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    Inquinamento da rifiuti: il proprietario del sito inquinato deve "attivarsi"

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    N. 598/2011 Reg. Prov. Coll.
    N. 3 Reg. Ric.
    ANNO 2005
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 3 del 2005, proposto da:
    D. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Razeto, Giuseppe Greppi e Paolo Monti, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Antonio Fiore, in Torino, corso Alcide De Gasperi, 21;
    contro
    Comune Alessandria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Bruna Bruni, con domicilio eletto presso lo studio della medesima, in Torino, corso Re Umberto, 65;
    per l'annullamento
    - dell'ordinanza n. 383 del 14 dicembre 2004, notificata il 15 dicembre 2004, con la quale il Sindaco di Alessandria, ai sensi dell'art. 17 del D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, ha ingiunto di presentare al Comune di Alessandria e alla Regione Piemonte: a) entro 30 giorni il Piano della Caratterizzazione dell'intervento di bonifica e ripristino ambientale presso l'area denominata "...omissis..." nel Comune di Alessandria e di proprietà dell'esponente; b) entro un anno il Progetto di Definitivo di bonifica e ripristino ambientale;
    - di ogni altro atto presupposto, conseguente o connesso con l'atto impugnato
    nonché per la condanna al risarcimento
    dei danni patiti dal ricorrente in conseguenza del suddetto provvedimento ai sensi dell'art. 35 del D. Lgs. 31 marzo n. 80, come sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 2005.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune Alessandria;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2011 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Considerato che la società D. s.r.l., quale proprietaria dell'area denominata "...omissis...", è insorta innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale avverso l'ordinanza n. 383 del 14 dicembre 2004, con la quale il Sindaco del Comune di Alessandria, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, ha ingiunto al curatore del fallimento "B. s.r.l." di presentare al Comune e alla Regione Piemonte: a) entro 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza medesima ovvero dall'accesso al fondo il piano della caratterizzazione dell'intervento di bonifica e ripristino ambientale presso l'area su indicata; b) entro e non oltre un anno dalla scadenza del termine poc'anzi indicato il progetto definitivo di bonifica e ripristino ambientale;
    Considerato che la ricorrente, oltre ad invocare l'annullamento del provvedimento impugnato, ha avanzato anche richiesta di risarcimento dei danni patiti a causa e in conseguenza dello stesso;
    Considerato che nel corso del giudizio e a seguito delle indagini di caratterizzazione ambientale svolte dalla società ricorrente è emerso che alcuni dei valori che avevano portato il Comune ad adottare il provvedimento impugnato erano in realtà confrontabili con quelli del fondo naturale dell'area in cui è ubicato il sito e gli altri erano comunque inferiori ai limiti di legge, rendendo evidente, dunque, l'assenza dei presupposti necessari per la prosecuzione del procedimento e la progettazione/esecuzione degli interventi di bonifica o messa in sicurezza del sito medesimo;
    Considerato che il Comune di Alessandria, con determinazione n. 232 in data 24 gennaio 2006, prendendo atto di tali risultati e del parere degli enti convocati in conferenza di servizi, ha dichiarato conclusa la procedura di bonifica attivata ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. n. 22 del 1997 e del D.M. n. 471 del 1999 presso il sito "...omissis..." per insussistenza dei presupposti per la prosecuzione della procedura stessa, stante l'assenza di contaminazione delle matrici ambientali, come esplicitato, in particolare, nel parere dell'Arpa di Alessandria in data 29 novembre 2005, prot. n. 149343/SC07;
    Considerato che, pur essendo venuto meno l'interesse della società ricorrente all'annullamento del provvedimento impugnato, permane, tuttavia, in capo alla stessa quello ad ottenere una decisione giurisdizionale in ordine all'istanza risarcitoria avanzata, per lo meno con riferimento ai danni asseritamente subiti medio tempore e causalmente connessi alla "responsabilità da posizione" su essa gravante ai sensi dell'art. 17, commi 10 e 11, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, quale proprietario del sito inquinato, in conseguenza del provvedimento medesimo;
