Home ARTICOLO_MODULO_APPROFONDIMENTI
  • Immobile comunale destinato a uffici giudiziari: quale natura?

    Giovedì 31 Gennaio 2013 19:01
    E-mail Stampa PDF

    N. 25/2013 Reg. Prov. Coll.

    N. 207 Reg. Ric.

    ANNO 2012

    REPUBBLICA ITALIANA

    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

    SENTENZA

    sul ricorso numero di registro generale 207 del 2012, proposto da:

    Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Potenza, corso 18 Agosto 1860;

    contro

    Comune di Potenza in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Concetta Matera, con domicilio eletto presso l'ufficio legale comunale in Potenza, via N. Sauro- Palazzo della Mobilità;

    nei confronti di

    M. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Piccolo, Cesare Oliva e Fabrizio Perla, con domicilio eletto presso Fernando Molinari Avv. in Potenza, viale Marconi, n. 90;

    e con l'intervento di

    ad adiuvandum:

    Associazione di Avvocati "Autonomia Forense" Sede di Policoro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Montagna, Nicola Cataldo, Clemente Delli Colli, Luciano Petrullo e Leonardo Pinto, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Potenza, via Rosica, n. 89;

    per l'annullamento

    - della delibera n. 84 del 30.7.2008 del Consiglio Comunale di Potenza avente ad oggetto "Immobile sede degli uffici giudiziari. Alienazione con patto di locazione" con la quale il Consiglio Comunale di Potenza ha deciso di procedere all'alienazione, con patto di locazione, dell'immobile destinato a sede degli Uffici giudiziari a condizione che l'acquirente non ne modifichi le attuali condizioni d'uso;

    - della determinazione dirigenziale n. 67 del 22.12.2008 di approvazione dello schema di avviso pubblico in esecuzione della Delibera n. 84/2008 e della successiva determinazione n. 16 del 25.2.2009 di riapertura dei termini dell'avviso;

     

    - della determinazione dirigenziale n. 117 del 5/6.5.2011 di approvazione degli schemi dell'avviso pubblico, del documento descrittivo e del contratto di locazione inerenti la proposta della M. s.r.l.;

    - della determinazione dirigenziale n. 203 del 6.7.2011 con cui si è dichiarata deserta la gara e si è disposto avvio della procedura negoziata con l'originario proponente M. s.r.l.;

    -degli atti sconosciuti di perfezionamento della procedura negoziata e di aggiudicazione dell'immobile sede degli uffici giudiziari e del collegato schema di contratto di locazione alla M. s.r.l. con sede in Napoli e dei conseguenti atti negoziali posti in essere in data 28/12/11 (contratto preliminare di vendita e collegato contratto di locazione);

    - di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale comunque lesivo degli interessi dell'Amministrazione ricorrente, ivi compresa la nota n. 24673 del 5/4/2012.

    Visti il ricorso e i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Potenza e di M. Srl;

    Visto l'atto di intervento "ad adiuvandum" dell'associazione Autonomia Forense;

    Vista l'ordinanza collegiale n. 96 del 21/6/12 di accoglimento dell'istanza incidentale di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati e di fissazione dell'udienza di discussione del presente gravame;

    Viste le memorie difensive;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2012 il dott. Giancarlo Pennetti e uditi per le parti i difensori Avv. Amedeo Speranza, per il Ministero ricorrente; Avv. Concetta Matera, per il Comune intimato; Avv.ti Clemente Delli Colli e Vincenzo Montagna, quest'ultimo anche in sostituzione dell' Avv. Leonardo Pinto, per l'associazione interveniente; Avv.ti Paolo Piccolo, Cesare Oliva e Fabrizio Perla, per la società controinteressata;

