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    Immobile comunale destinato a uffici giudiziari: quale natura?

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    N. 25/2013 Reg. Prov. Coll.

    N. 207 Reg. Ric.

    ANNO 2012

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 207 del 2012, proposto da:

    Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Potenza, corso 18 Agosto 1860;

    contro

    Comune di Potenza in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Concetta Matera, con domicilio eletto presso l'ufficio legale comunale in Potenza, via N. Sauro- Palazzo della Mobilità;

    nei confronti di

    M. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Piccolo, Cesare Oliva e Fabrizio Perla, con domicilio eletto presso Fernando Molinari Avv. in Potenza, viale Marconi, n. 90;

    e con l'intervento di

    ad adiuvandum:

    Associazione di Avvocati "Autonomia Forense" Sede di Policoro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Montagna, Nicola Cataldo, Clemente Delli Colli, Luciano Petrullo e Leonardo Pinto, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Potenza, via Rosica, n. 89;

    per l'annullamento

    - della delibera n. 84 del 30.7.2008 del Consiglio Comunale di Potenza avente ad oggetto "Immobile sede degli uffici giudiziari. Alienazione con patto di locazione" con la quale il Consiglio Comunale di Potenza ha deciso di procedere all'alienazione, con patto di locazione, dell'immobile destinato a sede degli Uffici giudiziari a condizione che l'acquirente non ne modifichi le attuali condizioni d'uso;

    - della determinazione dirigenziale n. 67 del 22.12.2008 di approvazione dello schema di avviso pubblico in esecuzione della Delibera n. 84/2008 e della successiva determinazione n. 16 del 25.2.2009 di riapertura dei termini dell'avviso;

     

    - della determinazione dirigenziale n. 117 del 5/6.5.2011 di approvazione degli schemi dell'avviso pubblico, del documento descrittivo e del contratto di locazione inerenti la proposta della M. s.r.l.;

    - della determinazione dirigenziale n. 203 del 6.7.2011 con cui si è dichiarata deserta la gara e si è disposto avvio della procedura negoziata con l'originario proponente M. s.r.l.;

    -degli atti sconosciuti di perfezionamento della procedura negoziata e di aggiudicazione dell'immobile sede degli uffici giudiziari e del collegato schema di contratto di locazione alla M. s.r.l. con sede in Napoli e dei conseguenti atti negoziali posti in essere in data 28/12/11 (contratto preliminare di vendita e collegato contratto di locazione);

    - di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale comunque lesivo degli interessi dell'Amministrazione ricorrente, ivi compresa la nota n. 24673 del 5/4/2012.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Potenza e di M. Srl;

    Visto l'atto di intervento "ad adiuvandum" dell'associazione Autonomia Forense;

    Vista l'ordinanza collegiale n. 96 del 21/6/12 di accoglimento dell'istanza incidentale di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati e di fissazione dell'udienza di discussione del presente gravame;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2012 il dott. Giancarlo Pennetti e uditi per le parti i difensori Avv. Amedeo Speranza, per il Ministero ricorrente; Avv. Concetta Matera, per il Comune intimato; Avv.ti Clemente Delli Colli e Vincenzo Montagna, quest'ultimo anche in sostituzione dell' Avv. Leonardo Pinto, per l'associazione interveniente; Avv.ti Paolo Piccolo, Cesare Oliva e Fabrizio Perla, per la società controinteressata;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Premette il Ministero ricorrente che gli uffici giudiziari di Potenza sono collocati in un edificio di mq. 14.022 a suo tempo costruito con diversi finanziamenti statali concessi al comune ai sensi dell'art. 2 l. n. 26/57 (contributi erogati con provvedimenti del 20/9/72 e del 2/3/78), dell'art. 11 del d.l. 662/79 (contributo erogato con provvedimento del 13/5/81), dell'art. 28 della legge n. 146/80 e dell'art. 19 l. n. 119/81 (contributi erogati con provvedimenti del 6/3/84, del 12/8/87, del 17/1/89 e del 28/11/91) per un importo complessivo di euro 17.345.160,00. A sua volta il comune ha contribuito alla costruzione del palazzo con fondi propri e/o mutui a proprio carico contratti con la Cassa Depositi e Prestiti per euro 4.751.405,27. L'edificio in parola è sottoposto al vincolo della destinazione ad uso uffici giudiziari. Ciò premesso il Ministero fa presente che soltanto con nota n. 24673 del 5/4/12 il Comune lo ha portato a conoscenza dell'adozione degli atti impugnati fra i quali la delibera n. 84/08 con cui il consiglio comunale di Potenza ha deciso di procedere all'alienazione, con patto di locazione, dell'immobile destinato a sede degli uffici giudiziari a condizione che l'acquirente non ne modifichi le attuali condizioni d'uso.

    Rileva il ricorrente che il comune con la sopraindicata delibera ha considerato che il valore del costo di costruzione del palazzo di giustizia fosse pari a circa euro 53.200.000 e che in caso di sua vendita il canone annuo dovuto per prenderlo in locazione sarebbe stato pari circa a euro 3.100,000; in tal modo con la vendita l'alienante avrebbe ricavato l'immediata disponibilità dell'intero prezzo senza particolari oneri a proprio carico e ciò in considerazione del fatto che la spesa per il canone solo apparentemente avrebbe gravato sulle casse comunali, onerando in realtà totalmente lo Stato, in quanto, secondo l'amministrazione, "l'art. 1 della.....Legge n. 392/41 prevede che lo Stato rimborsi, attraverso un contributo annuale disciplinato dal d.p.r. n. 187/98, le spese per le pigioni ai comuni nei quali hanno sede gli Uffici Giudiziari" (cfr. delib. n. 84/08). Dalla summenzionata nota è emerso che il comune ha poi aggiudicato la vendita dell'immobile alla M. s.r.l. con sede in Napoli, per il minore importo di 32 milioni di euro e che in data 28/12/11 sarebbe stato stipulato con tale società un preliminare di vendita con annesso un contratto di locazione dell'immobile in favore del comune di durata trentennale col quale assume l'obbligo di pagare un canone annuo pari a 3.290.000 euro.

    Avverso gli atti impugnati, col presente gravame, notificato il 25 e 26 maggio 2012 e depositato il 6 giugno 2012, si deduce quanto segue:

    1.- violazione degli artt. 2 l. n. 26/57, 11 d.l. n. 662/79, 28 l. n. 146/80 e 19 l. n. 119/81- violazione dell'art. 828 co. 2 c.c.- violazione e disapplicazione di provvedimenti ministeriali statali: segnatamente, decreti interministeriali 15/4/72 e 7/1/77 di approvazione dei progetti e decreti vari di approvazione delle perizie di variante successive- privazione di causa giuridica ai decreti di finanziamento- eccesso di potere.

    Premesso che le leggi di finanziamento della realizzazione dell'opera hanno determinato il vincolo di destinazione sulla stessa avente natura pubblica, si rileva che lo stesso è sostanzialmente diverso rispetto al vincolo privatistico di mantenimento della destinazione a uso ufficio giudiziario pattuito in atti negoziali di diritto privato. In quest'ultimo caso infatti il vincolo non è opponibile a terzi aventi causa dall'acquirente né sarebbe suscettibile di trascrizione. Si aggiunge ancora che l'attuazione dell'obbligo di mantenimento della destinazione a sede di uffici giudiziari è stata dedotta ad oggetto di un autonomo contratto di locazione e che pertanto trattandosi di obbligazione inserita in un rapporto sinallagmatico vi sarebbe il concreto rischio che una qualsiasi inadempienza contrattuale del comune (p.e. ritardo del pagamento nel canone) legittimi il locatore a chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto (e la liberazione dal vincolo). Conseguenze non riproducibili nel caso del vincolo di destinazione di natura pubblica.

    Ancora si rileva che fra i modi di sottrazione dei beni patrimoniali indisponibili non risulta previsto che possano adottarsi atti negoziali. Il comune non sarebbe legittimato a modificare con propri atti amministrativi gli effetti derivanti dai provvedimenti statali non solo con riferimento agli atti di finanziamento ma anche con riguardo ai singoli atti di approvazione dei progetti di variante. Si aggiunge che poiché i provvedimenti di finanziamento hanno come propria causa l'assicurare il bene effettivamente a sede di uffici giudiziari, il mutamento di destinazione comporterebbe l'obbligo del comune di restituire l'intero importo dei finanziamenti;

    2.- violazione ed erronea interpretazione degli artt. 29 del d.l. 269/03 convertito nella legge 326/03.

    La disciplina citata in rubrica e invocata dal comune non giustifica gli atti impugnati atteso chè riguarda solo la cessione di immobili dello Stato. Oltretutto detta norma dispone che la vendita faccia venire meno l'uso governativo, ovvero l'uso pubblico ma ciò è stato escluso proprio per il fatto che il comune nella vendita ha inserito l'obbligo per l'acquirente di mantenere la suddetta destinazione;

    3.-violazione degli articoli 7 e ss. l. n. 241/90.

    E' stata omessa la formalità in rubrica benchè la delibera n. 83/08 coinvolgesse certamente la posizione del Ministero della Giustizia;

    4.-violazione ed erronea interpretazione dell'art. 12 della legge n. 127/97.

    La disciplina in rubrica, anch'essa richiamata dal comune nelle determinazioni impugnate, riguarda in realtà unicamente le alienazioni del patrimonio disponibile e non anche la fattispecie. Inoltre, la vendita avrebbe dovuto essere preceduta da un regolamento dell'ente interessato, nella specie insussistente;

    5.-violazione ed erronea interpretazione dell'art. 1 l. n. 392/41 e del d.p.r. n. 187/98.

    Sarebbe in errore il comune là dove, negli atti impugnati, ritiene che l'art. 1 in rubrica preveda la corresponsione al comune d'un contributo pari al canone che sarà pattuito e pagato dal comune al nuovo proprietario. Ciò in primo luogo perché la determinazione del contributo avviene a seguito di valutazioni e apprezzamenti, anche discrezionali, di più organi. In ogni caso il contributo annuo tiene conto delle erogazioni appositamente fatte dallo stato per la provvista dei locali degli uffici giudiziari con i finanziamenti eventualmente già assentiti per la loro costruzione: tali erogazioni, proprio perché finalizzate alla provvista stabile e definitiva dei locali, costituirebbero anticipazioni dei contributi e tali sono configurati dalle richiamate leggi nn. 26/57, 662/79, 146/80 e 118/81. Non sarebbe sostenibile che lo Stato, che ha pagato i 4/5 della costruzione (anticipando i contributi annui) veda dispersa e azzerata tale anticipazione e si veda costretto a pagare al comune non più il contributo annuo depurato dai citati 4/5 del costo dell'immobile già pagato dallo Stato, bensì il contributo pieno commisurato all'intero valore locativo del bene. Comunque poi il comune non sarebbe legittimato a ottenere dallo Stato qualunque canone eventualmente pattuito con i privati ma solo un canone corrispondente ai criteri comuni di mercato. Nella specie quello accordato alla società acquirente, pari a oltre il 10% del prezzo di acquisto sarebbe fuori mercato.

    Si costituito il Comune di Potenza che resiste e deduce l'irricevibilità, l'inammissibilità dell'impugnativa per difetto di giurisdizione in relazione agli atti negoziali posti in essere il 28/12/11, l'inammissibilità del ricorso relativamente alla nota del 5/4/12, l'inammissibilità del ricorso per carenza d'interesse posto che l'alienazione dell'immobile di proprietà comunale non pregiudica la destinazione, nonché l'infondatezza del gravame.

    Analoghe eccezioni vengono sollevate dalla contro interessata M. oltre alla deduzione d'infondatezza del gravame.

    Con autonomo atto di intervento ad adiuvandum si è costituita l'Associazione di Avvocati "Autonomia Forense" che chiede l'accoglimento del gravame.

    Con ordinanza collegiale n. 96 del 21/6/12 è stata accolta l'istanza incidentale di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati e fissata l'udienza di discussione del presente gravame.

    Nella pubblica udienza del 22 novembre 2012 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

    DIRITTO

    Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti. La stessa è fondata limitatamente alla domanda di annullamento del contratto preliminare di vendita e del collegato contratto di locazione dato che la cognizione sugli stessi è riservata alla cognizione dell'AGO cui quindi l'amministrazione statale istante, ai fini della "translatio", deve rivolgersi al fine della declaratoria d'invalidità. Viceversa l'eccezione non ha pregio se, come si evince dalla memoria della contro interessata Maya del 23/10/12, riguarda pure la domanda di annullamento della delibera consiliare comunale (erroneamente denominata determina dirigenziale) n. 84/08. Con quest'ultima infatti l'amministrazione, valutata la situazione finanziaria comunale con particolare riferimento a quella debitoria, ha ritenuto di alleggerire il peso dell'indebitamento "anche attraverso procedure di dismissione del patrimonio immobiliare del comune sia disponibile che indisponibile", individuando nell'immobile destinato a sede degli uffici giudiziari un bene da alienare e prevedendo pure, di tale dismissione, l'articolazione procedimentale. Trattasi dunque, con evidenza, d'un atto di esercizio della potestà discrezionale dell'amministrazione di scelta d'una modalità di realizzazione di nuove entrate e del bene da sottoporre a dismissione; il tutto, per intrinseca natura giuridica di tale delibera e delle correlate posizioni giuridiche dei soggetti toccati da tali scelte amministrative, da ricondurre alla competenza giurisdizionale del G.A..

    Occorre ora esaminare le eccezioni di tardività del gravame, basate sia sul presupposto dell'applicabilità, nella fattispecie, del principio generale per cui il termine d'impugnazione da parte dei soggetti non direttamente contemplati dai provvedimenti di cui si chiede l'annullamento decorre dalla data della loro pubblicazione e sia sull'assunto della estraneità del Ministero ad una procedura di vendita. Le eccezioni sono infondate, come già chiarito nell'ordinanza cautelare n. 96/12.

    Infatti, la delibera consiliare n. 84 del 30/7/08, avente a proprio oggetto specifico l'alienazione con patto di locazione dell'immobile sede degli uffici giudiziari e che dispone in modo definitivo la vendita del Palazzo di Giustizia di Potenza (da definire sul piano procedurale mediante successivi atti di competenza della Direzione Generale dell'ente) contempla espressamente il Ministero della Giustizia (pag. 2 della relazione sindacale) quale fruitore del vincolo di destinazione afferente l'immobile in parola e come tale onerato "ex lege" del rimborso al comune degli oneri di gestione per l'uso della sede degli uffici giudiziari. Ne consegue che al Ministero ricorrente, per la posizione giuridica rivestita, riconducibile a quella di soggetto destinatario degli effetti giuridici della statuizione amministrativa adottata, tale delibera doveva essere notificata o comunicata individualmente. Viceversa, solo con la nota prot. n. 24673 del 5/4/12 (con allegati il contratto preliminare e lo schema di contratto di locazione) il Comune ha informato il Ministero della Giustizia dell'esistenza di detta delibera nonché di tutte le altre determine e sviluppi procedurali intervenuti fino alla sottoscrizione del contratto preliminare del 28/12/11 e del collegato schema di contratto di locazione. Appunto a seguito di detta comunicazione si è formata la piena conoscenza in capo al Ministero ricorrente.

