Affidamento a società mista a "durata indeterminata"
Lunedì 06 Giugno 2016 08:50
Valentina Magnano
N. 06457/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02365/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2365 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Soc G. Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Enrico Vitali, Andrea Ruffini, con domicilio eletto presso Andrea Ruffini in Roma, piazza della Liberta', 20;
contro
Comune di Cerveteri, rappresentato e difeso dall'avv. Valerio Morini, con domicilio eletto presso Valerio Morini in Roma, viale delle Milizie, 1;
nei confronti di
Soc M.C. Spa, Soc T.C. Scarl;
per l'annullamento dei seguenti atti :
la deliberazione n. 43/14avente ad oggetto : servizio di trasporto scolastico. Recessione del contratto di servizio per il trasporto di alunni; della deliberazione GC di Cerveteri n. 135/2014; delibera CC del19.1.2015; delibera CC n. 3/2015; delibera GC n. 36/2015;
e degli atti impugnati con motivi aggiunti :
la delibera C.C. n. 3 del 19 gennaio 2015 trasmessa in data 26.2.2015.
la delibera G.C. n. 36/2015 con allegato piano operativo di razionalizzazione;
la deliberazione G.C. n. 93/2015 con la quale il Comune di Cerveteri, ritenendo sussistere ragioni di urgenza, ha deliberato di “assicurare fino all’inizio delle vacanze estive (natalizie) previste per il 23.12.2015 il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedure negoziate in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica comunitaria o comunque per il minor termine necessario alla conclusione delle procedure per il nuovo affidamento”; la lettera di invito per la procedura negoziata per l’affidamento del trasporto scolastico per il periodo 15.9.2015-23.12.2015 inviata dal Comune alla ricorrente il 10.7.2015; il disciplinare di gara; la successiva lettera di invito del 23.7.2015 inviata dal Comune di Cerveteri alla G. in data 23.7.2015; nonché il disciplinare e capitolato integrati e modificati; la delibera C.C. n. 2 del 19.1.2015 con cui il Comune ha approvato il regolamento per l’esecuzione del servizio di trasporto scolastico.
il provvedimento di aggiudicazione definitiva relativo alla “procedura negoziata avente ad oggetto l’affidamento del servizio di trasporto scolastico delle scuole medie, elementari, e materne nel Comune di Cerveteri. Periodo 15.9.2015-23.12.2015 “dal contenuto ed estremi sconosciuti”; l’avviso di avvenuta aggiudicazione della gara dell’11.9.2015; il bando di gara, disciplinare di gara, capitolato d’oneri e relativi allegati pubblicati in data 3 agosto 2015 a mezzo del quale il Comune di Cerveteri ha indetto l’appalto per l’espletamento del servizio di trasporto scolastico sul territorio comunale per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; per quanto occorrer possa la delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015 con la quale l’Amministrazione comunale ha approvato gli atti di gara e la determina a contrarre n. 1098 del 29 giugno 2015.
la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; la deliberazione G.C. n. 178 del 21 dicembre 2015 di affidamento d’urgenza del servizio; la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22.12.2015 di aggiudicazione provvisoria del servizio.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cerveteri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2016 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con delibera G.C. n. 222 del 24.7.2002 il Comune di Cerveteri affidava alla allora Azienda speciale M.C. (ASMC) - poi trasformata in Spa - la gestione del servizio di trasporto alunni.
1.1.- Con contratto di servizio del trasporto alunni sottoscritto in data 3.9.2002 il Comune di Cerveteri e la suddetta Azienda formalizzavano l'affidamento del predetto servizio di trasporto scolastico e disciplinavano i reciproci rapporti; il contratto prevedeva altresì, conformemente alla predetta delibera comunale n. 222/2002 che il servizio venisse poi affidato ad una società di scopo.
1.2.- Con nota prot. 31037 del 3.12.2002, il Commissario straordinario del Comune di Cerveteri autorizzava l’indizione di una gara pubblica per l’individuazione del socio con il quale costituire la società di scopo per la gestione delle "fasi complementari" del servizio di trasporto alunni.
1.3.- Con determinazione del direttore generale della ASMC n. 6 del 9.12.2002 venivano individuate le “fasi principali” del servizio di trasporto scolastico spettanti esclusivamente ad ASMC e le “fasi complementari ed altre attività connesse” da affidare alla costituenda società di scopo.
1.4.- Conseguentemente ASMC pubblicava una sollecitazione di manifestazione di interesse alla partecipazione in una società consortile a responsabilità limitata, per l’affidamento delle suddette fasi complementari del servizio, con partecipazione al capitale sociale della ASMC pari al 51% e del socio privato pari al 49%.
1.5.- Nelle more della procedura il Comune e la ASMC sottoscrivevano in data 4.3.2003 un’appendice al contratto di servizio per il trasporto alunni stipulato in data 3.9.2002. La suddetta appendice stabiliva (art. 3) che “il contratto ha per oggetto l’affidamento delle fasi complementari ed altre attività connesse del servizio di trasporto alunni…da parte del soggetto gestore ad apposita società di scopo partecipata dall’A.S.M.C. mediante confronto concorrenziale” e che (art.6) il contratto ha “la durata pari all’affidamento delle fasi complementari del servizio di trasporto alunni alla società di scopo, appositamente costituita e partecipata da ASMC”.
1.6.- All’esito della suddetta procedura, con deliberazione del C.d.A. dell’ASMC del 29.4.2003, veniva individuato quale socio privato della società di scopo la Società G. s.r.l.. La ASMC e la G. costituivano, con atto costitutivo del 14.5.2003, la Società “T.C. soc. cons. a r.l.”. Nell’atto costitutivo (art. 7) e nello Statuto (art. 4), la cui formulazione era predeterminata dal bando di gara, era previsto che la durata della società era fissata al 31 dicembre 2050 e poteva essere prorogata o anticipatamente sciolta con deliberazione dell’Assemblea straordinaria.
1.7.- In data 13.6.2003 veniva sottoscritta da ASMC, da G. srl e dalla società di scopo T.C. scarl una “convenzione quadro a disciplina dei rapporti” con la quale regolare "i rapporti tra i quotisti, tra i quotisti e la società di scopo e tra questi ultimi e i primi".
La G. quindi iniziava ad eseguire le fasi complementari del servizio di trasporto a partire dal 2003.
1.8.- Nel 2013, a seguito di contrasti insorti tra la società di scopo T.C. scarl e la G. in ordine all’entità del corrispettivo da riconoscere a quest’ultima, veniva avviata da G. una procedura arbitrale ai sensi della clausola compromissoria di cui all’art. 19 della Convenzione quadro sottoscritta in data 13.6.2003.
All’esito, con lodo arbitrale del 10.7.2014, veniva definita l’insorta controversia.
Per quanto rileva in questa sede, il Collegio arbitrale rilevava, a partire dall'anno 2008, l’assenza di un rapporto contrattuale tra la T.C. e la G., mentre per il periodo precedente, a detta del Collegio, “dagli atti di gara ha preso vita un rapporto obbligatorio che si configura come vincolo contrattuale a tutti gli effetti” (p. 21). Il Collegio arbitrale, altresì invitava tutte le parti ivi compresa la M.C. spa (succeduta alla ASMC), chiamata in causa a seguito di integrazione del contraddittorio, ad addivenire alla regolarizzazione del rapporto prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.
1.9.- Con deliberazione del 19.8.2014 n. 135 avente ad oggetto, “Servizio di trasporto scolastico. Direttive”, la Giunta Comunale deliberava”…e) di avviare l’iter amministrativo necessario per: la rescissione del contratto di servizio per il trasporto alunni, stipulato tra i legali rappresentanti del Comune di Cerveteri e il soggetto gestore in data 3/9/2001 (recte: 3/9/2002) recepito con deliberazione commissariale n. 41 del 4.3.2003; la messa in liquidazione della Società T.C. scarl, con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata”. Deliberava altresì “in attesa della definizione di quanto indicato nel punto e) nelle more dell’espletamento delle procedure di appalto per l’affidamento del servizio a partire dall’anno scolastico 2015-2016 affidare all’attuale soggetto gestore l’appalto del servizio del trasporto scolastico del Comune di Cerveteri per l’anno 2014-2015…”
1.10.- In data 13.9.2014, la M.C. spa e la società di scopo T.C. scarl sottoscrivevano un contratto con il quale la M.C. spa affidava alla società di scopo T.C. il servizio del trasporto scolastico nel Comune di Cerveteri (art.1) sino al 30.6.2015 (art. 4). La T.C. si impegnava a svolgere il servizio attraverso il socio quotista G. srl (art. 2).
In pari data, la società T.C. e la G. sottoscrivevano un contratto con il quale - dato atto in premessa che “il servizio di trasporto scolastico è stato sino all’anno 2013/2014 assicurato dalla società di scopo Trasporti mediante affidamento al socio quotista G. sino al 31.12.2007 in virtù di apposito contratto di servizio e di seguito sino al 30.6.2014 in regime di proroga di fatto” – la T.C. “affida al socio quotista Società G.…il servizio del trasporto scolastico sul territorio del Comune di Cerveteri” (art. 1). La durata del servizio era fissata sino al 30.6.2015 (art. 4).
1.11.- Con deliberazione del Consiglio comunale n. 43 del 9.12.2014 recante “Servizio di Trasporto scolastico. Recessione dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda Speciale M.C., ora Società M.C. spa”, il Consiglio Comunale – richiamata la delibera G.C. del 19.8.2014 – deliberava di “recedere dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale M.C. s.p.a. con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata Società T.C. scarl; di demandare al Sindaco e agli organi preposti gli adempimenti esecutivi conseguenti…”.
1.12.- Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 3 del 19.1.2015 si deliberava “di assumere gli indirizzi, obiettivi e criteri di impostazione di seguito indicati, come riferimento per la predisposizione della gara relativa all’affidamento del servizio di trasporto scolastico nel territorio del Comune di Cerveteri…” nonché di “demandare al Dirigente responsabile del servizio di trasporto scolastico la redazione di tutti gli atti e provvedimenti che si renderanno necessari e susseguenti, previa approvazione da parte della Giunta Comunale del progetto gestionale; di demandare al Capo “Ripartizione Programmazione Gare e appalti –Contratti” di procedere all’espletamento delle procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio”.
1.13.- Con deliberazione della G.C. n. 36 del 31.3.2015 avente ad oggetto “Piano operativo razionalizzazione società partecipate e delle partecipazioni societarie” veniva approvato il piano operativo di razionalizzazione delle società partecipate anno 2015, in esecuzione della previsione di cui all’art. 1, comma 612, L. n. 190/2014. Tale piano operativo dava atto che erano in corso le procedure per la messa in liquidazione della Società T.C. scarl.
1.14.- Con deliberazione n. 93 del 2.7.2015 avente ad oggetto “Servizio di trasporto scolastico. Direttive organizzative. Determinazioni”, la Giunta Comunale deliberava tra l’altro di assicurare, fino all’inizio delle vacanze natalizie (previste per il 23.12.2015) il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedura negoziata in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica di rilevanza comunitaria o comunque per il minor termine necessario per la conclusione delle procedure per il nuovo affidamento.
1.15.- Conseguentemente l’Amministrazione comunale procedeva ad invitare, con lettera di invito del 10.7.2015, alcuni operatori del settore alla procedura per l’affidamento “temporaneo” del suddetto servizio. Alla procedura veniva invitata anche la G. srl la quale tuttavia riteneva di non presentare alcuna offerta.
1.16.- Con deliberazione assembleare del 29.7.2015 veniva deliberato lo scioglimento della Società T.C. scarl e nominato il liquidatore.
1.17.- Con bando pubblicato in data 3.8.2016 il Comune di Cerveteri indiceva la gara per l’appalto del servizio di trasporto scolastico ed accompagnamento per gli alunni della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado di pertinenza comunale, con decorrenza dal 1.1.2016 al 31.12.2020.
1.18.- L’Amministrazione comunale nel settembre 2015 procedeva ad aggiudicare la procedura negoziata per l’affidamento del servizio “temporaneo” (15.9.2015 – 23.12.2015) alla Società Rossi Bus.
1.19.- Con provvedimento del 27 gennaio 2016, pubblicato all’Albo pretorio in data 5.2.2016, l’Amministrazione aggiudicava definitivamente la gara di appalto relativa al servizio di trasporto scolastico per il periodo 2016-2020.
2.- Con il ricorso in epigrafe sono stati impugnati: la deliberazione del C.C. del Comune di Cerveteri n. 43/14 avente ad oggetto “servizio di trasporto scolastico. Recessione del contratto di servizio per il trasporto di alunni sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale M.C. ora Società M.C. s.p.a.”; la deliberazione G.C. di Cerveteri n. 135/2014 avente ad oggetto “ Servizi Trasporto Direttive”; la delibera C.C. del 19.1.2015 avente ad oggetto “atto di indirizzo per l’affidamento del servizio trasporto scolastico” non ancora pubblicata e di contenuto sconosciuto con riserva espressa di motivi aggiunti.
2.1.- Con atto di motivi aggiunti passato per la notifica in data 24.3.2015, la G. ha impugnato nuovamente per illegittimità derivata la delibera C.C. n. 3 del 19 gennaio 2015 trasmessa in data 26.2.2015.