    Considerato che la titolarità del procedimento che ha portato all'emissione del provvedimento contestato è del Comune e gli accertamenti tecnici eseguiti dall'Arpa confluiscono nel provvedimento in questione, conseguendone la non necessarietà della loro impugnazione e/o dell'evocazione in giudizio dell'Arpa;
    Considerato che appaiono sussistenti i presupposti di legge per definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 74 del c.p.a.;
    Ritenuto di dover dichiarare l'improcedibilità del ricorso, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), del c.p.a., con riferimento alla richiesta impugnatoria avanzata, atteso che l'adozione della determinazione n. 232 in data 24 gennaio 2006 ha di fatto provocato la sostanziale rimozione del provvedimento contestato, facendo conseguentemente venir meno l'interesse della ricorrente alla coltivazione del gravame;
    Ritenuta, invece, la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata, in base alle seguenti considerazioni:
    - a norma dell'art. 2043 del codice civile qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, conseguendone che sono elementi costitutivi dell'illecito extracontrattuale: il fatto illecito, il nesso di causalità, l'ingiustizia (o antigiuridicità) del danno, la colpevolezza e il danno;
    - nel caso di specie, sono circostanze pacifiche:
    a) la sussistenza del fatto illecito, atteso che le indagini di caratterizzazione ambientale svolte dalla società ricorrente hanno evidenziato - confermando, in tal senso, la fondatezza "virtuale", con carattere assorbente, del II motivo di diritto (Violazione dell'art. 4, secondo comma, del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471; eccesso di potere per carenza d'istruttoria; eccesso di potere per difetto di motivazione), cui la stessa aveva affidato la propria azione impugnatoria - l'assenza dei presupposti necessari per la prosecuzione del procedimento e la progettazione/esecuzione degli interventi di bonifica o messa in sicurezza del sito "...omissis...", stante l'assenza di contaminazione delle matrici ambientali. I parametri cromo totale e nichel hanno dimostrato, infatti, che i valori riscontrati sono confrontabili con i valori del fondo naturale riconducibili alla litologia della zona, composta da sedimenti naturali depositati dal fiume Bormida e ricchi di tali elementi, come confermato in precedenti studi e monitoraggi ambientali condotti dall'Arpa. Il parametro idrocarburi pesanti C>12 e tetracloroetilene ha evidenziato, invece, concentrazioni inferiori ai limiti previsti dal D.M. n. 471 del 1999 per la specifica destinazione d'uso del sito medesimo;
    b) l'ingiustizia del danno e la sua riconducibilità alla (illegittima) attività provvedimentale del Comune di Alessandria, atteso che le spese che la società ricorrente ha allegato e documentato d'aver sostenuto per le consulenze tecniche ed i campionamenti necessari per dimostrare l'erroneità dell'istruttoria dell'Arpa posta a sostegno del provvedimento impugnato sono, all'evidenza, connesse a tale provvedimento e necessitate proprio dall'esigenza di evitare la concreta apposizione dell'onere reale di cui all'art. 17, comma 10, del D.Lgs. n. 22 del 1997 sull'area di sua proprietà e le eventuali azioni esecutive di cui al successivo comma 11 per il recupero delle spese sostenute dalla pubblica amministrazione per l'esecuzione d'ufficio degli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale: Al riguardo, osserva, infatti, il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa del Comune, le azioni intraprese nel caso specifico dalla società D. s.r.l. non possono essere ritenute frutto di una scelta "spontanea" e riconducibili alla previsione di cui all'art. 9, comma 1, del D.M. n. 471 del 1999, ma, anzi, basate sulla diversa disposizione di cui all'art. 8, comma 4, del medesimo decreto e necessitate proprio dall'esigenza di evitare le pregiudizievoli conseguenze di cui ai commi 10 e 11 dell'art. 17 di cui innanzi s'è fatto cenno. In tal senso depone, infatti, non solo la disposizione di cui all'art. 8, comma 4, laddove, nello stabilire che "Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato né altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla Regione o dal Comune ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", lascia chiaramente intendere che il proprietario del sito inquinato, ancorché incolpevole e seppur in subordine al responsabile dell'inquinamento, è comunque tenuto ad attivarsi, nel più breve tempo possibile, per evitare che all'esecuzione degli interventi necessari provveda la pubblica amministrazione competente, con le conseguenze note, ma in maniera ancora di più chiara depone anche la successiva disposizione di cui all'art. 9, comma 1, che per l'appunto limita la libera iniziativa individuale del proprietario di un sito o di altro soggetto interessato ai soli casi diversi da quelli già previsti e disciplinati dagli artt. 7 e 8 del decreto;
    c) la colpevolezza dell'Amministrazione comunale, atteso che la società D., con ricorso proposto appena 13 giorni dopo la notifica del provvedimento in data 14 dicembre 2004, ne ha contestato la legittimità (per motivi rivelatisi poi fondati), circostanza che, anche in considerazione della produzione documentale effettuata e, in particolare, della perizia in data 20 dicembre 2004 dello Studio A. s.r.l. (all. 4 - fascicolo documenti società ricorrente), predisposta per il ricorso contro il sequestro penale del sito "...omissis...", avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione per lo meno a confrontare rapidamente i valori rilevati con quelli del fondo naturale dell'area in cui è ubicato il sito, evitando, dunque, la redazione del piano di caratterizzazione e l'avvio delle relative indagini da parte della ricorrente;
    d) il danno allegato dalla società D. s.r.l., seppur limitatamente a quella parte dello stesso idoneamente provato e direttamente riconducibile all'attività provvedimentale del Comune di Alessandria, unico soggetto evocato nel presente giudizio, e, nello specifico, alle sole spese sostenute medio tempore dalla ricorrente in conseguenza dell'emanazione (e notifica) dell'ordinanza n. 383/2004;
    Ritenuto, conseguentemente, di accogliere, nei sensi e nei limiti innanzi evidenziati, la richiesta risarcitoria avanzata e, per l'effetto, di condannare il Comune di Alessandria al pagamento a favore della società ricorrente dell'importo di Euro 20.472,00, corrispondente alle spese sostenute per l'esecuzione di n. 3 carotaggi stratigrafici (fattura dott. L. C. n. 76/2005 - Euro 3.480,60), per il prelievo di campioni (fattura I. n. 1006/2005 - Euro 2.304,00) e per la redazione del piano della caratterizzazione (fattura Studio A. n. 2/2005 - Euro 14.688,00), oltre gli interessi compensativi dalla data della loro effettuazione e fino alla liquidazione con la presente sentenza e quelli legali corrispettivi ex art. 1282 c.c. dal momento della notifica della sentenza e sino al saldo;
    Ritenuto che, sussistano giusti motivi per compensare per metà le spese di lite e che la parte residua segua la soccombenza e vada liquidata come indicato in dispositivo;
    Ritenuto, in ogni caso, che vada rifuso alla società ricorrente (all'atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell'art. 13, comma VI bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall'art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato pari ad euro 340,00 (trecentoquaranta/00).
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse con riferimento alla richiesta impugnatoria.
    Lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con riferimento alla richiesta risarcitoria e, per l'effetto, condanna il Comune di Alessandria al pagamento a favore della società ricorrente dell'importo di Euro 20.472,00, oltre gli interessi compensativi dalla data della loro effettuazione e fino alla liquidazione con la presente sentenza e quelli legali corrispettivi ex art. 1282 c.c. dal momento della notifica della sentenza e sino al saldo.
    Compensa per metà le spese del giudizio e condanna il Comune di Alessandria a rifondere alla ricorrente la parte residua, per complessivi Euro 1.500,00.
    Parte resistente provvederà, comunque, a rifondere alla ricorrente (all'atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell'art. 13, comma VI bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall'art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato pari ad euro 340,00 (trecentoquaranta/00).
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
    Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
     
