utilizzazione del bene (o del suo corrispondente valore monetario) per il periodo compreso tra l'inizio dalla occupazione senza titolo e la perdita della proprietà...» (CGARS, 18 febbraio 2009, n. 49).
Nel caso di specie tuttavia tale danno non risulta sussistere.
Secondo quanto affermato dai ricorrenti, il complesso, dal 1996 in avanti, era stato concesso in comodato e quindi in locazione alla A. srl, allo scopo di utilizzarlo come arena cinematografica e per l'espletamento di attività ricreative e culturali (ricorso introduttivo, pag. 3); come visto in relazione al precedente capo di domanda, non risulta che l'immissione nel possesso del bene da parte del Comune abbia impedito la sua utilizzazione da parte della A. srl e quindi abbia interferito con il rapporto di locazione; peraltro, proprio i ricorrenti hanno avuto cura di precisare, in sede di ricorso introduttivo che «...Al momento dell'adozione del provvedimento (ma ancora oggi) sono state realizzate opere modeste riconducibili al più ad opere di manutenzione ordinaria (...) l'immobile è rimasto sostanzialmente mutato e non utilizzato, nè destinato alla pubblica utilizzazione...» (pag. 16).
La parziale soccombenza reciproca costituisce motivo per la compensazione integrale delle spese di giudizio fra le parti.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione II interna), definitivamente pronunciando:
- dichiara il ricorso parte inammissibile, nei confronti dell'Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente e della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, e parte improcedibile;
- lo accoglie per la restante parte nei sensi e nei limiti di cui in motivazione;
- per l'effetto, dichiara nullo il provvedimento impugnato con i due motivi aggiunti ed ordina la restituzione dei beni ai ricorrenti proprietari.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Filippo Giamportone
L'ESTENSORE
Diego Spampinato
IL CONSIGLIERE
Francesco Brugaletta
Depositata in Segreteria il 15 marzo 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Aree requisite per i terremotati: vanno risarciti i concessionari delle aree?
Giovedì 09 Giugno 2011 15:08
Carmelo Anzalone
|
N. 59/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 370 Reg. Ric.
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 370 del 2006, proposto da:
T. S.a.s., rappresentato e difeso dagli avv. Sandro Picchiarelli, Marzio Vaccari, con domicilio eletto presso lo stesso in Perugia, via Baglioni, 10;
contro
Comune di Valtopina, rappresentato e difeso dall'avv. Alarico Mariani Marini, con domicilio eletto presso il medesimo in Perugia, via Mario Angeloni, 80/B;
per l'annullamento
RISARCIMENTO DEL DANNO A SEGUITO DI REQUISIZIONE DI AREA OVE E' STATO REALIZZATO UN IMPIANTO SPORTIVO
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Valtopina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Carlo Luigi Cardoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1 - La società ricorrente era concessionaria di un'area di proprietà comunale nella quale aveva realizzato un impianto per le competizioni di go-kart.
A seguito del sisma del 1997 tale area fu requisita dalla Prefettura che vi installò prefabbricati per il ricovero della popolazione.
La permanenza di tali fabbricati si è protratta per molti anni impedendo alla ricorrente di utilizzare il suddetto impianto.
2 - Con il presente ricorso viene citato in giudizio il Comune resistente con due distinte e coesistenti azioni: l'aquiliana e la contrattuale, ambedue volte al risarcimento dei danni patiti dall'istante a causa del mancato utilizzo dell'impianto..
3 - A sostegno delle domande il ricorrente, sostiene, in sintesi, che:
- il Comune sarebbe rimasto colpevolmente inerte nel predisporre un non meglio definito piano di protezione civile che avrebbe dovuto, a dire della ricorrente, individuare preventivamente le aree da utilizzarsi per gli scopi di cui trattasi;
- l'omessa redazione del piano (qui si delinea l'azione aquiliana) avrebbe causato o quanto meno non impedito la requisizione di cui trattasi (impugnata con ricorso straordinario al capo dello Stato) così provocando o concorrendo a provocare il danno;
- il Comune non avrebbe informato il ricorrente, in sede di stipula del negozio di concessione (qui si rinvengono i connotati dell'azione contrattuale) della possibilità che, in assenza del ridetto piano, l'area avrebbe potuto essere requisita per gli scopi in parola, circostanza che, se nota, avrebbe potuto incidere o sulla determinazione di stipulare il contratto concessorio o, quantomeno, sulle condizioni del medesimo.
4 - L'Amministrazione si è costituita controdeducendo puntualmente.
5 - Il Collegio ritiene inammissibile l'azione aquiliana.