2.2.- Con secondo atto di motivi aggiunti veniva impugnata la delibera G.C. n. 36/2015 con allegato piano operativo di razionalizzazione;
2.3.- Con terzo atto di motivi aggiunti sono stati impugnati: la deliberazione G.C. n. 93/2015 con la quale il Comune di Cerveteri, ritenendo sussistere ragioni di urgenza, ha deliberato di “assicurare fino all’inizio delle vacanze estive (natalizie) previste per il 23.12.2015 il servizio di trasporto scolastico attraverso la definizione di procedure negoziate in attesa della definizione della gara ad evidenza pubblica comunitaria o comunque per il minor termine necessario alla conclusione delle procedure per il nuovo affidamento”; la lettera di invito per la procedura negoziata per l’affidamento del trasporto scolastico per il periodo 15.9.2015-23.12.2015 inviata dal Comune alla ricorrente il 10.7.2015; il disciplinare di gara; la successiva lettera di invito del 23.7.2015 inviata dal Comune di Cerveteri alla G. in data 23.7.2015; nonché il disciplinare e capitolato integrati e modificati; la delibera C.C. n. 2 del 19.1.2015 con cui il Comune ha approvato il regolamento per l’esecuzione del servizio di trasporto scolastico.
2.4.- Con quarto atto di motivi aggiunti G. ha impugnato: il provvedimento di aggiudicazione definitiva relativo alla “procedura negoziata avente ad oggetto l’affidamento del servizio di trasporto scolastico delle scuole medie, elementari, e materne nel Comune di Cerveteri. Periodo 15.9.2015-23.12.2015 “dal contenuto ed estremi sconosciuti”; l’avviso di avvenuta aggiudicazione della gara dell’11.9.2015; il bando di gara, disciplinare di gara, capitolato d’oneri e relativi allegati pubblicati in data 3 agosto 2015 a mezzo del quale il Comune di Cerveteri ha indetto l’appalto per l’espletamento del servizio di trasporto scolastico sul territorio comunale per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; per quanto occorrer possa la delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015 con la quale l’Amministrazione comunale ha approvato gli atti di gara e la determina a contrarre n. 1098 del 29 giugno 2015.
2.5.- Con il quinto atto di motivi aggiunti, sono stati impugnati: la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva della gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 – 31.12.2020; la deliberazione G.C. n. 178 del 21 dicembre 2015 di affidamento d’urgenza del servizio; la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22.12.2015 di aggiudicazione provvisoria del servizio.
La ricorrente ha formulato richiesta di risarcimento danni e in via subordinata di indennizzo ai sensi dell'art. 21 quinquies L. n. 241/1990.
3.- Si costituiva il Comune di Cerveteri, il quale, nelle proprie memorie difensive, deduceva l'inammissibilità e comunque l'infondatezza delle censure articolate dalla ricorrente.
1.- Con il ricorso introduttivo la G., socia privata della società mista di scopo T.C. scarl, ha censurato la delibera consiliare n. 43/2014 (e quella presupposta di Giunta n. 135/2014) con la quale l’Amministrazione comunale ha determinato il recesso dal contratto stipulato con la M.C. per lo svolgimento del servizio pubblico di trasporto scolastico e contestualmente ha stabilito di procedere allo scioglimento della Società di scopo T.C..
La ricorrente in sostanza deduce che, con gli atti impugnati, l'Amministrazione avrebbe determinato illegittimamente di cessare lo svolgimento del servizio pubblico di trasporto locale mediante la T.C. scarl di cui essa è socio d'opera e di affidare il servizio mediante gara pubblica.
1.1.- Ritiene il Collegio che le censure articolate siano infondate.
Pur dubitandosi della sussistenza della legittimazione ad agire della ricorrente – avendo la giurisprudenza chiarito che, in ordine alla impugnazione degli atti relativi all’affidamento di servizio pubblico ad una società mista, “l’interesse sostanziale del socio privato all’ottenimento, da parte della società mista, della commessa pubblica, è un interesse riflesso e mediato che non assurge ad interesse legittimo e può pertanto essere condotto nel processo amministrativo solo attraverso l’intervento ad adiuvandum, impregiudicata restando, ovviamente, l’esperibilità di altri strumenti di tutela civilistici in ambito endosocietario (si pensi all’azione di responsabilità, esperibile dai soci ai sensi dell’art 2393 bis, o dal singolo socio direttamente danneggiato, ex art. 2395 c.c.).” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2013 n. 1225; Cons. Stato Sez. VI, 08 febbraio 2012, n. 676; cfr anche da ultimo TAR Campania-Napoli, Sez. I, 2.12.2014, n. 6303) – l’infondatezza delle censure proposte consente – per ragioni di giustizia sostanziale – di prescindere dall’esame di profili processuali di inammissibilità dell’azione proposta avverso gli atti con i quali l’Amministrazione ha determinato lo scioglimento della società T.C. scarl e l'affidamento mediante gara del servizio pubblico di trasporto scolastico.
1.2.- Con il primo motivo la G. deduce: Violazione e falsa applicazione artt. 42 e 49 Dlgs. N. 267/2000; violazione artt. 3, 24 e 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto, incompetenza funzionale. La ricorrente censura in particolare i presupposti della determinazione del Comune e l’iter procedimentale dallo stesso svolto per pervenire allo scioglimento della Società T.C.. Contesta altresì l’incompetenza del Consiglio Comunale a deliberare di recedere da un contratto di servizio.
Al riguardo, giova rilevare quanto segue.
1.2.1.- Con la impugnata delibera C.C. n. 43 del 9.12.2014, il Consiglio Comunale – richiamata la delibera G.C. del 19.8.2014 – deliberava di “recedere dal contratto di servizio per il trasporto alunni, sottoscritto in data 3.9.2002 tra il Comune di Cerveteri e l’Azienda speciale M.C. s.p.a. con ogni provvedimento conseguente di pertinenza dell’assemblea dei soci e quindi procedere allo scioglimento della partecipata Società T.C. scarl; di demandare al Sindaco e agli organi preposti gli adempimenti esecutivi conseguenti…”.
In proposito, con contratto di servizio del trasporto alunni sottoscritto in data 3.9.2002 il Comune di Cerveteri e la ASMC avevano formalizzato l’affidamento alla ASMC (soggetto gestore) del servizio di trasporto scolastico (art. 3) e disciplinavano i reciproci rapporti (art.2). L’art. 4 fissava la durata del contratto in un massimo di “un anno e comunque fino alla conclusione delle procedure concorsuali occorrenti per l’affidamento del servizio alla società di scopo, appositamente costituita, e da tale momento si intende risolto di diritto”.
In data 4.3.2003 ( e quindi antecedentemente alla costituzione della società mista) il Comune e la ASMC sottoscrivevano un’appendice al contratto di servizio per il trasporto alunni stipulato in data 3.9.2002. La suddetta appendice stabiliva (art. 3) che “il contratto ha per oggetto l’affidamento delle fasi complementari ed altre attività connesse del servizio di trasporto alunni…da parte del soggetto gestore ad apposita società di scopo partecipata dall’A.S.M.C. mediante confronto concorrenziale” e che (art.6) il contratto ha “la durata pari all’affidamento delle fasi complementari del servizio di trasporto alunni alla società di scopo, appositamente costituita e partecipata da ASMC”.
Dai surrichiamati atti si evidenzia che il Contratto del 3.9.2002 non ha esaurito i propri effetti alla data della costituzione della società di scopo, ma ha continuato a produrre effetti, con riferimento alle “fasi principiali del servizio” almeno per una durata pari all’affidamento delle fasi complementari alla costituenda società di scopo.
In data 14.5.2003, la ASMC e la G. costituivano, con atto costitutivo del 14.5.2003, la Società “T.C. soc. cons. a r.l.”. Nell’atto costitutivo (art. 7) e nello Statuto (art. 4), la cui formulazione era predeterminata dal bando di gara, era previsto che la durata della società era fissata al 31 dicembre 2050 e poteva essere prorogata o anticipatamente sciolta con deliberazione dell’Assemblea straordinaria.
In data 13.6.2003 veniva sottoscritto da ASMC, da G. srl e dalla società di scopo T.C. soc. cons. a r.l. una “convenzione quadro a disciplina dei rapporti” con la quale regolare i rapporti tra i quotisti e tra questi ultimi e la società di scopo. La convenzione stabiliva all’art. 10 (rubricato “Lavori o servizi assunti dalla società di scopo ed assegnati ad un solo quotista”) che “l’esecuzione dei lavori o servizi comunque assunti dalla società di scopo possono essere affidati ad un solo quotista…Ogni assegnazione sarà oggetto di apposito atto contrattuale fra la società di scopo ed il quotista che necessariamente dovrà richiamare l’anzidetta convenzione”.
Dunque, alla luce delle suesposte circostanze, risulta pacifico che non è mai stato stipulato un contratto tra la ASMC e la T.C. e tra la T.C. e la G. e tali atti sarebbero stati necessari per disciplinare i rapporti tra i soggetti, l'affidamento del servizio e la durata dello stesso.
A tale proposito, il Lodo arbitrale del 10.7.2014 afferma che, almeno a partire dall’anno 2008 è venuto a mancare un regolamento contrattuale tra le parti.
Ciò risulta anche comprovato dalla circostanza che, con riferimento all’anno scolastico 2014-2015, i soggetti coinvolti nella gestione hanno stipulato due autonomi contratti relativi all'affidamento del servizio.
In particolare, in data 13.9.2014, la M.C. spa e la società di scopo T.C. scarl sottoscrivevano un contratto con il quale la M.C. spa affidava alla società di scopo T.C. il servizio del trasporto scolastico nel Comune di Cerveteri (art.1) sino al 30.6.2015 (art. 4). La T.C. si impegnava a svolgere il servizio attraverso il socio quotista G. srl (art. 2).
In pari data, la società T.C. e la G. sottoscrivevano un contratto con il quale - dato atto in premessa che “il servizio di trasporto scolastico è stato sino all’anno 2013/2014 assicurato dalla società di scopo Trasporti mediante affidamento al socio quotista G. sino al 31.12.2007 in virtù di apposito contratto di servizio e di seguito sino al 30.6.2014 in regime di proroga di fatto” – la T.C. “affida al socio quotista Società G.…il servizio del trasporto scolastico sul territorio del Comune di Cerveteri” (art. 1). La durata del servizio era fissata sino al 30.6.2015 (art. 4).
Sicchè – come confermato dalla stessa G. - almeno a partire dall’anno 2008 mancava una regolamentazione pattizia tra le parti e in particolare tra Società T.C. scarl e G.. Analogo riconoscimento è contenuto nelle premesse del contratto stipulato tra M.C. spa e T.C. scarl.
In mancanza di un valido rapporto contrattuale che disciplini l’affidamento e la gestione del servizio di trasporto locale, per lo meno con riferimento ai servizi complementari oggetto dell’affidamento alla T.C. scarl, la determinazione del Comune di sciogliere la suddetta società appare esente dai vizi denunciati e del tutto ragionevole, tenuto in particolare conto delle ragioni addotte a sostegno della decisione, come riferite alla rilevata inadeguatezza della formula societaria, agli elevati costi di gestione ed al triplo passaggio delle fatturazioni.
1.2.2.- In ordine alle vicende del rapporto tra Comune e M.C. spa (succeduta alla ASMC) sorto a seguito del contratto stipulato in data 2.9.2002 e alla relativa determinazione dell’Amministrazione di recedere, in disparte profili inerenti la mancanza di interesse della ricorrente a proporre censure, deve osservarsi che ove il rapporto contrattuale tra ASMC e Comune si fosse interrotto prima dell'adozione della delibera impugnata – come sostiene la ricorrente – tale circostanza giustificherebbe a maggior regione lo scioglimento della T.C. scarl che trae la propria ragion d’essere e la connessa partecipazione sociale maggioritaria della M.C. (e prima della ASMC) nella titolarità in capo a quest’ultima dell’affidamento del servizio di trasporto scolastico.
1.2.3.- Quanto all'asserita incompetenza funzionale del Consiglio comunale ad adottare la delibera impugnata nella parte in cui essa delibera il recesso del Comune dal contratto del 3.9.2002 tra il Comune e la ASMC, tralasciando profili di eventuale inammissibilità della censura per carenza di interesse, essendo la ricorrente soggetto terzo rispetto a quel contratto, la stessa è infondata.
In sostanza, con il predetto atto il Consiglio comunale ha ratificato quanto già statuito dalla Giunta Comunale con la deliberazione n. 135/2014, peraltro espressamente richiamata in premessa, che aveva già determinato di avviare l'iter amministrativo "necessario per la rescissione del contratto di servizio per trasporto alunni stipulato in data… 3.9.2002… la messa in liquidazione della Società T.C. scarl…e quindi procedere allo scioglimento della partecipata".
Dunque, relativamente al recesso dal contratto e allo scioglimento della società T.C. scarl sussistono i pronunciamenti sia della Giunta che del Consiglio.
Inoltre, il rapporto tra la il Comune di Cerveteri e la società M.C. configura una gestione in house del servizio pubblico e, come affermato nella parte motiva della delibera, “la gestione in house dei servizi pubblici per definizione giurisprudenziale, dà luogo ad un rapporto detto di delegazione interorganica, per cui l’ente pubblico e la società sono un unico plesso amministrativo, trovandosi in presenza di quella che la giurisprudenza definisce un’ordinaria ripartizione interna ad uno stesso sistema amministrativo, di funzioni e di servizi, attraverso una delega formale” .
