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    Riparto di giurisdizione sulla revoca dell'affidamento in gestione di impianti sportivi comunali

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    N. 03380/2016REG.PROV.COLL.

    N. 07401/2015 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato

    in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 7401 del 2015, proposto da: 
    Società Sportiva F.R.A., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Gallo, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

    contro

    Comune di Adelfia, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Mariani, con domicilio eletto presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

    per la riforma

    della sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, n. 00697-2015, resa tra le parti, concernente l’appello avverso la sentenza con cui il giudice amministrativo ha dichiarato il difetto di giurisdizione - Revoca contratto di gestione strutture sportive comunali e ordine di rilascio.

     

    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Adelfia;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2016 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Gallo e Giuseppe Mariani;

     

    FATTO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sez. I, con la sentenza 13 maggio 2015, n. 697, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, indicando il Giudice Ordinario quale Giudice munito di giurisdizione, sul ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento della Determinazione del Dirigente del Settore Servizi Sociali del Comune di Adelfia, n. 176 del 10.4.2014, R.G. 471 del 10.4.2014, notificata in data 11.4.2014, avente ad oggetto "Esercizio del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, secondo comma del codice civile. Dichiarazione di nullità e/o inefficacia sopravvenuta del contratto del 24 agosto 2010 rep. n.1437 e contestuale ordine di rilascio delle strutture sportive comunali e di assistenza delle forze di polizia municipale".

    Il TAR ha rilevato sinteticamente che:

    - La determinazione comunale di revoca dell’aggiudicazione della gara è stata emessa in esito alla nota prot. n. 3253 del 11.2.2014, con la quale l’Amministrazione Comunale ha diffidato la S.S. F.R.A. ad adempiere puntualmente agli impegni assunti con il contratto del 24.8.2010, con l’avvertimento che il mancato adempimento avrebbe comportato la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1454 c.c., con il correlato obbligo a restituire tutti gli impianti sportivi affidati in gestione;

    - Il presunto inadempimento da parte della Società Sportiva F.R.A. sarebbe stato cagionato dal mutamento della composizione soggettiva del raggruppamento temporaneo per effetto dei tre recessi comunicati dalla M.V.A. A.S.D., dall’A. T.A. e dall’A.A.M.;

    - Le scelte effettuate dall’Amministrazione nella fase di esecuzione del contratto d’appalto, quale quella di risolvere il contratto in caso di ritenuto inadempimento, hanno ad oggetto posizioni di diritto soggettivo inerenti a rapporti contrattuali di natura privatistica, nelle quali non hanno alcuna incidenza i poteri discrezionali ed autoritativi della Pubblica Amministrazione;

    - Ridurre il complesso schema di affidamento di strutture sportive e servizi alla mera concessione di beni pubblici facenti parte del patrimonio indisponibile del Comune non risulta corrispondere alla realtà negoziale dell’operazione posta in essere.

    L’appellante contestava la sentenza del TAR, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 133, lett. b), d.lgs. n. 104-2010 con riferimento all’art. 244 d.lgs. n. 163-2006 e l’eccesso di potere per erroneità dei presupposti.

    L’appellante riproponeva quindi le censure di illegittimità formulate in primo grado e non esaminate dal TAR.

    Infatti, secondo l’appellante il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe illegittimo per i seguenti motivi:

    -Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Legge n. 241-1990 per omessa comunicazione di avvio del procedimento;

    - Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.lgs. n. 163-2006. Erroneità dei presupposti, in quanto il sopravvenuto venir meno delle altre associazioni costituenti il raggruppamento temporaneo, aggiudicatario della gara, non avrebbe comportato alcuna modifica nella composizione soggettiva del raggruppamento medesimo;

    - Nullità dell’atto ex. art. 21-septies Legge n. 241-1990. Sviamento per aver agito, il Comune resistente, in difetto assoluto di attribuzione, avendo anzi voluto strumentalmente utilizzare il detto provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale così come posto in essere;

    - Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-quinquies con riferimento all’art. 21-sexies della Legge n. 241-1990 ed all’art. 823 c.c.; violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela; difetto di motivazione; erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; eccesso di potere per sviamento, trattandosi, nel caso di specie, di un provvedimento già compiutamente eseguito e, dunque, insuscettibile di essere revocato; inoltre, il provvedimento gravato non avrebbe individuato alcuna concreta ragione di interesse pubblico giustificativa della revoca dell’aggiudicazione.

    - Eccesso di potere: sviamento dalla causa tipica dell’atto, per la finalità fuorviante perseguita dal Comune di Adelfia con l’adozione del provvedimento gravato, trovando concreto ed oggettivo riscontro, in tesi, nei pregressi atteggiamenti vessatori assunti dal Dirigente Comunale nei confronti della società istante.

    Con l’appello in esame si chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

    Si costituiva il Comune appellato chiedendo la reiezione dell’appello.

    Alla Camera di Consiglio del 19 maggio 2016 la causa veniva trattenuta in decisione.

    DIRITTO

    1. Il Collegio rileva in punto di fatto che l’oggetto del giudizio concerne la revoca, oggetto della determinazione dirigenziale n. 176-2014, della determinazione 1° luglio 2010, n. 781, con la quale era stata disposta l’aggiudicazione del contratto per la gestione delle strutture sportive del Comune di Adelfia, contratto stipulato per atto pubblico redatto dal Segretario Comunale in data 24.8.2010, registrato il successivo 6.9.2010 al raggruppamento di cui l’odierna appellante era capogruppo.

    Come si evince dal Capitolato speciale di appalti per l’affidamento in gestione delle strutture sportive del Comune di Adelfia e come pedissequamente viene riaffermato nel predetto contratto, l’oggetto del contratto è incentrato esclusivamente sulla gestione delle strutture sportive e l’emolumento previsto a carico del Comune è qualificato come contributo annuo di gestione, non rappresentando, dunque, il prezzo di un servizio, ma il concorso alle spese di gestione della struttura medesima.

    Alla luce di tali dati, ricavabili dala semplice lettura degli atti di affidamento, si deve ritenere che l’affidamento in esame ricada nell’ambito dell’affidamento di concessione di beni pubblici, pur connotato da obblighi da espletarsi a carico dell’affidatario a favore della collettività, afferenti alla diversa figura giuridica della concessione di servizi.

    2. Per quanto riguarda la giurisdizione del giudice adito, negata dal TAR, e peraltro non contestata dal Comune appellato, si deve ritenere che, a fronte della natura concessoria di un bene pubblico destinato a pubblico servizio (piscina comunale), la corrispondente controversia circa lo scioglimento unilaterale del contratto spetti al Giudice amministrativo.

    Infatti, gli impianti sportivi di proprietà comunale (nella specie, piscina comunale) appartengono al patrimonio indisponibile del Comune, ai sensi dell'art. 826, ult. comma, c.c., essendo destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, sicché, qualora tali beni siano dati in concessione a privati, restano devolute al giudice amministrativo le controversie sul rapporto concessorio, inclusa quella sull'inadempimento degli obblighi concessori e la decadenza del concessionario (cfr. Cass. civile, Sez. Un., 20 aprile 2015, n. 7959 e Cass. civile, Sez. Un, 23 luglio 2001, n. 10013).

    Come è noto, appartengono alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi ex art. 133, lett. b) c.p.a.

    Peraltro, anche configurando il rapporto in esame come concessione di servizi, la controversia apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi della successiva norma ex art. 133, lett. c) c.p.a., sostanzialmente sovrapponibile quanto a disciplina.

    3. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice adito, rimettendo la causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.

    Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi (assenza di contestazioni del Comune in punto giurisdizione).

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

    definitivamente pronunciando sull’appello principale come in epigrafe indicato, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara la giurisdizione del giudice adito, rimettendo la causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.

    Compensa le spese del presente grado di giudizio.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:

    Francesco Caringella, Presidente

    Claudio Contessa, Consigliere

    Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

    Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

    Oreste Mario Caputo, Consigliere

    L'ESTENSORE

    IL PRESIDENTE

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 26/07/2016

    IL SEGRETARIO

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

    Ultimo aggiornamento Martedì 26 Luglio 2016 13:41
     

    Confini della giurisdizione amministrativa in materia di acquisizione sanante

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    N. 01910/2016REG.PROV.COLL.

    N. 00037/2016 REG.RIC.

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato

    in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

    ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 37 del 2016, proposto da: 
    R.F., A.N., rappresentati e difesi dagli avv. Enrico Lubrano, Filippo Lubrano, con domicilio eletto presso Studio Lubrano in Roma, Via Flaminia 79;

    contro

    Società A.M. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Abbamonte, Orazio Abbamonte, Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio eletto presso Studio Titomanlio in Roma, Via Nicolo' Porpora, 12; 
    Società Anas s.p.a. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

    per l'ottemperanza alla sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV- n. 01768/2015;

     

    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di AM. Spa e di Anas Spa;

    Viste le memorie difensive;

    Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Enrico Lubrano e Filippo Lubrano;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

     

    FATTO

    1.Con il ricorso in ottemperanza all’esame del Collegio i Signori R.F. e A.N. agiscono per l’attuazione del giudicato contenuto nella decisione cognitoria della Sezione n. 01768/2015.

    2.La ottemperanda decisione n. 1768/2015 ha respinto l’appello principale proposto dalla società A.M. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado resa dal T.a.r della Campania – Sede di Napoli – n. 01088/2014 ed ha accolto il ricorso incidentale proposto dalla odierna parte ricorrente in ottemperanza: la sentenza di primo grado è stata pertanto parzialmente riformata.

    2. In pretesa esecuzione della detta decisione la società A.M. s.p.a. ha emesso due provvedimenti, di acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42 bis del TU Espropriazione, in data 9.10.2015.

    3. Con il ricorso in ottemperanza che viene alla decisione del Collegio, si denuncia la nullità di detti provvedimenti in quanto asseritamente elusivi e/o violativi del giudicato formatosi.

    3.1. In particolare, la odierna parte ricorrente in ottemperanza dopo avere riepilogato l’andamento anche infraprocedimentale del contenzioso, e rammentato che sia la sentenza di primo grado che la ottemperanda decisione n. 1768/2015 che aveva riformato la sentenza del Tar avevano pronunciato condanna ai sensi dell’art. 34 comma 4 del c.p.a. ha fatto presente che:

    a)l’appello incidentale da essi proposto era stato accolto nella parte in cui si lamentava che la sentenza di primo grado era viziata ex art.112 cpc, e conseguentemente è stata affermata la corresponsabilità dell’Anas;

    a1)parimenti l’impugnazione incidentale predetta era stata accolta nella parte in cui aveva stigmatizzato la sentenza di primo grado che aveva fatto riferimento - con riguardo alla determinazione del prezzo da corrispondere per le aree- a quello individuato in sede di componimento amichevole del 27 aprile 2004;

    b)in particolare, nei capi 6.2. e segg. della ottemperanda decisione era rimasto escluso che – quanto alla determinazione del valore venale delle aree- si potesse fare riferimento al prezzo fissato in sede di componimento amichevole;

    si era ivi affermato invece che il valore da liquidare doveva essere invece corrispondente al valore venale;

    c)i provvedimenti gravati erano elusivi/violativi del giudicato, in quanto:

    I)il ricorso di primo grado aveva richiesto il risarcimento anche del danno da deprezzamento, quanto alle aree residue di pertinenza dei Signori F. e N., non attinte dalla occupazione illegittima; e tale profilo di doglianza era stato accolto, sia dal Tar, che in secondo grado: le sentenze avevano fatto dettato i criteri risarcitori ex art. 34 comma 4 del cpa, ma avevano accolto integralmente il petitum;

    II)i provvedimenti emessi ex art. 42 bis del TU Espropriazione, però, si discostavano dalle indicazioni rese nelle dette decisioni cognitorie, sia perché non prevedevano l’erogazione di alcuna somma a titolo danno da deprezzamento delle aree residue, sia perché non avevano correttamente liquidato ulteriori danni.