    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

    FATTO

    Premette il Ministero ricorrente che gli uffici giudiziari di Potenza sono collocati in un edificio di mq. 14.022 a suo tempo costruito con diversi finanziamenti statali concessi al comune ai sensi dell'art. 2 l. n. 26/57 (contributi erogati con provvedimenti del 20/9/72 e del 2/3/78), dell'art. 11 del d.l. 662/79 (contributo erogato con provvedimento del 13/5/81), dell'art. 28 della legge n. 146/80 e dell'art. 19 l. n. 119/81 (contributi erogati con provvedimenti del 6/3/84, del 12/8/87, del 17/1/89 e del 28/11/91) per un importo complessivo di euro 17.345.160,00. A sua volta il comune ha contribuito alla costruzione del palazzo con fondi propri e/o mutui a proprio carico contratti con la Cassa Depositi e Prestiti per euro 4.751.405,27. L'edificio in parola è sottoposto al vincolo della destinazione ad uso uffici giudiziari. Ciò premesso il Ministero fa presente che soltanto con nota n. 24673 del 5/4/12 il Comune lo ha portato a conoscenza dell'adozione degli atti impugnati fra i quali la delibera n. 84/08 con cui il consiglio comunale di Potenza ha deciso di procedere all'alienazione, con patto di locazione, dell'immobile destinato a sede degli uffici giudiziari a condizione che l'acquirente non ne modifichi le attuali condizioni d'uso.

    Rileva il ricorrente che il comune con la sopraindicata delibera ha considerato che il valore del costo di costruzione del palazzo di giustizia fosse pari a circa euro 53.200.000 e che in caso di sua vendita il canone annuo dovuto per prenderlo in locazione sarebbe stato pari circa a euro 3.100,000; in tal modo con la vendita l'alienante avrebbe ricavato l'immediata disponibilità dell'intero prezzo senza particolari oneri a proprio carico e ciò in considerazione del fatto che la spesa per il canone solo apparentemente avrebbe gravato sulle casse comunali, onerando in realtà totalmente lo Stato, in quanto, secondo l'amministrazione, "l'art. 1 della.....Legge n. 392/41 prevede che lo Stato rimborsi, attraverso un contributo annuale disciplinato dal d.p.r. n. 187/98, le spese per le pigioni ai comuni nei quali hanno sede gli Uffici Giudiziari" (cfr. delib. n. 84/08). Dalla summenzionata nota è emerso che il comune ha poi aggiudicato la vendita dell'immobile alla M. s.r.l. con sede in Napoli, per il minore importo di 32 milioni di euro e che in data 28/12/11 sarebbe stato stipulato con tale società un preliminare di vendita con annesso un contratto di locazione dell'immobile in favore del comune di durata trentennale col quale assume l'obbligo di pagare un canone annuo pari a 3.290.000 euro.

    Avverso gli atti impugnati, col presente gravame, notificato il 25 e 26 maggio 2012 e depositato il 6 giugno 2012, si deduce quanto segue:

    1.- violazione degli artt. 2 l. n. 26/57, 11 d.l. n. 662/79, 28 l. n. 146/80 e 19 l. n. 119/81- violazione dell'art. 828 co. 2 c.c.- violazione e disapplicazione di provvedimenti ministeriali statali: segnatamente, decreti interministeriali 15/4/72 e 7/1/77 di approvazione dei progetti e decreti vari di approvazione delle perizie di variante successive- privazione di causa giuridica ai decreti di finanziamento- eccesso di potere.

    Premesso che le leggi di finanziamento della realizzazione dell'opera hanno determinato il vincolo di destinazione sulla stessa avente natura pubblica, si rileva che lo stesso è sostanzialmente diverso rispetto al vincolo privatistico di mantenimento della destinazione a uso ufficio giudiziario pattuito in atti negoziali di diritto privato. In quest'ultimo caso infatti il vincolo non è opponibile a terzi aventi causa dall'acquirente né sarebbe suscettibile di trascrizione. Si aggiunge ancora che l'attuazione dell'obbligo di mantenimento della destinazione a sede di uffici giudiziari è stata dedotta ad oggetto di un autonomo contratto di locazione e che pertanto trattandosi di obbligazione inserita in un rapporto sinallagmatico vi sarebbe il concreto rischio che una qualsiasi inadempienza contrattuale del comune (p.e. ritardo del pagamento nel canone) legittimi il locatore a chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto (e la liberazione dal vincolo). Conseguenze non riproducibili nel caso del vincolo di destinazione di natura pubblica.