In altri termini, nel caso di affidamento in house, in assenza di una reale alterità tra ente pubblico e società partecipata al 100% (nel caso di specie M.C. spa) dallo stesso, la determinazione assunta nel caso di specie viene a rappresentare una decisione "interna" relativa alle modalità organizzative del servizio.
L’art. 42, secondo comma, lett. e), T.U. n. 267/2000 stabilisce che spetta al Consiglio Comunale la “organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione”.
Dunque, la delibera adottata ratifica sostanzialmente la delibera della G.C. n. 135/2014 e rientra nelle competenze del Consiglio Comunale.
1.3.- Con il secondo motivo vengono dedotti: Violazione artt. 3, 24 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Eccesso di potere per difetto di motivazione e istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà. Con la censura la G. contesta la motivazione a base della deliberazione C.C. n. 43/2014.
1.3.1.- In via preliminare, occorre chiarire che la motivazione della delibera è quella che emerge dal corpo della stessa e l’atto non può ritenersi integrato nel suo apparato motivazionale da dichiarazioni espresse dai singoli componenti del Consiglio nel corso della discussione consiliare.
Pertanto, non ha fondamento la ricostruzione della ricorrente che, nel contestare la motivazione della delibera, integra la stessa con le dichiarazioni rese dal Sindaco o da singoli Consiglieri nel corso della discussione.
1.3.2.- La impugnata delibera, dopo aver premesso i passaggi relativi all’affidamento del servizio di trasporto scolastico e richiamato che “a seguito dell’avvenuta costituzione della suddetta società di scopo, non si è potuto giungere ad un nuovo contratto di servizio per l’assenza di norme pattizie tra la M.C. s.p.a. e la T.C. spa”, si è limitata a richiamare le ragioni che avevano determinato l’insorgere della controversia arbitrale (relativa alla determinazione unilaterale del prezzo a Km), le statuizioni del Collegio arbitrale in ordine all’insussistenza di rapporti contrattuali tra i soggetti coinvolti nella gestione. Infine, è stata rilevata l’inadeguatezza della formula societaria alla conduzione del servizio in ragione della tipologia dello stesso, gli “elevati costi generali di gestione e un triplo passaggio di fatturazioni, con duplicazioni dell’IVA che non risponde certamente ai principi di efficacia ed economicità della gestione”.
La motivazione appare nel suo complesso congrua e ragionevole.
Infatti, il servizio risulta essere stato di fatto svolto integralmente dalla G. socio d’opera della Società mista T.C. scarl, a sua volta partecipata al 100% dalla M.C.. Ciò ha comportato un’inutile moltiplicazione dei soggetti coinvolti nella gestione e in particolare della T.C., costituita per la gestione del servizio, in realtà svolto dal socio operativo G..
Da ciò derivava che i costi di gestione relativi alla T.C. appaiono ragionevolmente essere superflui.
Tali aspetti sono poi stati puntualmente indicati nel Piano Operativo di Razionalizzazione approvato con delibera di G.C. n. 36/2015.
1.3.3.- Sempre con riferimento alla motivazione della delibera impugnata, la ricorrente si sofferma sull’asserita erroneità del lodo arbitrale che ha ritenuto che la durata dell’affidamento del servizio non fosse sino al 2050. La G. afferma sostanzialmente di avere diritto, in qualità di socio d'opera della T.C. scarl, di gestire il servizio sino al suddetto anno 2050, coincidente con la scadenza della società mista.
Tale affermazione non appare condivisibile.
Al riguardo, deve in questa sede richiamarsi quanto già osservato relativamente all’assenza di una valida regolamentazione contrattuale alla data di approvazione della impugnata delibera consiliare. Da ciò deriva che la ricorrente non ha titolo alla prosecuzione del servizio.
In ogni caso, la ricostruzione non appare convincente.
In primo luogo, l’affermazione di controparte comporterebbe che se, in conformità alle norme statutarie, la durata della T.C. scarl fosse stata prorogata con una deliberazione assembleare, ciò avrebbe comportato una proroga dell’affidamento del servizio pubblico, circostanza questa che non appare plausibile.
A tale proposito, una durata dell’affidamento del servizio di circa 50 anni (dal 2003 al 2050) prorogabile sine die attraverso una modifica allo statuto della società, appare in contrasto con la normativa vigente in materia di servizi pubblici, di contratti pubblici e con il principio della concorrenza.
Giova infatti rilevare che, sulla base di consolidata giurisprudenza, “l'affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l'individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all'oggetto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555 e Corte Giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset)” (da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1028).
Nel caso di specie, la procedura di gara per la scelta del socio non indicava la durata dell'affidamento del servizio e neanche della partecipazione del socio privato alla società.
Un affidamento di durata sostanzialmente indeterminata è da considerarsi in contrasto con il principio di concorrenza.
In proposito, l’art. 34, comma 21, D.L. n. 179/2012 prevede che “Gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea devono essere adeguati entro il termine del 31 dicembre 2013 pubblicando, entro la stessa data, la relazione prevista al comma 20. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento. Il mancato adempimento degli obblighi previsti nel presente comma determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013”.
Orbene, dovendosi ritenere che, alla data di entrata in vigore della norma, il servizio pubblico di trasporto scolastico del Comune di Cerveteri non fosse conforme alla normativa europea, l’affidamento del servizio, quand’anche trovasse il proprio presupposto in un valido rapporto pattizio (e nel caso di specie si ritiene - come detto- che ciò non sia) sarebbe comunque cessato.
Peraltro, come rilevato dall'Amministrazione comunale, l'art. 12, R.D. n. 2440/1923 stabilisce per i contratti pubblici una durata massima di nove anni.
Conclusivamente, la doglianza sull'incongruenza e irragionevolezza della motivazione è infondata.
1.4.- La ricorrente ha poi dedotto: Violazione degli artt. 3, 24. 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità dell’amministrazione. Violazione e falsa applicazione art. 34, commi 20 e 21, D.L. n. 179/2012, convertito in L. n. 221/2012. Violazione art. 3, L. n. 241/1990. Violazione del principio di affidamento. Violazione e falsa applicazione art. 239, Dlgs n. 267/2000. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, motivazione e travisamento dei presupposti. La G. censura in particolare la violazione dell’art. 34, D.L. n. 179/2012 che impone la motivazione mediante apposita relazione della scelta della modalità organizzativa del servizio. Si deduce inoltre che non sarebbe stato acquisito il parere dell’Organo di revisione ai sensi dell’art. 239, T.U. n. 267/2000.
La censura è infondata.
1.4.1.- La delibera del Consiglio Comunale impugnata non determina le nuove modalità di affidamento del servizio e pertanto la doglianza è inconferente
Ove poi la censura fosse riferita alla deliberazione presupposta della G.C. n. 135/2014 essa dovrebbe considerarsi tardiva.
In ogni caso, ritiene il Collegio che la ratio della norma di cui all'art. 34, comma 20, D.L. n. 179/2012 sia quella di fornire adeguata evidenza delle ragioni che inducono l'Amministrazione a derogare al principio della concorrenza, non affidando il servizio mediante procedura ad evidenza pubblica. In altri termini, allorchè l'Amministrazione utilizzi le procedure previste dal Codice degli appalti, l'onere motivazionale della scelta delle modalità di affidamento del servizio pubblico deve ritenersi meno stringente.
1.4.2.- Quanto alla violazione dell'art. 239, T.U. n. 267/2000, ritiene il Collegio che la delibera non rientri nell'ambito delle materie in cui l'Organo di revisione deve esprimere parere, anche in considerazione del fatto che la stessa non comporta oneri finanziari per l'Amministrazione.
1.5.- Con il quarto motivo, si censura: Violazione degli artt. 3, 24, 97 Cost., del principio di buon andamento, correttezza e imparzialità della amministrazione. Violazione artt. 7 ss., L. n. 241/1990. Mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo. Violazione dei principi del giusto procedimento. In particolare, si contesta l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca ex art. 7, L. n. 241/1990 della Deliberazione n. 43/2014.
La censura è infondata.
In primo luogo, il Comune non ha avviato alcun procedimento di revoca di un precedente provvedimento amministrativo ad efficacia durevole del quale fosse destinataria l'odierna ricorrente.
In ogni caso, l'assenza di un valido rapporto contrattuale tra la G. e la società T.C., nonché tra quest'ultima e la società M.C., comporta che non è configurabile neanche in via indiretta la sussistenza di un rapporto ad efficacia durevole tra la G. e l'Amministrazione.
Ciò comporta che l'Amministrazione non era onerata di alcun dovere di interlocuzione diretta con la ricorrente, tanto meno di dare comunicazione di avvio del procedimento.
1.6.- Le richieste di risarcimento danni e in via subordinata di indennizzo ai sensi dell'art. 21 quinquies L. n. 241/1990 sono conseguentemente infondate.
2.- Con il primo atto di motivi aggiunti è stata impugnata per illegittimità derivata la delibera C.C. n. 3/2015 "Atto di indirizzo per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico".
2.1.- In ragione della infondatezza delle censure articolate con il ricorso, analoga sorte deve seguire la censura di illegittimità derivata contenuta nel primo atto di motivi aggiunti.
3.- Con il secondo atto di motivi aggiunti sono state dedotte le seguenti censure avverso la delibera G.C. n. 36/2015 di approvazione del Piano operativo di razionalizzazione società partecipate e partecipazioni societarie:
a. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 commi 611 e ss. Legge n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, L. n. 241/1990 e s.m.i. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti in fatto e in diritto. Illogicità, contraddittorietà e ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione e di istruttoria.
b. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1,Legge n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione art. 42 del Dlgs. n. 267/2000 (TUEL). Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.
c. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1, L. n. 190/2014. Violazione e falsa applicazione art. 42 del Dlgs. n. 267/2000 (TUEL). Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Incompetenza della Giunta Comunale.
d. E' stata poi denunciata l'illegittimità derivata degli atti impugnati.
e. E' stata formulata richiesta di risarcimento danni.
3.1.- Le censure sono inammissibili per carenza di interesse.
3.2.- Il Piano Operativo impugnato, per quanto attiene alla Società T.C. Scarl, non ha contenuto dispositivo e si limita a dare atto delle iniziative già assunte dall’Amministrazione con precedenti atti e delle motivazioni alla base delle stesse.
Infatti, esso richiama espressamente le deliberazioni della Giunta Comunale n. 135/2014 e del Consiglio Comunale n. 43 del 9.12.2014 (si veda in particolare il par. “La razionalizzazione strutturale").
Pertanto, il piano non ha concreta portata lesiva e le censure articolate sono quindi inammissibili.
4.- Con il terzo atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato gli atti relativi alla procedura per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico nel periodo 15.9.2015- 23.12.2015, articolando le seguenti censure.
4.1.- Violazione degli artt. 3, 24, 45, 97 Costituzione e del principio di correttezza, buon andamento e imparzialità della P.A. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di motivazione e di istruttoria. Irragionevolezza. La ricorrente ritiene che l'Amministrazione non avrebbe dovuto dare luogo alla procedura "essendo G. s.r.l. nella sua qualità di socio operativo della T.C. scarl, il legittimo gestore del servizio… messo a gara" (p. 13).
La censura, che sostanzialmente ripropone le tesi già dedotte con il primo e il secondo motivo di ricorso, è infondata per le ragioni sopra esposte (in particolare sub 1.2.1. e 1.3.3.): in assenza di un valido rapporto contrattuale e di una durata predeterminata certa dell'affidamento del servizio, non sussiste alcun diritto in capo alla G. a gestire il servizio sino al 2050.
4.2.- In via subordinata, deduce: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 57 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione DIR 2004/18/CE. Eccesso di potere sotto il profilo della carenza dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di motivazione e di istruttoria. Irragionevolezza. Sproporzione. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato.
Sostiene la ricorrente che non sussistevano i presupposti per dare luogo ad una procedura negoziata senza pubblicazione del bando ai sensi dell'art. 57, Dlgs. n. 163/2006 e in particolare quello dell’urgenza non prevedibile.
La censura è inammissibile, per carenza di interesse, in quanto G. è stata invitata a partecipare alla procedura, senza peraltro prendervi parte.
La censura è in ogni caso infondata.
Infatti, l’imminente inizio dell’anno scolastico congiuntamente alla necessità di garantire il servizio per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura di gara aperta per l’affidamento quinquennale dello stesso costituiscono, ad avviso del Collegio, presupposti idonei a giustificare la scelta della procedura attuata dal Comune. Al riguardo, come segnalato dal Comune e come riconosciuto dallo stesso ricorrente nell’atto di motivi aggiunti, la società incaricata di predisporre gli atti di gara relativi alla procedura aperta per l’affidamento del servizio quinquennale ha consegnato gli atti in ritardo di oltre un mese rispetto a quanto previsto nell’incarico, ciò determinando un allungamento dei tempi per l’affidamento del servizio stesso.