    3.2. Segnatamente, l’odierna parte ricorrente in ottemperanza ha dedotto quanto segue.

    3.2.1. Quanto alla posizione della Signora F., il provvedimento di acquisizione sanante n. 5742/2015 dell’8.10.2015:

    a)aveva disposto l’acquisizione delle aree del comune di Portici (fg.8 particella 409, -ex 349- e particella n. 350 –ex 160-) per una superficie complessiva pari a mq 383, invece della superficie, pari a mq 556, per la quale era stato ab origine predisposto il provvedimento di esproprio; ed era stata conseguentemente erogata –a titolo di indennizzo- una somma corrispondente al valore di mq 383, invece pari a mq 556;

    a1)detta “riduzione” dell’area da acquisire, ad avviso della odierna impugnante era illegittima,in quanto nelle sentenze si era accordata la facoltà di acquisire l’area ex art. 42 bis, ovvero di restituirla previa riduzione in pristino, ma non di “frazionare” l’acquisizione, limitandola ad una porzione del fondo;

    a2)quanto alla porzione di fondo non acquisita ex art. 42 bis (mq 173, pari alla differenza tra l’area occupata pari a mq 556 e quella acquisita pari a mq 383,) non ne era stata neppure disposta la restituzione previa riduzione in pristino né detta area era stata in qualche modo determinata, per cui risultava impossibile comprendere di quale porzione del fondo la Signora F. fosse rimasta proprietaria;

    b) nulla era stato liquidato a titolo di deprezzamento dei beni reliquati;

    3.2.2. Quanto alla posizione del Signor N., il provvedimento di acquisizione sanante n. 5741/2015 dell’8.10.2015:

    a)aveva disposto l’acquisizione delle aree del comune di Portici (fg.8 particella 351, -ex 159-) di estensione pari a mq 90;

    b) nulla era stato liquidato a titolo di deprezzamento dei beni reliquati;

    3.3 Entrambi i provvedimenti erano viziati in quanto (oltre alla “parzialità” dell’acquisizione, denunciata in pregiudizio unicamente della Signora F.) :

    a)erano stati liquidati importi sulla scorta di un computo (neppure chiarito per il vero) che si discostava di molto dal valore venale stimato;

    b)doveva essere liquidato il pregiudizio non patrimoniale in misura pari al 10% del valore venale, ed invece la quantificazione contenuta negli impugnati provvedimenti era “casuale”;

    c) quanto alla occupazione illegittima, a far data dal 20.3.2008 e sino al 23.11.2015 (data di notificazione del provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione) esso avrebbe dovuto essere risarcito nella misura del 5% annuo sul valore del bene: anche quanto a tale ”posta”, la somma da corrispondere da parte dell’Amministrazione sembrava improntata a criteri e parametri “casuali”.

    3.4. Nella seconda parte del ricorso l’ odierna parte ricorrente in ottemperanza ha provveduto a quantificare le somme che avrebbero dovuto esserle versate secondo i parametri corretti, ed ha chiesto che venisse nominato un commissario ad acta e che l’amministrazione venisse condannata al pagamento di astreintes.

    4. In data 21.1.2016 la società A.M. s.p.a. si è costituita depositando atto di stile;

    5.In data 26.1.2016 la società Anas s.p.a. si è costituita depositando atto di stile;

    6. In data 17.3.2016 la società A.M. s.p.a ha depositato una articolata memoria, chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione in quanto:

    a) era stato emesso il decreto ex art. 42 bis del TU Espropriazione;

    b)tutte le controversie in ordine alla quantificazione dell’indennizzo appartenevano alla Giurisdizione ordinaria;

    c)la sentenza ottemperanda aveva rimesso all’Amministrazione la scelta se avvalersi della possibilità di emettere il decreto ex art. 42 bis del TU Espropriazione ovvero restituire il bene: una volta prescelta la prima opzione, ogni problematica in ordine alla quantificazione dell’indennizzo andava rimessa al GO.

    7. In data 8.4.2016 la parte odierna ricorrente in ottemperanza ha depositato una memoria di replica insistendo nelle proprie difese e contestando le eccezioni proposte dalla società A. M. s.p.a.

    8. Alla odierna camera di consiglio del 21 aprile 2016 la causa è stata posta in decisione

    DIRITTO

    1. Il ricorso è in parte inammissibile per difetto di giurisdizione di questo plesso giurisdizionale amministrativo (quanto alla contestazione del valore del fondo, cui ragguagliare l’indennizzo ex art. 42 bis del dPR n. 327/2001, del danno discendente dal deprezzamento alle aree residue, e della somma dovuta a titolo di ristoro del periodo di occupazione illegittima) ed in parte infondato (laddove teso a contestare la possibilità per l’Amministrazione di emettere il decreto ex art. 42 bis del dPR n. 327/2001 e laddove sostiene che esso sia nullo per violazione del giudicato in quanto emesso soltanto per una parte delle aree illegittimamente occupate).

    2. In via preliminare il Collegio evidenzia infatti che appare incontestabile la non spettanza della giurisdizione a questo Plesso giurisdizionale, ex art. 9 del cpa, con riguardo alle domande investenti l’esatta quantificazione dell’indennizzo in relazione al valore venale da attribuire al fondo, il danno da deprezzamento delle aree residue, nonché in ordine alla somma da corrispondere a titolo di pregressa occupazione abusiva (in quanto il comma 3 dell’art. 42 bis del dPR n. 327/2001 stabilisce che detta somma vada determinata in relazione al valore venale del fondo corrispondente all’indennizzo).

    2.1.Invero il Collegio condivide in proposito i recenti arresti dalla giurisprudenza della Corte regolatrice della giurisdizione (Sezioni unite civili Ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096) e della giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sez. IV, 19/10/2015, n. 4777) che affermano che il ristoro previsto dall'art. 42 bis del t.u. espropr. configura un indennizzo da atto lecito, sicché le controversie inerenti alla sua quantificazione devono essere devolute alla giurisdizione ordinaria ai sensi dell'art. 133, lett. g), c. proc. amm.

    La richiamata decisione del Giudice regolatore della giurisdizione, in particolare, dopo avere richiamato la sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 30 aprile 2015 ha tratto le mosse dal seguente presupposto “classificatorio” : “che la complessiva disciplina di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis consente di prefigurare - in prima approssimazione e senza pretesa di completezza - quantomeno due grandi categorie di controversie, a seconda che il loro oggetto sia costituito dalla denuncia di illegittimità del "provvedimento di acquisizione" (ad esempio, per incompetenza o per vizi di motivazione del provvedimento: commi 4 e 5) e dalla eventuale consequenziale richiesta di risarcimento del danno (artt. 7 e 30 cod. proc. amm.), oppure dalla domanda di "determinazione" (ad esempio, controversia sul quantum) o di "corresponsione" (ad esempio, controversia per omesso o ritardato pagamento) "delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa": in linea di massima ed in stretta applicazione dell'art. 133, comma 1, lett. g), cod. proc. amm. e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53 - è del tutto evidente che la prima categoria di controversie deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del Giudice amministrativo, mentre la seconda deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del Giudice ordinario;”.

    2.1. Non intende negare, il Collegio, che in via di principio, si potrebbero porre problematiche interferenziali laddove il provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione si innesti su (e sia conseguente a) una precedente decisione del giudice amministrativo che abbia specificatamente dettato i criteri per quantificare il valore venale del fondo (dato economico, questo, cui, come è noto, si deve rapportare sia la “posta” risarcitoria da occupazione illegittima, che quella “indennitaria” in ipotesi di emissione del provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione).

    In simile ipotesi, laddove si lamenti che l’amministrazione, nell’emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TUEspropriazione si sia discostata dalla specifica indicazione valoriale scolpita nella decisione giudiziale, effettivamente si potrebbe in teoria sostenere che la successiva vicenda processuale concerna il doveroso controllo in sede di ottemperanza di decisioni regiudicate nell’ambito delle quali erano state indicate dal Giudice della cognizione le coordinate cui l’amministrazione intimata avrebbe dovuto attenersi anche laddove avesse ritenuto di emettere il provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione.

    2.2. Senonchè è superfluo interrogarsi su tale evenienza, in quanto ciò non è avvenuto nel caso di specie, poiché sia in primo che in secondo grado le sentenze cognitorie del Tar e di questo Consiglio di Stato surrichiamate:

    a) si sono limitate a precisare che se l’amministrazione non avesse optato per la restituzione del bene previa rimessione in pristino avrebbe dovuto ex art. 34 del cpa raggiungere un accordo con parte odierna ricorrente in ottemperanza al fine di quantificare il valore venale del bene;

    b)in nessuna delle dette pronunce si affronta “in positivo” la questione della determinazione del valore venale suddetto ed in particolare:

    I) il Tar, in primo grado, aveva precisato che “il prezzo da corrispondere quale corrispettivo della vendita dovrà essere determinato con riferimento a quello individuato in sede di componimento amichevole di cui alla minuta del 27 aprile 2004, prezzo che andrà opportunamente rivalutato atteso il tempo trascorso.”;

    II)in appello, tale “determinazione” comunque generica, è stata riformata, ed è stato stabilito (capi da 6.1. a 6.3. della ottemperanda decisione )che “le Amministrazioni intimate e condannate in solido, ai sensi dell’art.34 del c.p.a., laddove non ritenessero praticabile la restituzione dei terreni, dovranno raggiungere con parte appellata un accordo avente ad oggetto la cessione volontaria delle aree. Il prezzo da corrispondere quale corrispettivo della vendita dovrà essere determinato con riferimento alla disposizione di cui all’art. 42 bis del TU Espropriazione oltre agli accessori di legge e gli ulteriori danni, secondo i medesimi parametri.”.

    2.3. Come è agevole riscontrare, quindi, nella ottemperanda decisione si è “espunto” un possibile parametro, e ci si è limitati a richiamare la prescrizione di legge in ordine alla corresponsione del valore venale del fondo.

    2.4. Ciò implica, all’evidenza, la non interferenza del giudicato formatosi con la questione relativa alla determinazione dell’indennizzo e l’attualità dell’insegnamento delle Sezioni Unite secondo cui, una volta che l’Amministrazione decida di optare per la emissione del provvedimento di acquisizione sanante (come nel caso di specie) le controversie sull’indennizzo ivi determinato non pertengono a questo Plesso giurisdizionale.

    2.5. Nella propria memoria di replica la parte ricorrente in ottemperanza contesta che l’Amministrazione potesse (a cagione dell’intervenuto giudicato) esperire la procedura ex art. 42 bis del TU Espropriazione, contesta che in simile ipotesi possa ravvisarsi alcun difetto di giurisdizione, e denuncia la dilatorietà di tale iniziativa intrapresa dall’Amministrazione.