    Pure infondate paiono a questo collegio le eccezioni di inammissibilità. Queste ultime sono riconducibili tutte all'assunto che l'alienazione dell'immobile di proprietà comunale destinato a sede di uffici giudiziari non pregiudica tale destinazione; in altri termini, il sistema di negozi collegati posto in essere dalle parti con la previsione, contestualmente alla sigla del contratto definitivo di compravendita dell'immobile fra il Comune e la M., della stipula, fra le medesime parti, d'un contratto di locazione del detto immobile, adibito a sede degli uffici giudiziari di Potenza, finirebbe per mantenere la destinazione attuale senza pregiudizio nella sfera giuridica del Ministero.

    Senonchè sul punto il collegio rileva che la posizione giuridica qualificata posto a base dell'azione giurisdizionale promossa dal Ministero ricorrente, nella specie, trova il suo sostrato sostanziale, dal punto di vista giuridico, nell'essere il ricorrente il soggetto concretamente fruitore del vincolo di destinazione gravante sull'immobile, dell'avere esso Ministero a suo tempo concesso, ai fini dell'edificazione dell'immobile in parola, importanti contributi finanziari pubblici a favore del Comune quale soggetto realizzatore e proprietario dello stesso e infine dell'essere, detto Ministero, assieme ad altri Ministeri, tenuto per legge (cfr. art. 2 l. n. 392/41) ad erogare un contributo annuale alla spese, obbligatorie per i comuni, necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, pigioni etc. meglio specificate nell'art. 1 comma 1 della menzionata legge.

    La lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente che abilita questi a proporre ricorso riguarda pertanto: -in primo luogo l'interesse dell'amministrazione giudiziaria al mantenimento dell'attuale configurazione pubblicistica del vincolo posto a base della menzionata fruizione dell'immobile (alla cui realizzazione lo Stato ha a suo tempo concorso sul piano finanziario) da parte dei servizi giudiziari in esso allocati rispetto al vincolo scaturente dalla novazione del diritto vantato dal comune sull'immobile che da diritto di proprietà diventa diritto personale di godimento col conseguente nuovo regime contrattuale e di diritto comune cui questi deve di necessità soggiacere; -in secondo luogo l'interesse dell'amministrazione statale ad evitare accordi contrattuali basati sul presupposto, contrattualmente inespresso, ma esplicitato nella relazione istruttoria/illustrativa giustificativa della delibera consiliare n. 84/08, secondo cui "il canone di locazione è a carico dello Stato", solo così potendosi evitare effetti finanziari negativi per le casse comunali.

    Per altro verso invece -in accoglimento dell'eccezione sollevata sul punto dal Comune- va dichiarata l'inammissibilità dell'impugnativa della nota comunale prot. n. 24673 del 5/4/12 in quanto atto endoprocedimentale avente la sola funzione di informare il Ministero ricorrente delle vicende relative alla procedura di alienazione, con patto di successiva locazione, dell'immobile sede degli Uffici Giudiziari di Potenza.

    Infine, occorre rigettare l'eccezione, sollevata con la memoria del 18/6/12 dalla controinteressata, secondo cui l'Associazione Professionale intervenuta a sostegno del Ministero sarebbe priva di legittimazione a costituirsi in giudizio. Invero l'associazione intervenuta ha depositato copia dello Statuto fra i cui scopi rientra quello di promuovere ogni utile iniziativa per favorire una corretta ed efficace gestione degli uffici giudiziari. Nella specie, l'intervento "de quo" si giustifica alla luce della medesima esigenza posta a base dell'azione principale e cioè l'ausilio all'impugnativa di quegli atti amministrativi che, nell'ottica degli istanti, espongono i servizi giudiziari (al cui funzionamento gli avvocati concorrono in maniera determinante) al rischio di pregiudizio per la loro corretta ed efficace gestione.

    Tutto ciò esposto occorre passare all'esame del merito del ricorso.

    Va premesso che non può dubitarsi della riconducibilità dell'immobile in questione alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili la cui disciplina di legge è rintracciabile anzitutto negli artt. 826 e 828 c.c. Nella specie si è in presenza di un bene del patrimonio comunale indisponibile per destinazione, fra i quali appunto rientrano gli edifici destinati a sede di uffici pubblici (art. 826 ultimo comma c.c.). Riguardo al regime giuridico l'art. 828 co. 2 stabilisce che tali beni "non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". I beni patrimoniali indisponibili, perciò, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 16/2/11 n. 3813).

    Occorre tuttavia chiarire natura e consistenza giuridica di detto vincolo di destinazione. In particolare occorre chiedersi se, nella fattispecie, si sia in presenza di una vicenda traslativa del bene in parola priva di riflessi modificativi del vincolo di destinazione.

    Sul punto occorre precisare che il citato vincolo, avente natura pubblicistica, trova il proprio fondamento, dal punto di vista formale, nelle delibere comunali a suo tempo (dagli inizi degli anni '70) adottate recanti approvazione del progetto dell'opera e delle richieste al Ministero di Grazia e Giustizia di concessione di contributi straordinari per l'esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia di Potenza, nonché nei decreti ministeriali di concessione di tali contributi adottati a tale specifica finalità della realizzazione del Palazzo di Giustizia di Potenza; dal punto di vista sostanziale, poi, il vincolo si concretizza nell'effettiva utilizzazione dell'opera realizzata per la finalità prevista.

    Ora, ad avviso del collegio, qualsiasi vicenda traslativa d'un bene pubblico patrimoniale indisponibile "per destinazione", implica -tanto più nel caso in cui il bene passi nella proprietà d'un soggetto privato- il problema del regime giuridico del vincolo di destinazione che lo accompagna. Se la commerciabilità del bene non deve implicare anche il vincolo di destinazione, allora la predetta disposizione di cui all'art. 828 co.2, va interpretata non semplicemente come limite alla sottrazione del bene alla sua destinazione ma, in una accezione più ampia, come norma preclusiva di modifiche a tale destinazione pubblicistica effettuate al di fuori dei "modi stabiliti dalle leggi" che riguardano i beni patrimoniali indisponibili. In dottrina è stato notato che, in mancanza, in diritto positivo, d'una regolamentazione generale circa la formazione e l'estinzione della destinazione pubblica, il contenuto positivo della norma positiva viene meno, così restando di essa il contenuto negativo e cioè il richiamo esclusivo del diritto pubblico con esclusione del diritto comune. In altri termini non può ritenersi consentito alle parti contrattuali del trasferimento di proprietà del bene immobile intervenire sulla condizione giuridica del vincolo, sostituendo il regime giuridico pubblicistico dello stesso con un altro di tipo privatistico. Sotto questo profilo è dunque fondato il primo motivo di ricorso atteso chè, attraverso la prefigurazione d'un rapporto contrattuale locativo di diritto privato intercorrente fra l'alienante Comune di Potenza e l'acquirente M. "giustificativo", in termini legali, dell'uso dell'immobile da parte dell'amministrazione giudiziaria, il vincolo di destinazione ha perso la propria originaria connotazione pubblicistica, così come sopra specificata, per assumere quella, tipicamente privatistica, propria degli atti negoziali espressione dell'autonomia privata con conseguente assoggettamento delle sorti giuridiche della "destinazione" dell'immobile alle clausole del contratto e alle norme di diritto comune afferenti il rapporto contrattuale tra le parti (come noto, quello di locazione è contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata). Tali considerazioni trovano puntuale riscontro p.e. nell'art. 3 dello schema contrattuale ( "l'eventuale recesso esercitato da una delle parti in violazione delle disposizioni di cui al presente contratto determinerà l'obbligo al pagamento di una penale calcolata dal Giudice Competente") che dispone che l'eventuale recesso illegittimo è sanzionato solo con la comminatoria di una penale, senza cioè la previsione d'un meccanismo che in tali ipotesi assicuri la stabilità della destinazione. Pari trascuratezza delle esigenze di stabilità del vincolo è rinvenibile nell'art. 9 dello schema contrattuale che vieta al comune di Potenza qualsiasi forma di ritardo nel pagamento del canone locativo e preclude qualsiasi azione o eccezione se non a pagamento già eseguito. La stessa clausola prevede pure che il mancato pagamento anche parziale del canone o delle quote relative agli oneri accessori e/o qualsiasi altro pagamento dovuto dal comune entro i termini e modi contrattualmente previsti determina la risoluzione contrattuale per colpa del Comune medesimo; in sintesi potrebbe accadere che anche un mero ritardo del comune nei propri pagamenti determinerebbe la liberazione della M. dall'obbligo di concedere in locazione l'immobile de quo al comune.

    Non serve poi, come fa il comune di Potenza, richiamare, a garanzia della conservazione del vincolo di destinazione anche dopo l'alienazione dell'immobile e la contestuale concessione in locazione al Comune i rimedi della trascrizione ai sensi degli artt. 2645-ter e 2645 quater del codice civile. Il primo rappresenta una eccezione all'articolo 2740 c.c., per effetto della quale ciascun soggetto risponde delle proprie obbligazioni "con tutti i propri beni presenti e futuri". Secondo quanto prescrive l'articolo in parola, per effetto della trascrizione dell'atto istitutivo di un vincolo di destinazione, quest'ultimo diviene opponibile ai terzi e i beni "vincolati" e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva. La disposizione prefigura un vincolo privatistico di destinazione "atipico", nel quale gli scopi non sono predeterminati dal Legislatore ma rimessi all'autonomia privata, sempreché riconducibili a un giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti (ex art. 1322 co.2 c.c.). A ben vedere il suo richiamo da parte dell'amministrazione conferma il sostanziale azzeramento del regime giuridico pubblicistico del vincolo di destinazione, sostituito da un regime giuridico (ma così facendo da un diverso vincolo di destinazione) a carattere privatistico, del tutto "nuovo" che trae origine dal sistema di negozi collegati posto in essere al fine di svolgere la funzione economica voluta dalle parti; è agevole rilevare come, per effetto di ciò, l'interesse pubblico sotteso alla destinazione all'uso pubblico (uffici giudiziari) dell'immobile in parola veda sfumare i propri caratteri tipici all'interno della indistinta categoria degli interessi meritevoli di tutela rimessi alla valutazione delle parti del contratto.

    Relativamente poi all'art. 2645 quater (Trascrizione di atti costitutivi di vincolo), pure richiamato dall'amministrazione nella memoria difensiva, è vero che esso sembra prefigurare una norma generale in materia di trascrizione di atti costitutivi di vincoli pubblici, ma lo stesso, non può essere preso in considerazione nel senso proposto dall'amministrazione perchè entrato in vigore col d.l. 2/3/12 n. 16, cioè successivamente all'adozione degli atti impugnati. In ogni caso la dottrina, in sede di esame della nuova disposizione, ha già fatto presente che l'art. 2645 quater c.c., quale norma generale in materia di trascrizione, sembra prevedere l'adozione della formalità trascrittiva dei vincoli pubblici su beni immobili con funzione di mero ausilio sul piano della pubblicità notizia, ma non sembra svolgere alcuna funzione sul piano dell'opponibilità dei vincoli.

    Tali considerazioni danno altresì giuridico sostegno al terzo motivo di ricorso (omessa adozione delle formalità partecipative dell'art. 7) atteso chè il Ministero, se previamente informato dell'avvio del procedimento volto a stabilire l'eventuale alienazione dell'immobile avrebbe, nella propria qualità di utilizzatore dell'immobile, potuto partecipare in sede procedimentale -e quindi preventivamente- alla previa "verifica di compatibilità" fra l'alienazione dell'immobile e le condizioni di permanenza della destinazione ad uso pubblico.

    E' poi fondato il secondo motivo di gravame in quanto l'art. 29 (cessione di immobili adibiti ad uffici pubblici) del d.l. n. 269/03, convertito nella legge n. 326/03, richiamato dal comune negli atti impugnati, disciplina esclusivamente la cessione di immobili statali, come si evince chiaramente dall'incipit della disposizione ("Ai fini del perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica previsti per l'anno 2004 attraverso la dismissione di beni immobili dello Stato,.....). Parimenti, è fondato il quarto motivo atteso chè l'articolo 12 (Disposizioni in materia di alienazione degli immobili di proprietà pubblica) della legge n. 127/97 si applica alla vendita dei beni patrimoniali disponibili e non a quelli indisponibili. Inoltre, non risulta mai essere stato adottato il regolamento dell'ente interessato nel quale prefissare e definire criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto di cui è cenno nella norma in questione.

    Pure fondato poi è il quinto motivo di gravame nei sensi che ora si espongono. L'articolo 1 della legge 24/4/41 n. 392 (trasferimento ai comuni del servizio dei locali e dei mobili giudiziari), all'art. 1 comma 1 stabilisce l'obbligatorietà per i comuni delle spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi, per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici, le spese di pulizia dei locali. Il successivo articolo 2 specifica che le spese predette "sono a carico esclusivo dei comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari....Ai detti comuni sedi di uffici giudiziari sarà corrisposto invece dallo Stato, a decorrere dal 1° gennaio 1941, un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla presente legge". Si prevede poi la possibilità che detti contributi "potranno" essere riveduti ed eventualmente modificati annualmente e comunque in ogni momento in presenza di particolari esigenze, con decreto del Ministro della Giustizia.

    Tanto premesso, ne consegue l'erroneità dell'assunto, riportato nella relazione giustificativa della delibera di consiglio comunale impugnata, secondo cui l'art. 1 predetto prevede che lo Stato rimborsi, attraverso un contributo annuale disciplinato dal d.p.r. n. 187/98 (regolamento di disciplina dei procedimenti di concessione ai comuni dei contributi per le spese di gestione degli uffici giudiziari) le spese per le pigioni ai Comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari e che l'entità di tale contributo sia pari al canone che sarà pattuito e pagato dal Comune al nuovo proprietario.

    Invero la normativa regolamentare soprarichiamata prevede che la determinazione del contributo annuo avvenga sulla base d'un procedimento caratterizzato da plurime valutazioni, anche discrezionali di più organi. In particolare l'articolo 2 comma 3 chiarisce che la rata a saldo è determinata tenendo presente: "le spese di cui all'articolo 1 della legge 24 aprile 1941, n. 392, sostenute dai comuni, il parere delle commissioni di manutenzione nonché gli stanziamenti del bilancio di previsione della spesa del Ministero di grazia e giustizia.". Come rilevato dal Ministero ricorrente il limite costituito dalla previsione del singolo stanziamento di bilancio introduce un elemento di incertezza sull'effettiva entità del contributo. Ritiene comunque il collegio che, anche a prescindere dall'ulteriore considerazione attorea secondo cui il contributo annuo tiene conto delle erogazioni fatte dallo Stato per la provvista dei locali degli uffici giudiziari con i finanziamenti già assentiti per la loro costruzione (per cui tali erogazioni sarebbero anticipazioni dei contributi), sta di fatto in ogni caso che il comune non è legittimato ad ottenere dallo Stato qualunque canone eventualmente pattuito con i privati.

    Tanto sopra esposto ne consegue l'accoglimento del gravame con annullamento degli atti e provvedimenti amministrativi impugnati.