Inoltre, del tutto infondato è l’assunto con il quale la ricorrente afferma che la T.C. scarl avrebbe potuto proseguire nella gestione del servizio. Infatti, non soltanto il precedente contratto di servizio (stipulato per l'anno scolastico 2014-2015) era scaduto, ma risulta decisivo che la società è stata sciolta e posta in liquidazione in data 29 luglio 2015, ciò che avrebbe reso impossibile l’assunzione da parte della stessa dell’affidamento del servizio a far data dal 15.9.2015.
4.3.- Con il terzo motivo aggiunto si censura: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 11 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione e falsa applicazione L. n. 27/2012. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento, illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Contraddittorietà. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato.
Si deduce che la procedura di gara sarebbe contraria ai principi formulati nella delibera del C.C. n. 3/2015. Si censura poi l'incongruità del prezzo a base di gara.
4.3.1.- Per quanto attiene all’asserita violazione degli indirizzi ivi formulati, la doglianza è inammissibile per carenza di interesse in ragione della mancata partecipazione alla procedura da parte della ricorrente. In proposito, la G. non afferma in alcun modo che le previsioni contestate del bando avrebbero reso impossibile la partecipazione alla procedura, alla quale la società era stata invitata e dunque la mancata presentazione della domanda rende inammissibile la censura.
4.3.2.- Con riferimento al prezzo a base di gara, il Collegio ritiene dover esaminare nel merito la censura formulata in quanto, pur in assenza di una puntuale indicazione in tal senso da parte della ricorrente, la stessa potrebbe attenere ad un elemento impeditivo alla formulazione di un offerta. In altri termini, un prezzo a base di gara non ragionevole potrebbe aver impedito la formulazione di un’offerta valida al potenziale concorrente, sicchè la mancata presentazione della domanda non renderebbe di per sé inammissibile la doglianza.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente il prezzo a base di gara è in linea con la stima fissata nella delibera C.C. n. 3/2015 - che pure concerne l’affidamento del servizio pubblico per durata assai più prolungata, per il periodo 2015-2023 ed ha valore esclusivamente programmatico - se si considera che l’importo per la procedura di affidamento con durata dal 15.9.2015 al 23.12.2015 è pari ad Euro 388.909,00 per tre mesi e 8 giorni di gestione (per Euro 119.227 circa mensili – 388,909: 3,26 mesi) a fronte di un importo indicato nella delibera n. 3/2015 di Euro 1.218.181,81 per 10 mesi di esercizio (per Euro 121.818 circa mensili). Le deduzioni della ricorrente che indica un prezzo alternativo sono indimostrate e presuppongono assunti che non trovano puntuale riscontro nella lex specialis di gara o in dati oggettivi.
Peraltro, è significativo che alla procedura sono state presentate tre offerte valide.
4.4.- La ricorrente deduce, in via ulteriormente subordinata: Violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 70 del D.Lgs. n. 163/2006. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità, di tutela della concorrenza e del mercato. G. deduce che l’Amministrazione, con nota del 23 luglio 2015, avrebbe illegittimamente modificato sostanzialmente gli atti di gara, senza peraltro prorogare i termini per la presentazione delle offerte, in violazione dell’art. 70, Dlgs. n. 163/2006; ciò avrebbe determinato una illegittima compressione del termine per la presentazione delle offerte.
La censura è inammissibile.
4.4.1.- Dalla lettura della nota del 23 luglio 2015, si evince in primo luogo che l’Amministrazione ha eliminato un requisito (eccessivamente restrittivo) di partecipazione e non risulta dal tenore della censura articolata che tale presupposto fosse ostativo alla partecipazione della ricorrente, che non ha presentato domanda di partecipazione. Sotto tale profilo, la doglianza è quindi inammissibile per carenza di interesse.
4.4.2.- Le ulteriori deduzioni sono infondate.
Quanto all’indicazione del prezzo unitario chilometrico contenuto nella nota del 23 luglio 2015, esso non costituisce un parametro innovativo, ma semplicemente l’esplicazione del prezzo complessivo a base di gara, già correttamente indicato nella lex specialis di gara.
4.4.3.- Con riferimento alla Comunicazione del 28 luglio 2015 relativa ai nominativi del personale, essa – come dedotto dall’Amministrazione – attiene esclusivamente alla indicazione dei dati del personale, mentre l’elemento numerico del personale era già stato reso noto in precedenza, ma in forma anonima. In ogni caso, come risulta dalla medesima comunicazione, i dati contenuti nella stessa comunicazione del 28 luglio 2015 attengono al personale della G.; dunque, la stessa ricorrente già conosceva i dati contenuti nella comunicazione ed era l’unico dei soggetti invitati a poter essere a conoscenza del suddetto dato che le avrebbe in ogni caso consentito sin dall’origine una corretta formulazione dell’offerta.
In ogni caso, il Collegio ritiene che, ai sensi dell’art 70, Dlgs n. 163/2006, sussistono, nel caso di specie i requisiti di urgenza che giustificano l’eventuale compressione del termine di 20 giorni previsto dalla medesima disposizione, costituiti dall’esigenza di consentire lo svolgimento e la conclusione della procedura e conseguentemente l’avvio del servizio di trasporto prima dell’inizio dell’anno scolastico.
5.- Con il quarto atto di motivi aggiunti è stato impugnato il provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara per l'affidamento del servizio per il periodo 15.9.2015 - 23.12.2015. E' stato anche impugnato il bando di gara, il disciplinare, il capitolato d'oneri e i relativi allegati inerenti alla procedura per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016-31.12.2020.
5.1.- Con il primo motivo la ricorrente ha in primo luogo censurato per illegittimità derivata l’aggiudicazione del servizio di trasporto scolastico per il periodo15.9.2015 – 23.12.2015. La censura segue la stessa sorte di quelle precedentemente esaminate dal Collegio. Conseguentemente la stessa è infondata.
5.2.- Analogo esito hanno le censure formulate per illegittimità derivata contenute nel secondo motivo avverso gli atti con i quali l’Amministrazione comunale ha bandito la gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016-31.12.2020.
5.3.- Viene poi dedotta: violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, del principio di buon andamento, imparzialità e correttezza della pubblica amministrazione, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 11 e ss. Dlgs. n. 163/2006. Violazione e falsa applicazione Legge n. 27/2012. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Sviamento, illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Contraddittorietà. Violazione delle regole di par condicio, di pubblicità, della massima concorsualità di tutela della concorrenza e del mercato. Con riferimento alla gara indetta per l'affidamento del servizio per il periodo 1.1.2016-31.12.2020 la ricorrente deduce che la procedura di gara sarebbe contraria ai principi formulati nella delibera del C.C. n. 3/2015. Si censura poi l'incongruità del prezzo a base di gara.
Pertanto, la ricorrente, che non ha presentato domanda di partecipazione alla procedura, censura l’illegittimità in via autonoma degli atti concernenti l’affidamento della gara.
5.3.1.- In primo luogo, deduce che il bando non sarebbe conforme ai principi e agli indirizzi contenuti nella delibera C.C. n. 3/2015.
La censura è inammissibile in quanto ad avviso del Collegio essa non attiene a previsioni escludenti o comunque che avrebbero impedito la presentazione della domanda, né la ricorrente deduce in alcun modo l’ostatività degli asseriti vizi alla presentazione di una domanda. Dunque, l’omessa partecipazione della G. rende inammissibile la doglianza.
5.3.2.- La ricorrente deduce poi l’irragionevolezza e l’incongruità del prezzo a base di gara, formulando una serie di ipotesi di calcolo a supporto della propria affermazione.
La censura è infondata. L’assunto è indimostrato atteso che, come risulta dalla delibera G.C. n. 75 del 19.6.2015, “l’importo a base di gara…è stato determinato sulla base dell’allegato conto economico aggiornato all’anno 2015, stimato dalla Soc. Tages, sulla base dei parametri contabili riferiti ai costi del trasporto pubblico locale di ambito interregionale”. Su tale aspetto la ricorrente non deduce alcuna specifica censura.
Peraltro, la congruità del prezzo a base di gara è anche comprovata dalla circostanza che alla procedura hanno partecipato ben sette operatori, ciò che dimostra che il medesimo prezzo a base di gara, per come definito sulla base della consulenza della Società Tages (selezionata con determinazione n. 588/2015 all’esito di procedura competitiva indetta per “la fornitura di un supporto tecnico amministrativo finalizzato alla progettazione della gara del servizio trasporto scolastico”), non risultava irragionevole o incapiente.
6.- Col il quinto atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato per illegittimità derivata: la determinazione dirigenziale n. 109 del 27 gennaio 2016 di aggiudicazione definitiva del servizio di trasporto scolastico per il periodo 1.1.2016 - 31.12.2020; la deliberazione della Giunta Comunale n. 178 del 21.12.2015 che ha disposto l'affidamento in via d'urgenza alla ditta Fratarcangeli e la determinazione dirigenziale n. 2217 del 22 dicembre 2015 con cui è stata disposta l'aggiudicazione provvisoria in favore dell'impresa controinteressata.
Ha formulato richiesta di risarcimento danni nella misura ivi indicata e, in subordine richiesta di indennizzo ex art. 21 quinquies L. n. 241/1990.
Le censure sono, coerentemente con le valutazioni sin qui espresse dal Collegio, inammissibili e infondate.
7.- Conseguentemente, anche la richiesta di risarcimento dei danni deve essere respinta.
8.- Con riferimento alla richiesta di indennizzo formulata ex art. 21 quinquies, L. n. 241/1990 in via subordinata per l’asserita anticipata revoca del servizio, ritiene il Collegio che, per quanto sin qui espresso, la richiesta non può essere accolta. La società ricorrente, come già statuito dal Collegio con riferimento al ricorso introduttivo, non poteva vantare in alcun modo il diritto alla prosecuzione del servizio sino al 2050 non essendo legata da un rapporto contrattuale con la M.C. ed avendo gestito il servizio stesso in regime di proroga di fatto sin dal 2008 (salvo il periodo 2014-2015).
In ogni caso la G. assume nella presente vicenda la posizione di socia di una società mista di scopo che ha gestito il servizio in virtù di affidamento da parte della società in house M.C., mentre i provvedimenti dell'Amministrazione avevano ad oggetto il rapporto con la M.C. e lo scioglimento della T.C. scarl.
Dunque, la richiesta di indennizzo è infondata.
9.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) definitivamente pronunciando:
Dichiara il ricorso e i motivi aggiunti in epigrafe in parte inammissibile e, in parte, li respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Cerveteri dell’importo di Euro 1.500,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere
Maria Ada Russo, Consigliere, Estensore
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE
|
|
IL PRESIDENTE
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Giovedì 09 Giugno 2016 11:23
Motivazione ed istruttoria rafforzata negli affidamenti "in house"
Venerdì 20 Maggio 2016 08:18
Valentina Magnano
N. 01900/2016REG.PROV.COLL.
N. 10058/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 10058 del 2015, proposto da: E. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Costantino Tessarolo e Vincenzo Antonucci, con domicilio eletto presso l’avv. Costantino Tessarolo in Roma, via Cola di Rienzo, n. 271;
contro
R. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Tommaso Marchese e Stefano Colombari, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
nei confronti di
Comune di Orsogna, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Orsola Pierantoni, con domicilio eletto presso l’avv. Italo Castaldi in Roma, via Attilio Regolo, n. 12/D;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, n. 00349/2015, resa tra le parti, concernente l’affidamento diretto del servizio pubblico di igiene urbana – Risarcimento dei danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di R. Spa e del Comune di Orsogna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2016 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Tessarolo, Colombari, e Castaldi, domiciliatario dell'avv. Pierantoni;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Pescara, Sez. I, con la sentenza 14 agosto 2015, n. 349, ha accolto il ricorso proposto dalla R. S.p.A. per l’annullamento della deliberazione 26 febbraio 2015, n. 5, con la quale il Consiglio comunale del Comune di Orsogna aveva disposto l'affidamento diretto del servizio pubblico di igiene urbana alla società controinteressata in quanto asseritamente rispondente al modello in house providing.