    2.5.1. In contrario senso rileva il Collegio che:

    a) la tesi della non esperibilità della procedura ex art. 42 bis del TU Espropriazione è infondata:

    I)in diritto: tale potere discende da prescrizione di legge, e potrebbe essere impedito soltanto per eventuale decadenza in cui fosse incorsa l’Amministrazione, ovvero (secondo parte della dottrina) per prescrizione impeditiva eventualmente contenuta in sentenza regiudicata in via espressa (e non quindi, soltanto laddove una sentenza non contempli tale potere); la ottemperanza sentenza della Sezione non contiene però alcuna espressa preclusione;

    II)in fatto: la ottemperanda sentenza della Sezione, contrariamente a quanto sostenutosi nella memoria di replica, ha espressamente (e più volte) riconosciuto tale potere in capo all’Amministrazione (capo 5.2. “Parte appellante potrebbe esperire la procedura ex art. 42 bis del TU: e mercé quest’ultima, tutte le “preoccupazioni” da essa manifestate non avrebbero ragione d’essere.” ; “Quanto alle modalità concrete di adempimento di questo incombente, ai sensi dell’art. 34 del c.p.a., laddove non ritenesse praticabile la restituzione dei terreni, l’intimata dovrà raggiungere un accordo con gli originari ricorrenti, avente ad oggetto la cessione volontaria delle aree e/o esperire la procedura ex art. 42 bis del TU Espropriazioni.”; “Neppure appare avere senso compiuto lamentarsi della statuizione del Tar ed ipotizzare (infondatamente) che l’obbligo di restituzione/riduzione in pristino non operi per le c.d. “opere strategiche nazionali”: ciò sia perché l’appellante - si ripete - avrebbe la possibilità di esperire la procedura ex art. 42 bis, sia perché la Corte Europea, nel bandire dal sistema l’accessione invertita, impone -senza fare alcuna differenza in ordine alla tipologia dell’opera illegittimamente edificata- che si risarcisca il proprietario ovvero che si restituisca il fondo, previa riduzione in pristino.”;

    b)la spettanza della giurisdizione al GO, in simile ipotesi è incontestabile ed il Collegio ha prima chiarito la ragione della condivisione di tale orientamento di cui alla Ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096 delle Sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione e di cui alla decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 19/10/2015, n. 4777;

    b1) essa, poi, costituisce unico approdo possibile, tenuto conto del dictum della Corte Costituzionale, reso con la sentenza n. 71/2015 (si veda in particolare il passaggio al punto 5.3. 1 (“5.3.1. - L'eccezione non è fondata.Il regolamento di giurisdizione è stato proposto - proprio dal Comune resistente - perché il privato ha comunque chiesto anche la rideterminazione dell'indennizzo, esattamente in forza dell'art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni, entrato in vigore nelle more del giudizio. Come evidenziato nell'ordinanza di rimessione, ne risulta che se la norma censurata fosse dichiarata incostituzionale, il ristoro economico sarebbe assoggettato al regime del risarcimento ex art. 2043 cod. civ., a prescindere dal riconoscimento del diritto alla restituzione del bene.In altri termini, la rilevanza della questione emerge dal fatto che se la questione di legittimità costituzionale fosse accolta, il giudizio rimarrebbe incardinato innanzi al giudice amministrativo, investito della domanda di rideterminazione del ristoro economico, che acquisterebbe natura risarcitoria; se essa fosse rigettata, ne deriverebbe invece la traslatio iudicii innanzi al giudice ordinario, per i profili di quantificazione dell'indennizzo previsto dall'art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni”); c)quanto alla contestata dilatorietà della iniziativa assunta dall’Amministrazione mercè l’emissione del decreto acquisitivo, si osserva che a fronte di un potere attribuito ex lege, non pare che simile profilo possa portare ad alcun giudizio di illegittimità nell’an dell’operato dell’Amministrazione: il Collegio ha ben chiari gli inconvenienti cui l’odierna parte ricorrente può andare incontro (non ultimo, quello di dovere iniziare un nuovo giudizio innanzi al GO); ma ciò non permette di dichiarare illegittima la condotta dell’Amministrazione che si è attenuta ad una facoltà concessagli dall’ordinamento né di ravvisare alcun “abuso del diritto”.

    3. Va quindi dichiarato il difetto di giurisdizione quanto a tale porzione del petitum (contestazione del valore venale impresso al fondo) e la incontestabilità nell’an del provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione quanto al profilo sopra indicato.

    3.1 Come avvertito in premessa, il difetto di giurisdizione riguarda anche la porzione connessa, seppur distinta, del petitum relativa alla omessa liquidazione del danno da “deprezzamento” sulle aree residue.

    3.2. Si rileva in proposito che - sebbene né il giudizio di primo grado, né il giudizio di appello si siano concentrati sul profilo concernente il danno da deprezzamento delle aree residue - la odierna parte ricorrente in ottemperanza ne aveva chiesto la corresponsione (nella subordinata ipotesi in cui non fosse stata possibile la restituzione del fondo).

    Il Tar accolse detto petitum (così la sentenza di primo grado, non riformata sul punto “in entrambi i casi, sia che si reputi possibile la ripetizione, sia che ciò non sia praticabile, dovranno essere altresì risarciti gli ulteriori danni subiti dalla proprietà.”) e pertanto tale capo di sentenza è passato in giudicato.

    Ma anche con riguardo a tale “posta” indennitaria valgono le considerazioni prima rassegnate(cfr di recente Cassazione civile, sez. I, 27/10/2015, n. 21883).

    Ai sensi degli artt. 40 e 41 della Legge - 25/06/1865, n.2359 oggi trasfusi nell’art. 33 del dPR n. 327/2001 il deprezzamento delle aree residue costituisce indennità ordinaria da corrispondere, in quanto non può certo sostenersi che non debba essere ricompresa nell’indennizzo dovuto ex art. 42 bis del TU Espropriazione (chè altrimenti argomentando si perverrebbe all’’illogica conclusione per cui all’Amministrazione che gode della eccezionale previsione ordinamentale che le consente di “sanare “ una illegittimità comunque perpetrata, verrebbe conferito il diritto potestativo di sottrarsi all’obbligo di corrispondere ciò che sarebbe stato certamente dovuto in ipotesi di procedura espropriativa non affetta da vizi).

    La censura investente il provvedimento ex art. 42 bis del TU Espropriazione che non ricomprende tale posta indennitaria ordinaria, quindi si risolve in una doglianza investente la quantificazione dell’indennizzo in ordine alla quale occorre accertare, innanzi tutto se pregiudizio alle aree residuo vi sia stato, e poi quantificarne l’importo: appare al Collegio evidente che le argomentazioni esposte dalle Sezioni unite civili Ordinanza nella ordinanza 29 ottobre 2015, n. 22096 valgano anche con riferimento a tale pretesa, in ordine alla quale non sussiste la giurisdizione di questo Plesso giurisdizionale amministrativo.

    3.3 Parimenti, va declinata la giurisdizione quanto alle contestazioni investenti lo “spicchio” della quantificazione contenuta nel provvedimento reso ex art. 42 bis e relativa alla previsione della somma dovuta per la pregressa illegittima occupazione delle aree acquisite.

    La espressa dizione del comma III del più volte richiamato art. 42 bis (“. Per il periodo di occupazione senza titolo e' computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entita' del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.”) rende evidente che il valore cui rifarsi è unico (valore venale del fondo, siccome determinato, in ipotesi di contestazione, dal GO); e che detta “posta” ricada nella giurisdizione del GO: altrimenti argomentando si realizzerebbe (oltre che una ipotesi indebita di frantumazione della giurisdizione sulla medesima vicenda) un incomprensibile stallo processuale ed una patente violazione del principio di ragionevole durata del processo, in quanto il Giudice amministrativo (ove in capo a questi si affermasse il persistere della giurisdizione su tale fattispecie “risarcitoria”) non potrebbe pronunciarsi, in quanto sarebbe impossibile determinarne la consistenza, in quanto mancherebbe il valore-base sul quale ragguagliarla (riposante nella determinazione del valore venale del fondo, pertinente, come detto, alla giurisdizione ordinaria).

    In definitiva, la compensazione per il pregiudizio derivante dall’occupazione senza titolo si atteggia – al pari della compensazione per il pregiudizio non patrimoniale – come una misura accessoria, anch’essa inidonea di per sè sola ad incidere sul riparto di giurisdizione.

    3.4. In ordine a tutte le suddette censure deve quindi essere declinata la giurisdizione di questo Plesso.

    4. Armonicamente con quanto prima rilevato, pertiene certamente alla giurisdizione di questo plesso, invece la delibazione della problematica inerente al supposto vizio del provvedimento ex art. 42 bis impugnato, nella parte in cui ha esso limitato l’acquisizione ad una porzione dell’area illegittimamente occupata.

    4.1. Come esposto in fatto, ad avviso di parte odierna ricorrente, il giudicato formatosi avrebbe vincolato l’Amministrazione ad acquisire l’intera area (o, eventualmente, a restituire l’intero fondo), senza che si potesse procedere ad una acquisizione sanante parziaria

    4.2. Sul punto, il ricorso è infondato.

    Invero tale evenienza non è stata minimamente affrontata nelle decisioni surrichiamate, per cui già sotto il profilo teorico sarebbe ben arduo ricorrere al concetto di violazione/elusione del giudicato (unico profilo, questo, sindacabile da questo Collegio: cfr Ad. Plen. N. 2/2013).

    Più in generale, non è dato comprendere da quale prescrizione normativa parte ricorrente in ottemperanza tragga il convincimento per cui non sarebbe ammissibile un provvedimento ex art. 42 bis reso su una parte soltanto dei beni in passato illegittimamente occupati.

    In contrario senso, si afferma che una volta che il sistema ammette istituti quali quello della retrocessione, totale o parziale, di beni pur legittimamente espropriati ex artt. 46 e 47 del T.U. dell'espropriazione, approvato con d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (in sostanziale continuità con l’antevigente prescrizione di cui all'art. 63 l. n. 2359 del 1865) non si vede perché tale facoltà debba – in via generale, e salva specifica contraria prescrizione eventualmente contenuta nella sentenza cognitoria regiudicata- essere preclusa all’Amministrazione che proceda (per dirla con le felici espressioni utilizzate dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 7172015 surrichiamata) con il provvedimento ex art. 42 bis che “sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sè sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma"

    4.3. Va quindi respinta la censura relativa alla nullità/elusività, quanto a tale profilo del provvedimento ex art. 42 bis impugnato, mentre laddove le censure proposte dovessero essere intese quale volte a denunciare il (meno grave) vizio di illegittimità attingente il provvedimento impugnato, parte ricorrente in ottemperanza dovrebbe riassumere il giudizio innanzi al Tar competente a scrutinare detti supposti vizii, che non potrebbero essere conosciuti in grado unico da questo Giudice d’Appello (si veda, nuovamente, Ad. Plen. n. 2/2013).

    4.4. Non è superfluo ribadire, infine che (come già ripetutamente affermato nelle decisioni cognitorie) per quanto concerne le aree occupate e non acquisite ex art. 42 bis del TU Espropriazione resta fermo in capo all’amministrazione onerata l’obbligo di immediata restituzione delle stesse ai proprietari, previa riduzione in pristino delle stesse, ed obbligo di corrispondere il risarcimento del danno da mancato possesso, per il tempo che va dalla cessazione dello stato di occupazione legittima sino all’effettiva restituzione.