    IL PRESIDENTE
    Vincenzo Salamone
    L'ESTENSORE
    Manuela Sinigoi
    IL REFERENDARIO
    Antonino Masaracchia
     
    Depositata in Segreteria l'11 giugno 2011
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
     

    occorre annullare l'autorizzazione prima di sospendere i lavori

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    Ultimo aggiornamento Venerdì 25 Marzo 2011 12:57
     

    Contratti part-time ed impossibilità di automatica conversione in rapporti a tempo pieno

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    CassazioneSezione lavoroSentenza 13 aprile 2004, n. 7012 (Presidente De Luca – Relatore Maiorano) Svolgimento del processoCon sentenza del 4 – 16 giugno 1999 il Tribunale di Pisa accoglieva la domanda di M.V. proposta nei confronti della Fondazione Stella Maris e dichiarava, che il rapporto di lavoro intercorrente fra le parti era a tempo pieno ed indeterminato a decorrere dal 10 giugno 1996, con condanna della Fondazione al pagamento delle differenze retributive pari a £ 16.800.000. Il rapporto originariamente era sorto nel 190 a tempo pieno ed indeterminato ed era stato poi trasformato, a domanda, a tempo parziale per due volte con durata annuale e poi ancora a tempo parziale e poi a tempo pieno in data 10 giugno 96 limitatamente alla durata di un anno, per tornare a tempo parziale allo scadere del termine. Quest’ultima trasformazione, non era legittima e quindi la domanda doveva essere accolta.La Corte d’appello di Firenze, investita in grado di appello su ricorso alla Fondazione, con sentenza del 7 – 21 novembre 00, riformava la decisione e rigettava l’originaria domanda, sul rilievo che pacifico in causa, oltre che documentato dalle produzioni delle parti, era che il rapporto di lavoro della M. era ormai definitivamente un rapporto a tempo parziale in virtù di una precedente trasformazione consensuale attuata con il contratto 9 gennaio 1995 (all. 7 fasc. appellata) firmato da entrambe le parti e regolarmente convalidato dall’ufficio provinciale del lavoro in data 12 gennaio 1995, allorché intervenne la trasformazione in rapporto a tempo pieno, ma a termine. Con lettera del 12 gennaio 1995 (all. 7° fasc. appellata) la M. sottoponeva il suo consenso, già irrevocabilmente prestato, alla duplice condizione della definitiva acquisizione della qualifica di educatrice professionale ed alla definitiva assegnazione al “Uoi” e la Fondazione accettava entrambe le richieste con lettera del 16 gennaio 1995; anche riconoscendo valore contrattuale alle condizioni poste dalla lavoratrice fuori dal testo del contratto, le stesse si erano già verificate; irrilevante quindi era la circostanza che nella medesima lettera del 12 gennaio 1995 la M. esprimesse la propria volontà di tornare full-time non appena se ne fosse verificata l’opportunità, trattandosi della esternazione di una semplice aspirazione, cui la dichiarante non subordinava l’efficacia dell’accordo e pertanto del tutto priva di qualsiasi valore negoziale.Inapplicabile al caso di specie era l’articolo 5, comma 10, legge 863/84, secondo cui «su accordo delle parti (espresso nelle forme di legge) è ammessa… la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale», perché nella specie si trattava della ipotesi inversa, ove il rapporto a tempo pieno si inseriva come una parentesi temporale nell’ambito di un rapporto definitivamente a tempo parziale, l’estensione di detta norma al caso opposto non era consentita dal dato letterale della stessa, né dalla sua ratio, che era quella di fornire una garanzia più accentuata che assicurasse la tutela della volontà negoziale non semplicemente attraverso l’atto scritto, ma attraverso l’assistenza successiva dell’organo pubblico; tale ratio perdeva la sua ragion d’essere in presenza di un atto che si traduceva nell’arricchimento del regime orario del rapporto, senza alcun possibile danno per la posizione economica del soggetto più debole del contratto di lavoro; per questa fase migliorativa del rapporto, anche se limitata sul piano temporale, la legge non prevedeva nulla. Il successivo passaggio al rapporto di lavoro part-time, alla scadenza del termine non si atteggiava come una nuova trasformazione del rapporto, ma come un ritorno dello stesso al regime consensualmente e liberamente voluto dalle stesse parti e divenuto ormai il regime normale del rapporto. «La mancata sottoposizione dell’atto 7 giugno 1996 (di accettazione della proposta della lavoratrice 27 marzo 1996) alla convalida dell’organo pubblico«era quindi irrilevante ai fini della piena validità dell’accordo intervenuto fra le parti di trasformazione temporanea del rapporto a tempo piano».L’appello quindi doveva essere accolto con conseguente rigetto della originaria domanda.Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione la M., fondato su due motivi. Resiste la fondazione Stella Maris con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.Motivi della decisioneLamentando, col primo motivo, violazione e falsa applicazione degli articolo 1326 Cc e 5, comma 10, legge 863/84, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (articolo 360 n. 3 e 5 Cpc) deduce la ricorrente che errato è l’assunto di fondo su cui di base la sentenza impugnata, secondo cui sarebbe inapplicabile al caso di specie il disposto dell’articolo 5 legge 863/84, perché regola l’ipotesi inversa della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, mentre qui ci sarebbe stato un rapporto a tempo pieno che si sarebbe inserito come una parentesi temporale in un rapporto definitivamente a tempo parziale. La tesi è errata perché la ratio della norma è quella di verificare la genuinità di una manifestazione di volontà che comporta per il lavoratore una cospicua riduzione dei mezzi di sostentamento e di risorse previdenziali.Il punto di partenza ignorato dal giudice d’appello è l’espressione della volontà delle parti al momento della trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno; la lavoratrice ha manifestato l’intenzione di passare definitivamente a tempo pieno, mentre il datore di lavoro ha parzialmente accettato quella proposta ma solo per un periodo determinato. Non esiste quindi «quella concordanza che la legge del 1984 richiede per consentire proprio il passaggio da tempo pieno a tempo parziale. Di qui l’indispensabilità della convalida della volontà della lavoratrice» da parte dell’organo pubblico. Né è sostenibile la tesi che la norma non sia applicabile al caso contrario del passaggio del rapporto a tempo parziale a quello a tempo pieno; nell’impegno assunto dalla Fondazione sono «contenute due distinte obbligazioni. Con la prima si conveniva il passaggio a tempo pieno, mentre con la seconda tale passaggio veniva esplicitamente prefigurato come a tempo determinato», quest’ultima obbligazione ha una sua specifica autonomia, «posto che incide su un assetto di interessi qualitativamente diverso e del massimo rilievo»; la ricorrente dopo avere richiesto, per ragioni di salute, la trasformazione temporanea del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, fin dal 1995 ha insistito per un ritorno al tempo pieno e indeterminato e questo non può essere ignorato dal datore di lavoro. La distinta obbligazione diretta al ritorno del rapporto a part-time realizza proprio la fattispecie legislativa di cui all’articolo 5 legge 863/84.Sotto altro profilo, il giudice d’appello ha male interpretato la volontà delle parti: a fornite della proposta della lavoratrice di tornare al tempo pieno e indeterminato, c’è stata una controproposta di contratto a tempo pieno a termine, che deve essere sottoposta a convalida davanti all’ufficio pubblico; se la legge prevede un sostegno pubblico per la trasformazione del rapporto da tempo pieno in part-time, a maggior ragione «suppone che il sostegno della volontà debba sussistere in presenza di un contrasto esplicitamente manifestato».Lamentando, col secondo motivo, violazione degli articolo 2909 Cc, 112 Cpc e 5, comma 10 legge 863/84, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (articolo 360 n. 3 e 5 Cpc) deduce la ricorrente che avverso l’affermazione del primo giudice che si è «costituito fra le parti un rapporto a tempo pieno indeterminato» non è stato proposto gravame e quindi a sentenza sul punto è passata in cosa giudicata. In ogni caso è errato l’assunto che anche l’eventuale dimostrazione della violazione dell’obbligo di cui all’articolo 5, 10 comma, della legge 863/84 non avrebbe potuto condurre alla conseguenza dell’instaurazione di un rapporto a tempo pieno ed indeterminato; la mancata attivazione della procedura di convalida della volontà del lavoratore comporta la nullità per violazione di clausole disposta dall’ordinamento a tutela del lavoratore, nullità che colpisce la clausola oppositiva del termine, per cui residua la permanenza fra le parti di un rapporto a tempo pieno ed indeterminato.Il ricorso è infondato.In ordine al primo motivo di ricorso