Il TAR ha rilevato sinteticamente che:
- la scelta del modello di gestione del servizio viene orientata verso un determinato modello in quanto ritenuto in astratto preferibile all’affidamento ad un operatore privato, senza però verificare come tali paradigmi effettivamente corrispondessero alle caratteristiche di concrete alternative di gestione;
- la stessa “convenienza” dell’affidamento diretto non risulta esplicitata negli atti;
- gli elementi riportati non danno sufficientemente conto della valutazione effettuata, essendo carente qualunque analisi relativa ai costi e alle modalità di gestione o di confronto con i costi correnti quali risultanti dai bollettini pubblicati da agenzie e istituti pubblici;
- pur dovendosi escludere un dovere di confronto con le “proposte” pervenute, resta comunque la necessità che nel procedimento siano acquisiti sufficienti elementi di giudizio affinché l’organo collegiale possa effettuare la scelta nella consapevolezza dei molteplici fattori che ad essa concorrono, ed in primo luogo dei costi (e della corrispondente qualità del servizio) di altre modalità di gestione;
- non è in tal senso sufficiente il mero raffronto con i costi di gestione del servizio sostenuti col precedente operatore, specialmente in assenza di precisazioni in ordine alla aderenza di questi ai costi correnti e di valutazione dei rispettivi standard di servizio;
- in ordine al controllo analogo e all’attività dedicata, la relazione (come, del resto, la deliberazione consiliare) non entra mai nell’analisi delle clausole statutarie e di altri elementi rilevanti, limitandosi a riportare principi generali ed in particolare quello secondo cui nel caso di società partecipata da più enti, il controllo analogo “può essere esercitato in forma congiunta da tali autorità, senza che sia indispensabile che detto controllo venga esercitato individualmente da ciascuna di esse”;
- l’organo di direzione non è costituito “da un rappresentante di ogni socio affidante”, bensì da sette sindaci eletti dall’assemblea “sulla base di liste di candidati… presentate dai soci” (art. 42.4), sicché sembra evidente che gli enti affidanti non hanno alcuna rappresentanza in quanto tali e quindi alcun controllo diretto sugli atti di cui all’art. 44.2 St.;
- anche sull’altro requisito (attività per la gran parte dedicata agli enti locali controllanti) la relazione riporta taluni principi in materia senza fornire alcuna indicazione in ordine alla composizione del fatturato complessivo E. spa, alla presenza di attività dedicate a terzi e alla loro rilevanza quantitativa e qualitativa;
- nel caso di specie risulta che E. s.p.a. trae una parte significativa del proprio fatturato dalla conduzione della discarica di Cerratina, così che oltre il 20% di tale fatturato deriva dal corrispettivo versato da soggetti diversi dagli Enti locali soci;
- sia che si consideri l’attività dal punto di vista esclusivamente quantitativo, sia che si introducano elementi qualitativi, i non contestati dati indicati in ricorso (servizi a terzi per euro 1.112.922,00 su un fatturato “tra i 4.000.000,00 e i 5.000.000,00 di euro”) evidenziano che si tratta di attività che da un lato supera la soglia (non può infatti convenirsi con E. che la suddetta “risulta sostanzialmente rispettata”, posto che percentuali tra il 22% e il 28%, a seconda che si consideri l’estremo superiore o quello inferiore del fatturato indicato dalla ricorrente, evidenziano scostamenti significativi rispetto al limite massimo) e che dall’altro si rivela niente affatto “marginale” e di consistenza tale da escludere il rispetto dei rigorosi limiti elaborati dalla stessa giurisprudenza comunitaria richiamata dalle parti resistenti;
L’appellante E. ha contestato tale sentenza, deducendone l’error in iudicando sotto diversi profili, tutti specificati nel corpo dell’atto d’appello, pur non rubricando specifici motivi di censura.
Si è costituito in giudizio il Comune di Orsogna, chiedendo l’accoglimento dell’appello; la controinteressata R. spa ha invece chiesto il rigetto del gravame.
All’udienza pubblica del 10 marzo 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. La Sezione rileva in punto di fatto che l’oggetto del giudizio riguarda un affidamento diretto del servizio di smaltimento dei rifiuti effettuato dal Comune di Orsogna, il quale, unitamente ad altri 52 Comuni della Provincia di Chieti, sin dal 1994 è stato membro del Consorzio Compresoriale Smaltimento dei rifiuti, con sede in Lanciano.
Nel 2010, con atto a rogito notaio Carabba n. 2937, i Comuni partecipanti hanno deciso di trasformare il consorzio in società per azioni, prevedendo espressamente che la stessa avrebbe avuto come oggetto la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti nel territorio dei comuni soci.
Nel 2015 il Comune di Orsogna, con la impugnata deliberazione consiliare n. 5 del 26 febbraio 2015, considerata l’imminenza della scadenza del contratto con l’impresa Santa Lucia Service s.r.l., cui era fino ad allora affidato il servizio, si è determinato di affidare detto servizio direttamente alla E., società derivante dalla trasformazione del Consorzio citato, considerando che essa era da considerarsi una società in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house providing.
La R. spa, deducendo di aver presentato al Comune di Orsogna un’offerta per la gestione del servizio, ha contestato la decisione del Comune di disporre in via diretta l’affidamento a favore della predetta E. spa.
2. Ciò premesso, deve essere in via preliminare disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse e legittimazione, formulata dall’appellata R. spa e motivata dal fatto che gli enti locali soci in E. spa avrebbero espressamente riconosciuto che lo statuto societario vigente quando il Comune di Orsogna ha disposto l’affidamento diretto del servizio di gestione integrata dei rifiuti, non era idoneo a configurare la società come rispondente al modello in house providing, con delibera dell’Assemblea in data 28 settembre 2015, votata favorevolmente anche dallo stesso Comune di Orsogna.
E’ sufficiente al riguardo rilevare che a tale delibera non ha fatto seguito alcun provvedimento di ritiro dell’affidamento diretto di cui si discute ed inoltre E. spa, come emerge dalla sua memoria conclusiva, ha dichiarato l’attuale persistenza dell’interesse ad ottenere l’annullamento della decisione di primo grado e a vedersi riconosciuta la legittimità dell’affidamento disposto dal Comune di Orsogna.
Peraltro, deve comunque osservarsi che, come ha già statuito questo Consiglio, la legittimità dell’affidamento del servizio va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento (in generale, da ultimo, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29 gennaio 2015, n. 420 e Consiglio di Stato, sez. III, 27 aprile 2015, n. 2154), restando indifferenti le sopravvenienze provvedimentali eventualmente accrescitive dei poteri di controllo in house.
All’epoca dell’affidamento, in altri termini, dovevano sussistere tutti i requisiti e presupposti legittimanti l’affidamento diretto, sotto tutti i profili contestati e rilevati dal TAR (assenza dei due requisiti fondanti il controllo analogo e violazione dell’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 per la valutazione circa la convenienza dell’affidamento), a prescindere dagli atti sopravvenuti sul punto.
3. Sempre in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, reiterata dalla parte appellante, atteso che la mera partecipazione del Comune di Orsogna alla predetta E. spa, risalente come detto al 2010, non equivale di per sé all’automatico affidamento del servizio pubblico (cfr. sul punto, di recente, Consiglio di Stato, Sez. V, 11 settembre 2015, n. 4253), ancor più in considerazione del fatto che l’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, norma sulla cui base è anche impostato il ricorso di primo grado, impone all’Amministrazione autonome valutazioni per l’affidamento del servizio, valutazioni che vengono espresse dall’amministrazione al momento dell’affidamento e che ben possono essere sindacate.
4. Passando all’esame del merito, la Sezione è dell’avviso che esso sia infondato, potendo prescindersi dall’esame della questione co(n)cernente la controversa natura di società in house rivestita da E. spa, nella prospettiva di verificarne la rispondenza al modello di società in house come pretende parte appellante.
Infatti, ciò imporrebbe, sotto un primo profilo, un puntuale approfondimento delle clausole statutarie dedicate alla costruzione ed elaborazione di una struttura che sia idonea a realizzare il cd. “controllo congiunto” di più enti pubblici sulla direzione della società in house, secondo il paradigma del cd. in house pluripartecipato, in cui le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte determinate condizioni.
Tali condizioni, peraltro, sono oggi codificate dall’art. 12 della Direttiva appalti 2014/24/UE che, tuttavia, non è stata ancora recepita, essendo ancora in corso il termine relativo per l'incombente (nonostante i dubbi sulla sua eventuale immediata precettività emersi in giurisprudenza – cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298).
In ogni caso, già la sentenza della Corte di Giustizia, Sez. III, 29 novembre 2012, C-182/11 e C-183/11, che ha riconosciuto tale forma di controllo in house ha sostanzialmente dettato una serie di requisiti analoghi all’attuale disciplina normativa comunitaria, ovvero che:
- gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
- i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
- l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
Tali requisiti comportano delicate valutazioni da effettuarsi sul crinale dell’insindacabilità delle scelte amministrative da un lato e delle scelte imprenditoriali civilistiche dall’altro, da cui può prescindersi, per economia dei mezzi processuali, in considerazione dell’esame, come poi si dirà, della violazione l’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221
Parimenti, per le medesime ragioni e considerazioni, non risulta utile e necessario esaminare la composizione del fatturato complessivo E. spa, per verificarne il rispetto o il mancato rispetto della condizione delle prevalente attività dedicata agli enti affidanti che legittima l’affidamento in house.
Infatti, sotto questo profilo, deve rilevarsi che questa Sezione, con ordinanza 20 ottobre 2015, n. 4793, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, rimettendo alla sua decisione le seguenti questioni pregiudiziali:
- se se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci;
- se, nel computare l’attività prevalente svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti degli enti pubblici soci prima che divenisse effettivo il requisito del cd. controllo analogo.
E’ evidente che tali questioni si riverberano anche nel caso in esame, da cui tuttavia, come detto, si deve prescindere stante in ogni caso l’illegittimità dell’affidamento diretto, così come disposto nell’impugnata delibera del Consiglio comunale 26 febbraio 2015, n. 5.
5. Come rilevato l’appello è infondato.
Al riguardo si deve premettere che la Corte Costituzionale con la sentenza 20 luglio 2012, n. 199 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 d.l. n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 148 del 2011 (nel testo conseguente alle ulteriori modifiche apportate dall'art. 9, comma 2, lett. n), L. 12 novembre 2011, n. 138, dall'art. 25 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, nonché dall'art. 53, comma 1, lett. h), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83), adottato successivamente all'abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla l. n. 133 del 2008.
Sulla scorta di tale pronuncia la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che i servizi pubblici locali di rilevanza economica possono in definitiva essere gestiti indifferentemente mediante il mercato (ossia individuando all'esito di una gara ad evidenza pubblica il soggetto affidatario) ovvero attraverso il c.d. partenariato pubblico - privato (ossia per mezzo di una società mista e quindi con una gara a doppio oggetto per la scelta del socio o poi per la gestione del servizio), ovvero attraverso l'affidamento diretto, in house, senza previa gara, ad un soggetto che solo formalmente è diverso dall'ente, ma che ne costituisce sostanzialmente un diretto strumento operativo, ricorrendo in capo a quest'ultimo i requisiti della totale partecipazione pubblica, del controllo (sulla società affidataria) analogo (a quello che l'ente affidante esercita sui propri servizi) e della realizzazione, da parte della società affidataria, della parte più importante della sua attività con l'ente o gli enti che la controllano.
L'affidamento diretto, in house - lungi dal configurarsi, alla stato attuale delle normativa, come un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locale - costituisce invece una delle (tre) normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto, in house, costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale (Consiglio di Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4832; sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762, sez. V, 10 settembre 2014, n. 4599).
Tale scelta discrezionale, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti; tuttavia, proprio in ossequio ai principi di trasparenza e democraticità dei processi decisionali pubblici (sanciti dalla norma cardine dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990) si impone che detta scelta debba essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano.
Tanto più nella specie in cui l’art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, a ribadire e specificare il principio summenzionato di trasparenza e democraticità delle decisioni pubbliche, impone un dettagliato e più aggravato onere motivazionale, subordinando la legittimità della scelta della concreta modalità di gestione dei servizi pubblici locali proprio alla redazione di un'apposita relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma dell'affidamento prescelta e che definisca i contenuti specifici degli obblighi del servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste.
Nel caso di specie tale dettagliata e specifica motivazione non sussiste, né essa può desumersi (in applicazione dell’art. 3 l. n. 241-1990) da altri atti pur depositati in giudizio, dovendo pertanto convenirsi sulla fondatezza della censura relativa alla carenza o insufficiente o adeguata l’istruttoria, di cui deve ragionevolmente dubitarsi che sia stata compiuta in modo completo ed approfondito e che conseguentemente siano state effettivamente valutate tutte le possibili forme di gestione in astratto, che siano stati soppesati in specifico i pro e i contro; non risulta in definitiva che sia stato dato conto che la scelta sia ricaduta sulla gestione in house sulla base di specifiche e distinte indicazioni di elementi concreti e riscontrabili o di valutazioni di interesse pubblico consistenti e pregnanti.
Al riguardo deve sottolinearsi che la relazione ex art. 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, che pure c’è, in realtà non contiene alcuna valutazione di tipo concreto, riscontrabile, controllabile, intellegibile e pregnante sui profili della convenienza, anche non solo economica, della gestione prescelta, limitandosi per contro ad apodittici riferimenti alla gestione in house che, come tali, sono da ritenersi privi di quel livello di concreta pregnanza richiesto per soddisfare l’onere di motivazione aggravato e di istruttoria ai sensi del combinato disposto degli art. 3 l. n. 241 del 1990 e 34, comma 20, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179.
Pertanto, un affidamento diretto siffatto è da ritenersi di per sé illegittimo, come ha ben rilevato il TAR, a prescindere, come detto, dalle questioni controverse circa la natura giuridica del soggetto affidatario.
4. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe indicato, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE
|
|
IL PRESIDENTE
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Martedì 24 Maggio 2016 15:32
Ancora sulle società "in house"
Mercoledì 18 Maggio 2016 09:02
Valentina Magnano
N. 00691/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00199/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 199 del 2016, proposto da: G. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Di Lascio e Saul Monzani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Carlo Mulé in Brescia, Via Gramsci n. 28;
contro
Comune di Cologno al Serio, rappresentato e difeso dall’avv.to Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, Viale della Stazione n. 37;
nei confronti di
S. C. S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv.to Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Chiara Ghidotti in Brescia, Via Solferino n. 59;
per l'annullamento
- DELLA DELIBERAZIONE CONSILIARE IN DATA 10/12/2015 N. 65, RECANTE L’AFFIDAMENTO ALLA CONTROINTERESSATA DEI SERVIZI DI IGIENE AMBIENTALE;
- DEI DOCUMENTI ALLEGATI ALLA DELIBERAZIONE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA RELAZIONE SULLE MODALITA’ DI AFFIDAMENTO DEI SERVIZI DI RACCOLTA, TRASPORTO, SMALTIMENTO RSU E ASSIMILATI E ALTRI SERVIZI DI IGIENE AMBIENTALE;
- DELLA COMUNICAZIONE DEL SINDACO IN DATA 25/1/2016.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Cologno al Serio e di S.C. S.p.A.;
Viste le memorie difensive e tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2016 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
FATTO
Riferisce la ricorrente di essere una Società a capitale misto pubblico-privato, il cui socio privato è stato prescelto mediante gara, che gestisce i servizi di igiene ambientale a favore di 82 Comuni e di oltre 350.000 abitanti nella Provincia di Bergamo e nelle Provincie limitrofe. Sostiene dunque di vantare un interesse giuridicamente rilevante a partecipare a procedure selettive indette dagli Enti locali e a conoscere i presupposti di altrui affidamenti diretti in house.
Rappresenta G. in punto di fatto che l’intimato Comune ha disposto l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana a favore della Società controinteressata per 10 anni.
Con l’introdotto gravame, ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, la ricorrente impugna gli atti di gara in epigrafe, deducendo le seguenti censure in diritto:
a) Violazione dell’art. 34 comma 20 del D.L. 179/2012 conv. in L. 221/2012, dell’art. 3-bis comma 1-bis del D.L. 138/2011 conv. in L. 148/2011 e modificato con L. 190/2014, eccesso di potere per carenza di istruttoria, errore e travisamento dei presupposti di fatto, dato che:
• per assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità degli operatori e l’economicità della gestione, il D.L. 179/2012 impone una relazione (comprendente un piano economico finanziario asseverato) che dia conto delle ragioni e dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario e definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale;
• il PEF asseverato deve contenere la proiezione, per la durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la definizione dell’assetto economico-patrimoniale, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento;
• gli Enti proprietari procedono, contestualmente all’affidamento, ad accantonare in bilancio una somma pari all’impegno finanziario del capitale proprio previsto per il triennio e a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house;
• la relazione del Comune intimato si limita a comparare il costo medio del servizio per abitante presso i Comuni con caratteristiche similari (pari a 94,71 €) con quello sostenuto dall’Ente locale nel 2014 (di 94,11 €), e con l’offerta di Servizi comunali (che propone 79,97 €);
• il predetto raffronto è lacunoso e inattendibile, e in ogni caso è fuorviante il richiamo della media provinciale, la quale prende a riferimento prestazioni anche molto diverse da Comune a Comune;
• l’accostamento dei valori è scorretto, visto che la spesa pro-capite media del 2014 si riferisce al costo complessivo del Comune per la gestione, mentre la cifra proposta da Servizi comunali comprende il solo corrispettivo spettante all’affidatario, pari a 879.718 € (peraltro in bilancio sono stanziati 1.088.150 €);
• la cifra concordata contempla il solo primo anno di servizio, mentre secondo il disciplinare a partire dagli anni successivi sono previsti molteplici meccanismi di aumento del canone di gestione, con variazioni anche significative (costo per il personale, costi di esercizio, etc.);
• la ricorrente ha trasmesso la propria proposta economica, prefigurando un risparmio di 35.000 € all’anno e un prezzo costante per un decennio (salvo l’aggiornamento ISTAT), ma la stessa è rimasta ignorata;
• nella relazione di servizio si è omesso qualsiasi approfondimento sui meccanismi di conguaglio e adeguamento dei costi previsti dal disciplinare, con la conseguenza che eventuali incrementi resterebbero a carico del Comune mentre eventuali risparmi avvantaggerebbero unicamente la Società;
• i servizi accessori proposti dalla controinteressata non sono in grado in incidere sensibilmente sui costi complessivi, e in ogni caso G. sarebbe in grado di eseguirli a sua volta senza difficoltà, anche gratuitamente;
b) Violazione dei principi sull’in house per carenza di controllo analogo effettivo, eccesso di potere per difetto di istruttoria, dato che il provvedimento impugnato rinvia alle previsioni dello Statuto, che contemplano il Comitato per il controllo analogo, e tuttavia le stesse devono essere verificate alla stregua del criterio di effettività, mentre non sono stati compiuti accertamenti sul concreto funzionamento dei meccanismi di controllo.
Si sono costituite in giudizio l’amministrazione e la controinteressata, formulando un’eccezione in rito e chiedendo la reiezione del gravame nel merito.
In prossimità dell’udienza pubblica di discussione della causa, le parti hanno dimesso memorie per ribadire le rispettive posizioni.
Alla pubblica udienza del 10/5/2016 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
La ricorrente censura i provvedimenti con i quali il Comune di Cologno al Serio ha aderito alla Società controinteressata, affidandole in house il servizio di igiene ambientale.
0. Deve essere preliminarmente vagliata l’eccezione di carenza di interesse sollevata da S. C.. Quest’ultima sostiene che G. – la quale non muove specifiche censure sulla scelta di fondo del meccanismo della delegazione interorganica – non vanta alcun interesse all’impugnazione, tenuto conto che il Comune non detiene partecipazioni presso la stessa. Non è stata comunque tempestivamente contestata la scelta di procedere all’affidamento diretto in house, assunta già con la deliberazione consiliare n. 39/2015, mentre G. è Società a capitale misto, e la presenza di capitale privato è ostativa a tale modello gestionale. In definitiva, la decisione impugnata non è in realtà contestabile, anche perché l’eventuale accoglimento del ricorso non determinerebbe, come automatica conseguenza, l’obbligo di indire una procedura ad evidenza pubblica.
0.1 L’eccezione è infondata. E’ vero che l’amministrazione sembra aver escluso l’opzione per il metodo della gara pubblica, mostrando di prediligere l’in house providing. Tuttavia G. vanta un interesse strumentale a rimettere in discussione la vicenda: l’accoglimento del gravame non garantirebbe il bene della vita al quale la ricorrente principalmente aspira (ossia l’affidamento a suo favore), e tuttavia il Comune dovrebbe riattivare la procedura, con l’obbligo di osservare le statuizioni di questo Tribunale. Si tratterebbe, in altri termini, di una rivalutazione/rimeditazione “guidata” della scelta intrapresa, che restituirebbe a G. una chance (seppur astratta) per rientrare in gioco, o attraverso la partecipazione a una gara, o come gestore in house ai sensi della nuova normativa comunitaria (con affidamento preceduto dall’acquisto di azioni). Di recente (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia – 18/1/2016 n. 15) è stato affermato che “anche ammettendo che la società … non possieda i requisiti per un affidamento diretto, va comunque riconosciuto che essa, quale operatore del settore, ha interesse a che il servizio sia affidato mediante procedura di evidenza pubblica, in luogo dell'affidamento diretto alla controinteressata. Essa è, cioè, portatrice di un interesse strumentale qualificato e differenziato, a contestare davanti a questo Giudice una scelta che prescinde dallo svolgimento di una pubblica gara nella quale potrebbe far valere le proprie chances competitive”. In proposito, non sono emersi profili ostativi alla partecipazione di G. alle gare pubbliche.
1. Passando all’esame del merito, la prima censura è priva di pregio.
1.1 Premette il Collegio che il modello in house costituisce un modo di gestione ordinario dei servizi pubblici locali, alternativo rispetto all’affidamento mediante selezione pubblica, per cui non costituisce un’eccezione alla regola (cfr. T.A.R. Liguria, sez. II – 8/2/2016 n. 120). Il quinto considerando della direttiva U.E. 24/2014 sugli appalti pubblici, stabilisce sul punto che “È opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”.
1.2 Recentemente il Consiglio di Stato (cfr. sez. V – 15/3/2016 n. 1034) ha evocato l'orientamento comunitario secondo cui un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche (in tal senso: CGUE, sentenza 6 aprile 2006 in causa C-410/14 (ANAV), e ha richiamato la propria precedente giurisprudenza la quale ha <>.
1.3 Anche questo T.A.R. ha statuito (cfr. sentenza sez. II – 22/3/2016 n. 431) che “l'ordinamento non predilige né l'in house, né la piena espansione della concorrenza nel mercato e per il mercato e neppure il partenariato pubblico-privato, ma rimette la scelta concreta al singolo Ente affidante …In definitiva, i servizi pubblici locali di rilevanza economica possono essere gestiti indifferentemente mediante il mercato (ossia individuando, all'esito di una gara ad evidenza pubblica, il soggetto affidatario) ovvero attraverso il c.d. partenariato pubblico-privato (ossia per mezzo di una Società mista e quindi con una "gara a doppio oggetto" per la scelta del socio e per la gestione del servizio), ovvero attraverso l'affidamento diretto, in house …”. In particolare, devono essere osservate le modalità stabilite all’art. 34 comma 20 del D.L. 18/10/2012 n. 179 conv. in L. 17/12/2012 n. 221, per cui «per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste». Da ultimo questa Sezione (cfr. sentenza 9/5/2016 n. 639) ha osservato come “la scelta, espressa da un ente locale, nella specie da un Comune, nel senso di rendere un dato servizio alla cittadinanza con una certa modalità organizzativa piuttosto di un’un'altra, ovvero in questo caso di ricorrere allo in house e non esternalizzare, è ampiamente discrezionale, e quindi, secondo giurisprudenza assolutamente costante e pacifica, è sindacabile nella presente sede giurisdizionale nei soli casi di illogicità manifesta ovvero di altrettanto manifesto travisamento dei fatti: nella materia dei servizi pubblici, affermano ad esempio il principio in generale C.d.S. sez. V 6 maggio 2011 n°2713 e nel caso specifico della scelta di una gestione in house TAR Liguria sez. II 8 febbraio 2016 n°120 e TAR Puglia Bari sez. I 12 aprile 2006 n°1318”.
1.4 Sotto altro punto di vista, la relazione che supporta la scelta comunale di operare mediante affidamento in house(cfr. art. 34 comma 20 del D.L. 179/2012) è finalizzata a rendere trasparenti e conoscibili agli interessati tanto le operazioni di riscontro delle caratteristiche che fanno dell'affidataria una società in house, quanto il processo d’individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti (T.A.R. Friuli Venezia Giulia – 26/10/2015 n. 468; T.A.R. Abruzzo Pescara – 14/8/2015 n. 349). Anche il recente D. Lgs. 18/4/2016 n. 50, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, statuisce all’art. 192 comma 2 che “Ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
1.5 Nel caso in oggetto, l’esame della relazione tecnico economica predisposta dal Comune induce il Collegio a ritenere la scelta immune dai vizi dedotti. La stessa risulta infatti esaustiva per le ragioni che seguono:
- racchiude una comparazione tra i costi del servizio per abitante, dalla quale affiora la convenienza del prezzo unitario offerto dalla controinteressata (79,97 €) rispetto al valore medio calcolato in 7 Comuni (compreso Cologno al Serio) di dimensioni e territorio analoghi (94,71 €) e alle condizioni praticate all’Ente resistente dal precedente gestore (94,11 €); al riguardo, le rimostranze sull’eterogeneità dei territori e dei dati demografici sono state affermate in modo apodittico dalla ricorrente, senza insinuare dubbi con riscontri oggettivi ed elementi concreti;
- garantisce le prestazioni essenziali del servizio di igiene ambientale, oltre a interventi di carattere accessorio e complementare, tra le quali si possono citare la sensibilizzazione nel progetto di riduzione dei rifiuti da avviare a discarica o inceneritore, mediante laboratori didattici presso le scuole e incontri di aggiornamento della popolazione; ricerca, progettazione e realizzazione di sistemi alternativi di riutilizzo/recupero dei rifiuti; incontri periodici con l’utenza;
- racchiude l’impegno a mantenere attivo l’attuale Sportello front-office per l’intero 2016 (per facilitare i rapporti tra utenti e nuova Società – art. 17 lett. a – allegato A del disciplinare);
- con riguardo al problema della disomogeneità dei dati esibiti, la controinteressata ha sottolineato che la spesa prevista comprende tutte le attività correlate alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti, incluse quelle di gestione della TARI;
- Servizi comunali garantisce per 5 anni (quale costo massimo) quello sostenuto dal Comune di Cologno al Serio durante la precedente gestione (art. 17 lett. b – allegato A del disciplinare).
In altra causa recentemente affrontata da questa Sezione (cfr. sentenza 9/5/2016 n. 639, già citata) si è osservato come la relazione sia esaustiva qualora dimostri l’efficienza e la convenienza economica dell’affidamento, sottolineando che un’esposizione che illustri la scelta politica di spingere verso la raccolta differenziata (adottando nel Comune il metodo della cd. raccolta “porta a porta” ovvero la “differenziata spinta”) e raffronti i costi del servizio con quelli di alcuni Comuni ritenuti equivalenti non riveli illogicità, le quali <>.