    5. Conclusivamente, il ricorso in ottemperanza è in parte infondato ed in parte va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

    5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).

    5.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

    6. Le spese del procedimento vanno all’evidenza compensate tra tutte le parti stente la complessità e novità della controversia.

    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso in ottemperanza in epigrafe, in parte lo respinge ai sensi della motivazione che precede ed in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, spettando quest’ultima al Giudice Ordinario, presso il quale la causa potrà essere riassunta nei termini e con le forme di legge.

    Spese processuali integralmente compensate tra le parti.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:

    Antonino Anastasi, Presidente

    Nicola Russo, Consigliere

    Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

    Andrea Migliozzi, Consigliere

    Carlo Schilardi, Consigliere

    L'ESTENSORE

    IL PRESIDENTE

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA

    Il 12/05/2016

    IL SEGRETARIO

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

    Ultimo aggiornamento Mercoledì 25 Maggio 2016 11:09
     

    Trasporto pubblico locale e riparto di giurisdizione

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    N. 36/2013 Reg. Prov. Coll.
    N. 837 Reg. Ric.
    ANNO 2012
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 837 del 2012, proposto da:
    A. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Farnetani, Gabriele Sandrelli, Pier Luigi Santoro, con domicilio eletto presso quest'ultimo in Firenze, via dei Conti n. 3;
    contro
    Provincia di Massa Carrara, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Domenico Iaria, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Lessona in Firenze, via dei Rondinelli n. 2;
    per la declaratoria
    del diritto alla revisione del corrispettivo per gli anni 2010 e 2011 del contratto di servizio di trasporto pubblico locale stipulato con la Provincia di Massa-Carrara in data 30.06.2009.
    Visti il ricorso e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Massa Carrara;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2012 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO E DIRITTO
    1 - La società ricorrente espone di essere il gestore del trasporto pubblico locale, urbano ed extra-urbano, della Provincia di Massa Carrara, in forza di contratto di servizio stipulato, in esito allo svolgimento di procedura di evidenza pubblica, in data 30 giugno 2009 ed evidenzia altresì come l'art. 5, comma 4, del suddetto contratto preveda la revisione del corrispettivo contrattuale a partire dal secondo anno solare di vigenza del contratto. Parte ricorrente espone quindi che la Provincia di Massa Carrara le ha sì riconosciuto l'adeguamento del corrispettivo a decorrere dal gennaio 2010, ma in misura ritenuta insufficiente dalla ricorrente in quanto determinata nell'importo dell'inflazione programmata, invece che con riferimento all'inflazione di settore da individuarsi nell'indice ISTAR 0702 "spese di esercizio del mezzi di trasporto". Non essendo le parti addivenute ad un accordo, la società ricorrente espone di aver adito il Tribunale di Massa e, a seguito della declaratoria di difetto di giurisdizione di quel giudice con sentenza n. 289 del 2012, ha quindi riproposto il giudizio dinanzi a questo Tribunale Amministrativo.
    2 - Con il ricorso in esame la ATN s.r.l. chiede quindi l'accertamento del suo diritto alla revisione del corrispettivo contrattuale, a decorrere del gennaio 2010, e la conseguente condanna della Provincia di Massa Carrara al pagamento dei conseguenti importi dovuti, previa declaratoria di nullità delle clausole contrattuali in contrasto con il disposto di cui all'art. 115 del d.lge. n. 163 del 2006 ed eventuale disapplicazione delle norme interne in contrasto con le previsioni normative comunitarie in materia. Il percorso argomentativo seguito da parte ricorrente è il seguente: a) la determinazione dell'importo dell'adeguamento annuale del corrispettivo sulla base della inflazione programmata è illegittima perché non prevista dal contratto di servizio e comunque in contrasto con la disciplina di cui all'art. 115 d.lgs. n. 163 del 2003 e con la normativa comunitaria; b) il Regolamento CEE n. 1370 del 2007 prevede l'obbligo dell'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, equilibrio che deve mantenersi nel tempo, così che deve essere inserita nei contratti di servizio una clausola di revisione dei prezzi, com'è nella specie avvenuto con l'art. 5, comma 4, del contratto tra le parti; c) la citata regolamentazione pattizia ha previsto però una serie di clausole limitative (limite dei trasferimenti regionali, limite dei costi standardizzati, criteri dell'art. 19 del d.lgs. n. 422 del 1997) le quali sono nulle per contrasto con l'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dell'art. 117 del d.lgs. n. 267 del 2000; d) il calcolo dell'inflazione di settore deve essere effettuato avendo riguardo all'indice ISTAT 0702 "spese di esercizio dei mezzi di trasporto"; e) la revisione deve essere effettuata prendendo a base la data di aggiudicazione del servizio (5 febbraio 2009) e non alla data di stipula del contratto o di decorrenza del servizio; f) si richiede quindi l'incremento del 4,59% del corrispettivo contrattuale a decorrere dal 1.1.2010 al 31.12.2010, dell'11,12% dal 1.1.2011 al 31.12.2011, del 20,99% dal 1.1.2012 al 31.12.2012., con conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle differenze.
    3 - Si è costituita in giudizio la Provincia di Massa Carrara, confermando che, sulla base di un parere dell'Avvocatura Regionale, si era determinata a riconoscere un incremento di corrispettivo nella misura dell'inflazione programmata e a non ritenere applicabile l'indice ISTAT 0702. Nello specifico la Provincia resistente: a) evidenzia che si è nella specie in presenza di una concessione di servizio cui, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006, non si applica il Codice dei contratti pubblici e neppure l'art. 115, sicché non si può sostenere sulla sua base la nullità di clausole contrattuali, mentre il richiamo a quello stesso articolo contenuto nel contratto di servizio attiene alla sola commisurazione del dovuto; b) l'art. 115 richiama i dati di cui all'art. 7 del Codice dei contratti pubblici; l'ISTAT tuttavia non ha mai provveduto a rilevazione ed elaborazione dei costi dei principali beni e servizi acquisiti dalla p.a. e la giurisprudenza ha colmato tale lacuna con richiamo all'indice FOI, che è inferiore al tasso di inflazione programmata applicato dalla Provincia stessa; c) né parte ricorrente ha provato la ricorrenza di circostanze eccezionali che giustifichino l'applicazione, in luogo dell'indice FOI, dell'indice di settore 0702; d) d'altra parte l'art. 19 del d.lgs. n. 422 del 1997, richiamato dalla clausola contrattuale invocata, contiene un esplicito riferimento al tasso di inflazione programmata quale limite massimo all'incremento; né parte ricorrente ha dimostrato in concreto lo scostamento di cui parla il citato art. 19 per stabilire ulteriori incrementi; e) il codice ISTA 0702 si riferisce espressamente alla dinamica dei costi di carburante, pneumatici, pezzi di ricambio, accessori ecc. e sarebbe come tale applicabile solo ai costi di esercizio che rappresentano solo il 21,28% dei costi aziendali mentre il costo del personale, che assomma al 53,49%, non ha avuto incrementi.
    4 - Nella memoria depositata in data 3 novembre 2012 la provincia di Massa Carrara ha altresì eccepito la inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del bando, del capitolato e dello schema di contratto sulla cui base si è addivenuti alla stipula del contratto di servizio.
    5 - La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 5 dicembre 2012. In apertura di discussione il Presidente, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., ha invitato le parti a discutere sul profilo della giurisdizione dell'adito giudice amministrativo. All'esito della discussione la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
    6 - Il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sulla base dei rilievi che seguono.
    7 - E' necessario prendere avvio da quanto statuito dal Tribunale di Massa, nella sentenza n. 289 del 2012, che ha dichiarato la sussistenza nella presente fattispecie della giurisdizione del giudice amministrativo. Nella richiamata sentenza il Tribunale di Massa fonda la ritenuta giurisdizione del giudice amministrativo sul disposto dell'art. 133, comma 1, lett. e) n. 2 del c.p.a., il quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie "relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163". Il giudice civile, dopo aver ricordato che analoga previsione conteneva prima del codice del processo amministrativo l'art. 244 dello stesso d.lgs. n. 163 del 2006, afferma che appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "qualunque questione concernente la revisione dei prezzi di un contratto pubblico, anche nel caso in cui si tratti esclusivamente della misura del compenso revisionale rivendicato dall'impresa".
    8 - Il Collegio ritiene di non condividere gli assunti interpretativi del Tribunale di Massa. Deve essere in primo luogo evidenziato - e il punto pare pacifico anche nel ragionamento del giudice civile - che nella specie si verte in materia di diritti soggettivi, venendo azionata la pretesa ad un adeguamento del compenso dovuto per l'esecuzione del servizio di trasporto pubblico locale sulla base di una previsione contrattuale (quella di cui all'art. 5, comma 4, del contratto di servizio) la quale, seppur caratterizzata da un meccanismo di calcolo complesso e sulla cui operatività le parti molto controvertono, è sicuramente estraneo a valutazione di pubblici interessi e quindi alla dinamica propria dell'esercizio del pubblico potere. Essendo in presenza di diritti soggettivi, l'attribuzione della loro cognizione alla giurisdizione amministrativa può avvenire solo agganciando una previsione normativa di giurisdizione esclusiva. È ciò che ha fatto il Tribunale di Massa, richiamando l'art. 133, comma 1, lett. e) n. 2 c.p.a. e il suo richiamo alla "clausola di revisione del prezzo". Ma, ad avviso del Collegio, la evocata previsione dell'art. 133 cit. non è applicabile alla presente fattispecie. Essa infatti richiama le previsioni di "revisione prezzi" "nell'ipotesi di cui all'art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163", cioè correla la previsione di giurisdizione esclusiva alla applicabilità del Codice dei contratti pubblici e alla previsione di revisione prezzi di cui all'art. 115 del Codice medesimo. Ciò è reso esplicito dal riferimento, effettuato dall'art. 133 cit., alle ipotesi di cui all'art. 115 d.lgs. n. 163 del 2006 e in passato lo era ancor più allorquando la previsione di giurisdizione esclusiva, poi trasfusa nell'art. 133, comma 1, lett. e) n. 2, era contenuta nell'art. 244 del medesimo Codice dei contratti pubblici.
    Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Cassazione, la previsione di revisione prezzi del Codice dei contratti pubblici (cioè l'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006) non si applica al trasporto pubblico locale, giusto il disposto dell'art. 23 del d.lgs. n. 163 cit. che stabilisce che il suddetto Codice "non si applica agli appalti delle stazioni appaltanti relativi alla prestazione di un servizio pubblico di autotrasporto mediante autobus" (si veda Cass., sezioni unite, n. 397 del 2011). Né può trarre in inganno il fatto che l'art. 5, comma 4, del contratto di servizio, sulla cui applicazione qui si controverte, richiami il più volte citato art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo evidente che il richiamo presuppone proprio la non applicabilità per forza propria dell'art. 115 cit. alla presente fattispecie e serve ad estendere, in parte, il suo meccanismo procedurale attraverso la sua inclusione nella previsione negoziale.
    9 - Non operando la previsione di giurisdizione esclusiva di cui all'art. 133, comma 1, lett. e) n. 2 del c.p.a. e vertendosi pacificamente in ambito di diritti soggettivi la giurisdizione appartiene al giudice ordinario. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, sussistendo tuttavia giustificati motivi, alla luce anche del diverso orientamento assunto dal giudice ordinario previamente adito, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
    P. Q. M.
    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello ordinario.
    Compensa tra le parti le spese di giudizio.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
    Paolo Buonvino - Presidente
    Riccardo Giani - Consigliere, Estensore
    Alessandro Cacciari - Consigliere
     
    IL PRESIDENTE
    Paolo Buonvino
    L'ESTENSORE
    Riccardo Giani
     
    Depositata in Segreteria il 14 gennaio 2013
     

    Valutazioni delle commissioni mediche per il reclutamento dei militari: sono sindacabili dal Giudice Amministrativo?