si osserva innanzitutto che dalla violazione dell’obbligo previsto dall’articolo 5, 10 comma, legge 863/84 non deriva la trasformazione del rapporto da part-time a full-time; la Corte in proposito ha già avuto modo di affermare che «la stipulazione di un contratto a tempo parziale con l’inosservanza dei requisiti di forma previsti dall’articolo 5 del Dl 726/84, convertito con modificazioni nella legge 863/84, non comporta l’automatica sostituzione della disciplina relativa a tale tipo di rapporto con quella prevista per i rapporti a tempo pieno – sia perché manca una disposizione in tal senso analoga a quella dettata in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, sia perché la normativa sul rapporto a tempo parziale mira a soddisfare le esigenze delle parti contrapposte ed intende particolarmente garantire il rispetto della volontà di entrambe – e deve invece farsi applicazione della regola di cui all’articolo 1419, primo comma, Cc» (Cassazione 6713/95). Non sussiste quindi la violazione di legge lamentata.Quando poi al preteso vizio di motivazione si osserva che non è stata proposta alcune censura contro la affermazione del giudice d’appello, secondo cui dopo due contratti di lavoro part-time con durata annuale si sia poi concluso regolarmente fra le parti un rapporto part-time a tempo indeterminato, in ordine al quale si siano poi verificate, con la incondizionata accettazione dell’altra parte, entrambe le condizioni poste dalla lavoratrice per la conclusione di tale contratto; questo quindi è un dato acquisito non più contestabile.Logica e coerente è l’affermazione successiva che il contratto di lavoro a tempo pieno, ma determinato, si sia inserito come una parentesi nell’ambito di un rapporto part-time già consolidato. La configurazione di questo accordo come due distinti contratti, uno per il definitivo passaggio dal part-time al full-time e l’altro per l’apposizione del termine (con successivo passaggio dopo la scadenza dello stesso al rapporto part-time, per il quale sarebbe stato necessario il successivo apporto ed assistenza dell’organo pubblico) appare come una costruzione, forse suggestiva, ma certamente priva di agganci testuali, che non vengano minimamente posti in evidenza dalla ricorrente; in base al principio di diritto sopra enunciato, la mancata convalida per il ritorno del rapporto al regime part-time non comporta la trasformazione del rapporto medesimo in full-time. Anche se l’aspirazione della lavoratrice sia stata quella di tornare ad un rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato, non c’è alcun obbligo, legale o convenzionale, dell’altra parte di accettare tale soluzione e pienamente legittima è la determinazione del datore di lavoro di accettare l’offerta, ma a tempo determinato; ed in questo senso è stato raggiunto un accordo fra le parti, che appare unitario in mancanza di elementi per dimostrare che l’intenzione delle parti stesse fosse diversa, come prospettato dalla ricorrente. Il primo motivo di ricorso va quindi disatteso.In ordine al secondo, basta rilevare che avvero la pronuncia del primo giudice che fra le parti si sia «costituito un rapporto a tempo pieno indeterminato» il datore di lavoro ha proposto appello, chiedendo di riformare la sentenza «e per l’effetto respingere il ricorso della sig.na Viviana M.» come si legge nelle conclusioni riportate in sentenza. Va quindi disatteso l’assunto che sul punto si sia formata la cosa giudicata. Per il resto la Corte territoriale si è limitata a richiamare i principi già elaborati da questa Corte con la sentenza 14692/99, secondo cui anche l’eventuale nullità di contratto part-time per difetto di forma scritta non comporta l’automatica conversione in contratto a tempo pieno; si tratta non di un capo autonomo ma di una mera argomentazione giuridica per disattendere la tesi affermata dal Tribunale non suscettibile di passere cosa giudicata. Anche il secondo motivo va disatteso ed il ricorso rigettato.Sussistono giusti motivi per la integrale compensazione fra le parti delle spese di lite.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.Così deciso in Roma il 15 gennaio 2004.Depositata in cancelleria il 13 aprile 2004.

    Ultimo aggiornamento Venerdì 25 Marzo 2011 12:58
     

    Motivazione del decreto di occupazione d'urgenza

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    Ultimo aggiornamento Venerdì 25 Marzo 2011 12:58
     


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