Difatti, nel farraginoso quadro normativo che disciplina la protezione civile (L. n. 996/1970; art. 3, comma 2, DPR n. 9/1972; art. 88, comma 9, D.P.R. n. 616/1977; D.P.R. n. 66/1981; L. n. 225/1992; L. n. 343/2001; art. 79 D.Lgs. n. 300/1979 300/1999) il Comune, rectius il Sindaco, assume sempre la veste di organo improprio dell'Amministrazione Statale.
Per vero, le competenze in materia sono tutte esplicitamente riservate allo Stato (art. 88, comma 9^, D.P.R. n. . 616/1977) ed il Sindaco, quale Ufficiale del Governo, è organo locale di protezione civile (art. 16, comma 1^ D.P.R. n. . 66/1981) e risponde al Prefetto (nell'ambito di un rapporto gerarchico improprio) ex art. 15, comma 3^, L. n. 225/1992.
6 - E' dunque evidente che nessuna responsabilità extracontrattuale possa essere imputata al Comune, palesemente privo, per quanto esposto, di legittimazione passiva, donde la rilevata inammissibilità dell'azione aquiliana.
7 - L'azione contrattuale è invece infondata.
Invero, come nota l'attenta difesa del Comune, non vengono dedotti specifici vizi del consenso, (segnatamente l'errore o il dolo) relativamente al contratto di concessione.
In più, sul piano sostanziale, si mette in evidenza come non consti l'esistenza, almeno in base a norme di relazione (le sole idonee a costituire in capo ai cittadini posizioni giuridiche tutelabili), di un obbligo giuridico di pianificazione in capo all'amministrazione comunale.
Infatti, la ricorrente si richiama (come chiarito anche in Udienza) solo a norme di azione (circolari prefettizie del 17 ottobre 1986, 16 novembre 1987, 26 aprile 1990) destinate ai Sindaci, chiaramente nella loro qualità di Ufficiali del Governo (vedi sopra), nelle quali si invitano gli stessi a predisporre piani di azione in caso di calamità, senza tuttavia prevedere specifiche e vincolanti zonizzazioni preventive per l'installazione di prefabbricati o simili.
Nel confuso sistema normativo, lo si nota solo per completezza, si rinviene, per vero, soltanto un piano provinciale di protezione civile (art. 14 D.P.R. n. 66 /1981), a cura del Prefetto (art. 14 L. n. 225/92), fra i cui contenuti (art. 20 D.P.R. n. 66/1981) non è però presente alcun obbligo di zonizzazione.
8 - Considerato tutto quanto precede, non si vede proprio come possa immaginarsi che il Comune, nella sua qualità di contraente, dovesse informare la ricorrente dell'omissione da parte del Sindaco, quale Ufficiale del Governo (la dicotomia funzionale è nozione istituzionale da non illustrarsi), di un obbligo inesistente, almeno così come la ricorrente lo configura.
Inoltre, anche ammettendo, per assurdo, l'esistenza di un obbligo del genere, non è comunque dimostrato alcun nesso eziologico fra il danno, l'inerzia ed il silenzio in sede negoziale.
Un simile nesso, presupporrebbe infatti la non dimostrata né prospettata efficacia vincolante del fantomatico piano sulle scelte delle aree da requisire, nel senso che potrebbero essere requisite soltanto quelle indicate nel piano medesimo.
Solo in tale ipotesi, infatti, si potrebbe forse immaginare un obbligo del contraente di informare la controparte, ma ciò, si badi bene, solamente ove l'area oggetto del contratto fosse inclusa fra quelle destinate all'eventuale requisizione.
Un obbligo del genere, viceversa, diverrebbe del tutto evanescente nel caso in cui non fosse stato redatto alcun piano (come lamenta la ricorrente) giacché in una simile situazione, ancorché in presenza di un'ipotetica efficacia vincolante del piano, qualsiasi area del territorio comunale potrebbe essere soggetta a requisizione.
Si tratta comunque di ipotesi astratte, lontane dal concreto atteggiarsi della fattispecie in esame nella quale, come si è visto, patentemente difettano gli elementi essenziali della responsabilità contrattuale.
9 - In conclusione, per le considerazioni sin qui espresse, il ricorso dev'essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, ma possono essere compensate per la metà in considerazione della novità della questione.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo rigetta ed in parte lo dichiara inammissibile come specificato in motivazione;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali complessivamente liquidate, dopo la loro compensazione in ragione della metà, in euro 2.000 (duemila), oltre agli oneri di legge ed alle ulteriori spese che dovessero eventualmente rendersi necessarie.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Perugia nella Camera di Consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con l'intervento dei Magistrati:
IL PRESIDENTE
Cesare Lamberti
L'ESTENSORE
Carlo Luigi Cardoni
IL CONSIGLIERE
Pierfrancesco Ungari
Depositata in Segreteria il 25 febbraio 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
|
|
|