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    N. 3618/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 7574 Reg. Ric.

    ANNO 2010

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso in appello n. 7574 del 2010, proposto da C. S., rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Galletti, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, via Lucrezio Caro n. 63, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

    contro

    Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

    per la riforma

    della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, n. 2008 del 12 febbraio 2010, redatta in forma semplificata;

    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2012 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Luca Mazzeo, in sostituzione di Antonino Galletti, e l'avvocato dello Stato Giulio Bacosi;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Con ricorso iscritto al n. 7574 del 2010, C. S. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, n. 2008 del 12 febbraio 2010, redatta in forma semplificata con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri per l'annullamento del provvedimento - notificatogli il 7.7.2009 - con cui lo si è escluso dal concorso indetto per il reclutamento di 400 Carabinieri effettivi in ferma quadriennale. (G.U., IV s.s., n. 20 del 13.3.2009).

    Reputandolo illegittimo sotto più profili, il signor C. S. aveva impugnato (con contestuale richiesta di tutela cautelare) il provvedimento - notificatogli il 7.7.2009 - con cui lo si è escluso dal concorso indetto per il reclutamento di 400 Carabinieri effettivi in ferma quadriennale. (G.U., IV s.s., n. 20 del 13.3.2009).

    Costituitosi il Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, il Il giudice di prime cure, ritenuta la manifesta pretestuosità delle argomentazioni attoree, nella camera di consiglio del 20.1.2010, data in cui il ricorso, nel frattempo debitamente istruito, era proposto per la delibazione dell'istanza incidentale, definiva immediatamente il giudizio con una sentenza in forma semplificata, evidenziando l'infondatezza delle censure, in relazione alla correttezza del procedimento seguito dall'amministrazione.

    Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l'erroneità della ricostruzione operata, evidenziando il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al concorso de qua.

    Nel giudizio di appello, si è costituita l'Avvocatura dello Stato per il Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

    All'udienza del giorno 8 ottobre 2010, con ordinanza n. 4568/2010 la Sezione, considerate la non coincidenti valutazioni espresse da diversi organi sanitari pubblici sull'idoneità del ricorrente e rilevata l'esigenza di rinnovare gli accertamenti sanitari, disponeva una verificazione a carico del Ministero della difesa, rinviando la trattazione alla camera di consiglio del 17 dicembre 2010.

    Dopo due rinvii, dati all'udienza del 17 dicembre 2010 ed all'udienza del 18 gennaio 2011, per consentire il detto adempimento istruttorio, all'udienza del giorno 1 febbraio 2011, considerato che a seguito della verificazione disposta dalla Sezione fosse emerso come la struttura della personalità dell'appellante sia da considerarsi normale, la Sezione accoglieva la domanda cautelare con ordinanza n. 453/2011.

    All'udienza del 3 aprile 2012, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

    DIRITTO

    1. - L'appello è fondato e merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

    2. - Occorre preliminarmente evidenziare come la Sezione, esaminando funditus la questione del contenuto e dei limiti all'impugnativa degli accertamenti sanitari in tema di reclutamento del personale delle forze di polizia e militari (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 marzo 2012, n1767), abbia posto in risalto la differenza, contenutistica e disciplinare, tra le due diverse tipologie di attività svolte dalle commissioni mediche.

    Infatti, sebbene spesso commisti, sono rinvenibili agevolmente due profili giuridicamente ben diversi: "da un lato, vi è un'attività di acquisizione di fatti, il cui svolgimento è documentato tramite la verbalizzazione delle attività condotte; dall'altro, l'espressione di un giudizio sulla base degli elementi acquisiti al procedimento, secondo canoni ordinariamente ricondotti al tema della discrezionalità tecnica. Si tratta quindi di due modi procedimentali, talvolta così collegate da non essere nemmeno distinguibili, che concettualmente non solo rappresentano momenti giuridicamente distinti, ma sono sottoposte a discipline diverse. Ed, infatti, mentre il primo ordine di atti rientra nell'ambito dei procedimenti dichiarativi, con particolare rilevanza assegnata al momento della verbalizzazione delle attività compiute, il secondo è esplicazione di un giudizio valutativo dei fatti acquisiti al procedimento, ed è governato dalle regole di controllo sull'esercizio di quella che è comunemente chiamata discrezionalità tecnica.

    La differenza di regime emerge da una disamina della giurisprudenza più accorta.

    La natura dichiarativa dei verbali redatti dalle commissioni di concorso, siano essi predisposti in occasioni di valutazioni inerenti alla disciplina del rapporto di pubblico impiego come pure in occasioni attinenti ai procedimenti di evidenza pubblica, è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza in ragione della tipologia di attività documentate nell'atto ed alle conseguenze della sua verbalizzazione, soprattutto in funzione del regime probatorio ad esso connesso ed alla sua fidefacienza (sulla natura del verbale delle attività collegiali svolte dalle diverse commissioni, e sul loro valore probatorio pieno, fino a querela di falso, si veda, ad esempio, in relazione alla commissione di avanzamento degli ufficiali, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 febbraio 2006, n. 485; in relazione alla commissione di gare nell'ambito delle procedure di evidenza pubblica, Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2005, n. 3166; in relazione alla commissione per concorso a cattedra universitaria, Consiglio di Stato, sez. VI, 03 luglio 1993, n. 472; e, più in generale, in relazione all'applicazione del rimedio della querela di falso per eventuali inesattezze od omissioni dei verbali delle sedute delle commissioni giudicatrici di pubblici concorsi, Consiglio di Stato, sez. IV, 2 dicembre 1980, n. 1133).

    Ancora più attentamente, si è poi sottolineato, ricostruendo l'articolazione strutturale del procedimento in un modo che questo Collegio ritiene di fare proprio, che il verbale della commissione medica ospedaliera fa piena prova, sempre fatta salva la possibilità di querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre non fa fede anche delle valutazioni compiute dal pubblico ufficiale sulla documentazione esaminata e, quindi, non esclude la possibilità di errori commessi in tale valutazione. Ciò implica che la sempre possibile contestazione della legittimità del giudizio formulato dalla commissione non può essere di per sé estesa agli accadimenti rappresentati nel verbale, che sono invece garantiti da una forma particolare di risalto probatorio (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 8070)".

    Si tratta di acquisizioni a cui la Sezione non ritiene fare torto, dovendosi tener ferma la loro valenza generale, nonostante la peculiarità della questione ora in scrutinio.

    3. - Nel caso in esame, va invece evidenziato come, antecedentemente all'assunzione (o meglio alla ripresa) di questo orientamento più consono alla struttura ed alla natura giuridica degli atti costituenti il procedimento amministrativo di selezione del personale delle forze di polizia e militare, la Sezione aveva disposto una verificazione a carico dello stesso Ministero della difesa, dalla quale è emersa la palese erroneità della valutazione effettuata nei confronti della parte appellante, il cui quadro clinico psicologico risulta ora ricondotto al concetto di "normale assetto della struttura d personalità, nelle sue componenti intellettive, affettive e comportamentali".

    Si tratta di una situazione di evidente mancata corretta acquisizione dei dati del procedimento, a cui anche la stessa amministrazione avrebbe potuto dare seguito, con un atto di autotutela, e che comunque ha permesso a questa Sezione di accogliere la domanda cautelare proposta e imposto al Ministero di ammettere con riserva il candidato alla frequenza del corso de qua.

    L'accertata presenza dei requisiti attitudinali, come verificato dalla stessa amministrazione, impone quindi l'accoglimento del ricorso, con annullamento dell'atto principalmente gravato.

    4. - L'appello va quindi accolto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalle oscillazioni giurisprudenziali sul tema.

    P. Q. M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

    1. Accoglie l'appello n. 7574 del 2010 e per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, n. 2008 del 12 febbraio 2010, redatta in forma semplificata, accoglie il ricorso di primo grado;

    2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:

    - Gaetano Trotta - Presidente

    - Sergio De Felice - Consigliere

    - Fabio Taormina - Consigliere

    - Diego Sabatino - Consigliere, Estensore

    - Fulvio Rocco - Consigliere

     

    IL PRESIDENTE

    Gaetano Trotta

    L'ESTENSORE

    Diego Sabatino

     

    Depositata in Segreteria il 20 giugno 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

    Determinazione degli oneri di urbanizzazione: profili di giurisdizione

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    N. 1432/2012 Reg. Prov. Coll.

    N. 576 Reg. Ric.

    ANNO 2011

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 576 del 2011, proposto da:

    - P. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Elio De Toffol, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Franchetti, 4;

    contro

    - Comune di Milano, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Antonello Mandarano, Anna Maria Moramarco e Maria Rita Surano, elettivamente domiciliato in Milano, via Andreani, 10;

    per l'accertamento:

    - dell'ammontare del contributo per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, relativo ai permessi di costruire in sanatoria del 2 maggio 2008, n. 713 e n. 714, rilasciati ai sensi del D.L. n. 269/2003;

    e, ove occorresse,

    per l'annullamento:

    - della nota del 23.11.2010, P.G. 978924/2010, recapitata in data 30.12.2010, con cui il Comune di Milano ha intimato il pagamento del saldo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, dovuti secondo la determinazione comunicata in data 26.5.2008, pari ad euro 44.433,50, relativamente al permesso di costruire in sanatoria n. 713/08 e ad euro 32.281,92, relativamente al permesso di costruire in sanatoria n. 714/08.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2012 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori Elio De Toffol, Antonllo Mandarano e Maria Giulia Schiavelli;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Con l'odierno ricorso, notificato il 4.02.2011 e depositato il successivo 23.02.2011, l'esponente ha chiesto l'accertamento dell'esatto ammontare del contributo da essa dovuto al Comune di Milano, per oneri di urbanizzazione, in dipendenza dell'avvenuto rilascio dei due permessi di costruire in sanatoria nn. 713 e 714 del 2008.

    Riferisce l'istante, che la richiesta avanzata dal Comune per i suddetti oneri, sarebbe eccedente del 10% l'importo effettivamente dovuto, avendo il Comune erroneamente applicato l'art. 32, co. 40 del D.L. n. 269/2003, calcolando l'incremento del 10 %, ivi disciplinato, anziché sui "diritti ed oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi", sull'importo degli oneri di urbanizzazione determinati ai sensi dell'art. 32, co. 34 del medesimo D.L.

    Si è costituito il Comune di Milano, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando, altresì, un'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem.

    In particolare, secondo la ricostruzione comunale, l'esponente avrebbe già impugnato i permessi di costruire in sanatoria nn. 713 e 714 con i ricorsi nn. 1589 e 1590 del 2008, contestando l'importo richiesto come oneri di urbanizzazione sotto più profili.

    I due ricorsi sarebbero stati riuniti e definiti con la sentenza n. 7216 del 2010 di questo T.A.R., che li ha respinti.

    Con ordinanza n. 494 dell'11.03.2011 è stata respinta la domanda incidentale di sospensione.