    Ancora si rileva che fra i modi di sottrazione dei beni patrimoniali indisponibili non risulta previsto che possano adottarsi atti negoziali. Il comune non sarebbe legittimato a modificare con propri atti amministrativi gli effetti derivanti dai provvedimenti statali non solo con riferimento agli atti di finanziamento ma anche con riguardo ai singoli atti di approvazione dei progetti di variante. Si aggiunge che poiché i provvedimenti di finanziamento hanno come propria causa l'assicurare il bene effettivamente a sede di uffici giudiziari, il mutamento di destinazione comporterebbe l'obbligo del comune di restituire l'intero importo dei finanziamenti;

    2.- violazione ed erronea interpretazione degli artt. 29 del d.l. 269/03 convertito nella legge 326/03.

    La disciplina citata in rubrica e invocata dal comune non giustifica gli atti impugnati atteso chè riguarda solo la cessione di immobili dello Stato. Oltretutto detta norma dispone che la vendita faccia venire meno l'uso governativo, ovvero l'uso pubblico ma ciò è stato escluso proprio per il fatto che il comune nella vendita ha inserito l'obbligo per l'acquirente di mantenere la suddetta destinazione;

    3.-violazione degli articoli 7 e ss. l. n. 241/90.

    E' stata omessa la formalità in rubrica benchè la delibera n. 83/08 coinvolgesse certamente la posizione del Ministero della Giustizia;

    4.-violazione ed erronea interpretazione dell'art. 12 della legge n. 127/97.

    La disciplina in rubrica, anch'essa richiamata dal comune nelle determinazioni impugnate, riguarda in realtà unicamente le alienazioni del patrimonio disponibile e non anche la fattispecie. Inoltre, la vendita avrebbe dovuto essere preceduta da un regolamento dell'ente interessato, nella specie insussistente;

    5.-violazione ed erronea interpretazione dell'art. 1 l. n. 392/41 e del d.p.r. n. 187/98.

    Sarebbe in errore il comune là dove, negli atti impugnati, ritiene che l'art. 1 in rubrica preveda la corresponsione al comune d'un contributo pari al canone che sarà pattuito e pagato dal comune al nuovo proprietario. Ciò in primo luogo perché la determinazione del contributo avviene a seguito di valutazioni e apprezzamenti, anche discrezionali, di più organi. In ogni caso il contributo annuo tiene conto delle erogazioni appositamente fatte dallo stato per la provvista dei locali degli uffici giudiziari con i finanziamenti eventualmente già assentiti per la loro costruzione: tali erogazioni, proprio perché finalizzate alla provvista stabile e definitiva dei locali, costituirebbero anticipazioni dei contributi e tali sono configurati dalle richiamate leggi nn. 26/57, 662/79, 146/80 e 118/81. Non sarebbe sostenibile che lo Stato, che ha pagato i 4/5 della costruzione (anticipando i contributi annui) veda dispersa e azzerata tale anticipazione e si veda costretto a pagare al comune non più il contributo annuo depurato dai citati 4/5 del costo dell'immobile già pagato dallo Stato, bensì il contributo pieno commisurato all'intero valore locativo del bene. Comunque poi il comune non sarebbe legittimato a ottenere dallo Stato qualunque canone eventualmente pattuito con i privati ma solo un canone corrispondente ai criteri comuni di mercato. Nella specie quello accordato alla società acquirente, pari a oltre il 10% del prezzo di acquisto sarebbe fuori mercato.

    Si costituito il Comune di Potenza che resiste e deduce l'irricevibilità, l'inammissibilità dell'impugnativa per difetto di giurisdizione in relazione agli atti negoziali posti in essere il 28/12/11, l'inammissibilità del ricorso relativamente alla nota del 5/4/12, l'inammissibilità del ricorso per carenza d'interesse posto che l'alienazione dell'immobile di proprietà comunale non pregiudica la destinazione, nonché l'infondatezza del gravame.

    Analoghe eccezioni vengono sollevate dalla contro interessata M. oltre alla deduzione d'infondatezza del gravame.

    Con autonomo atto di intervento ad adiuvandum si è costituita l'Associazione di Avvocati "Autonomia Forense" che chiede l'accoglimento del gravame.