1.6 Per le ragioni illustrate, la scelta dell’amministrazione è adeguatamente motivata. A fronte di un’ampia discrezionalità, il Comune ha rispettato le prescrizioni di cui all’art. 34 comma 20 del D.L. 179/2012. La relazione esplicita in modo sufficientemente esaustivo le ragioni dell’affidamento, definendo gli obblighi di servizio pubblico in capo alla Società affidataria. L’economicità della gestione è avvalorata dai dati esibiti in giudizio, anche mediante il confronto con realtà territoriali simili. In disparte ogni ulteriore approfondimento sull’attendibilità della proposta economica formulata da G. (contestata dalle parti resistenti, in particolare dalla controinteressata con la produzione del costo esibito da G. presso il Comune di Ponte San Pietro), è opinione del Collegio che una modesta differenza sui costi complessivi non interferisca sulla bontà complessiva dell’opzione per il modello in house. Quest’ultimo, infatti, deve obbedire a canoni di economicità, e tuttavia si differenzia dal sistema della gara pubblica, per cui anche un prezzo complessivamente (e moderatamente) superiore non compromette (necessariamente) gli obiettivi di interesse pubblico perseguiti dall’amministrazione procedente, in presenza di indicatori positivi rinvenibili nel disciplinare e nel contratto di servizio.
1.7 Non appare persuasiva la lamentata violazione dell’art. 3-bis comma 1-bis del D.L. 138/2011, dal momento che il Piano economico-finanziario asseverato è correlato alla necessità di realizzare “interventi infrastrutturali” da parte del soggetto affidatario. Infatti la disposizione invocata statuisce che “Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione deve comprendere un piano economico-finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house, dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio”. Non affiorano dagli atti di causa specifiche tipologie di investimento da effettuare per “interventi infrastrutturali”.
2. Anche il secondo motivo è infondato.
2.1 E’ noto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel caso in cui il capitale della Società in house sia suddiviso tra una pluralità di soci pubblici, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, non richiedendosi che lo stesso venga esercitato singolarmente per ciascuna di esse (così Corte di Giustizia U.E., sez. III – 29/11/2012 n. 182/11): ciò che rileva non è infatti la configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull’intera società, ma che, in forza di idonei strumenti giuridici, ciascun ente sia in grado di assumere il ruolo di dominus nelle decisioni operative rilevanti circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio (in tal senso cfr. T.A.R. Brescia, sez. II – 23/9/2013 n. 780). In buona sostanza, sono noti gli approdi cui – nella definizione del requisito del “controllo analogo” – la giurisprudenza europea ed interna si è ormai assestata, essendo sul punto sufficiente richiamare le più recenti pronunce dell’organo di appello, che ha ribadito la necessità che l’ente societario partecipato sia soggetto ad un controllo di stampo sostanzialmente organico, tale da rendere irrilevante l’alterità soggettiva con l’autorità pubblica partecipante. In virtù di un simile atteggiarsi dei rapporti, spetta quindi a quest’ultima nominare i vertici direttivi e di controllo, approvare gli indirizzi strategici ed i principali atti di gestione, svuotando conseguentemente l’autonomia decisionale dell’organo amministrativo invece riconosciuta dal codice civile alle società di capitali (Consiglio di Stato, sez. V – 28/7/2015 n. 3716, che richiama le proprie precedenti sentenze 14/10/2014 n. 5080 e 1373/2014 n. 1181).
2.2 A proposito nell’in house pluripartecipato, il Consiglio di Stato (cfr. sez. III – 27/4/2015 n. 2154) ha affermato che le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che:
a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
2.3 Anche la recente direttiva appalti n. 24/2014 stabilisce all’art. 12 coma 3 che “Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo [ossia un controllo analogo] può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
2.4 Dall’esame dello Statuto di S.C. (cfr. doc. 8 ricorrente), le predette condizioni risultano soddisfatte. L’art. 9 infatti, in aggiunta a quanto previsto dai singoli contratti/disciplinari di servizio, stabilisce che i Comuni soci “esercitano congiuntamente i più ampi poteri di direzione, coordinamento e supervisione sugli organi ed organismi societari”. Il Comitato unitario per il controllo analogo può impartire direttive vincolanti all’organo amministrativo sulla politica aziendale (con particolare riferimento alla qualità dei servizi prodotti e alle caratteristiche da assicurare per il perseguimento dell’interesse pubblico), può porre il veto sulle operazioni ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi pubblici della collettività e del territorio; propone inoltre all’Assemblea una rosa di candidati tra i quali scegliere i membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale. L’art. 14 garantisce l’effettiva partecipazione dei soci minoritari (il genere meno rappresentato deve ottenere almeno 1/3 dei componenti del Consiglio di amministrazione). La disposizione enuclea poi ulteriori meccanismi di tutela dei Comuni soci (cfr. commi 1, 5 lettere e, f, g, h).
2.5 In definitiva, sono riscontrabili i requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale perché possa legittimamente disporsi l’affidamento in house.
In conclusione il gravame introduttivo è privo di fondamento e deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando respinge il ricorso introduttivo in epigrafe.
Condanna parte ricorrente a corrispondere al resistente Comune la somma di 3.500 € a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge.
Condanna parte ricorrente a corrispondere alla Società controinteressata la somma di 3.500 € a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale, che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Alessandra Farina, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE
|
|
IL PRESIDENTE
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Giovedì 19 Maggio 2016 10:55
Il recesso del Comune da una società per la gestione di servizi pubblici: profili di giurisdizione
Martedì 19 Aprile 2016 18:58
Giorgia Motta
N. 00474/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00038/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 38 del 2009, proposto da: Acea Pinerolese Industriale S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Cavallo Perin, presso il cui studio elegge domicilio, in Torino, Via Bogino, 9;
contro
Comune di Perrero, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Oreste Cagnasso, Teodosio Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Teodosio Pafundi in Torino, corso Re Umberto, 27; Comune di Villar Perosa, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- della deliberazione del Consiglio Comunale di Perrero 27.10.2008, n. 30, avente ad oggetto "Partecipazione azionaria in Acea Pinerolese Industriale S.p.A. Determinazioni in merito";
- della nota del Sindaco del Comune di Perrero 28.10.2008, prot. n. 3101, avente ad oggetto "Comunicazione della volontà di recedere dalla società a norma dell'art. 2427 e seguenti del Codice Civile", pervenuta ad Acea Pinerolese Industriale S.p.A. in data 30.10.2008;
- di ogni ulteriore atto preordinato, consequenziale e comunque connesso del relativo procedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Perrero;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 marzo 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Acea Pinerolese Industriale S.p.A., (da ora anche solo Acea) è società a capitale interamente pubblico, detenuto da vari comuni, costituita per la gestione di servizi pubblici, tra cui il servizio idrico e il servizio rifiuti.
La costituzione di Acea è avvenuta nel 2002 per trasformazione del preesistente Consorzio Acea, in attuazione alla finanziaria 2002, art 35 c. 8 L. n. 448/2001, che imponeva agli enti locali di trasformare in società di capitali le aziende speciali e i consorzi tra comuni che gestivano i servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Acea ha quindi proseguito nella gestione dei servizi prima svolta dal consorzio, in affidamento diretto dai comuni, relativamente al ciclo idrico integrato e al ciclo rifiuti solidi urbani ed assimilati.
Nel settore idrico la gestione di Acea è stata confermata dall’Autorità d’Ambito n. 3 Torinese che ha riconosciuto in Acea il gestore salvaguardato con riferimento al territorio già servito e a quello ridefinito in base agli accordi con l’Autorità d’Ambito.
Anche nel settore dei rifiuti è stata confermata la gestione per il territorio di 47 comuni del bacino Pinerolese, ai sensi dell’art 113 c. 5 lett. c) d. lgs. 267/2000.
Con delibera del 30 settembre 2008 Acea ha approvato una modifica statutaria al fine di consentire l’ingresso nella società di taluni comuni il cui territorio era incluso nella gestione in salvaguardia del servizio idrico.
Ha previsto una nuova categoria di azioni da assegnare ai nuovi comuni, attributive di voto solo per le delibere relative al servizio idrico integrato, perché per i nuovi comuni entranti Acea è gestore solo del servizio idrico integrato e non del servizio rifiuti.
In occasione di questa modifica statutaria l’Assemblea del soci ha abrogato l’art 30 dello Statuto, che prevede la facoltà di ogni comune di recedere dalla società nel caso in cui, per qualsiasi ragione, cessi l’affidamento di tutti i servizi affidati alla società dal socio.
In data 30 ottobre 2008 il Comune di Perrero ha comunicato di voler recedere dalla società, in base all’art 2437 c.c. che prevede la facoltà di recesso al socio che non ha concorso alle deliberazioni riguardanti l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo Statuto.
La società ha impugnato la delibera, ritenendo che il recesso sia nullo perché vietato dalla disciplina speciale sulle società proprietarie delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni strumentali, ai sensi dell’art 113 c.2 e 13 d. lgs 267/2000.
Nei tre motivi di ricorso ha fatto valere i seguenti profili di illegittimità:
1) violazione dell’art 113 c. 2 e 3 d. lgs. 267/2000, il comune ha esercitato il recesso solo in base alla disciplina privatistica, senza tuttavia considerare la disciplina speciale sui servizi pubblici; vi è un regime di incedibilità del capitale sociale; l’art 113 vieta la cessione della proprietà degli impianti, per cui si può però conferire la proprietà di questi impianti a società a capitale pubblico con il vincolo di inalienabilità.
Acea è titolare della proprietà delle reti e degli impianti relativamente al ciclo idrico integrato: nella delibera di trasformazione Acea ha ricevuto il conferimento delle reti da parte dei comuni e ha realizzato altre reti; quindi ex lege il capitale è incedibile.
Deve infatti permanere il rapporto giuridico voluto dalla legge tra l’ente locale e il bene di servizio pubblico; per questo l’art 2437 non può trovare applicazione in questo caso;
2) insussistenza dei presupposti di cui all’art 2437 c.c., in combinato disposto con l’art 113 lett. c) del d. lgs. 267/2000; nullità e inefficacia del recesso: il comune ha ritenuto pregiudizievole alle proprie prerogative di socio la modifica dello Statuto, che prevede l’abrogazione dell’art 30 che introduce la facoltà di recesso; ma l’abrogazione della facoltà di recesso resasi necessaria per l’introduzione di nuovi soci non è pregiudizievole per i vecchi soci perché la vecchia norma sul recesso continua ad essere applicabile ai vecchi soci: infatti il recesso è garantito in caso di revoca dell’affidamento del servizio;
3) violazione degli artt 9, 10, 11 e 12 L.R. Piemonte 24/2002, degli artt 200 e 204 d. lgs. 152/2006, del principio di leale collaborazione, del buon andamento: il recesso non può comportare la cessazione dell’affidamento ad Acea della gestione del servizio idrico integrato o del servizio rifiuti.
Si è costituito il Comune dapprima con semplice memoria di stile, quindi depositando memoria in data 15.2.2016, in cui ha sostenuto l’infondatezza del ricorso, in quanto Acea non sarebbe una società in house e il Comune in quanto socio ha agito ai sensi dell’art 2437 c.c.
All’udienza del 2 marzo 2016 il Presidente ha segnalato, ai sensi dell’art 73 comma 3 c.p.a., la possibile rilevanza in rito della questione relativa al difetto di giurisdizione del TAR, a favore del giudice ordinario, trattandosi di controversia avente ad oggetto l’esercizio di potestà negoziali.
Dopo la discussione sull’eccezione sopra indicata, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1) Il presente ricorso è stato proposto avverso una delibera del Comune di Perrero con cui è stato approvato il recesso del Comune dalla società Acea, società pubblica di gestione dei servizi.
Come si legge nella delibera del Comune, il recesso è stato disposto a seguito dell’abrogazione dell’art 30 dello Statuto della società, che prevede la facoltà di ogni comune di recedere dalla società nel caso in cui, per qualsiasi ragione, cessi l’affidamento di tutti i servizi affidati alla società dal socio.
Il recesso del Comune è stato disposto ai sensi dell’art 2437 c.c. che riconosce la facoltà di recesso al socio che non ha concorso alle deliberazioni riguardanti l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo Statuto.
2) Ad avviso del Collegio la controversia rientra nella giurisdizione del Giudice ordinario, poiché viene impugnato un atto di recesso dalla società di uno dei soci.
Ai sensi dell’art 133 comma l lett. c) sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”.
Due sono quindi i criteri in base ai quali viene perimetrata la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici: il primo fa riferimento alla tipologia di controversia ed opera per qualsiasi servizio pubblico: tutte le controversie che attengono alle concessioni di pubblici servizi, ai provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
Il secondo criterio prescinde dal tipo di controversia, in quanto la giurisdizione viene determinata in base alla tipologia di servizio, che può essere quello della vigilanza sul credito, delle assicurazioni e del mercato immobiliare.
In entrambi i caso, per radicare la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo non è sufficiente, però, che si versi in materia di servizi pubblici, ma occorre pur sempre che la Pubblica Amministrazione abbia agito nello specifico esercitando il proprio potere autoritativo.
È il caso di ricordare, infatti, che il testo dell’art 133 ha recepito l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204 del 6 luglio 2004, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. a), della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui esso prevedeva che fossero devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo " tutte le controversie in materia di pubblici servizi ", anziché " le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (omissis...) ".