    In vista della data fissata per la discussione del merito entrambe le parti hanno depositato memorie.

    Alla pubblica udienza dell'8.03.2012 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione.

    DIRITTO

    I. Preliminarmente, il Collegio deve occuparsi dell'eccezione di inammissbilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem sollevata da parte resistente.

    II. Al riguardo, l'esponente esclude che possa essere riscontrata qui siffatta violazione, poiché il petitum e la causa petendi dei ricorsi già decisi (con la sentenza n. 7216/2010) e di quello sub iudice, sarebbero diversi.

    III. Di tutt'altro avviso la difesa comunale, secondo cui la deliberazione della Giunta comunale n. 2493/2004, che ha disposto l'incremento del 10% degli oneri di urbanizzazione, era già stata impugnata nei precedenti ricorsi, decisi con la sentenza di rigetto del 2010, divenuta ormai irrevocabile.

    Proprio facendo leva su tale sentenza il Comune avrebbe emesso la nota del 23.11.2010, per richiedere il versamento del saldo degli oneri, che l'esponente vorrebbe qui nuovamente contestare, in chiara elusione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 7216 cit.

    IV. Si osserva - in via di principio - come il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), si formi su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, comprese le questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico ineludibile della pronuncia, che si ricollegano cioè in modo indissolubile alla decisione (giudicato esplicito) formandone l'indispensabile presupposto (giudicato implicito).

    Il giudicato si forma, dunque, non soltanto su ciò che è stato oggetto di contrasto tra le parti ed ha trovato soluzione nel dispositivo, ma anche su tutto ciò che il giudice ha ritenuto, non incidentalmente ma ai fini della decisione.

    Da ciò l'affermazione - costante nel nostro pensiero giurisprudenziale e dottrinale - per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

    V. Nondimeno, una lettura costituzionalmente orientata di tale principio, per il quale l'efficacia del giudicato si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti, anche a quanto esse avrebbero potuto dedurre, ne suggerisce una delimitazione in relazione a quelle ragioni non dedotte che rappresentano un antecedente logico necessario della pronuncia (cfr. Cass. Civ., Sez. I^, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010, secondo cui il principio de quo corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, consistente "nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione"; tale garanzia di stabilità è "collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata"; conf., Sez. III^, Sentenza n. 8379 del 07/04/2009; nonché, SS.UU, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006).

    VI. Applicando le suesposte coordinate al caso in esame, il Collegio deve, in primo luogo, procedere alla corretta qualificazione dell'azione proposta, sia nei giudizi già definiti che in quello sub iudice, nonché all'inquadramento del tipo di giurisdizione invocata.

    VII. Ebbene, esaminando i ricorsi già definiti dal Tribunale con la sentenza 9216/2010, si rileva che:

    - con essi la Società P. ha chiesto l'annullamento degli avvisi di rilascio dei permessi di costruire in sanatoria n. 713 e n. 714, nonché delle dd.G.C. n. 2493/2004 e n. 2644/2004, sulla base dei seguenti motivi:

    a) violazione degli articoli 3, 23, 24 e 97 della Costituzione ed eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità, perché essi avrebbero previsto la possibilità per il Comune di determinare l'ammontare degli oneri sulla base delle tariffe vigenti al momento del rilascio del titolo in sanatoria anziché al momento della presentazione della domanda;

    b) violazione dell'art. 4 della legge regionale n. 31/2004, eccesso di potere per sviamento e violazione degli articoli 3, 23, 24 e 97 della Costituzione sotto altro profilo (ove si afferma che la determinazione degli oneri concessori deve in ogni caso effettuarsi con riguardo al momento di presentazione della documentazione inerente la sanatoria);

    c) violazione dell'art. 32, co. 40 del D.L. n. 269/2003 conv. in L. dalla legge n. 326/2003, eccesso di potere per sviamento ed irragionevolezza e violazione degli articoli 3, 23, 24 e 97 della Costituzione sotto altro profilo (poiché la determinazione degli oneri sarebbe avvenuta sulla base di un provvedimento adottato successivamente alla presentazione della domanda di sanatoria).

    VIII. Il T.A.R., dopo aver svolto alcune considerazioni preliminari sulla disciplina nazionale e regionale in tema di cd. terzo condono, ha così concluso:

    <<...appare legittima la pretesa dell'Amministrazione di determinare gli oneri di urbanizzazione relativi al titolo in sanatoria tenendo conto delle tariffe di cui alla delibera 73/2007, vigenti all'atto del rilascio del permesso, sulle quali calcolare l'aumento di cui alla delibera 2644/2004.

    Neppure potrebbe sostenersi che sulle due domande di condono di cui è causa si sarebbe formato un titolo edilizio tacito attraverso il particolare procedimento di silenzio assenso di cui al comma 37 dell'art. 32 della legge 326/2003, visto che l'asserito ritardo nella definizione delle domande non è addebitabile al Comune.

    Il biennio assegnato al Comune per provvedere (trascorso il quale si forma il silenzio-assenso) decorre infatti dalla presentazione di un'istanza debitamente documentata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 30.6.2010 n. 4174; 23.7.2009 n. 4671; sez. V, 21.9.2005 n. 4946; sez. II, 13.6.2007 n. 1797/2007).

    Orbene, la stessa ricorrente deduce di avere inoltrato la documentazione necessaria, a corredo delle istanze, solo il 21.9.2007 (cfr. doc. 4 dell'esponente e doc. 3 del Comune in entrambe le cause, costituenti le copie della dichiarazione ICI e della denuncia TARSU) e tale circostanza è di per sé sufficiente a comprovare la tempestività dei provvedimenti e dei relativi avvisi (ricevuti il 26.5.2008), posto che il completamento dell'istruttoria è avvenuto appunto solo il citato 21.9.2007.

    Di conseguenza, devono essere rigettati i primi due motivi di ricorso, nei quali si sostiene - seppure sotto differenti profili - che gli oneri relativi al titolo in sanatoria dovevano determinarsi con riguardo esclusivo alle tariffe vigenti nel 2004.

    Parimenti, devono respingersi le censure contro la delibera di Giunta 2644/2004, che appare correttamente applicata nel caso di specie, per le ragioni già esposte.

    3. Nel terzo motivo, viene denunciata la presunta erronea applicazione dell'art. 32 comma 40 della legge 326/2003, il quale dispone che: "Alla istruttoria della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle Amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie. Ai fini della istruttoria delle domande di sanatoria edilizia può essere determinato dall'Amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le modalità di cui all'articolo 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Per l'attività istruttoria connessa al rilascio delle concessioni in sanatoria i comuni possono utilizzare i diritti e oneri di cui al precedente periodo, per progetti finalizzati da svolgere oltre l'orario di lavoro ordinario".

    Il Comune di Milano ha dato attuazione a tale norma con delibera di Giunta Comunale n. 2493 del 3.11.2004, il cui contenuto ricalca esattamente la disposizione legislativa sopra citata.

    A detta dell'esponente, tale delibera sarebbe illegittima in quanto assunta prima del termine di presentazione delle istanze di sanatoria, fissato fra l'11 novembre e il 10 dicembre 2004.

    Il mezzo di gravame, in disparte la sua genericità, deve essere respinto e deve pertanto affermarsi la legittimità della citata delibera 2493/2004, non apparendo certamente illogico la fissazione del suddetto aumento prima della presentazione delle domande di condono, atteso il pressoché certo aggravio di lavoro, per gli uffici comunali, derivante dalla suddetta presentazione.

    La specifica censura circa la presunta erronea applicazione del comma 40 citato, come svolta nei presenti ricorsi, è pertanto priva di pregio>>.

    IX. Tale essendo il contenuto decisorio della sentenza passata in giudicato, il Collegio deve, a questo punto, valutare se esso sia, e in che termini, sovrapponibile al thema decidendum dell'odierno ricorso.

    Al riguardo, va ribadito che la preclusione processuale del ne bis in idem si verifica in presenza dei due presupposti mutuati dalla disciplina civilistica, ex artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., applicabili al processo amministrativo in quanto con esso compatibili, ovvero: l'identità delle parti dei due giudizi e l'identità degli elementi identificativi dell'azione proposta, ossia il petitum e la causa petendi (cfr. T.A.R. Palermo, Sicilia, sez. II, 18 gennaio 2012, n. 125; T.A.R. Lazio, Roma, 16 aprile 2010, n. 7226).

    X. Nel caso in esame, ricorre senz'altro la coincidenza soggettiva, mentre resta da valutare quella del petitum e della causa petendi.

    XI. Sul primo, il Collegio non ritiene di poter condividere l'affermazione dell'esponente, che àncora la diversità del petitum sul presupposto che nei ricorsi già decisi la domanda verterebbe, per la parte che qui interessa, sull' "annullamento" della d.G.C. 2493/2004, mentre, nel caso de quo, esso consisterebbe nella "non applicabilità" della delibera medesima (cfr. pg. 3 della memoria del 6.02.2012).

    XII. In verità, l'azione promossa dalla ricorrente si presenta in entrambi i casi con i caratteri propri di una sostanziale pretesa di accertamento, volta a disconoscere l'obbligazione contributiva configurata a suo carico dall'amministrazione comunale.

    Detta contestazione, quindi, ha per oggetto la determinazione del quantum del contributo per oneri di urbanizzazione per opere soggette a permesso di costruire in sanatoria, che si presenta come attività di natura paritetica, effettuata dalla p.a. in base a rigidi parametri, prefissati dalla normativa primaria e secondaria, vertenti sui criteri impositivi, senza l'esplicazione di potestà autoritativa.

    In tali evenienze, com'è noto, deve essere affermata la devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, proprio in quanto si tratta di controversie concernenti le rispettive posizioni di diritto soggettivo ed obbligo delle parti del rapporto giuridico in questione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7466; Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 2258 del 21-04-2006, secondo cui: <>; Cass. Civ., SS.UU., 20.10.2006 n. 22514; Cassazione n. 22904 del 14 novembre 2005; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 27 aprile 2011, n. 1069; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 11 settembre 2008, n. 2078).

    XIII. Su tali presupposti, non si può negare la parziale coincidenza del petitum nei ricorsi de quibus, poiché è indubbio che la contestazione dei ricorsi già decisi, avente ad oggetto la determinazione dell'an e del quantum degli oneri, copre anche quella dell'attuale ricorso, che verte soltanto sul quantum debeatur.

    XIV. Resta da esaminare, allora, il profilo della causa petendi.

    Nei ricorsi pre-giudicati, la contestazione della pretesa comunale, per la parte che qui interessa (e nonostante la genericità della censura, come stigmatizzata dallo stesso Tribunale, a pg. 13 della cit. sentenza) si basa sull'illegittima applicazione dell'art. 32, co. 40 del D.L. cit., operata dal Comune con l'adozione della delibera n. 2493/2004, prima del termine di presentazione delle domande di sanatoria.

    Il Tribunale, come noto, ha, per contro, ritenuto pienamente legittima l'applicazione della cit. norma da parte comunale, mediante la d.G.C. n. 2493 cit.

    Venendo all'attuale ricorso, qui la contestazione si radica sull'illegittima applicazione che lo stesso Comune avrebbe fatto della d.G.C. n. 2493 cit., nel senso di operare l'incremento del 10%, ivi contemplato, anziché, come vorrebbe lo stesso art. 32, co. 40, ai diritti ed oneri previsti per il rilascio dei titoli edilizi ordinari, agli stessi oneri di urbanizzazione.