    Con ordinanza collegiale n. 96 del 21/6/12 è stata accolta l'istanza incidentale di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati e fissata l'udienza di discussione del presente gravame.

    Nella pubblica udienza del 22 novembre 2012 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

    DIRITTO

    Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti. La stessa è fondata limitatamente alla domanda di annullamento del contratto preliminare di vendita e del collegato contratto di locazione dato che la cognizione sugli stessi è riservata alla cognizione dell'AGO cui quindi l'amministrazione statale istante, ai fini della "translatio", deve rivolgersi al fine della declaratoria d'invalidità. Viceversa l'eccezione non ha pregio se, come si evince dalla memoria della contro interessata Maya del 23/10/12, riguarda pure la domanda di annullamento della delibera consiliare comunale (erroneamente denominata determina dirigenziale) n. 84/08. Con quest'ultima infatti l'amministrazione, valutata la situazione finanziaria comunale con particolare riferimento a quella debitoria, ha ritenuto di alleggerire il peso dell'indebitamento "anche attraverso procedure di dismissione del patrimonio immobiliare del comune sia disponibile che indisponibile", individuando nell'immobile destinato a sede degli uffici giudiziari un bene da alienare e prevedendo pure, di tale dismissione, l'articolazione procedimentale. Trattasi dunque, con evidenza, d'un atto di esercizio della potestà discrezionale dell'amministrazione di scelta d'una modalità di realizzazione di nuove entrate e del bene da sottoporre a dismissione; il tutto, per intrinseca natura giuridica di tale delibera e delle correlate posizioni giuridiche dei soggetti toccati da tali scelte amministrative, da ricondurre alla competenza giurisdizionale del G.A..

    Occorre ora esaminare le eccezioni di tardività del gravame, basate sia sul presupposto dell'applicabilità, nella fattispecie, del principio generale per cui il termine d'impugnazione da parte dei soggetti non direttamente contemplati dai provvedimenti di cui si chiede l'annullamento decorre dalla data della loro pubblicazione e sia sull'assunto della estraneità del Ministero ad una procedura di vendita. Le eccezioni sono infondate, come già chiarito nell'ordinanza cautelare n. 96/12.

    Infatti, la delibera consiliare n. 84 del 30/7/08, avente a proprio oggetto specifico l'alienazione con patto di locazione dell'immobile sede degli uffici giudiziari e che dispone in modo definitivo la vendita del Palazzo di Giustizia di Potenza (da definire sul piano procedurale mediante successivi atti di competenza della Direzione Generale dell'ente) contempla espressamente il Ministero della Giustizia (pag. 2 della relazione sindacale) quale fruitore del vincolo di destinazione afferente l'immobile in parola e come tale onerato "ex lege" del rimborso al comune degli oneri di gestione per l'uso della sede degli uffici giudiziari. Ne consegue che al Ministero ricorrente, per la posizione giuridica rivestita, riconducibile a quella di soggetto destinatario degli effetti giuridici della statuizione amministrativa adottata, tale delibera doveva essere notificata o comunicata individualmente. Viceversa, solo con la nota prot. n. 24673 del 5/4/12 (con allegati il contratto preliminare e lo schema di contratto di locazione) il Comune ha informato il Ministero della Giustizia dell'esistenza di detta delibera nonché di tutte le altre determine e sviluppi procedurali intervenuti fino alla sottoscrizione del contratto preliminare del 28/12/11 e del collegato schema di contratto di locazione. Appunto a seguito di detta comunicazione si è formata la piena conoscenza in capo al Ministero ricorrente.

    Pure infondate paiono a questo collegio le eccezioni di inammissibilità. Queste ultime sono riconducibili tutte all'assunto che l'alienazione dell'immobile di proprietà comunale destinato a sede di uffici giudiziari non pregiudica tale destinazione; in altri termini, il sistema di negozi collegati posto in essere dalle parti con la previsione, contestualmente alla sigla del contratto definitivo di compravendita dell'immobile fra il Comune e la M., della stipula, fra le medesime parti, d'un contratto di locazione del detto immobile, adibito a sede degli uffici giudiziari di Potenza, finirebbe per mantenere la destinazione attuale senza pregiudizio nella sfera giuridica del Ministero.