    Quanto alle spese, le stesse possono essere compensate nei confronti della M.; relativamente invece al Comune di Potenza, a rettifica dell'errore materiale contenuto nel dispositivo depositato il 30/11/12 nel quale sono state liquidate le spese oltre che in favore del ricorrente anche di due interventori anziché dell'unico costituito in giudizio, questi è tenuto al rimborso di complessivi euro 3.750 di cui euro 2.500 in favore del Ministero ricorrente e di euro 1.250 in favore dell'associazione "Autonomia Forense".

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la delibera consiliare del Comune di Potenza n. 84 del 30/7/08 e gli atti consequenziali.

    Spese regolate in motivazione.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

    Michele Perrelli - Presidente

    Antonio Ferone - Consigliere

    Giancarlo Pennetti - Consigliere, Estensore

     

    IL PRESIDENTE

    Michele Perrelli

    L'ESTENSORE

    Giancarlo Pennetti

     

    Depositata in Segreteria l'11 gennaio 2013

     

    Informazioni prefettizie e fallimento della società

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    N. 96/2013 Reg. Prov. Coll.
    N. 5082 Reg. Ric.
    ANNO 2012
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 5082 del 2012, proposto da:
    Ministero dell'Interno,
    in persona del Ministro p.t.,
    ex lege rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
    contro
    - C. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.;
    - G. D., in persona del legale rappresentante p.t.,
    costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'avv.to Antonio Romano ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Ennio Luponio, in Roma, via Michele Mercati, 51
    nei confronti di
    Comune di Castel Volturno, in persona del legale rappresentante p.t., non costituitosi in giudizio,
    per la riforma
    della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Prima, n. 1548/2012, resa tra le parti, concernente interdittiva antimafia.
    Visto il ricorso, con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati;
    Visto che non si è costituito in giudizio il Comune di Castel Volturno;
    Viste le memorie prodotte dagli appellati a sostegno delle loro difese;
    Vista l'Ordinanza n. 2943/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 27 luglio 2012, di accoglimento della domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Data per letta, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2012, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
    Uditi, alla stessa udienza, l'avv. Alessandro Maddalo dello Stato per l'appellante e l'avv. Antonio Romano per gli appellati;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
    FATTO
    Viene in decisione l'appello del Ministero dell'Interno avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania indicata in epigrafe, che ha accolto il ricorso dagli odierni appellati proposto in primo grado, anche con successivi motivi aggiunti, per l'annullamento della misura interdittiva antimafia assunta dalla Prefettura di Caserta nei confronti della società C. s.r.l. (con socio unico ed amministratore il sig. G. D. dichiarato fallito con sentenza n. 35/2010 del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con conseguente nomina da parte del curatore fallimentare di un Amministratore giudiziario ), nonché del conseguente provvedimento di risoluzione del vincolo alla sottoscrizione del contratto di appalto avente ad oggetto il servizio di ricovero, custodia e mantenimento di cani vaganti nel territorio comunale adottato dal Comune di Castel Volturno.
    Si sono costituiti, per resistere, la nominata società ed il G. D., riproducendo altresì le ulteriori censure dedotte in primo grado ed ivi assorbite.
    Con successive memorie gli appellati hanno ribadito le loro tesi di inammissibilità ed infondatezza dell'appello, nonché di validità delle doglianze tutte svolte col ricorso originario.
    Non si è costituito in giudizio il Comune di Castel Volturno.
    Con Ordinanza n. 2943/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 27 luglio 2012, è stata accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata.
    La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 18 dicembre 2012.
    DIRITTO
    1. - La sentenza appellata ha accolto il ricorso di primo grado, avendo ritenuto che l'autorità prefettizia, in sede di adozione del provvedimento interdittivo antimafia oggetto del giudizio, non abbia debitamente considerato e ponderato la circostanza, "che assume oggettiva rilevanza ai fini del giudizio sulla cedevolezza dell'azienda ricorrente alla pressione dei tentativi di inquinamento mafioso", dell'intervenuta nomina, a séguito della declaratoria fallimentare del socio unico ed amministratore della società, di un nuovo amministratore ad opera del curatore fallimentare, il che varrebbe così a "spezzare il nesso gestionale della società rispetto agli ambienti di criminalità organizzata".
    L'appello, proposto dall'Amministrazione dell'Interno, è vòlto a sostenere la "non decisività della circostanza posta dal TAR a base del suo ragionamento", stante, si sostiene, l'irrilevanza della presenza di un amministratore giudiziario ai fini dell'emissione di una informativa antimafia e, quindi, l'erronea valorizzazione di tale elemento operata dal Giudice di primo grado.
    La tesi d'appello è da condividersi.
    Ritiene invero il Collegio che, in ogni caso di estromissione dalla società dell'amministratore sulla cui persona si incentra il giudizio di permeabilità mafiosa e di nomina di un nuovo amministratore a tutela di interessi generali (come nel caso della irrogazione della misura cautelare del sequestro dei beni aziendali e di nomina di un amministratore giudiziario, ovvero nel caso, ricorrente nella fattispecie, di fallimento del socio-amministratore e di nomina del nuovo amministratore da parte della curatela fallimentare), quella nomina non può di per sé azzerare la situazione di possibile condizionamento ed i pericoli di infiltrazioni malavitose, depurando così ex tunc la gestione aziendale e gli amministratori da quei condizionamenti (Cons. St., III, 5 gennaio 2012, n. 1 ), in quanto l'estraneità della nuova gestione dell'impresa da eventuali interferenze mafiose non vale certo ad elidere la presunzione - iuris et de iure - che l'illecita infiltrazione mafiosa possa aver influito con effetto inquinante sull'ésito di procedure di gara, quale quella a conclusione della quale è nato nel caso all'esame il vincolo della cui risoluzione pure qui si discute, attivate sotto la precedente gestione dell'impresa, colpita dalla misura preventiva amministrativa di cui si tratta.
    Quest'ultima, in realtà, fotografa uno stato di fatto, indubbiamente sussistente antecedentemente alla nomina del nuovo amministratore, ma comunque non risalente nel tempo (nel caso all'esame, circa cinque mesi) ed in grado, come s'è detto, di produrre in ogni caso pregiudizievoli riflessi sui rapporti giuridici intrattenuti dall'impresa alla data dell'informativa opposta.
    Né possono rilevare in senso contrario gli interessi (alla soddisfazione massima dei crediti della procedura fallimentare) valorizzati dal T.A.R. in quanto suscettibili di essere "compromessi dalla esistenza di una informativa interdittiva", giacché sugli stessi sicuramente prevalgono quelle garanzie di trasparenza e legalità nell'accesso alle commesse pubbliche, che la normativa antimafia mira specificamente a tutelare (C.G.A.R.S., n. 118/2000 e n. 302/2006) e che l'esistenza di una procedura fallimentare non consente certo di obliterare.
    Ne consegue l'insussistenza del difetto di istruttoria e di motivazione ravvisato dal T.A.R. nel provvedimento interdittivo impugnato sotto il veduto profilo.
    2. - Sono state peraltro riproposte in questa sede le censure dichiarate assorbite in primo grado, così reiterando in grado di appello la tesi dell'inidoneità degli elementi, acquisiti e ritenuti rilevanti dalla Prefettura, a supportare l'emissione di una informativa di tipo interdittivo.
    Tali doglianze sono fondate.
    Va invero osservato che col provvedimento oggetto del giudizio il Prefetto ha accolto la proposta del GIA di emissione di un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della società C. s.r.l. per i seguenti motivi:
    - "l'amministratore unico G. D. Giuseppe è stato dichiarato fallito dal Tribunale di S. Maria C.V. Sez. Fallimentare con sentenze del 27-29/4/2010";
    - D. M. (in compagnia del quale il sig. G. D. era risultato in tre occasioni di controlli operati dai Carabinieri ) è gravato da "pregiudizi per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nonché destinatario nell'anno 2007 del decreto di sequestro preventivo emesso dalla D.I.A. di Napoli per riciclaggio, in quanto ritenuto, unitamente alla moglie P. P., affiliato al clan dei casalesi".
    Tali non sono, ad avviso del Collegio, elementi indiziari in grado di generare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un pericolo di condizionamento mafioso sulla società di cui si tratta.
    Ed infatti:
    - nessuna rilevanza può assumere, ai fini del giudizio demandato all'autorità prefettizia sulla possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali od esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose, l'intervenuto fallimento del socio unico-amministratore, atteso che il fallimento trova, nel nostro ordinamento, il suo unico presupposto in una circostanza di tipo oggettivo quale è lo stato di insolvenza dell'imprenditore, di cui alla L. Fall., art. 5; nemmeno, poi, i fattori di solito indizianti di tale oggettivo elemento (constatazione oggettiva di illiquidità, incapacità a fronteggiare in modo ordinato e generale i propri creditori, paralisi dell'attività aziendale, blocco rilevante - ai fini della gestione caratteristica - dei beni segregati in una procedura esecutiva, dismissione della forza lavoro, pagamenti parziali e preferenziali di alcuni creditori, ecc.) possono, in qualche modo, ritenersi, anche solo in via indiziaria, sintomatici e presuntivi, in assenza nella fattispecie di qualsiasi elemento che consenta di ricondurre la complessità dell'esposizione debitoria che ha portato alla dichiarazione di fallimento a pressioni o tentativi di pressione delle organizzazioni criminali, del collegamento e/o del pericolo di condizionamento mafioso dell'attività di impresa;
    - quanto all'altro elemento (frequentazioni col cugino ritenuto affiliato al clan dei casalesi) assunto a presupposto dell'atto prefettizio limitativo della libertà ed iniziativa d'impresa oggetto del presente giudizio, valga qui ribadire che il solo rapporto di parentela non può costituire da solo un presupposto sufficiente per l'emissione di un provvedimento di tale gravità (Cons. St., VI, 24 novembre 2009, n. 7381) e che, nelle ipotesi in cui la misura interdittiva tragga sostegno dalla frequentazione di soggetti malavitosi, in mancanza (come nel caso di specie) della emersione di una loro specifica significatività e pregnanza quanto alla finalizzazione al condizionamento mafioso dell'attività imprenditoriale, detti accadimenti devono essere valorizzati da ulteriori elementi indiziari, quali il carattere plurimo e stabile di dette frequentazioni (nella fattispecie mancante, atteso che i controlli, su cui il GIA ha basato la sua proposta di emissione di provvedimento interdittivo antimafia, attestano una frequentazione episodica in un arco di tempo limitato - tre mesi - e per di più risalente di circa due anni rispetto al tempo dell'istruttoria compiuta) e la loro connessione con le vicende dell'impresa (elemento, questo, del tutto assente nel contestato giudizio discrezionale dell'Amministrazione), che depongano nel senso di un'attività sintomaticamente connessa a logiche ed interessi malavitosi.
    Ciò posto e considerato che il sindacato di questo Giudice sull'atto in questione è limitato alla verifica della sua ragionevolezza ed adeguatezza, in relazione agli elementi assunti a suo presupposto, nonché alla corretta osservanza delle regole di completezza e sufficienza dell'istruttoria e di esaustività della motivazione posta a fondamento dell'atto limitativo della libertà ed iniziativa di impresa, va rilevato che, così come denunciato con i motivi di gravame proposti e non esaminati in primo grado ed in sede d'appello riprodotti, gli elementi sopra evidenziati non possono giustificare l'adozione della misura interdittiva in parola.
    Deve, pertanto, concludersi che l'informativa in questione si fonda, nella sostanza, non su fatti concreti, ma su un orientamento aprioristico di inibizione dell'attività economica svolta dalla società ricorrente.
    In definitiva, l'Amministrazione, prima di assumere l'atto interdittivo, avrebbe dovuto acquisire ulteriori elementi idonei ad oggettivamente avvalorare il pericolo di infiltrazione mafiosa, dal momento che il quadro indiziario sopra descritto non appare sufficiente a giustificare il formulato giudizio di pericolosità.
    In accoglimento delle censure in questione, la sentenza impugnata va pertanto confermata, se pure con diversa motivazione, nel suo decisum di annullamento dell'impugnato atto del Prefetto di Caserta e degli atti risolutori consequenziali emanati dal Comune di Castel Volturno.
    3. - Alla luce delle suesposte considerazioni l'appello in esame deve, conseguentemente, essere respinto.
    Sussistono giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.
    P. Q. M.
    il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l'effetto, conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.
    Spese compensate.
    Cessano gli effetti dell'Ordinanza n. 2943/2012, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 27 luglio 2012, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata
    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma, addì 18 dicembre 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Terza - riunito in Camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
    Pier Giorgio Lignani, Presidente
    Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
    Angelica Dell'Utri, Consigliere
    Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
    Pierfrancesco Ungari, Consigliere
     
    IL PRESIDENTE
    Pier Giorgio Lignani
    L'ESTENSORE
    Salvatore Cacace
     
    Depositata in Segreteria il 10 gennaio 2013
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

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    N. 418/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 27 Reg. Ric.

    ANNO 2012

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 27 del 2012, proposto dal dott. F. R., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giulio Cerceo e Laura Di Tillio e con domicilio eletto presso lo studio degli stessi, in Pescara, v.le D'Annunzio n. 142

    contro

    Università degli Studi di Chieti - Pescara, in persona del Rettore in carica, ex lege rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di L'Aquila e domiciliata presso gli Uffici di questa, in L'Aquila, via Buccio di Ranallo n. 65/a

    per l'annullamento,

    previa sospensione dell'esecuzione,

    - della nota a firma del Capo Ufficio della Segreteria Studenti dell'Università degli Studi di Chieti - Pescara prot. n. 35 del 29 novembre 2011, ricevuta in data 5 dicembre 2011, con cui è stata respinta la domanda del ricorrente di iscrizione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria senza dover sostenere il relativo concorso di ammissione;

    - di ogni altro atto e provvedimento prodromico, conseguente e connesso

    nonché per l'accertamento

    del diritto del dott. R. ad iscriversi al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria senza dover sostenere il concorso di ammissione, essendo già munito di laurea in Medicina e Chirurgia presso il medesimo Ateneo, previa verifica della disponibilità del relativo posto

    e per la condanna

    dell'Università degli Studi di Chieti - Pescara al risarcimento dei danni patiti e patiendi dal dott. R. a cagione dell'illegittimo diniego di iscrizione.

    Visti il ricorso ed i relativi allegati;

    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi di Chieti - Pescara;

    Vista la documentazione depositata dalla difesa erariale;

    Vista l'ordinanza n. 43/12 dell'8 marzo 2012, con cui è stata respinta l'istanza cautelare;

    Vista la memoria conclusiva depositata dal ricorrente;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Nominato relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2012 il dott. Pietro De Berardinis;

    Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come da verbale;

    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue

    FATTO E DIRITTO

    1. L'odierno ricorrente, dott. F. R., espone di avere conseguito il diploma di laurea in Medicina e Chirurgia (laurea specialistica) in data 26 ottobre 2009 presso l'Università degli Studi di Chieti - Pescara "G. D'Annunzio".

    1.1. Con istanza inoltrata il 13 ottobre 2011, l'esponente, premesso di esser munito del diploma di laurea ora riferito, chiedeva al medesimo Ateneo di essere iscritto al I° o, in alternativa, al II° anno del corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, senza dover sostenere il relativo concorso di ammissione.