    XV. Le ragioni della contestazione appaiono, nei due casi, diverse.

    XVI. Si tratta, a questo punto, di stabilire se la modalità di applicazione dell'incremento del 10% di cui alla d.G.C. n. 2493/2004, ai diritti e oneri d'istruttoria, piuttosto che agli oneri di urbanizzazione, costituisca un antecedente logico necessario della decisione di rigetto di cui alla sentenza n. 7216 più volte cit.

    XVII. Il Collegio ritiene di poter dare al suesposto quesito risposta negativa.

    In nessuna parte della motivazione della sentenza n. 7216, in effetti, è stata valutata l'applicazione che in concreto il Comune ha fatto della cit. d.G.C., fermandosi la contestazione alla valutazione dell'illegittimità della deliberazione in sé, in rapporto ai dedotti vizi di violazione di legge ed eccesso di potere.

    Ne consegue che, non ravvisandosi coincidenza di causa petendi tra i ricorsi decisi con la sentenza n. 7216/2010 e quello sub iudice, deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del ne bis in idem.

    XVIII. Nel merito, il ricorso è fondato.

    XIX. Con un unico motivo, l'esponente deduce la violazione dell'art. 32, co. 40 del D.L. cit., nonché la violazione e falsa applicazione della d.G.C. n. 2493/2004, poiché il Comune di Milano avrebbe erroneamente applicato la maggiorazione del 10%, parametrandola agli oneri di urbanizzazione, anziché ai diritti e oneri d'istruttoria.

    XX. Al riguardo, il Collegio ritiene di potersi richiamare all'orientamento ormai consolidato della Sezione, secondo cui l'incremento percentuale in questione è applicabile non agli oneri concessori relativi all'intervento edilizio, ma ai diritti ed oneri correlati alla istruttoria delle domande finalizzate al rilascio del titolo abilitativo; diritti ed oneri che il Comune ha facoltà di incrementare in relazione al maggior impiego di risorse (personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria - implicante un afflusso eccezionale di istanze da istruire ed evadere in aggiunta all'attività ordinaria - notoriamente richiede (cfr. in tal senso, ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 13 ottobre 2011 n. 2426; 12 maggio 2011 n. 1232; 22 aprile 2011 n. 1032; 17 dicembre 2010 n. 7589; 14 ottobre 2010 n. 6955).

    Ora, poiché la delibera n. 2493/04 si limita a disporre l'incremento percentuale con esplicito riferimento al disposto legislativo, essa va letta in conformità alla norma di legge nell'interpretazione che sopra si è data; con la conseguenza che deve ritenersi illegittima non la deliberazione, ma l'applicazione che ne hanno fatto gli uffici comunali, secondo i quali essa autorizzerebbe un (ulteriore) incremento (non dei diritti ed oneri di istruttoria ma) degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.

    XXI. Per le precedenti considerazioni, il ricorso in epigrafe specificato deve essere accolto, con conseguente obbligo per il Comune di rideterminare gli oneri concessori senza l'illegittimo - per le ragioni sopra esposte - incremento del 10% rapportato agli oneri di urbanizzazione.

    XXII. Le spese, in ragione della complessità della questione preliminare affrontata, possono essere integralmente compensate tra le parti costituite.

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi, nei limiti e per gli effetti di cui in motivazione.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:

     

    IL PRESIDENTE

    Angelo De Zotti

    L'ESTENSORE

    Concetta Plantamura

    IL PRIMO REFERENDARIO

    Giovanni Zucchini

     

    Depositata in Segreteria il 24 maggio 2012

    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

     

     

    Piani per insediamenti produttivi e giurisdizione esclusiva del G.A.