    Senonchè sul punto il collegio rileva che la posizione giuridica qualificata posto a base dell'azione giurisdizionale promossa dal Ministero ricorrente, nella specie, trova il suo sostrato sostanziale, dal punto di vista giuridico, nell'essere il ricorrente il soggetto concretamente fruitore del vincolo di destinazione gravante sull'immobile, dell'avere esso Ministero a suo tempo concesso, ai fini dell'edificazione dell'immobile in parola, importanti contributi finanziari pubblici a favore del Comune quale soggetto realizzatore e proprietario dello stesso e infine dell'essere, detto Ministero, assieme ad altri Ministeri, tenuto per legge (cfr. art. 2 l. n. 392/41) ad erogare un contributo annuale alla spese, obbligatorie per i comuni, necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari, pigioni etc. meglio specificate nell'art. 1 comma 1 della menzionata legge.

    La lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente che abilita questi a proporre ricorso riguarda pertanto: -in primo luogo l'interesse dell'amministrazione giudiziaria al mantenimento dell'attuale configurazione pubblicistica del vincolo posto a base della menzionata fruizione dell'immobile (alla cui realizzazione lo Stato ha a suo tempo concorso sul piano finanziario) da parte dei servizi giudiziari in esso allocati rispetto al vincolo scaturente dalla novazione del diritto vantato dal comune sull'immobile che da diritto di proprietà diventa diritto personale di godimento col conseguente nuovo regime contrattuale e di diritto comune cui questi deve di necessità soggiacere; -in secondo luogo l'interesse dell'amministrazione statale ad evitare accordi contrattuali basati sul presupposto, contrattualmente inespresso, ma esplicitato nella relazione istruttoria/illustrativa giustificativa della delibera consiliare n. 84/08, secondo cui "il canone di locazione è a carico dello Stato", solo così potendosi evitare effetti finanziari negativi per le casse comunali.

    Per altro verso invece -in accoglimento dell'eccezione sollevata sul punto dal Comune- va dichiarata l'inammissibilità dell'impugnativa della nota comunale prot. n. 24673 del 5/4/12 in quanto atto endoprocedimentale avente la sola funzione di informare il Ministero ricorrente delle vicende relative alla procedura di alienazione, con patto di successiva locazione, dell'immobile sede degli Uffici Giudiziari di Potenza.

    Infine, occorre rigettare l'eccezione, sollevata con la memoria del 18/6/12 dalla controinteressata, secondo cui l'Associazione Professionale intervenuta a sostegno del Ministero sarebbe priva di legittimazione a costituirsi in giudizio. Invero l'associazione intervenuta ha depositato copia dello Statuto fra i cui scopi rientra quello di promuovere ogni utile iniziativa per favorire una corretta ed efficace gestione degli uffici giudiziari. Nella specie, l'intervento "de quo" si giustifica alla luce della medesima esigenza posta a base dell'azione principale e cioè l'ausilio all'impugnativa di quegli atti amministrativi che, nell'ottica degli istanti, espongono i servizi giudiziari (al cui funzionamento gli avvocati concorrono in maniera determinante) al rischio di pregiudizio per la loro corretta ed efficace gestione.

    Tutto ciò esposto occorre passare all'esame del merito del ricorso.

    Va premesso che non può dubitarsi della riconducibilità dell'immobile in questione alla categoria dei beni patrimoniali indisponibili la cui disciplina di legge è rintracciabile anzitutto negli artt. 826 e 828 c.c. Nella specie si è in presenza di un bene del patrimonio comunale indisponibile per destinazione, fra i quali appunto rientrano gli edifici destinati a sede di uffici pubblici (art. 826 ultimo comma c.c.). Riguardo al regime giuridico l'art. 828 co. 2 stabilisce che tali beni "non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". I beni patrimoniali indisponibili, perciò, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 16/2/11 n. 3813).

    Occorre tuttavia chiarire natura e consistenza giuridica di detto vincolo di destinazione. In particolare occorre chiedersi se, nella fattispecie, si sia in presenza di una vicenda traslativa del bene in parola priva di riflessi modificativi del vincolo di destinazione.