    1.2. Con nota prot. n. 35 del 29 novembre 2011 l'Università degli Studi ha rigettato l'istanza, sulla base dell'impossibilità di iscriversi al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, senza aver superato il relativo concorso di ammissione.

    2. Avverso l'ora visto diniego di iscrizione è insorto il dott. R., impugnandolo con il ricorso in epigrafe e chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione.

    2.1. A supporto del gravame, con cui ha presentato, altresì, domanda di accertamento del diritto ad iscriversi al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria senza dover sostenere il concorso di ammissione e domanda di risarcimento del danno, il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

    - violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999, violazione del principio di ragionevolezza ed illogicità dell'azione amministrativa, eccesso di potere per errore sui presupposti, travisamento dei fatti, difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà ed iniquità manifeste, nonché disparità di trattamento, giacché anche dopo l'abrogazione della Tabella XVIII-bis del r.d. 30 settembre 1938, n. 1652, ad opera del combinato disposto dell'art. 24 e dell'All. A del d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008), un principio di ragionevolezza imporrebbe di esonerare dalla prova di ammissione al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria i laureati in Medicina e Chirurgia che intendano iscriversi a detto corso, in quanto soggetti già in possesso dei requisiti necessari, e non potendosi in contrario far riferimento alla l. n. 264/1999, che non disporrebbe nulla sul punto;

    - in via subordinata, illegittimità derivata del provvedimento impugnato per incostituzionalità della l. n. 264/1999, laddove interpretata nel senso che essa impone anche ai candidati già in possesso di un diploma di laurea il superamento della prova di ammissione per poter accedere ai corsi di studi ad accesso programmato, per contrasto con gli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost., con conseguente necessità di rimettere gli atti alla Corte costituzionale.

    2.2. Si è costituita in giudizio l'Università degli Studi di Chieti - Pescara, depositando una relazione (con la relativa documentazione) a supporto della legittimità del proprio operato.

    2.3. Nella Camera di consiglio dell'8 marzo 2012 il Collegio, ritenuto ad un sommario esame che il ricorso non fosse fornito del prescritto fumus boni juris, con ordinanza n. 43/12 ha respinto l'istanza cautelare.

    2.4. In vista dell'udienza pubblica il ricorrente ha depositato una memoria difensiva, insistendo per l'accoglimento del gravame.

    2.5. All'udienza dell'11 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

    3. Il ricorso è infondato.

    3.1. Come affermato dal medesimo ricorrente, in base al combinato disposto dell'art. 24 e dell'All. A del d.l. n. 112/2008 (conv. con l. n. 133/2008) è stato abrogato il r.d. 30 settembre 1938, n. 1652, recante disposizioni sull'ordinamento didattico universitario. Per l'effetto, è stata abrogata anche la tabella XVIII-bis di tale regio decreto, disciplinante la laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, la quale al penultimo comma consentiva le abbreviazioni di corso ai laureati in Medicina e Chirurgia, con iscrizione degli stessi al secondo anno del menzionato corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria: ciò, in subordine al numero dei posti resisi disponibili all'inizio del secondo anno e dopo il decorso di un anno accademico dal conseguimento della laurea precedente. Conseguentemente, è venuta meno la base normativa su cui l'odierno ricorrente ha fondato la propria pretesa, che, perciò, non può trovare accoglimento.

    3.2. In contrario, non può sostenersi, come si fa nel gravame, che l'ora vista abrogazione abbia dato luogo ad una grave e non colmata lacuna legislativa, alla quale si dovrebbe supplire con il richiamo al principio di ragionevolezza, che permetterebbe di continuare ad esonerare i laureati in Medicina e Chirurgia, che intendano iscriversi al corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria, dal dover sostenere e superare la relativa prova di ammissione. Da un lato, infatti, l'abrogazione riportata non ha per nulla generato quell'asserita lacuna legislativa che il ricorrente pretende di colmare nel modo descritto, ma - si ripete - ha avuto il significato inequivoco di far venir meno, in data anteriore alla presentazione dell'istanza di iscrizione da parte del dott. R., il supporto normativo su cui detta istanza era basata, rendendola inaccoglibile. Il senso dell'intervenuta abrogazione, infatti, non può che essere quello di non consentire più per il futuro l'iscrizione dei laureati in Medicina e Chirurgia al secondo anno del corso di laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria con esonero dal superamento della prova di ammissione a tale corso di laurea.

    3.3. Sotto altro profilo, il richiamo al principio di ragionevolezza non pare condivisibile, atteso che, come correttamente sottolinea l'Università nella sua relazione, la ratio sottesa alla previsione di una prova preselettiva per l'accesso programmato a taluni corsi di laurea (cd. numero chiuso) nulla ha a che vedere con quella della normativa - si ribadisce, abrogata - che consentiva l'abbreviazione del corso di studi, a determinate condizioni, per gli studenti già in possesso di altra laurea. Sul punto il Collegio ritiene di dover pienamente condividere l'insegnamento di quella giurisprudenza (C.d.S., Sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7278), che ha messo in evidenza come la ratio della disciplina sugli accessi programmati ex l. n. 264/1999 sia la necessità di contenere il numero degli studenti per certi corsi di laurea, che, se eccessivamente affollati, non potrebbero garantire adeguati livelli formativi. In quest'ottica, l'accesso programmato mira sì a valutare l'attitudine dei candidati, ma in funzione di definire il numero ottimale degli iscritti e, perciò, prescinde totalmente dal "curriculum" percorso dallo studente, con il corollario dell'irrilevanza, ai fini di stabilire il numero ottimale di studenti per la frequenza del corso, del fatto che si tratti di uno studente già in possesso di laurea in Medicina e Chirurgia.

    3.4. La peculiare finalità di contenimento del numero degli studenti iscritti a certi corsi di laurea per garantire il miglior livello qualitativo degli stessi, propria della normativa sull'accesso programmato ex l. n. 264/1999, consente di evidenziare l'erroneità della tesi del ricorrente, che, invece, individua la finalità delle prove preselettive nella valutazione di attitudine ed idoneità dei candidati al corso di laurea in Odontoiatria: così ragionando, il ricorrente ne deduce il corollario che una simile finalità già sarebbe soddisfatta per i possessori della laurea in Medicina e Chirurgia, per il semplice fatto di essere in possesso di un tal diploma di laurea e che, perciò, non avrebbe senso "testarli" nella prova di ammissione, essendo essi già esperti delle discipline afferenti al corso di laurea in Odontoiatria. A supporto di tale ragionamento, il dott. R. richiama il divieto di partecipazione alle prove di ammissione per l'iscrizione presso l'Ateneo, sancito nei riguardi di chi fosse già laureato od iscritto dall'ultimo capoverso dell'art. 3 del bando del concorso unico attuato nell'anno accademico di cui si discute: ma si tratta di argomento del tutto inconsistente, giacché, se l'Università vuole impedire a soggetti già conoscitori delle materie di aiutare aspiranti matricole, ben può conseguire un simile obiettivo facendo svolgere le prove in locali separati o in date diverse. Inoltre, si ribadisce, le prove preselettive hanno la dichiarata finalità di evitare il "sovraffollamento" di taluni corsi di laurea ed è evidente che detta finalità sarebbe frustrata consentendo l'iscrizione a studenti esonerati dalle prove stesse: questi, infatti, andrebbero giocoforza ad aggiungersi agli studenti che le hanno superate, con il risultato di allargare (potenzialmente a dismisura) il numero dei partecipanti al corso.

    3.5. Da ultimo, si sottolinea l'inconferenza dei richiami giurisprudenziali a sé favorevoli effettuati dal ricorrente, relativi alla disciplina anteriore al d.l. n. 112/2008: mentre è significativo che anche la sentenza del T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 26 novembre 2008, n. 10781 si basi testualmente non tanto su valutazioni di ragionevolezza, quanto, invece, sulla circostanza che l'abrogazione disposta dal d.l. n. 112 cit. non potesse applicarsi alla fattispecie esaminata, perché regolata dalla normativa antecedente e, comunque, al momento non fosse ancora operativa, perché differita nell'efficacia di centoottanta giorni.

    4. Quanto finora detto vale non solo a confutare le doglianze formulate dal ricorrente con il primo motivo, ma dimostra, altresì, la manifesta infondatezza della censura di incostituzionalità della l. n. 264/1999 avanzata con il secondo motivo, che va dunque respinto, al pari del precedente.

    5. In definitiva, il ricorso è nel suo complesso infondato e debbono, pertanto, essere respinte tutte le domande con esso proposte, ivi compresa quella di accertamento, nonché quella di risarcimento del danno.

    6. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, attesa l'esistenza di un pregresso orientamento giurisprudenziale favorevole alle pretese del ricorrente.

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo-Sezione staccata di Pescara (Sezione I^), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

    Respinge, altresì, le domande di accertamento e di risarcimento del danno.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Pescara, nella Camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2012, con l'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Michele Eliantonio

    L'ESTENSORE

    Pietro De Berardinis

    IL CONSIGLIERE

    Dino Nazzaro

     

    Depositata in Segreteria il 16 ottobre 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