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    N. 939/2012 Reg. Prov. Coll.
    N. 772 Reg. Ric.
    ANNO 2011
    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
    SENTENZA
    sul ricorso numero di registro generale 772 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla s.r.l. "L.", rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo D'Avino ed Arcangelo D'Avino con domicilio eletto presso gli stessi a Salerno in Corso G. Garibaldi n. 194 nello studio dell'avv. Giuseppina Caliendo;
    contro
    - s.p.a. "A.", rappresentata e difesa dall'avv. Lorenzo Lentini con domicilio eletto presso lo stesso a Salerno in Corso G. Garibaldi n. 103;
    - Comune di Sarno, in persona del Sindaco p.t. - non costituito in giudizio -
    per l'annullamento,
    previa sospensione,
    - quanto al ricorso principale: del decreto del 14 febbraio 2011 della s.p.a. "A.", di risoluzione della convenzione relativa all'assegnazione alla società ricorrente del lotto di terreno di mq. 2066 contraddistinto al n. 22 nel P.i.p. del Comune di Sarno;
    - quanto al ricorso con motivi aggiunti: 1) del bando pubblicato dal 20 aprile al 6 giugno 2011 nell'albo del Comune di Sarno, di assegnazione dei lotti residui nel P.i.p. del Comune medesimo; 2) della deliberazione n. 35 della G.M. del Comune concernente l'attuazione del bando; 3) della deliberazione del 9 febbraio 2011 dell'A. di approvazione del bando;
    per l'accertamento del diritto al risarcimento dei danni.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'A. s.p.a.;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2011 il dott. Ferdinando Minichini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
    FATTO
    I) Con ricorso notificato il 21 aprile 2011, depositato il 4 maggio successivo, la s.r.l. "L." ha impugnato il decreto del 14 febbraio 2011 della s.p.a. "A.", di risoluzione del rapporto convenzionale relativo all'assegnazione del lotto di terreno di mq. 2066 contraddistinto al n. 22 da essa ottenuta nel P.i.p. del Comune di Sarno.
    Vengono dedotti i seguenti motivi di gravame:
    1) carenza di potere della s.p.a. "A.", in quanto il provvedimento impugnato attinge il rapporto convenzionale susseguente l'assegnazione del lotto;
    2) violazione degli artt. 7 e 8 della legge 7/8/1990 n. 241, del giusto procedimento ed eccesso di potere, per mancato invio dell'avviso d'inizio del procedimento;
    3 e 4) violazione degli artt. 1460 e 1175, difetto ed erroneità dei presupposti su cui si basa l'atto impugnato, carenza ed erroneità della motivazione e difetto d'istruttoria ed eccesso di potere, contestandosi le ragioni d'inadempimento poste a base del provvedimento impugnato ed assumendo la sussistenza dell'inadempimento degli obblighi a carico di parte resistente.
    Si è costituita in giudizio l'A. con la memoria depositata il 27 giugno 2011, con la quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso e, nel merito, ha controdedotto chiedendone il rigetto.
    Nella Camera di Consiglio del 30 giugno 2011 è stata respinta la domanda cautelare, stante l'emissione di un nuovo bando per l'assegnazione dei lotti residui, non impugnato.
    II) Con atto con motivi aggiunti, notificato il 4 luglio 2011 e depositato il 13 successivo, la s.r.l. "L." ha impugnato il bando di assegnazione dei residui lotti del P.i.p. e gli atti connessi.
    Vengono dedotti l'illegittimità derivata dai vizi esposti avverso gli atti impugnati col ricorso principale, la carenza dei presupposti per l'indizione del bando e la mancata instaurazione del contraddittorio procedimentale.
    L'A. ha eccepito l'inammissibilità dei motivi aggiunti per mancata partecipazione della ricorrente alla procedura di assegnazione dei lotti residui e per intempestività dell'impugnazione e, nel merito, ne ha chiesto il rigetto con la memoria depositata il 25 luglio 2011; ed ha depositato relazione tecnica il 26 luglio 2011.
    Nella Camera di Consiglio del 28 luglio 2011 è stata accolta la domanda cautelare al fine di lasciare la res litigiosa ad huc integra sino alla decisione di merito.
    III) La società ricorrente ha depositato relazione tecnica in data 11 novembre 2011 ed ha insistito per l'accoglimento delle impugnative con le memorie difensive del 21 e 30 novembre 2011.
    L'A. ha ulteriormente insistito nelle sollevate eccezioni in rito e nel merito per il rigetto dei ricorso.
    IV) Nell'odierna udienza le impugnative sono state trattenute per la decisione.
    DIRITTO
    I) La ricorrente s.r.l. "L.", col ricorso principale ha impugnato il provvedimento col quale la s.p.a. "A.", affidataria dell'attuazione del p.i.p. in località Ingegno del Comune di Sarno, in nome e per conto di quest'ultimo, ha dichiarato la risoluzione della convenzione relativa all'assegnazione in suo favore del lotto di terreno n. 22 nel P.i.p. del Comune di Sarno; e, col ricorso con motivi aggiunti, ha impugnato il bando di assegnazione dei lotti residui nel detto P.i.p.
    II) Preliminarmente va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del ricorso principale per carenza d'interesse a ricorrere, sollevata dall'A. sulla prospettata assenza di contestazione o di ragioni giustificative della "mancata realizzazione dell'insediamento produttivo" e del "mancato pagamento del saldo del corrispettivo richiesto a conguaglio della cessione del lotto" che sono i presupposti di fatto su cui si basa il provvedimento impugnato.
    Invero, come risulta dal contenuto del ricorso e più diffusamente da quello delle relative memorie, la società ricorrente adduce a ragione del mancato insediamento asserite inadempienze della resistente A. e prospetta il mancato pagamento del saldo del corrispettivo come una sorta di comportamento riconducibile al principio "inadimplenti non est adimplendum", per cui le questioni attengono più propriamente al merito della controversia.
    III.1) Nel merito, col primo motivo di gravame, la società ricorrente deduce la carenza di potere all'adozione del provvedimento impugnato assumendo che, vertendosi in tema di rapporti convenzionali connessi alla fase esecutiva del provvedimento di assegnazione e di cessione del lotto, non vi sarebbe spazio per l'esercizio d'attività autoritativa, con conseguente azionabilità dei mezzi giuridici relativi ai rapporti privatistici nei quali rileva il carattere paritetico delle parti.
    La deducente indica altresì la controversia omologa a quella qui in esame da essa instaurata e pendente innanzi al G.O. in relazione alla quale l'A. ha svolto nei suoi confronti l'azione riconvenzionale d'accertamento d'inadempimento agli obblighi convenzionali, intendendo con ciò significare il riconoscimento dell'assenza di poteri autoritativi in materia anche da parte della qui resistente A..
    Il Collegio, per quest'ultimo profilo, ritiene che la controversia civile non osti alla cognizione piena del ricorso portato al suo esame, risultando dalle indicazioni di parte ricorrente che sulla detta controversia non è stata adottata alcuna pronuncia neanche in ordine alla giurisdizione, e reputando che non vi sono ragioni per sospendere il presente giudizio.
    Ciò premesso, la censura di carenza di potere è infondata.
    Nelle ipotesi come quella in esame sussistono il potere della P.A. di provvedere autoritativamente per la cura dell'interesse alla tempestiva e regolare realizzazione del p.i.p. e la giurisdizione del Giudice amministrativo.
    Si deve considerare che il P.i.p., quale mezzo attuativo dello strumento urbanistico generale del Comune (PUC), attiene al governo del territorio ed al costituito assetto urbanistico generale, conseguendone che esso reca in sé l'interesse pubblico alla sua corretta attuazione e gestione sino alla completa realizzazione delle relative opere; l'attuazione del detto Piano attuativo viene realizzata con l'acquisizione dei terreni mediante procedure espropriative; le convenzioni regolanti i rapporti con gli assegnatari dei lotti di terreno, in considerazione dell'immanente interesse pubblico all'attuazione del P.i.p., sono riconducibili alle figure degli accordi di natura pubblica di cui all'art. 11 della legge 7/8/1990 n. 241 le cui relative controversie sono attribuite dalla medesima disposizione legislativa (ora, art. 133 comma 1 lett. "a" n. 2 del c.p.a.) alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
    Ed a quest'ultimo riguardo, trattandosi di materia relativa all'assegnazione di beni espropriati dall'Ente pubblico, la menzionata giurisdizione esclusiva sussiste anche in base all'art. 133 comma 1 lett. "b" del c.p.a che a siffatta giurisdizione devolve le controversie in tema di "rapporti di concessione di beni pubblici", ed ancora, venendo in rilievo nella fattispecie il governo del territorio ed il relativo uso, la detta giurisdizione esclusiva trova fonte normativa nella lett. "f" del comma 1 del medesimo art. 133 del c.p.a. relativa alla materia "urbanistica ed edilizia".
    Ed, invero, nei sensi appena indicati si è espresso il Giudice regolatore della giurisdizione (Cass. S.U. 27/6/2005 n. 13712) che ha affermato la sussistenza della giurisdizione esclusiva del G.A. in fattispecie del tutto omologa a quella in esame, mentre le decisioni indicate da parte ricorrente a supporto della sua contraria tesi riguardano fattispecie (sovvenzioni, finanziamenti pubblici, collaudo di lavori effettuati nel P.i.p.) in cui non è coinvolto l'interesse pubblico alla tempestiva e corretta attuazione del P.i.p. che persiste e permane sino alla completa realizzazione dello stesso.
    Ne deriva che sussiste il potere esercitato dalla parte resistente nel caso in esame, stante l'interesse pubblico affidato alla sua cura di realizzazione del Piano attuativo, e ciò, peraltro, consegue anche dall'immanente potere di autotutela di cui, per principio generale, è attributaria la P.A.; e, sussiste, per quanto innanzi è stato precisato, la giurisdizione di questo Tribunale.
    Il motivo di gravame esaminato è, pertanto, infondato.
    III.2) Sono infondati anche il secondo e quarto motivo di gravame, coi quali vengono dedotti rispettivamente la mancata previa instaurazione del contraddittorio procedimentale ed il difetto di motivazione e d'istruttoria.
    Ricordato che le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato sono il "mancato pagamento del saldo del corrispettivo relativo al conguaglio della cessione del lotto" e la "mancata realizzazione dell'insediamento produttivo", si osserva che di tali inadempienze, che a norma del bando di assegnazione e della convenzione comportano la risoluzione di questa e della cessione del bene, la società ricorrente è stata ben edotta dall'A. prima dell'adozione del provvedimento impugnato con le note n. 615 e n. 4352/2009 e n. 1784/2010 con le quali ad essa è stato assegnato anche un termine per regolarizzare le contestate inadempienze.
    Ne consegue che non v'è spazio per la svolta doglianza perché la ricorrente - che ha sottoscritto la convenzione prevedente obblighi e conseguenze in caso d'inadempienze e che successivamente alle dette contestazioni ha svolto azione civile d'accertamento dell'inadempimento dell'A. e di risarcimento dei danni - aveva adeguata conoscenza delle inadempienze rilevate a riguardo della sua posizione dall'A. e dei conseguenti procedimenti adottandi; ed è noto che la pacifica giurisprudenza amministrativa reputa insussistente la doglianza in questione allorquando l'interessato sia in qualsiasi modo informato dei fatti che danno luogo al procedimento, essendo stato comunque posto in condizioni di rappresentare le sue deduzioni e valutazioni. (ex multis, Cfr. Cons. di Stato - Sez. VI - 9/3/2011 n. 1476)
    Quanto al difetto di motivazione e d'istruttoria è sufficiente osservare che il provvedimento impugnato esplicita chiaramente i fatti e le previsioni normative e convenzionali applicate, e ciò segnala l'assenza di entrambi i vizi dedotti.
    III.3) Col terzo motivo di gravame la società ricorrente contesta il provvedimento impugnato assumendo che non ha realizzato l'opificio industriale perché gli intimati A. e Comune non hanno adempiuto al loro obbligo di rendere la relativa area d'insediamento disponibile ed accessibile; e, quanto al mancato pagamento del saldo del corrispettivo da essa dovuto, da quanto si evince dal contenuto della censura, pure richiama l'eccezione d'inadempimento prevista dall'art. 1460 c.c. sempre in base al prospettato inadempimento dell'amministrazione resistente.
    Il prospettato inadempimento dell'amministrazione consisterebbe nella mancata immissione della ricorrente "nel pieno possesso materiale e giuridico" del lotto assegnato, nella modifica dello stato dei luoghi con scarico di materiale inerte contenuti da muri, nella presenza di rifiuti nell'area e relativo disposto divieto di movimentazione degli stessi, nella mancata ottemperanza dell'obbligo assunto dall'A. di rimozione dei beni mobili (autocarri, autovettura e mezzi meccanici) presenti lungo il confine del lotto, nell'inaccessibilità al lotto " per la realizzazione di un muro e per la presenza di un lucchetto e catena sull'unico varco creato dall'A. e, in sede di realizzazione di opere d'urbanizzazione, chiudendo qualsiasi accesso al lotto".
    Si premette che, a norma dell'art. 8 del bando per l'assegnazione dei lotti nel P.i.p. ed in forza del connesso obbligo assunto con l'atto di trasferimento della proprietà degli stessi (art.8), l'assegnazione e la cessione della proprietà è sottoposta alla condizione di realizzazione dell'opificio, a pena di risoluzione delle dette assegnazione e cessione, nei termini temporali precipuamente precisati e configurati come essenziali.
    Ciò premesso, appare al Collegio che i fatti e le circostanze indicati da parte ricorrente volti a prospettare ragioni impedienti la realizzazione dell'opificio non si rivelano all'uopo persuasivi.
    La ricorrente ha conseguito il pieno possesso materiale e giuridico del lotto con formale atto nel 2005 (verbale del 9/9/2005) e le è stata trasferita la proprietà dello stesso con l'atto pubblico del 29/5/2007 nel quale (all'art. 7) si dà espressamente atto che essa è già stata immessa nel possesso del bene "a tutti gli effetti giuridici ed economici" con il detto verbale.
    Quanto allo sversamento di materiali inerti e di risulta presenti nel lotto, si deve precisare che, da quanto è dato evincere dagli atti depositati in giudizio, esso è avvenuto ad opera di terzi posteriormente all'immissione in possesso ed al trasferimento di proprietà, per cui la ricorrente aveva, ratione possessionis, titolo per impedire lo sversamento e per agire direttamente per ottenerne la rimozione.
    Quanto ai rifiuti ed al relativo divieto di movimentazione in presenza di una pianificazione tenente conto dei profili sanitari, si deve osservare che non sono contestate ex adverso l'affermazione di parte resistente e quella contenuta nella consulenza tecnica dalla stessa depositata, secondo cui lo sversamento di rifiuti non riguardava il lotto della ricorrente né l'accesso allo stesso, e ciò, quantomeno in relazione all'interno del lotto, si evince anche dal verbale d'immissione in possesso del bene del 2005 nel quale si è dato atto della presenza di mezzi meccanici, ma non di rifiuti.
    Per l'obbligo assunto dall'A. di liberare il lotto dagli autoveicoli e mezzi meccanici, si osserva che la ricorrente ben poteva agire, anche in sede giudiziaria, per ottenere l'adempimento dell'obbligazione, e ciò a prescindere che la presenza dei detti beni mobili lungo il confine non motivano l'assoluta assenza quantomeno dell'inizio dei lavori.
    Quanto alla prospettata inaccessibilità al lotto " per la realizzazione di un muro e per la presenza di un lucchetto e catena sull'unico varco creato dall'A. e, in sede di realizzazione di opere d'urbanizzazione, chiudendo qualsiasi accesso al lotto", si deve considerare che con l'immissione in possesso del 2005 la ricorrente ha ottenuto la piena disponibilità del lotto e di quanto allo stesso accede ed ancor più siffatta disponibilità ha ottenuto col successivo trasferimento di proprietà del 2007 e, tuttavia, pur avendo titolo per sgomberare l'area, ancora al momento dell'adozione dell'atto impugnato, i lavori, a quanto si evince dagli atti del giudizio, non risultano avviati. Quanto, poi, all'occupazione di spicchi del lotto per l'esecuzione dei lavori d'urbanizzazione, è evidente che siffatti lavori sono estremamente limitati nel tempo e che, pertanto, l'occupazione non può reputarsi impediente la costruzione dell'opificio, e ciò a prescindere dall'impegno senza riserva assunto al riguardo dalla ricorrente in sede di formulazione del più volte citato verbale del 2005.
    Sempre a riguardo dell'accessibilità o meno al lotto risulta dalla consulenza tecnica di parte resistente, non smentita ex adverso, che l'opificio progettato dalla ricorrente è ubicato sulla traversa San Lorenzo, già asfaltata prima della realizzazione del P.i.p., a poche decine di metri da via Ingegno che è importante arteria stradale comunale, con le conseguenti piena accessibilità al lotto e possibilità d'avvio da subito dei lavori a differenza dei lotti di altri assegnatari localizzati lungo le strade di progetto da tracciare e realizzare i quali, peraltro, nonostante la non buona localizzazione, hanno completato l'edificazione; e per quest'ultimo aspetto vengono allegati reperti fotografici.
    E, dunque, anche l'ultimo motivo di gravame è infondato.
    Alla stregua delle osservazioni svolte a riguardo di tutte le censure dedotte e ritenute infondate, perde di consistenza anche l'eccezione d'inadempimento invocata dalla ricorrente a norma dell'art. 1460 c.c.
    III.4) Il ricorso principale, in definitiva, è infondato e va, pertanto, respinto.
    IV) Il ricorso con motivi aggiunti, volto avverso il bando di assegnazione dei lotti residui nel P.i.p. comprendente quello assegnato alla ricorrente e gli atti connessi, è improcedibile per carenza d'interesse alla decisione, stanti la perdita definitiva dell'assegnazione del lotto conseguente al rigetto del ricorso principale e la mancata partecipazione della ricorrente alla procedura relativa al nuovo bando.
    V) In conclusione, il ricorso principale è infondato e va, conseguentemente, respinto; ed il ricorso con motivi aggiunti è improcedibile per carenza d'interesse alla decisione.
    VI) Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
    P. Q. M.
    definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe proposto dalla s.r.l. "L.", così decide: a) respinge il ricorso principale; b) dichiara improcedibile il ricorso con motivi aggiunti.
    Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente A., delle spese di giudizio che si liquidano, per onorari, diritti e spese di lite, nel complessivo importo di euro 2.200,00 (duemiladuecento), oltre i.v.a. e c.p.a.
    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
    Così deciso in Salerno nelle camere di consiglio del 21 dicembre 2011 e 15 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
    IL PRESIDENTE-ESTENSORE
    Ferdinando Minichini
    IL CONSIGLIERE
    Francesco Gaudieri
    IL CONSIGLIERE
    Nicola Durante
    Depositata in Segreteria il 17 marzo 2012
    (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


     

     
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