    Sul punto occorre precisare che il citato vincolo, avente natura pubblicistica, trova il proprio fondamento, dal punto di vista formale, nelle delibere comunali a suo tempo (dagli inizi degli anni '70) adottate recanti approvazione del progetto dell'opera e delle richieste al Ministero di Grazia e Giustizia di concessione di contributi straordinari per l'esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo Palazzo di Giustizia di Potenza, nonché nei decreti ministeriali di concessione di tali contributi adottati a tale specifica finalità della realizzazione del Palazzo di Giustizia di Potenza; dal punto di vista sostanziale, poi, il vincolo si concretizza nell'effettiva utilizzazione dell'opera realizzata per la finalità prevista.

    Ora, ad avviso del collegio, qualsiasi vicenda traslativa d'un bene pubblico patrimoniale indisponibile "per destinazione", implica -tanto più nel caso in cui il bene passi nella proprietà d'un soggetto privato- il problema del regime giuridico del vincolo di destinazione che lo accompagna. Se la commerciabilità del bene non deve implicare anche il vincolo di destinazione, allora la predetta disposizione di cui all'art. 828 co.2, va interpretata non semplicemente come limite alla sottrazione del bene alla sua destinazione ma, in una accezione più ampia, come norma preclusiva di modifiche a tale destinazione pubblicistica effettuate al di fuori dei "modi stabiliti dalle leggi" che riguardano i beni patrimoniali indisponibili. In dottrina è stato notato che, in mancanza, in diritto positivo, d'una regolamentazione generale circa la formazione e l'estinzione della destinazione pubblica, il contenuto positivo della norma positiva viene meno, così restando di essa il contenuto negativo e cioè il richiamo esclusivo del diritto pubblico con esclusione del diritto comune. In altri termini non può ritenersi consentito alle parti contrattuali del trasferimento di proprietà del bene immobile intervenire sulla condizione giuridica del vincolo, sostituendo il regime giuridico pubblicistico dello stesso con un altro di tipo privatistico. Sotto questo profilo è dunque fondato il primo motivo di ricorso atteso chè, attraverso la prefigurazione d'un rapporto contrattuale locativo di diritto privato intercorrente fra l'alienante Comune di Potenza e l'acquirente M. "giustificativo", in termini legali, dell'uso dell'immobile da parte dell'amministrazione giudiziaria, il vincolo di destinazione ha perso la propria originaria connotazione pubblicistica, così come sopra specificata, per assumere quella, tipicamente privatistica, propria degli atti negoziali espressione dell'autonomia privata con conseguente assoggettamento delle sorti giuridiche della "destinazione" dell'immobile alle clausole del contratto e alle norme di diritto comune afferenti il rapporto contrattuale tra le parti (come noto, quello di locazione è contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata). Tali considerazioni trovano puntuale riscontro p.e. nell'art. 3 dello schema contrattuale ( "l'eventuale recesso esercitato da una delle parti in violazione delle disposizioni di cui al presente contratto determinerà l'obbligo al pagamento di una penale calcolata dal Giudice Competente") che dispone che l'eventuale recesso illegittimo è sanzionato solo con la comminatoria di una penale, senza cioè la previsione d'un meccanismo che in tali ipotesi assicuri la stabilità della destinazione. Pari trascuratezza delle esigenze di stabilità del vincolo è rinvenibile nell'art. 9 dello schema contrattuale che vieta al comune di Potenza qualsiasi forma di ritardo nel pagamento del canone locativo e preclude qualsiasi azione o eccezione se non a pagamento già eseguito. La stessa clausola prevede pure che il mancato pagamento anche parziale del canone o delle quote relative agli oneri accessori e/o qualsiasi altro pagamento dovuto dal comune entro i termini e modi contrattualmente previsti determina la risoluzione contrattuale per colpa del Comune medesimo; in sintesi potrebbe accadere che anche un mero ritardo del comune nei propri pagamenti determinerebbe la liberazione della M. dall'obbligo di concedere in locazione l'immobile de quo al comune.