    Reti di telefonia mobile: realizzazione e limitazioni

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    N. 4074/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 5646 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 5646 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: E. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso il medesimo in Napoli, via dei Mille, 16;
    contro
    Comune di Paduli in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Beatrice, con domicilio eletto presso D. P. in Napoli, via ...omissis...;
    per l'annullamento,
    previa sospensione dell'efficacia,
    quanto al ricorso introduttivo:
    dell'ordinanza dirigenziale del Comune di Paduli n. 52/2011 con cui si ordina la sospensione dei lavori per la realizzazione dell'impianto di telefonia mobile alla via ...omissis...;
    della nota del 14/07/2011 con la quale il responsabile del settore tecnico del Comune di Paduli ha comunicato il contrasto della pratica con gli artt. 143 e 144 del vigente regolamento edilizio;
    dell'art. 144 del regolamento edilizio, nella parte in cui estende il divieto prescritto dall'art. 143 per gli impianti radiotelevisivi, di istallare impianti di potenza maggiore a 7 watt, anche alle localizzazioni di nuovi impianti di telefonia mobile da realizzare "in prossimità delle aree destinate ad attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche nonché su edifici di valore storico culturale e monumentale";
    nonché per l'accertamento e la declaratoria della formazione, per silentium, del titolo abilitativo sull'istanza di autorizzazione del 3/03/2011;
    quanto al ricorso per motivi aggiunti:
    della delibera n. 19 del 25/11/2011 con cui il Consiglio Comunale del Comune di Paduli ha approvato il "Regolamento comunale per l'autorizzazione all'istallazione e all'esercizio di impianti per radio telecomunicazioni con particolare alle antenne e apparati annessi per la telefonia cellulare".
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Paduli in Persona del Sindaco pro tempore;
    Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2012 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Dato avviso alle parti, ai sensi dell'art. 73 comma 3 c.p.a., di possibili profili di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1. Con atto notificato in data 7 novembre 2011 e depositato il giorno successivo la società E. s.p.a., licenziataria del servizio di telefonia mobile e per l'istallazione della relativa rete in Italia, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale del Comune di Paduli n.52/2011, del 14 ottobre 2011, con cui si ordina la sospensione dei lavori per la realizzazione dell'impianto di telefonia mobile alla via ...omissis..., nonché la nota del 14/07/2011, comunicata il successivo 25 luglio, con la quale il responsabile del settore tecnico del Comune di Paduli ha comunicato il contrasto della pratica con gli artt. 143 e 144 del vigente regolamento edilizio nonché l'art. 144 del regolamento edilizio, nella parte in cui estende il divieto prescritto dall'art. 143 per gli impianti radiotelevisivi, di istallare impianti di potenza maggiore a 7 watt, anche alle localizzazioni di nuovi impianti di telefonia mobile da realizzare "in prossimità delle aree destinate ad attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche nonché su edifici di valore storico culturale e monumentale".
    2. Deduce in fatto di avere presentato in data 3 marzo 2011 istanza, ai sensi dell'art. 87 del Dlgs. 259/2003, per la realizzazione, sul lastrico solare di immobile condotto in locazione, per la realizzazione di una palina metallica porta antenne con tre parabole.
    2.1 Sulla pratica de qua, munita di tutta la prescritta documentazione, si era espressa favorevolmente l'ARPAC di Salerno, rilasciando il parere tecnico sanitario di conformità con nota 6508 del 16 maggio 2011.
    2.2. Alla data del 1 giugno 2011, ovvero alla scadenza del termine di novanta giorni dalla presentazione dell'istanza, dunque, secondo parte ricorrente, il titolo autorizzatorio doveva intendersi formato per silentium, ai sensi del disposto dell'art. 87 comma 9 Dlgs. 259/03.
    Pertanto, in data 21/07/2011 la società ricorrente comunicava al Comune che avrebbe dato inizio ai lavori.
    2.3. Sennonché, dopo il decorso di tale termine, in data 25/07/2011 il Comune inviava alla società ricorrente una nota (oggetto di gravame) con la quale comunicava che la pratica, così come presentata, trattandosi di impianto con potenza maggiore di 20 watt, contrastava con gli artt. 143 e 144 del regolamento edilizio.
    2.4 La società ricorrente riscontrava tale nota, deducendone la tardività.
    2.5 Il Comune di Paduli, in data 14 ottobre, noncurante delle osservazioni presentate, adottava l'ordinanza dirigenziale n. 52/2011 (del pari oggetto di impugnativa), con la quale disponeva l'immediata sospensione dei lavori nelle more dell'accertamento delle problematiche relative al contrasto fra la potenza dell'antenna da realizzarsi ed il regolamento comunale, anche in considerazione del rilievo che nelle immediate vicinanze erano posizionate altre tre antenne per cui era necessario accertare il campo elettromagnetico complessivamente generato, sottaciuto nella documentazione presentata dalla ricorrente; nella medesima ordinanza si deduce inoltre che in relazione all'immobile sul quale doveva essere realizzato l'impianto era stato presentata istanza di condono ancora pendente, per cui lo stesso doveva intendersi privo del certificato di abitabilità.
    3. Ciò posto, parte ricorrente ha dedotto in otto motivi di ricorso plurime censure avverso gli atti in epigrafe, di violazione di legge e di eccesso di potere, deducendo in particolare il contrasto con l'art. 87 dlgs. 259/03, per essere stati adottati gli atti impugnati dopo la formazione del titolo autorizzatoria per silentium, nonché la violazione delle garanzie partecipative prescritte dall'art. 7 l. 241/90 (primo motivo di ricorso); l'illegittimità della gravata ordinanza, in quanto comportante la sospensione sine die dei lavori (secondo motivo); l'incompetenza del dirigente comunale all'adozione dell'ordinanza gravata, qualificata quale ordinanza contigibile ed urgente, nonché l'insussistenza dei presupposti per l'adozione dell'ordinanza medesima (terzo motivo di ricorso); la circostanza che il condono doveva intendersi rilasciato per silenzio assenso ed ineriva a parti dell'immobile del tutto distinte rispetto a quella sulla quale doveva essere realizzato l'impianto de quo (quarto motivo), e comunque la non necessità del certificato di abitabilità per la realizzazione dell'impianto de quo (quinto motivo di ricorso); l'illegittimità dell'art. 144 del regolamento edilizio comunale, in quanto contrastante con i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici prescritti dalla normativa nazionale, fissati con D.P.C.M. del 8/07/2003 e quindi con quanto prescritto dalla legge n. 36 del 2001, che affida allo Stato la fissazione dei limiti massimi di esposizione ai campi elettromagnetici (sesto motivo di ricorso); pertanto il Comune, nella prospettazione attorea, avrebbe dovuto disapplicare il regolamento de quo, in quanto esorbitante dalla sfera di competenza del Comune e quindi illegittimo ai sensi della legge n. 36 del 2001 (settimo motivo di ricorso); l'erroneità del presupposto di fatto contenuto nella gravata ordinanza, in merito alla mancata indicazione nella documentazione prodotta dalla società ricorrente del campo elettromagnetico derivante anche dagli impianti contigui (ottavo motivo di ricorso).
    4. Si è costituito il Comune di Paduli, eccependo in via preliminare l'improcedibilità del ricorso atteso che con delibera n. 19 del 25/11/2011 il Consiglio comunale aveva approvato il "Regolamento comunale per l'autorizzazione all'istallazione e all'esercizio di impianti per radio telecomunicazioni con particolare alle antenne e apparati annessi per la telefonia cellulare".
    Nel merito ha insistito per l'accoglimento del ricorso, deducendo che l'ordinanza gravata doveva essere qualificata quale atto implicito di annullamento dell'eventuale assenso tacito.
    Ha inoltre dedotto che l'art. 144 del regolamento edilizio comunale doveva intendersi legittimo ai sensi dell'art. 8 della l. 36 del 2001, in quanto adottato nell'esercizio della competenza di pianificazione, riservata al Comune dal citato disposto normativo, nell'intento di minimizzare l'esposizione delle popolazione dai campi elettromagnetici.
    Ha inoltre precisato che il parere di compatibilità reso dell'ARPAC di Salerno doveva intendersi del tutto irrilevante, in quanto competente per territorio nella specie era l'ARPAC di Benevento e che comunque il parere reso non poteva in alcun modo essere assimilato al parere radio protezionistico richiesto della vigente normativa.
    Ha del pari controdedotto sia rispetto alla censura di violazione dell'art. 7 legge n. 241/90, deducendo che alla società ricorrente era stato dato modo di partecipare al procedimento, con la comunicazione della nota gravata, prima dell'adozione dell'ordinanza di sospensione dei lavori, sia rispetto alla censura di incompetenza, deducendo che l'ordinanza de qua era stata adottata dal dirigente nell'esercizio della propria competenza di vigilanza sulle attività edilizie illegittime.
    5. La sezione ha accolto l'istanza cautelare con ordinanza n. 1891 del 1 dicembre 2011.
    6. Con atto notificato in data 26 gennaio 212 e depositato il successivo 2 febbraio la società ricorrente ha presentato motivi aggiunti avverso la delibera n. 19 del 25/11/2011 con cui il Consiglio Comunale del Comune di Paduli ha approvato il "Regolamento comunale per l'autorizzazione all'istallazione e all'esercizio di impianti per radio telecomunicazioni con particolare alle antenne e apparati annessi per la telefonia cellulare", articolando in quattro motivi di ricorso plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere.
    7. Le parti hanno prodotto memorie difensive e relative repliche.
    Parte ricorrente ha dedotto di avere interesse all'annullamento del regolamento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti, per le conseguenze che detto regolamento potrebbe avere, potendo inficiare il titolo abilitativo dell'impianto di cui è causa, realizzato a seguito del dictum cautelare.
    8. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all'udienza pubblica del 12 luglio 2012, nella cui sede il Collegio ha dato avviso alle parti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 73 comma 3 c.p.a., della sussistenza di profili di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti.
    9.In via preliminare va esaminata l'eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune resistente in relazione al ricorso introduttivo, fondata sulla circostanza che il Comune con delibera n. 19 del 25/11/2011 aveva approvato il "Regolamento comunale per l'autorizzazione all'istallazione e all'esercizio di impianti per radio telecomunicazioni con particolare alle antenne e apparati annessi per la telefonia cellulare".
    9.1 L'eccezione è infondata, dovendosi al riguardo confermare quanto già precisato in sede di decisum cautelare circa l'irrilevanza del Regolamento de quo, in forza del principio tempus regit actum, non potendo detto regolamento dispiegare effetti retroattivi.
    Ciò comporta che l'efficacia degli atti oggetto di impugnativa non è destinata a venire meno a seguito dell'adozione di tale regolamento.
    Tali atti vanno quindi vagliati alla luce della disciplina vigente ratione temporis.
    9.2 Peraltro vi è da evidenziare che la novellata disciplina è intervenuta non solo dopo l'adozione degli atti oggetto di impugnativa, ma anche dopo la formazione per silentium del titolo abilitativo per la realizzazione dell'impianto di cui è causa, come si vedrà nell'esaminare il primo motivo di ricorso, con la conseguenza che detto titolo, formatosi nel vigore della previgente disciplina, non potrà venire intaccato dalla disciplina sopravvenuta, proprio in applicazione del principio "tempus regit actum".
    10. Ciò posto il ricorso va esaminato nel merito.
    11. Il ricorso introduttivo va accolto in considerazione della fondatezza del primo e del terzo motivo, nonchè del sesto motivo di ricorso, da considerarsi di carattere assorbente rispetto agli atti oggetto di impugnativa, nel senso di seguito precisato
    12. Quanto all'illegittimità dell'ordinanza dirigenziale del Comune di Paduli n. 52/2011, con cui si ordina la sospensione dei lavori per la realizzazione dell'impianto di telefonia mobile alla via Nuova Convento (sito bn 2124), nonché della nota del 14/07/2011 con la quale il responsabile del settore tecnico del Comune di Paduli ha comunicato il contrasto della pratica con gli artt. 143 e 144 del vigente regolamento edilizio, è sufficiente rilevare come tali atti siano intervenuti dopo il decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione dell'istanza prescritto dalla legge per la formazione per silentium del titolo abilitativo.
    12.1 Pertanto l'avvenuta formazione del titolo abilitativo, per decorso del termine di legge, determina l'illegittimità, per violazione dell'art. 87 comma 9 Dlgs. 259/03, del successivo atto di diniego e contestuale inibitoria dell'avvio dei lavori (ex multis TAR Campania, Napoli, VII, 7 maggio 2010 n. 3083);
    12.2 A nulla vale peraltro la deduzione, addotta peraltro solo nelle memorie del Comune e non nella motivazione dell'ordinanza gravata, che il parere ARPA sia stato reso da una sede incompetente territorialmente, ovvero dalla sede di Salerno, anziché da quella di Benevento.
    Infatti in tema di autorizzazione per la costruzione di una stazione radio-base il termine per la formazione del silenzio-assenso di cui all'art. 87 comma 9, d.lg. n. 259 del 2003 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, e non dalla ricezione, da parte del Comune, del parere dell'ARPA, in quanto ai sensi dell'art. 87 comma 4, d.lg. n. 259 del 2003, il deposito del parere preventivo favorevole dell'ARPA non è prescritto per la formazione del titolo edilizio ovvero per l'inizio dei lavori, ma solo per l'attivazione dell'impianto (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7128; in senso analogo T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 26 settembre 2008, n. 633; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 09 gennaio 2008, n. 9; T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 23 aprile 2007, n. 1283).
    Ed invero come anche affermato di recente dal Consiglio di Stato "la previsione ci cui all'art. 87, d.lgs. n. 259 del 2003 postula che il parere dell'ARPA sia richiesto solo ed esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell'impianto, non sussistendo un onere per il richiedente di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell'istanza (ovvero della DIA), né un puntuale obbligo di far pervenire il parere medesimo all'Ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell'art. 87, cit..(Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7128; in senso analogo T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 15 luglio 2009, n. 696; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 09 gennaio 2008, n. 9; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 20 dicembre 2006, n. 10647).
    Pertanto l'Amministrazione, lungi dal denegare il titolo o dal prescrivere l'inibitoria o la sospensione dei lavori, sarebbe dovuta intervenire con atto di autotutela sul titolo formatosi per silentium.
    12.3 Né può ritenersi che l'ordinanza dirigenziale con la quale si è disposta la sospensione dei lavori possa essere assimilata ad un atto di annullamento del titolo formatosi per silentium, non essendovi in esso alcun riferimento alla illegittimità del titolo, né potendosi evincere una volontà di agire in via di autotutela.
    13. Peraltro a prescindere da tali considerazioni, l'ordinanza dirigenziale è comunque illegittima, in considerazione della fondatezza del vizio di incompetenza, dedotto con il terzo motivo di ricorso, avente del pari carattere assorbente.
    13.1 E' infatti innegabile dal riferimento contenuto nella gravata ordinanza al pericolo per la pubblica e privata incolumità e agli artt. 50 e 54 del Dlgs. 267/2000, che la stessa debba essere qualificata quale ordinanza contigibile ed urgente e non quale ordinanza adottata nell'esercizio del potere di vigilanza in materia urbanistica, riservato al dirigente, nonostante il generico riferimento, del pari contenuto nella gravata ordinanza, al disposto dell'art. 107 Dlgs. 267/2000.
    13.2 Ciò posto evidente è il vizio di incompetenza, non disponendo il dirigente del potere di ordinanza extra ordinem a tutela dell'incolumità pubblica riservato, ex art. 54 comma 4 Dlgs. 267/2000 al Sindaco quale ufficiale del Governo, laddove l'adozione di ordinanze contigibile ed urgenti per emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale è comunque riservata al Sindaco, quale rappresentante della comunità locale, ai sensi dell'art. 50 comma 5 Dlgs. 267/2000.
    14. Nonostante il carattere assorbente di tali censure rispetto agli atti applicativi immediatamente lesivi della posizione di parte ricorrente, impugnati con l'odierno ricorso, il Collegio intende evidenziare come peraltro la disposizione dell'art. 144 del regolamento comunale, del pari tempestivamente gravata in questa sede - in uno con gli atti applicativi immediatamente lesivi - sia illegittima nella parte in cui estende il divieto prescritto dall'art. 143 per gli impianti radiotelevisivi, di istallare impianti di potenza maggiore a 7 watt, anche alle localizzazioni di nuovi impianti di telefonia mobile da realizzare "in prossimità delle aree destinate ad attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche nonché su edifici di valore storico culturale e monumentale" per contrasto con le previsioni dell' l'art. 4 della legge n. 36 del 2001 che riserva allo Stato l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministro della Salute.
    14.1 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha, infatti, chiarito che nell'esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001.
    Le limitazioni alla localizzazione, specie ove, come nella specie riferiti non a criteri distanziali da strutture sensibili, ma ai limiti massimi di esposizione all'elettromagnetismo sia pure in relazione a detto strutture sono infatti funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell'Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534).
    14.2 Infatti ancorchè il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa) in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell'intero nel territorio comunale.
    Detto divieto deve ritenersi sussistente laddove in intere parti del territorio comunale, ed in particolare nel centro abitato, caratterizzate dalla presenza di attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche, sia preclusa l'istallazione di impianti superiori, come nella specie, ad una certa potenza.
    Ed invero in base al consolidato indirizzo della giurisprudenza del Consiglio di Stato "la selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di rete di telecomunicazione, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile c.d. cellulare, che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radio base. L'assimilazione per effetto dell'art. 86 del d.lgs. n. 259 del 2003 delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria implica, inoltre, che le stesse debbano collegarsi ed essere poste al servizio dell'insediamento abitativo e non essere dalle stesso avulse" (cfr. da ultimo Cons. St., VI, n. 2434 del 28 aprile 2010; Cons. Stato Sez. VI, Sent., 27-12-2010, n. 9404).
    Infine vi è da osservare che l'art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno "carattere di pubblica utilità", con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 5 luglio 2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096; T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 09-03-2011, n. 419).
    15. In conclusione il ricorso introduttivo va accolto, con annullamento degli atti in epigrafe indicati.
    16. Va del pari accolta la domanda di accertamento contenuta in tale ricorso, dovendosi ritenere, in base a quanto innanzi esposto, che si sia formato per silentium il titolo abilitativo sull'istanza di autorizzazione del 3/03/2011;
    17. Il ricorso per motivi aggiunti va invece dichiarato inammissibile, come evidenziato in sede di udienza di discussione, con l'avviso dato alle parti, ex art. 73 comma 3 c.p.a., sotto più profili.
    18. In primo luogo va evidenziato come il Comune non abbia adottato alcun atto applicativo in attuazione del sopravvenuto regolamento comunale, per cui manca l'interesse all'impugnazione della norma regolamentare, di carattere generale ed astratto, che non può considerarsi come "volizione azione" immediatamente lesiva, ma quale "volizione preliminare", destinata ad essere impugnata in uno con gli atti applicativi.
    18.1 In assenza dell'atto applicativo, peraltro nell'ipotesi di specie manca anche il presupposto della connessione fra il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti, ai sensi dell'art. 43 c.p.a. secondo cui i "I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte", non potendo la connessione ravvisarsi nella mera connessione soggettiva; pertanto in ogni caso non sarebbe ammessa l'impugnativa a mezzo motivi aggiunti.
    19. Inoltre, come in precedenza osservato, la novellata disciplina è intervenuta non solo dopo l'adozione degli atti oggetto di impugnativa, ma anche dopo la formazione per silentium del titolo abilitativo per la realizzazione dell'impianto di cui è causa, con la conseguenza che detto titolo, formatosi nel vigore della previgente disciplina, non potrà venire intaccato dalla disciplina sopravvenuta, proprio in applicazione del principio "tempus regit actum".
    20. Il ricorso per motivi aggiunti va dunque dichiarato inammissibile.
    21. In considerazione dell'inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti si ritiene di dover compensare le spese di lite fra le parti.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti,
    1) accoglie il ricorso introduttivo e per l'effetto annulla:
    a) l'ordinanza dirigenziale del Comune di Paduli n.52/2011 con cui si ordina la sospensione dei lavori per la realizzazione dell'impianto di telefonia mobile alla via Nuova Convento (sito bn 2124);
    b) la nota del 14/07/2011 con la quale il responsabile del settore tecnico del Comune di Paduli ha comunicato il contrasto della pratica con gli artt. 143 e 144 del vigente regolamento edilizio;
    c) l'art. 144 del regolamento edilizio nella parte in cui estende il divieto prescritto dall'art. 143 per gli impianti radiotelevisivi, di istallare impianti di potenza maggiore a 7 watt, anche alle localizzazioni di nuovi impianti di telefonia mobile da realizzare "in prossimità delle aree destinate ad attrezzature sanitarie, assistenziali e scolastiche nonché su edifici di valore storico culturale e monumentale".
    2) Accerta l'avvenuta formazione del titolo autorizzativo alla realizzazione dell'impianto di cui è causa sull'istanza di autorizzazione del 3/03/2011, per decorso del termine prescritto dall'art. 87 comma 9 Dlgs. 259/2003.
    3) Dichiara inamisssibile il ricorso per motivi aggiunti.
    4) Compensa fra le parti le spese di lite.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Alessandro Pagano
    L'ESTENSORE
    Diana Caminiti
    IL CONSIGLIERE
    Michelangelo Maria Liguori
     
    Depositata in Segreteria il 11 ottobre 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Autonomia delle università?