    Non serve poi, come fa il comune di Potenza, richiamare, a garanzia della conservazione del vincolo di destinazione anche dopo l'alienazione dell'immobile e la contestuale concessione in locazione al Comune i rimedi della trascrizione ai sensi degli artt. 2645-ter e 2645 quater del codice civile. Il primo rappresenta una eccezione all'articolo 2740 c.c., per effetto della quale ciascun soggetto risponde delle proprie obbligazioni "con tutti i propri beni presenti e futuri". Secondo quanto prescrive l'articolo in parola, per effetto della trascrizione dell'atto istitutivo di un vincolo di destinazione, quest'ultimo diviene opponibile ai terzi e i beni "vincolati" e i loro frutti sono sottratti a qualsiasi azione esecutiva. La disposizione prefigura un vincolo privatistico di destinazione "atipico", nel quale gli scopi non sono predeterminati dal Legislatore ma rimessi all'autonomia privata, sempreché riconducibili a un giudizio di meritevolezza degli interessi perseguiti (ex art. 1322 co.2 c.c.). A ben vedere il suo richiamo da parte dell'amministrazione conferma il sostanziale azzeramento del regime giuridico pubblicistico del vincolo di destinazione, sostituito da un regime giuridico (ma così facendo da un diverso vincolo di destinazione) a carattere privatistico, del tutto "nuovo" che trae origine dal sistema di negozi collegati posto in essere al fine di svolgere la funzione economica voluta dalle parti; è agevole rilevare come, per effetto di ciò, l'interesse pubblico sotteso alla destinazione all'uso pubblico (uffici giudiziari) dell'immobile in parola veda sfumare i propri caratteri tipici all'interno della indistinta categoria degli interessi meritevoli di tutela rimessi alla valutazione delle parti del contratto.

    Relativamente poi all'art. 2645 quater (Trascrizione di atti costitutivi di vincolo), pure richiamato dall'amministrazione nella memoria difensiva, è vero che esso sembra prefigurare una norma generale in materia di trascrizione di atti costitutivi di vincoli pubblici, ma lo stesso, non può essere preso in considerazione nel senso proposto dall'amministrazione perchè entrato in vigore col d.l. 2/3/12 n. 16, cioè successivamente all'adozione degli atti impugnati. In ogni caso la dottrina, in sede di esame della nuova disposizione, ha già fatto presente che l'art. 2645 quater c.c., quale norma generale in materia di trascrizione, sembra prevedere l'adozione della formalità trascrittiva dei vincoli pubblici su beni immobili con funzione di mero ausilio sul piano della pubblicità notizia, ma non sembra svolgere alcuna funzione sul piano dell'opponibilità dei vincoli.

    Tali considerazioni danno altresì giuridico sostegno al terzo motivo di ricorso (omessa adozione delle formalità partecipative dell'art. 7) atteso chè il Ministero, se previamente informato dell'avvio del procedimento volto a stabilire l'eventuale alienazione dell'immobile avrebbe, nella propria qualità di utilizzatore dell'immobile, potuto partecipare in sede procedimentale -e quindi preventivamente- alla previa "verifica di compatibilità" fra l'alienazione dell'immobile e le condizioni di permanenza della destinazione ad uso pubblico.

    E' poi fondato il secondo motivo di gravame in quanto l'art. 29 (cessione di immobili adibiti ad uffici pubblici) del d.l. n. 269/03, convertito nella legge n. 326/03, richiamato dal comune negli atti impugnati, disciplina esclusivamente la cessione di immobili statali, come si evince chiaramente dall'incipit della disposizione ("Ai fini del perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica previsti per l'anno 2004 attraverso la dismissione di beni immobili dello Stato,.....). Parimenti, è fondato il quarto motivo atteso chè l'articolo 12 (Disposizioni in materia di alienazione degli immobili di proprietà pubblica) della legge n. 127/97 si applica alla vendita dei beni patrimoniali disponibili e non a quelli indisponibili. Inoltre, non risulta mai essere stato adottato il regolamento dell'ente interessato nel quale prefissare e definire criteri di trasparenza e adeguate forme di pubblicità per acquisire e valutare concorrenti proposte di acquisto di cui è cenno nella norma in questione.