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    N. 2181/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 234 Reg. Ric.
    ANNO 2012
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    in forma semplificata ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 234 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distr. dello Stato, domiciliataria in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
    contro
    Università degli Studi di Catania, in persona del Rettore p.t, rappresentato e difeso dagli avv. Felice Giuffrè, Vincenzo Reina, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Catania, p.zza Università, 2 -Ufficio Legale;
    per l'annullamento
    previa sospensione,
    - quanto al ricorso introduttivo:
    "della nota del Rettore dell'Università di Catania n. 75366 del 28.11.2011, con cui si comunica la decisione assunta dal Consiglio di Amministrazione e dal Senato Accademico dell'Ateneo di procedere - «preso atto della scadenza del termine dei 120 giorni» - all'emanazione del decreto rettorale di approvazione del testo statutario ed alla contestuale pubblicazione di esso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana; nonché del decreto di pari data pubblicato in G.U.R.I. n. 279 del 30.11.2011, con cui il Rettore ha emanato lo Statuto dell'Ateneo; dello Statuto stesso; nonché, ove occorra, della delibera del Senato Accademico n. 336 del 21.7.2011, con cui è stato adottato il testo dello statuto; del non conosciuto parere favorevole reso su detta delibera dal Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo il 20.7.2011; di ogni altro atto connesso e/o consequenziale, ivi compreso il parere legale richiamato nella nota rettorale n. 75366/2011 menzionata".
    - quanto al ricorso per motivi aggiunti:
    della nota del Rettore dell'Università di Catania n. 38818 del 15.05.2012, con cui si comunicava al Ministero che "prima di procedere a eventuali nuove modifiche del proprio Statuto" si sarebbe atteso "il definitivo pronunciamento nel merito che vorrà adottare il Giudice amministrativo";
    nella parte di interesse, del decreto di pari data (15.05.2012), pubblicato in GURI n. 113 del 16.05.2012, con cui il Rettore ha emanato modifiche agli artt. 6, 7 e 10 del vigente Statuto dell'Ateneo;
    nonché, ove occorra, della delibera del Senato accademico, verbale n. 5 dell'adunanza del 15.03.2012, con cui è stato adottato il testo delle modifiche al vigente statuto;
    del parere favorevole, anch'esso verbale n. 5, reso su detta delibera dal Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo nell'adunanza del 15.03.2012;
    di ogni altro atto connesso e/o consequenziale.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Università Studi di Catania, con le relative difese ed il ricorso incidentale;
    Vista l'ordinanza n. 219/2012 con la quale è stata respinta l'istanza cautelare proposta col ricorso introduttivo;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 settembre 2012 il dott. Calogero Ferlisi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
    1. Va rilevato, preliminarmente, che sussistono i presupposti per la decisione in forma semplificata e che di tale possibilità è stato dato formale avviso alle parti, come da verbale.
    2. In punto di fatto va premesso che l'Università degli Studi di Catania, ritenendo ormai esaurita ogni fase relativa al controllo ministeriale (ex art. 6 L. n. 168/1989 ed art. 2 L. n. 240/2010), ha ufficialmente emanato il nuovo statuto con decreto rettorale 28.11.2011, n. 4957, che è stato pubblicato nella G.U.R.I. n. 279 del 30.11.2011.
    3. Ancora dopo, a seguito di uno scambio di note col Ministero nei primi mesi del 2012, l'Università ha modificato lo statuto in più parti ed ha approvato tali modifiche con decreto 15 maggio 2012, n. 1720; decreto che - sempre sul presupposto dell'esaurimento dell'ulteriore procedimento di controllo ministeriale - è stato, dall'Università, pubblicato nella G.U.R.I. n. 113 del 16.05.2012.
    4. Il Ministero, odierno ricorrente, ritiene di avere correttamente esercitato il proprio potere di controllo (di legittimità e di merito), sia con nota (contente rilievi) del Direttore Generale del Ministero prot. n. 5039 del 24.11.2011 (relativa al nuovo statuto approvato dall'Università nel 2011 ed a questa inviata lo steso giorno a mezzo fax), sia con analoga nota dirigenziale prot. n. 2386 del 14.05.2012, relativa alle modifiche apportate allo statuto dal Senato accademico (verbale n. 5 del 15.03.2012) col parere favorevole del Consiglio di Amministrazione dell'Ateneo.
    L'Università di Catania, al contrario, ritiene irrituale ed illegittimo tale controllo: sia perché non esercitato dal Ministro, unico organo competente, ma dal dirigente; sia perché operato tardivamente rispetto ai termini stabiliti dalla legge. Sottolinea, altresì, nel motivare l'istanza cautelare proposta col ricorso per motivi aggiunti, la gravità dello "strappo istituzionale" determinatosi nella fattispecie.
    5. Il ricorso introduttivo attiene alla fase procedimentale relativa all'approvazione-pubblicazione del nuovo statuto, supra sub 2), il ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato, depositato il 18.7.2012, attiene alla fase procedimentale relativa all'approvazione-pubblicazione delle modifiche statutarie supra sub 3),
    In entrambi i ricorsi, la prima, e pregiudiziale, questione che si pone è quella relativa alla regolarità o meno del controllo (di legittimità e di merito) esercitato dal Ministero a mezzo le richiamate note dirigenziali; il che assorbe anche il profilo di censura (prospettato nei motivi aggiunti dalla Difesa erariale, in modo, per la verità, alquanto dubitativo) secondo cui l'Università non avrebbe fornito la prova della raggiunta maggioranza qualificata per l'approvazione delle norme statutarie fatte oggetto dei rilievi contenuti nelle ricordate note dirigenziali (è evidente, infatti, che tale profilo di censura potrebbe avere rilevanza solo dopo che fosse accertate la regolarità nonché la tempestività del controllo ministeriale).
    6. Occorre dire, per chiarezza espositiva, che la materia è regolata dall'art. 6, comma 9, della L. n. 168/1989 ("Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica") secondo cui "Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei componenti. Essi sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore".
    Il successivo comma 10 precisa, altresì, che: "Il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito. Gli organi competenti dell'università possono non conformarsi ai rilievi di legittimità con deliberazione adottata dalla maggioranza dei tre quinti dei suoi componenti, ovvero ai rilievi di merito con deliberazione adottata dalla maggioranza assoluta. In tal caso il Ministro può ricorrere contro l'atto emanato dal rettore, in sede di giurisdizione amministrativa per i soli vizi di legittimità. Quando la maggioranza qualificata non sia stata raggiunta, le norme contestate non possono essere emanate".
    A ciò va aggiunto il disposto dell' art. 2 della L. n. 240/2010 ("Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario"; c.d. riforma Gelmini), che, nella sostanza, ha lasciato integro il sistema di controllo ministeriale di cui sopra, limitandosi ad ampliare a "centoventi giorni" il termine per l'esercizio del controllo; e ciò solamente in sede di "prima applicazione", ossia con norma dichiaratamente temporanea. E difatti i commi 5 e 7 dell'art. 2, cit., cosi dispongono:
    "5. In prima applicazione, lo statuto contenente le modifiche statutarie di cui ai commi 1 e 2 è predisposto da apposito organo istituito con decreto rettorale senza nuovi o maggiori oneri .... Lo statuto contenente le modifiche statutarie è adottato con delibera del senato accademico, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione";
    "7. Lo statuto, adottato ai sensi dei commi 5 e 6 del presente articolo, è trasmesso al Ministero che esercita il controllo previsto all'articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, entro centoventi giorni dalla ricezione dello stesso".
    7. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso introduttivo ed i connessi motivi aggiunti siano per questa parte infondati, stante l'incompetenza del Direttore generale del Ministero ad esercitare (in luogo del Ministro) il controllo di legittimità e di merito (ex art. 2 L. 240/2010 ed art. 6, commi 9 e 10, L. n. 168/1989), sul nuovo statuto approvato dall'Università di Catania (e ciò a prescindere da ogni altra valutazione in rito, o in merito, come quelle sulla data esatta di ricezione dello statuto da parte del Ministero, o sulla valenza giuridica dell'invio a mezzo fax delle note dirigenziali prima citate).
    Va osservato in proposito quanto segue:
    7.a) l'art. 6, comma 10, della L. n. 168/1989 attribuisce espressamente al "Ministro" un preciso e tipico potere (esterno) di controllo (di legittimità e di merito) da esercitarsi a mezzo decreto (nella forma della richiesta di riesame) su quello che è, e resta, un fondamentale atto proprio dell'Università, ente dotato di peculiare autonomia organizzativa-statutaria costituzionalmente garantita (cfr. art. 33, u.c., Cost.). Per la testuale formulazione della norma e l'ascrivibilità dello statuto alla detta sfera di qualificata autonomia degli atenei, non sembra si possa fondatamente parlare di competenza meramente "gestionale" del Ministero, rientrante, oggi, nelle attribuzioni del dirigente;
    7.b) proprio l'assegnazione al Ministro di un potere di controllo, anche, di merito, ne conferma l'alta funzione di indirizzo politico-amministrativo (ossia, tale da coinvolgere gli stessi profili di opportunità o meno delle scelte statutarie); funzione che è confermata dal variegato elenco di funzioni ministeriali contemplato dall'art. 2 della L. n. 168/1989 ai fini del coordinamento dell'attività degli atenei nazionali;
    7.c) circa l'attribuzione al Ministro del controllo, anche, di legittimità, è da dire che esso è espressione di un potere "ancillare" rispetto al potere di amministrazione attiva che si esprime nello statuto. Secondo i principi, la legge richiede che all'atto giuridicamente perfetto (perché emanato dall'Amministrazione attiva competente e completo di tutti i suoi elementi essenziali), si aggiunga un ulteriore specifico requisito esterno (c.d. "di efficacia"). E tale atto è proprio dell'Organo di controllo (nella specie: il Ministro) che è del tutto estrinseco all'atto di amministrazione attiva e quindi non coinvolge alcun interesse sostanziale dell'Organo controllante (tale da riverberarsi, come meglio si dirà in seguito, in una qualificata posizione legittimante dell'Organo stesso);
    7.d) la Dottrina ha da tempo analizzato ed enunciato tali principi, e pur nel variare delle leggi, si può ben dire che la struttura, teorico-dommatica, sopra delineata sia rimasta immutata. Essa, inoltre, modella - necessariamente - il rapporto che viene a stabilirsi tra Organo controllante ed Organo controllato, che è di natura interorganica e non intersoggettiva; e ciò implica che il potere dell'uno sugli atti dell'altro deve esercitarsi nei limiti, nelle forme e nei tempi tassativamente sanciti dalla legge, sotto pena di "consumazione" del potere medesimo e, quindi, consolidazione (efficacia) degli atti amministrativi che abbiano comunque superato il procedimento del controllo;
    In questo senso il Collegio può limitarsi a richiamare la giurisprudenza in materia.
    Il Cons. di Stato, con sent. n. 1269 del 23 settembre 1998 - Sez. VI - ha precisato:
    - che nel termine di sessanta giorni (che l'art. 6 comma 9 L. 9 maggio 1989 n. 168 mette a disposizione del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica per la formulazione di rilievi di legittimità e di merito nei confronti dello Statuto universitario adottato dal Senato accademico) il relativo decreto deve essere non solo adottato, ma anche comunicato all'Università interessata; pertanto, nel caso in cui la comunicazione venga effettuata oltre il suddetto termine, lo Statuto può essere legittimamente emanato con decreto rettoriale;
    - ai sensi dell'art. 6 commi 9 e 10 L. 9 maggio 1989 n. 168, nel procedimento di formazione dello Statuto universitario il controllo ministeriale consiste nella formulazione di rilievi di legittimità e di merito con motivata richiesta di riesame, da esercitarsi per una sola volta e senza possibilità di ulteriori interventi diretti; per conseguenza, mentre nel caso di mancato accoglimento dei rilievi di merito la norma non prevede alcun rimedio giuridico, né conseguenze giuridiche di alcun tipo, per l'ipotesi di mancato accoglimento dei rilievi di legittimità al Ministro non è dato un autonomo potere di annullamento della decisione del Senato accademico di non conformarsi ai suddetti rilievi, ma solo una legittimazione ex lege a proporre ricorso al giudice amministrativo contro lo Statuto universitario.
    A sua volta, il Cons.Giust.Amm.va Reg. Sic.:
    a) con sent. n. 506/1998, ha precisato che il termine stabilito dall'art. 6 cit. per l'esercizio da parte del Ministro del potere di controllo sugli statuti universitari ha carattere perentorio, con la conseguenza che l'esercizio del controllo o il mancato esercizio del controllo stesso nei termini all'uopo fissati consumano il relativo potere, ed il Ministro, non può intervenire una seconda volta per modificare o rimuovere le sue precedenti determinazioni;
    b) con sent. n. 564/1999, ha ribadito tali principi, precisando che il potere ministeriale di controllo - da esercitarsi, entro il termine perentorio stabilito e nella forma della richiesta motivata di riesame (sia quando abbia ad oggetto vizi di legittimità, sia quando si estrinsechi in rilievi di merito), si consuma definitivamente, una volta adottato l'atto o scaduto infruttuosamente il termine legislativamente assegnato: il che è reso esplicito dalla testuale previsione di cui al comma 10 dell'art. 6 legge n. 168 del 1989, a mente del quale "il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti... all'Università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito", salva la possibilità di impugnare in via giurisdizionale, per soli motivi di legittimità, le disposizioni eventualmente confermate dagli organi accademici a maggioranza qualificata;
    7.e) dagli accennati principi (si ripete: mai messi in discussione dalla Dottrina o dalla Giurisprudenza di secondo grado) deriva il logico corollario per cui il Ministero (quale titolare di un poliedrico potere esterno di vigilanza, modellato in termini di richiesta di riesame dell'atto) non può avere alcuna legittimazione di ordine generale per l'impugnativa dello statuto allorché esso abbia, comunque, superato il controllo. Un caso similare è stato esaminato dal Cons. di Stato (cfr. sent. n. 3536 del 22 giugno 2000, Sez. IV) ed ivi è stato osservato come nel vigente ordinamento, l'imputazione di un interesse ad un Ente pubblico avviene attraverso l'attribuzione di concreti poteri, idonei a consentirne la cura, anche mercé l'attivazione degli strumenti di tutela in via d'azione quando si tratti di difesa della propria sfera di competenza che risulti lesa dai provvedimenti di un'altra Amministrazione; sicché, argomentando a contrario, un Ente pubblico di controllo (nella fattispecie: Regione e Comitato regionale di controllo) non può dirsi legittimato all'impugnazione di un atto che si presume lesivo, ma che si colloca al di fuori delle sue competenze e non rientra perciò nell'ambito degli interessi di sua pertinenza (e si è già detto, nel caso in esame, come lo statuto d'Ateneo sia atto proprio dell'Università);
    7.f) quanto da ultimo osservato (in ordine al difetto di legittimazione dell'organo di controllo ad impugnare atti che abbiano superato ex lege il relativo procedimento), è conclamato, nel caso in esame, dal fatto che la stessa L. n. 168/1989, al comma 10 dell'art. 6, riconosce al Ministro la possibilità di impugnare lo statuto in un unico e solo caso: quando l'Università riapprovi (con maggioranza qualificata) le norme statutarie senza conformarsi ai rilievi (e solo per quelli di legittimità) validamente sollevati dal Ministro stesso in sede di controllo (cfr. giurisprudenza prima riportata in cui si parla di speciale "legittimazione ex lege": Cons. St.sent. n. 1269/198 Sez. VI).
    8. La diversa tesi dell'Avvocatura dello Stato, è nel senso che l'art. 6, comma 10, cit., (laddove prevede, in combinato disposto con l'art. 2 L. 240/2010, che i rilievi di legittimità e di merito siano contenuti in un "decreto" del "Ministro" da comunicarsi all'Università nel termine perentorio di centoventi giorni) debba "essere interpretato tenendo conto dell'evoluzione che l'ordinamento amministrativo" e in particolare "... alla luce del D.lgs. n. 29/1993, poi confluito nel D.lgs. n. 165/2001, nel quale ... è stato affermato il principio della separazione tra funzione di indirizzo politico e funzione di gestione amministrativa"; onde la funzione di controllo in argomento andrebbe, oggi, "... efficacemente esercitata con provvedimento del competente Direttore Generale del Ministero".
    Ma tale impostazione non appare condivisibile, in quanto finisce con l'assimilare, senza alcuna concreta argomentazione di sostegno, il delineato potere di controllo ministeriale ad un mero atto amministrativo di gestione.
    Di contro va detto che la natura "gestionale" del potere di controllo in argomento - che si ripete è di legittimità e di merito - non solo non risulta dimostrata dalla parte ricorrente, ma finisce, anche, col porsi in palese contrasto con i ricordati principi di diritto (in tema di autonomia statutaria delle università e di controllo centrale) e con le articolate funzioni di indirizzo che l'art. 2 L. n. 168/1989 attribuisce al Ministro. E questa conclusione il Collegio ritiene di dovere tenere ferma anche a fronte della recente sentenza del T.A.R. Liguria n. 718/2012, richiamata dall'Avvocatura erariale; dato che tale sentenza si limita ad affermare che il potere di controllo ex art. 6 L. n. 168 cit. costituirebbe mera attività di gestione. Ivi si legge testualmente e solamente che "la legge 30.12.2010, n. 240 non ha istituito una competenza del ministro ad operare nel sindacato degli statuti universitari, per cui la verifica di legittimità di uno statuto d'ateneo non può che spettare al direttore generale", senza in alcun modo considerare lo specifico potere di controllo (anche di merito) sancito nella L. n. 168/1989 e gli ampi poteri di indirizzo e vigilanza ivi conferiti al Ministro; nonché il principio di autonomia statutaria delle università, costituzionalmente garantito all'art. 33, u.c. Cost. (attuato proprio a partire dalla citata legge 168 del 1989).
    Giustamente, allora, l'Università resistente (nella memoria depositata il 31.8.2012) osserva che:
    "nel tipo di controllo di cui trattiamo - ... esteso anche al merito e non solo alla legittimità - si esprime una carica di indirizzo politico-amministrativo suscettibile - nel caso di riapprovazione con maggioranza qualificata a seguito di rilievi di legittimità - di scaricarsi in un conflitto, la cui risoluzione il legislatore ha rimesso al giudice amministrativo, attribuendo ex lege una peculiare e limitata legittimazione processuale al Ministro";
    "... la previsione del decreto del Ministro, ai sensi dell'art. 6, X comma, della L. 168/1989, quale atto necessario per la formulazione dei rilievi ai fini della richiesta di riesame, risponde ad una precisa scelta del legislatore, che manifesta ... puntuali esigenze di garanzia nei confronti di una istituzione la cui autonomia è garantita in Costituzione", sicché "l'eventuale richiesta di riesame - per ragioni non solo di legittimità, ma anche di merito - non può provenire se non dall'organo che è competente ad esprimere l'indirizzo politico e politico-amministrativo del relativo dicastero".
    - "... tutta la materia dei rapporti fra Ministero e università è retta da un principio di autonomia rafforzata degli atenei, espresso con chiarezza al comma 2 dell'art. 6 della l. 168 del 1989 (mai abrogato), secondo cui: «Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall'articolo 33 della Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento. E' esclusa l'applicabilità di disposizioni emanate con circolare»".
    9. Né appare determinante, ai fini del decidere, il dato puramente lessicale proposto dall'Avvocatura erariale quando fa notare come "... proprio l'art. 2 della legge 30.12.2010 n. 240, che radica il potere di controllo delle norme statutarie ..., sancisca al comma 7 che «Lo statuto, adottato ai sensi dei commi 5 e 6 del presente articolo, è trasmesso al Ministero che esercita il controllo previsto all'articolo 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168, entro centoventi giorni dalla ricezione dello stesso»", di guisa che sarebbe "... conclamato ... nello stesso testo di legge" che compete "al Ministero e non al Ministro esercitare il potere di controllo sullo statuto dell'Università".
    Per la verità, nessuna concreta distinzione giuridicamente rilevante, sembra potersi cogliere dalla mera diversa indicazione, da parte della L. 240 cit., dell'Organo (Ministro) o dell'Ufficio (Ministero), dato che il dato lessicale non è di per sé atto ad incidere sulla natura propria delle ricordate alte funzioni attribuite dalla L. n. 168/1989 al Ministro dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e quindi sulla sua esclusiva (ed infungibile) competenza ad esercitare il delicatissimo potere di controllo sugli statuti universitari.
    Sta di fatto, comunque, che, prevedendo la legge un controllo anche di merito, è del tutto evidente la penetrante ingerenza del Ministro nell'autonomia degli atenei e quindi la non assimilabilità dei relativi poteri alla mera "gestione".
    10. Orbene, nella fattispecie i dati salienti sono che il nuovo statuto dell'Università di Catania è stato regolarmente approvato dagli organi di Ateneo ed è stato inviato a mezzo fax, per il controllo di cui sopra (di legittimità e di merito), al Ministero dell'Istruzione, "Direzione Generale della Direzione Generale per l'Internazionalizzazione della ricerca"; e poiché nessun decreto ministeriale (contenente rilievi di legittimità e/o di merito) è mai pervenuto all'Università, che ha ricevuto solamente la nota del Direttore generale 24.11.2011 prot. n. 5039 (trasmessa lo stesso giorno), se ne deduce la intervenuta "consumazione" del potere ministeriale di controllo e quindi la piena efficacia dello statuto.
    11. L'Avvocatura dello Stato fa rilevare, nella memoria depositata il 18/02/2012, la "... sostanziale inefficacia dell'inoltro dello statuto per fax a recapiti che nulla avevano a che vedere con la Direzione Generale"; anche perché "... il fax trasmesso in data 21 luglio 2011 alla Segreteria del Direttore Generale della Direzione Generale per l'Internazionalizzazione della ricerca (fax 06/97727468), è stato inoltrato alla Direzione Generale Università competente il 26 luglio 2011 (cfr. annotazione manoscritta in all. 2) e trasmesso infine al competente Ufficio I in data 27 luglio 2011" (con scadenza del termine di 120 gg. "... il giorno 24 novembre 2011").
    Ma, ai fini del decidere, è irrilevante valutare se l'atto in questione sia pervenuto al Ministero il 21 luglio (come ritiene l'Università) o il 27 luglio (come ritiene il Ministero); ciò che rileva è il fatto, pacifico in causa, che nessun decreto è stato mai emanato dal Ministro, in puntuale applicazione dell'art. 6, comma 10, L. n. 168/1989, e dunque lo statuto dell'Università di Catania si è automaticamente consolidato col decorso del termine di centoventi giorni, che lo si calcoli a partire dal 21.7.2011, oppure dal 27.7.2011.
    12. Quanto all'impugnativa di talune specifiche norme statutarie, ne va rilevata l'inammissibilità per difetto di qualificata posizione legittimante in capo al Ministero ricorrente.
    Invero, non solo lo statuto è (e rimane) atto proprio dell'Università soggetto a controllo esterno, cui si correla - come già detto - la "consumazione" del relativo potere in caso di scadenza del termine (cfr. sentt. C.g.a. n. 564/1999 e Cons St. n. 1269/1998, già citate), ma la possibilità dell'impugnativa ministeriale è dalla stessa legge (art. 6, comma 10, L. n. 168/1989) ammessa in un solo specifico caso: allorché lo statuto sia riapprovato, con la maggioranza qualificata richiesta dalla stessa legge, in contrasto con i rilievi legittimamente e tempestivamente sollevati dal Ministro. E da ciò si ricava, a contrario, che nessun'altra legittimazione, di ordine generale, compete al Ministro per contestare le norme statutarie.
    In sostanza, è da ritenere che l'intervenuta "consumazione" del potere di controllo (non esercitato o esercitato in violazione delle forme e tempi prescritti dalla legge), non solo escluda (come già puntualmente rilevato dalla giurisprudenza) che il Ministro possa intervenire in autotutela, ma che possa, altresì, surrettiziamente far rivivere il proprio potere di ingerenza (nello statuto) attraverso il rimedio giurisdizionale. Pur nella indiscutibile alta funzione di vigilanza e tutela sulle università, è da ritenere che il Ministro non abbia alcuna posizione soggettiva di interesse legittimo spendibile in sede giurisdizionale, se non quella (unica) riconosciutagli dalla norma da ultimo citata.
    D'altronde, lo stesso Ministro non è organo soggetto a poteri di supremazia speciale da parte dell'Università, sicché la reciproca posizione soggettiva è quella delineata direttamente e compiutamente dal Legislatore nella configurazione del ricordato rapporto tra Organo controllore ed Organo controllato. Ne consegue:
    a) che il potere di controllo, ove non esercitato secondo legge, con conseguente efficacia dell'atto di amministrazione attiva, non può - per definizione - trasformarsi (come invece vorrebbe l'Avvocatura dello Stato) in un mero "interesse legittimo" azionabile in sede giurisdizionale (fatta salva la citata eccezione di legge);
    b) che il ricorso introduttivo in esame è inammissibile nella parte in cui è volto a caducare specifiche norme statutarie non ritualmente censurate dal Ministro in sede di controllo di legittimità.
    13. Gli stessi argomenti valgono per il ricorso per motivi aggiunti proposto contro le modifiche statutarie poste in essere dall'Università nel 2012. Ed invero:
    a) anche i rilievi sulle citate modifiche statutarie sono stati formulati direttamente dal Dirigente con propria nota prot. n. 2386 del 14.05.2012, anziché dal competente Ministro, con suo formale decreto;
    b) anche nei motivi aggiunti si deduce - inammissibilmente - la illegittimità di alcune norme dello statuto modificate nel 2012 [precisamente: l'art. 6, comma 3 lett f); l'art. 6 comma 5 lett. b), l'art. 7 comma 1 lett h); l'art. 7 comma 2 lett. b) e d); l'art. 10 commi. 3 5 6], divenute efficaci e quindi legittimamente pubblicate dall'Università nella G.U.R.I. n. 113 del 16.5.2012.
    14. Per completezza d'esame, va anche considerato che, nei detti motivi aggiunti, la Difesa erariale assume che l'Università, ritenendo erroneamente che il termine per il controllo fosse di sessanta giorni (con scadenza 14.5.2012), non avrebbe atteso, prima di pubblicare le modifiche apportate allo citate norme dello statuto, la scadenza del termine di prescritto di centoventi giorni.
    Tale assunto non si ritiene di poter condividere, in quanto, trattandosi di modifiche apportate al nuovo statuto già approvato nel 2011, inviate al Ministero il 15.3.2012, il controllo di legge non poteva che avvenire nel termine ordinario di sessanta giorni imposto, con norma a regime, dall'art. 6 della L. n. 168/1989; il che, peraltro, secondo la incontestata prospettazione dell'Università, sarebbe stato riconosciuto dallo stesso Ministero con e-mail inviata all'Università il 27.3.2012.
    15. In conclusione, il ricorso introduttivo ed i connessi motivi aggiunti debbono essere in parte respinti e in parte dichiarati inammissibili nei sensi prima precisati.
    Sussistono giuste ragioni, attesa la natura degli enti in causa e gli interessi pubblicistici sottostanti, per disporre l'integrale compensazione delle spese di giudizio.
    16. Poiché l'Avvocatura dello Stato sottolinea, nelle conclusioni del ricorso per motivi aggiunti, la gravità dello "strappo istituzionale" determinatosi nella fattispecie, chiedendo in qualche modo al Collegio di darne atto, si ritiene solo di poter formulare un auspicio finale: che gli Organi oggi in causa possano presto intraprendere un proficuo percorso di "leale collaborazione", inteso a salvaguardare - nel rispetto delle reciproche, distinte, competenze - sia l'interesse pubblico sostanziale che le formali prescrizioni di legge.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sui connessi motivi aggiunti, in parte li rigetta ed in parte li dichiara inammissibile secondo quanto precisato in motivazione.
    Spese compensate.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 settembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE-ESTENSORE
    Calogero Ferlisi
    IL CONSIGLIERE
    Gabriella Guzzardi
    IL REFERENDARIO
    Gustavo Giovanni Rosario Cumin
     
    Depositata in Segreteria il 18 settembre 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    Da associazione non riconosciuta... a fondazione

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    N. 781/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 17 Reg. Ric.

    ANNO 2012

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 17 del 2012, proposto da: FONDAZIONE A. A.D.R., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Occhiena e Michela Colapinto, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Massimo Occhiena in Torino, via Gaspare Gozzi, 5;

    contro

    MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;

    per l'annullamento

    - del provvedimento 26.10 2011, prot. n. 2011/2609, notificato in data 2.11.2011, con cui il Prefetto di Torino ha disposto di non iscrivere la fondazione A. a.d.r. nel registro delle persone giuridiche istituito presso la Prefettura di Torino, con conseguente diniego del riconoscimento della personalità giuridica;

    - di ogni altro atto comunque presupposto, preparatorio, connesso, collegato o consequenziale, tra cui, in particolare: l'atto della Prefettura di Torino 20.6.2011, prot. n. 36645/2011; l'atto della Prefettura di Torino 21.6.2011, prot. n. 37/49/2011; la nota del Ministero dell'Interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali - Direzione centrale per gli uffici territoriali del governo e per le autonomie locali - area iv, 12.7.2011, prot. n. m/2011001520; l'atto della Prefettura di Torino 31.8.2011, prot. n. 2011-002609;

    nonché per la condanna

    al risarcimento del danno.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2012 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e sentito l'avv. Occhiena per la parte ricorrente;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    1. L'ente ricorrente è un organismo di conciliazione, ai sensi dell'art. 38 del D. Lgs. n. 5/2003.

    2. Costituito nel 2001 come "associazione non riconosciuta", con l'entrata a regime degli organismi di conciliazione ha chiesto e ottenuto l'iscrizione nell'apposito albo nel 2007. Lo stesso anno ha ottenuto dal Ministero della Giustizia l'accreditamento tra gli enti abilitati a tenere corsi di formazione per i conciliatori.