    Pure fondato poi è il quinto motivo di gravame nei sensi che ora si espongono. L'articolo 1 della legge 24/4/41 n. 392 (trasferimento ai comuni del servizio dei locali e dei mobili giudiziari), all'art. 1 comma 1 stabilisce l'obbligatorietà per i comuni delle spese necessarie per i locali ad uso degli uffici giudiziari e per le pigioni, riparazioni, manutenzione, illuminazione, riscaldamento e custodia dei locali medesimi, per le provviste di acqua, il servizio telefonico, la fornitura e le riparazioni dei mobili e degli impianti per i detti Uffici, le spese di pulizia dei locali. Il successivo articolo 2 specifica che le spese predette "sono a carico esclusivo dei comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari....Ai detti comuni sedi di uffici giudiziari sarà corrisposto invece dallo Stato, a decorrere dal 1° gennaio 1941, un contributo annuo alle spese medesime nella misura stabilita nella tabella allegata alla presente legge". Si prevede poi la possibilità che detti contributi "potranno" essere riveduti ed eventualmente modificati annualmente e comunque in ogni momento in presenza di particolari esigenze, con decreto del Ministro della Giustizia.

    Tanto premesso, ne consegue l'erroneità dell'assunto, riportato nella relazione giustificativa della delibera di consiglio comunale impugnata, secondo cui l'art. 1 predetto prevede che lo Stato rimborsi, attraverso un contributo annuale disciplinato dal d.p.r. n. 187/98 (regolamento di disciplina dei procedimenti di concessione ai comuni dei contributi per le spese di gestione degli uffici giudiziari) le spese per le pigioni ai Comuni nei quali hanno sede gli uffici giudiziari e che l'entità di tale contributo sia pari al canone che sarà pattuito e pagato dal Comune al nuovo proprietario.

    Invero la normativa regolamentare soprarichiamata prevede che la determinazione del contributo annuo avvenga sulla base d'un procedimento caratterizzato da plurime valutazioni, anche discrezionali di più organi. In particolare l'articolo 2 comma 3 chiarisce che la rata a saldo è determinata tenendo presente: "le spese di cui all'articolo 1 della legge 24 aprile 1941, n. 392, sostenute dai comuni, il parere delle commissioni di manutenzione nonché gli stanziamenti del bilancio di previsione della spesa del Ministero di grazia e giustizia.". Come rilevato dal Ministero ricorrente il limite costituito dalla previsione del singolo stanziamento di bilancio introduce un elemento di incertezza sull'effettiva entità del contributo. Ritiene comunque il collegio che, anche a prescindere dall'ulteriore considerazione attorea secondo cui il contributo annuo tiene conto delle erogazioni fatte dallo Stato per la provvista dei locali degli uffici giudiziari con i finanziamenti già assentiti per la loro costruzione (per cui tali erogazioni sarebbero anticipazioni dei contributi), sta di fatto in ogni caso che il comune non è legittimato ad ottenere dallo Stato qualunque canone eventualmente pattuito con i privati.

    Tanto sopra esposto ne consegue l'accoglimento del gravame con annullamento degli atti e provvedimenti amministrativi impugnati.

    Quanto alle spese, le stesse possono essere compensate nei confronti della M.; relativamente invece al Comune di Potenza, a rettifica dell'errore materiale contenuto nel dispositivo depositato il 30/11/12 nel quale sono state liquidate le spese oltre che in favore del ricorrente anche di due interventori anziché dell'unico costituito in giudizio, questi è tenuto al rimborso di complessivi euro 3.750 di cui euro 2.500 in favore del Ministero ricorrente e di euro 1.250 in favore dell'associazione "Autonomia Forense".

    P. Q. M.

    Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la delibera consiliare del Comune di Potenza n. 84 del 30/7/08 e gli atti consequenziali.

    Spese regolate in motivazione.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

    Michele Perrelli - Presidente

    Antonio Ferone - Consigliere

    Giancarlo Pennetti - Consigliere, Estensore

     

    IL PRESIDENTE

    Michele Perrelli

    L'ESTENSORE

    Giancarlo Pennetti

     

    Depositata in Segreteria l'11 gennaio 2013

     
Mondolegale 2011
powered by SviluppoeConsulenza.com