    3. Con delibera dell'assemblea straordinaria del 29.12.2010, l'associazione ha stabilito di trasformarsi in "fondazione" e, con successiva istanza del 19.04.2011, ha chiesto al Prefetto di Torino il riconoscimento della personalità giuridica mediante iscrizione nel relativo registro, ai sensi del D.P.R. n. 1 del 10 febbraio 2000, n. 361.

    4. Il Prefetto di Torino, disposto un supplemento istruttorio ed acquisito un parere del Ministero dell'Interno, con provvedimento n. 2011/2609 del 26 ottobre 2011 notificato il 02.11.2011, ha respinto l'istanza.

    Nella motivazione del diniego il Prefetto, richiamando il contenuto del parere reso dal Ministero, ha osservato, in particolare, che "in assenza di specifiche disposizioni normative che contemplino espressamente la fattispecie della trasformazione di una Associazione in Fondazione ed alla luce della recente giurisprudenza (Cons. Stato, parere Commissione Speciale n. 288 del 20 dicembre 2000; TAR Toscana, sez. IV, sentenza n. 5802/04; TAR Lazio Roma, sez. I ter, ordinanza n. 460 del 29 gennaio 2009), non si possa procedere al riconoscimento di una Fondazione derivante dalla trasformazione di una Associazione, anche se non riconosciuta".

    5. Con ricorso notificato il 30.12.2011-03.01.2012 e depositato l'11.01.2011, la "Fondazione" A. ha impugnato il predetto diniego dinanzi a questo TAR e ne ha chiesto l'annullamento sulla base di un unico, articolato motivo con il quale ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili.

    In particolare, ha dedotto:

    a) la violazione del principio di autonomia contrattuale, in forza del quale tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge deve ritenersi consentito, purchè diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico;

    b) la violazione dei principi di semplificazione e di economia dei mezzi giuridici, dal momento che il medesimo risultato osteggiato dall'Amministrazione può comunque essere realizzato attraverso l'estinzione dell'associazione e la costituzione ex novo della fondazione, con inutile dispendio di mezzi e risorse;

    c) la violazione delle garanzie partecipative di cui all'art. 10-bis L. 241/90, non avendo l'amministrazione preso in considerazione le articolate osservazioni presentate dall'interessata a seguito della comunicazione del preavviso di diniego;

    d) la violazione dei principi di corretta conduzione dell'istruttoria amministrativa, di ragionevolezza e proporzionalità dell'azione amministrativa, avendo l'amministrazione imposto all'interessata un'inutile ed onerosa attività istruttoria, pur avendo sostanzialmente già deciso di respingere l'istanza;

    e) lo sviamento di potere, avendo la Prefettura sindacato un aspetto (quello della trasformabilità di un'associazione non riconosciuta in fondazione) ultroneo rispetto a quelli demandati per legge al suo controllo ai fini del riconoscimento della personalità giuridica.

    La ricorrente ha chiesto altresì la condanna dell'Amministrazione dell'Interno al risarcimento del danno sofferto a causa dell'illegittima richiesta di supplemento istruttorio, quantificandolo in euro 4.950,22.

    6. Si è costituito il Ministero dell'Interno, depositando documentazione e resistendo al gravame con memoria.

    7. All'udienza in camera di consiglio del 26 gennaio 2012, su richiesta del difensore di parte ricorrente, la trattazione dell'istanza cautelare è stata rinviata al merito, con contestuale fissazione dell'udienza di discussione per il giorno 31 maggio 2012.

    8. In prossimità di quest'ultima, la difesa di parte ricorrente ha depositato una memoria conclusiva.

    Anche la difesa erariale ha prodotto un nuovo documento e una memoria integrativa, di cui, tuttavia, non si terrà conto ai fini della decisione perché tardivi.

    9. Quindi, all'udienza pubblica del 31 maggio 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.

    DIRITTO

    1. E' controverso in giudizio se un'associazione non riconosciuta possa trasformarsi in via diretta in fondazione, o se, invece, per conseguire tale risultato, gli interessati debbano prima estinguere l'associazione per poi costituire ex novo la fondazione.

    La ricorrente sostiene la prima delle due tesi, richiamando principi generali di diritto civile e amministrativo e suffragando la propria tesi con un autorevole contributo dottrinale.

    L'Amministrazione sostiene la tesi opposta uniformandosi ad alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa, espressamente richiamate nella motivazione del diniego impugnato (Cons. Stato, parere Commissione Speciale n. 288 del 20 dicembre 2000; TAR Toscana, sez. IV, sentenza n. 5802/04; TAR Lazio Roma, sez. I ter, ordinanza n. 460 del 29 gennaio 2009).

    2. Il collegio condivide la tesi dell'Amministrazione, sulla base delle seguenti considerazioni.

    2.1. Il codice civile ed il D.P.R. n. 361 del 2000 regolamentano in maniera compiuta il processo di personificazione delle associazioni e delle fondazioni, le modifiche dei relativi atti fondamentali e la relativa estinzione, senza che all'interno di tale corpus normativo trovi disciplina la trasformazione dell'associazione (ente a base personale i cui organi direttivi rimangono sotto l'immanente controllo della base associativa) in fondazione (patrimonio destinato ad uno scopo e soggetto, in quanto privo di base associativa, ad attività di controllo e vigilanza da parte della pubblica Autorità).

    Solo attraverso un apposito intervento legislativo di riforma della disciplina societaria (D.Lgs. n. 6 del 2003) è stata consentita la trasformazione eterogenea da società di capitali in associazioni non riconosciute e in fondazioni (art. 2500 septies c.c.) e la trasformazione eterogenea da associazioni riconosciute o da fondazioni in società di capitali (art. 2500 octies c.c.).

    2.2. Se davvero operasse, in materia, il principio di autonomia contrattuale - come sostiene parte ricorrente - non si spiegherebbe la ragione per la quale il legislatore abbia ritenuto di disciplinare espressamente i casi di trasformazione eterogenea da società in associazioni e viceversa, che pure non erano espressamente vietati nel sistema antecedente alla riforma del 2003.

    La tesi di parte ricorrente, secondo cui in ambito civilistico il principio di legalità sarebbe recessivo rispetto al principio di autonomia contrattuale (di modo che i privati sarebbero legittimati a perseguire interessi meritevoli di tutela utilizzando strumenti negoziali anche atipici, purchè non espressamente vietati dalla legge) nel caso di specie non è conferente, appunto perché non spiega per quale motivo il legislatore del 2003 abbia ritenuto di autorizzare espressamente, dettando una specifica disciplina, ipotesi di trasformazione eterogenea che pure non erano espressamente vietate dall'ordinamento giuridico allora vigente e che, pertanto, alla stregua della tesi sostenuta dalla ricorrente, avrebbero dovuto ritenersi implicitamente consentite, in forza del principio di libertà negoziale.

    2.3. In realtà, proprio tale constatazione induce semmai alla conclusione opposta, e cioè a ritenere che nel vigente ordinamento giuridico la trasformazione eterogenea di enti non è, in linea di principio, consentita, salvo i casi in cui sia espressamente prevista dalla legge; e non è consentita perché, in tutti i casi di trasformazione eterogenea, il principio di autonomia contrattuale deve essere necessariamente bilanciato con altri interessi potenzialmente configgenti, di natura sia pubblica che privata.

    2.4. In particolare, nel caso specifico di trasformazione di un'associazione non riconosciuta in fondazione vengono in rilievo, da un lato gli interessi privati dei creditori della costituenda fondazione, dall'altro l'interesse pubblico al conseguimento dello scopo di pubblica utilità per il quale l'ente è stato costituito e in vista del quale esso viene "riconosciuto" dalla Pubblica Amministrazione.

    Entrambi i predetti interessi sono garantiti dalla solidità e dalla stabilità nel tempo del fondo di dotazione dell'ente, aspetti che il Prefetto è tenuto per legge a valutare ai fini dell'iscrizione dell'ente nel registro delle persone giuridiche (art. 1 comma 3 D.P.R. 10.02.2000, n. 361).

    Tale valutazione preventiva viene ad essere impedita nel caso di trasformazione diretta di un'associazione non riconosciuta in fondazione in quanto, mancando una fase preventiva di confronto con i creditori dell'associazione (diversamente da quanto previsto in materia societaria dall'art. 2500 novies c.c, dove si prevedono oneri di pubblicità dell'atto pubblico di trasformazione e la facoltà dei creditori dell'ente di provenienza di fare opposizione alla trasformazione entro 60 giorni dall'ultimo adempimento pubblicitario, al fine di ottenere il pagamento dei propri crediti), nel caso in esame la trasformazione non dà alcuna certezza sull'integrità del patrimonio della neonata fondazione, dal momento che questo, per il principio di continuità dei rapporti giuridici, resta esposto all'alea di possibili azioni dei creditori dell'associazione, e come tale non consente al Prefetto di valutarne l'idoneità a sostenere le finalità perseguite dal nuovo soggetto, né tale incertezza è superabile con chiarimenti o documentazione supplementare.

    Nemmeno appare applicabile alla fattispecie in esame la disciplina di cui all'art. 2500 novies c.c. - come preteso dalla parte ricorrente - dal momento che, trattandosi di norma di carattere eccezionale inserita nel contesto di una disciplina che deroga al generale divieto di trasformazione eterogenea desumibile dal sistema, essa non è suscettibile di interpretazione analogica.

    Viceversa, attraverso l'estinzione dell'associazione non riconosciuta (previa liquidazione del patrimonio e soddisfacimento degli eventuali creditori dell'ente) e la costituzione ex novo della fondazione, si dà vita ad un soggetto giuridico nuovo ed estraneo alle pregresse vicende giuridiche della associazione, delle cui obbligazioni continueranno a rispondere, personalmente e illimitatamente, soltanto i legali rappresentanti che le hanno contratte, secondo quanto previsto dall'art. 38 del cod. civ.

    3. Alla stregua di tali considerazioni, ritiene il collegio che possano essere affermati i seguenti principi di diritto:

    - è legittimo il diniego prefettizio di iscrizione nel registro delle persone giuridiche di una fondazione derivante in via diretta, mediante trasformazione, da un'associazione non riconosciuta, dal momento che la predetta trasformazione (c.d. eterogenea), non essendo preceduta da un meccanismo preventivo di confronto con i creditori dell'associazione (come invece previsto in ambito societario dall'art. 2500 novies c.c.), espone il patrimonio della neocostituita fondazione, in forza del principio di continuità dei rapporti giuridici, a possibili azioni dei creditori dell'associazione, così impendo al Prefetto, all'atto di autorizzare l'iscrizione della fondazione nel registro delle persone giuridiche, di verificare preventivamente l'adeguatezza del patrimonio dell'ente alla realizzazione dello scopo statutario, secondo quanto previsto dall'art. 1 comma 3 del D.P.R. 10.02.2000, n. 361;

    - l'obiettivo di trasformare un'associazione non riconosciuta in fondazione deve necessariamente essere perseguito attraverso la preventiva estinzione dell'associazione (preceduta dalla fase di liquidazione degli eventuali creditori sociali) e la successiva costituzione ex novo della fondazione quale soggetto di diritto nuovo, autonomo e titolare di un patrimonio svincolato dalle vicende e dai rapporti giuridici facenti capo alla pregressa associazione, come tale suscettibile di essere valutato dal Prefetto sotto il profilo della adeguatezza al perseguimento dello scopo statutario, ai fini dell'iscrizione dell'ente nel registro delle persone giuridiche e del riconoscimento della personalità giuridica;

    - l'art. 2500 novies c.c., nel prevedere, in ambito societario, la facoltà dei creditori dell'ente di provenienza di fare opposizione alla trasformazione eterogenea al fine di ottenere la liquidazione preventiva dei propri crediti, detta una disciplina derogatoria rispetto ai principi generali desumibili dal sistema normativo e non è pertanto suscettibile di applicazione analogica alla diversa fattispecie di trasformazione diretta di un'associazione non riconosciuta in fondazione.

    4. Alla luce dei principi appena enunciati, ritiene il collegio che nel caso di specie nessuna delle censure proposte dalla parte ricorrente possa essere condivisa, dal momento che il provvedimento impugnato:

    a) non viola il principio di autonomia contrattuale, posto che nella specifica materia tale principio è recessivo rispetto al generale divieto, desumibile dal sistema normativo, di trasformazione eterogenea di enti, salvo i casi espressamente consentiti;

    b) non viola i principi di economia dei mezzi giuridici e di semplificazione, giacchè la necessità di provvedere alla preventiva estinzione dell'ente associativo e alla successiva costituzione ex novo della fondazione risponde a ragionevoli esigenze di tutela della solidità patrimoniale di quest'ultima, a sua volta funzionale alla garanzia dei creditori dell'ente e al perseguimento dei fini statutari di pubblica utilità dell'ente stesso;

    c) contiene una motivazione certamente adeguata del diniego impugnato, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali in essa richiamati, nei quali i predetti principi sono chiaramente enunciati;

    d) non viola le garanzie partecipative dell'interessato, dal momento che l'onere di cui all'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 non comporta l'obbligo di puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata, essendo al contrario sufficiente - ai fini della giustificazione del provvedimento adottato - la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso in rapporto alle risultanze complessivamente acquisite (Cons. Stato, sez. VI, 06 giugno 2011, n. 3354; T.A.R. Roma Lazio sez. II, 05 marzo 2012, n. 2214);

    e) si è fondato su un'istruttoria adeguata, ragionevole e non meramente emulativa, finalizzata in modo particolare a valutare l'idoneità del patrimonio dell'ente a realizzarne i fini statutari, secondo quanto prescritto dalla normativa di settore;

    f) non ha valutato aspetti ultronei rispetto a quelli previsti dalla legge ai fini del riconoscimento della personalità giuridica, dal momento che la verifica della adeguatezza patrimoniale dell'ente richiedente è, al contrario, uno dei compiti precipui affidati dalla legge al Prefetto territorialmente competente.

    5. Infine, nessuna evidenza processuale conforta la supposizione di un atteggiamento preconcetto dell'Amministrazione procedente. Tutte le integrazioni istruttorie sono state richieste dalla Prefettura in data antecedente all'acquisizione del parere (sfavorevole) del Ministero, a seguito del quale l'ufficio ha correttamente interrotto ogni attività istruttoria e comunicato al richiedente la sussistenza di motivi di per sé ostativi all'accoglimento dell'istanza.

    6. La correttezza e la doverosità del comportamento serbato dell'Amministrazione intimata escludono la sussistenza di un fatto ingiusto ad essa imputabile, presupposto essenziale della domanda risarcitoria proposta dalla parte ricorrente, che va quindi anch'essa respinta.

    7. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto perchè infondato sotto tutti i profili dedotti.

    8. Le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi per la singolarità e la complessità delle questioni esaminate.

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e compensa le spese di lite.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2012 conl'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Lanfranco Balucani

    L'ESTENSORE

    Ariberto Sabino Limongelli

    IL PRIMO REFERENDARIO

    Roberta Ravasio

     

    Depositata in Segreteria il 29 giugno 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     
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