Nel caso di specie, Acea gestisce due servizi pubblici (il servizio idrico e la raccolta rifiuti), quindi la giurisdizione si determina non in base alla tipologia di servizio (non essendo riconducibile ai servizi indicati dal secondo criterio), ma in base alla natura della controversia: si deve trattare di una controversia relativa alla concessione del servizio, a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
Il provvedimento impugnato non può essere ricondotto a nessuna di queste tipologie di controversie, poiché non investe la gestione del servizio, né il rapporto pubblicistico sotteso alla sua erogazione; si inserisce in un procedimento, in quanto l’atto proviene da una Pubblica Amministrazione, la quale agisce in qualità di socio di una società, in virtù di poteri civilistici.
La dismissione della partecipazione concreta infatti un atto jure privatorum, compiuto dal comune “uti socius” - e non “jure imperii” - a valle della scelta di fondo per l’impiego del modello societario.
L’atto di cui si chiede l’annullamento pone i soggetti, il Comune e Acea, su un piano paritetico e le rispettive posizioni giuridiche soggettive hanno natura di diritti soggettivi, in quanto attengono alla posizione dei soci all’interno della società.
Nel presente giudizio l'azione esperita dalla società ricorrente è, in realtà, volta a dimostrare la insussistenza dei presupposti per esercitare il recesso da parte di un socio dalla società ACEA S.p.a. e, di conseguenza, la permanente validità della adesione del Comune alla società: l'azione è, quindi, diretta a tutelare il diritto soggettivo perfetto all'esecuzione della partecipazione comunale ed alle controprestazioni conseguenti.
Il reale oggetto del giudizio, dunque, non è l'esercizio del servizio, né, tantomeno la questione attinente alla complessiva azione di gestione dei servizi erogati da Acea, ma un atto con cui il Comune ha fatto valere una posizione contrattuale paritetica.
Non venendo in questione l’esercizio di un potere amministrativo propriamente detto, ma soltanto l’accertamento – vincolato – del ricorrere dei presupposti di legge per la cessazione della partecipazione azionaria, deve ritenersi che la controversia esuli – ex art. 7 comma 1 c.p.a. – dalla giurisdizione del giudice amministrativo, per rientrare appieno in quella dell’autorità giudiziaria ordinaria, cui del resto spetta la cognizione sulle domande concernenti il diritto di recesso del socio (cfr., per un caso analogo, T.A.R. Liguria, sez. II, 4 aprile 2016 n. 333).
La controversia, pertanto esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
3) Risulta doverosa una precisazione.
La difesa del Comune nella memoria del 15 febbraio 2016 ha segnalato l’esistenza di un giudizio civile proposto dal Comune nel 2010 per contestare la delibera dell’Assemblea di Acea del 25.6.2010 che ha approvato la scissione parziale della Società, precisando in nota (pag. 8) che il giudizio è stato interrotto con sentenza parziale del 19.2.2013 n. 69, in attesa della definizione del presente giudizio innanzi al TAR.
La sentenza n. 69 del 19.2.2013 non sospende in giudizio promosso avanti il Tribunale di Pinerolo, avente ad oggetto la richiesta di annullamento della delibera societaria, ma anzi, seguendo proprio l’orientamento sopra indicato, che ha portato il Collegio ad affermare il difetto di giurisdizione, afferma la giurisdizione del Giudice ordinario, richiamando la decisione in materia della Corte di Cassazione n. 30167 del 30 dicembre 2011.
4) Va quindi dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice adito a favore del giudice ordinario, con la precisazione che, ai sensi dell’art.11 secondo comma del c.p.a., gli effetti processuali e sostanziali della domanda medesima rimangono salvi, ove il giudizio sia riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che declina la giurisdizione.
Per la novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e individua, ai sensi dell’art. 11 c.p.a., nel giudice ordinario l’autorità giurisdizionale cui spetta la cognizione delle domande proposte.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Silvana Bini, Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore, Primo Referendario
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE |
|
IL PRESIDENTE |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Giovedì 21 Aprile 2016 12:04
Affidamenti "in house"
Lunedì 04 Aprile 2016 00:00
Valentina Magnano
N. 01034/2016REG.PROV.COLL.
N. 05848/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5848 del 2015, proposto dalla M.A. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Colombo, Domenico Bezzi, Anna Maria Corna, Fabrizio Pietrosanti e Tommaso Paparo, con domicilio eletto presso Fabrizio Pietrosanti in Roma, Via di Santa Teresa, 23
contro
Comune di R., in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Susanna Mazzà e Annarosa Bellotti, con domicilio eletto presso Susanna Mazza' in Roma, Via E. Manfredi 17
nei confronti di
S. S.r.l., Aprica S.p.a., C. Snc
per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia – Sezione staccata di Brescia, Sezione II, n. 490/2015
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di R.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Paolo Colombo, Fabrizio Pietrosanti e Susanna Mazzà;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
I fatti all’origine del presente ricorso vengono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del TAR della Lombardia – Sezione staccata di Brescia.
Il Comune di R., in qualità di socio, affidava alla S. S.p.a. (oggi M.A. S.p.a.) il servizio di igiene ambientale per il periodo dal 1° marzo 2008 al 28 febbraio 2012. Abbandonando un progetto di ulteriore collaborazione con la ricorrente avviato nel 2009 (deliberazione consiliare 23 febbraio 2009 n. 8) – che avrebbe dovuto condurre alla formazione di una Società mista tramite gara a doppio oggetto (per l’affidamento del servizio dal 1° marzo 2012 al 31 dicembre 2016) – con deliberazione consiliare n. 25 del 21 giugno 2013 e poi con deliberazione giuntale n. 61 dell’8 luglio 2013, ha deciso di optare per la modalità della gestione diretta del servizio rifiuti, ai sensi dell’articolo 14, comma 27, lettera f) del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78.
Analoga scelta organizzatoria era stata assunta nel corso del 2012, ma dopo il ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Lombardia dall’odierna appellante (r.g. 1063/2012), il Commissario prefettizio aveva revocato i provvedimenti assunti allo scopo, con conseguente rinuncia al ricorso.
Il servizio veniva affidato a M.A. dapprima fino al 31 dicembre 2016 (richiamando la deliberazione consiliare n. 8/2009) e poi solo in via temporanea fino al 31 agosto 2013, attraverso la deliberazione commissariale 16 aprile 2013 n. 38.
Più in dettaglio, con gli atti gravati il Comune decideva:
(a) di gestire con propri mezzi e personale – a decorrere dal 1° settembre 2013 – il servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti differenziati, con trasporto degli stessi presso il Centro di raccolta comunale, alla luce dei risultati positivi ottenuti nel 2012 sotto il profilo del risparmio economico;
(b) di affidare a ditte specializzate, tramite gara a evidenza pubblica, il successivo conferimento dei rifiuti presso appositi impianti di smaltimento.
In esito alla suddetta gara, condotta con la procedura del cottimo fiduciario ex art. 125 comma 11 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, sono state individuate come affidatarie le imprese controinteressate (cfr. verbale della Commissione del 20/8/2013). A ciascuna impresa sono stati assegnati specifici codici di rifiuto.
Contestualmente, per integrare la dotazione di personale a disposizione degli uffici, il Comune (in tal senso la determinazione del segretario comunale n. 312 del 21 agosto 2013) ha disposto l’acquisto di vouchers per lavoro occasionale ai sensi dell’art. 1 comma 32 della legge n. 28 giugno 2012 n. 92 (la spesa complessiva è pari ad euro 14.100 mensili).
L’avvio della nuova forma di gestione del servizio è stato fissato per il giorno 1° settembre 2013 (in tal senso l’ordinanza del Sindaco n. 14 del 31 agosto 2013), nonostante la mancata iscrizione del Comune all’Albo nazionale dei gestori ambientali ai sensi dell’art. 212 comma 5 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152.
La ricorrente, con una serie articolata di argomenti, ha impugnato in primo grado sia gli atti che compongono l’architettura giuridica del nuovo modello di gestione del servizio rifiuti, sia gli atti esecutivi.
Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Lombardia – Sezione staccata di Brescia ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.
La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla M.A. s.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi di doglianza, rubricati:
1) Violazione della delibera di C.C. n. 8 del 23 febbraio 2009 e degli atti relativi all’affidamento alla società M.A. s.r.l. del servizio di igiene urbana del Comune di R. – Violazione del principio di affidamento;
2) Vizio di incompetenza – Violazione dell’art. 42, comma 2, lett. e) del decreto legislativo n. 267 del 2000;
3) Violazione del principio di tipicità dei modelli organizzativi relativi alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e del principio generale di divieto di gestione diretta di detti servizi;
4) Violazione, sotto diverso profilo, del principio di tipicità dei modelli organizzativi relativi alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – Violazione dell’articolo 125, comma 9 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
5) Violazione dell’articolo 125, comma 9 e dell’articolo 28, comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
6) Violazione degli articoli 182-bis e 212, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché del decreto ministeriale 8 aprile 2008 del Ministero dell’ambiente e delle tutela del territorio e del mare;
7) Violazione degli articoli 70 e 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003 – Difetto di motivazione;
8) Violazione dei principi in materia di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica – Eccesso di potere per falso presupposto di fatto e difetto di motivazione;
9) Violazione dell’articolo 20, comma 3 della legge regionale lombarda n. 26 del 2003 – Eccesso di potere per difetto di motivazione.
L’appellante ha inoltre riproposto gli argomenti già posti a fondamento dell’articolazione dei motivi aggiunti in primo grado.
Si è costituito in giudizio il Comune di R. il quale ha concluso nel senso dell’improcedibilità ovvero, in subordine, dell’infondatezza dell’appello.
Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore dei servizi ambientali avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia Sezione staccata di Brescia con cui è stato respinto (almeno, per la più gran parte) il ricorso avverso gli atti con il Comune di R. (MN)
- dopo aver affidato alla soc. appellante il servizio di igiene urbana;
- ha poi optato nel senso di una sostanziale internalizzazione del servizio (ma affidando poi a società terze la relativa gestione).
2. In primo luogo il Collegio non può esimersi dal rilevare la rilevante violazione del principio di sinteticità posta in essere da entrambe le parti in causa.
3. In secondo luogo si osserva che può prescindersi dall’esame puntuale dell’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune di R. con la memoria in data 20 luglio 2015 in quanto l’appello in epigrafe deve comunque essere dichiarato infondato nel merito.
4. Con il primo motivo di appello la società M.A. lamenta che i primi Giudici avrebbero erroneamente respinto il motivo di ricorso con il quale si era lamentato che gli atti e le delibere impugnati in primo grado fossero violativi della delibera consiliare n. 8 del 2009 con la quale il Comune aveva individuato nel modello gestionale della c.d. ‘società mista’ quello preferito ai fini della gestione del servizio di igiene urbana (già affidato alla SIEM s.p.a. e per essa all’odierna appellante, subentrata a tale società a seguito di un’operazione di fusione).
Secondo l’appellante i primi Giudici sarebbero incorsi in errore: i) per aver ritenuto che l’adozione delle delibere di Giunta numm. 15 del 2012 e 61 del 2013 rappresentassero legittimo esercizio del potere di autotutela; ii) per aver ritenuto che tali delibere traessero adeguata giustificazione dalla “consistente lievitazione dei costi del servizio” determinatasi nel (breve) periodo durante il quale l’appellante aveva in effetti gestito il servizio; iii) per aver ritenuto che la litera e la ratio della richiamata delibera consiliare n. 8 del 2009 giustificassero il richiamato esercizio di autotutela.
4.1. Il motivo è infondato.
4.1.1. Al riguardo il Collegio ritiene che meritino puntuale conferma le deduzioni dei primi Giudici i quali hanno sottolineato che la delibera consiliare n. 8 del 2009 (invocata dall’appellante ad incondizionato supporto delle proprie tesi) riservava comunque in capo al Comune un potere di esercitare pregnanti poteri di controllo sulle modalità concrete della gestione (lettera G), nonché la facoltà “[di] determinare in autonomia le specifiche metodologie di espletamento del servizio relativamente al proprio territorio, predisponendo e sottoscrivendo un proprio contratto di servizio” (lettera H).
Pertanto, deve essere smentita la tesi dell’appellante, secondo cui la richiamata delibera consiliare non giustificasse l’esercizio di un sostanziale potere di rivalutazione della fattispecie, quale quello sostanzialmente riconducibile all’adozione delle delibere di Giunta impugnate in primo grado.
A tacer d’altro, si osserva comunque che le richiamate clausole (nel sottolineare la possibilità di esercitare poteri comunque spettanti in via generale all’Ente locale conferente) presentano un carattere meramente ricognitivo di poteri e facoltà comunque legislativamente riconosciuti all’Ente locale in relazione ai servizi pubblici locali di proprio interesse. Il che priva di effettivo fondamento l’enfasi attribuita dalle parti in causa al contenuto delle richiamate clausole, il cui tenore (più o meno perspicuo) non poteva in ogni caso incidere in modo significativo sul potere comunque spettante all’Ente di rivalutare in modo ampio la complessiva fattispecie, anche esercitando poteri di sostanziale autotutela.
Si osserva poi che, per quanto riguarda le ragioni economiche che hanno rappresentato il fondamento giustificativo primo delle nuove scelte operate dal Comune (per come trasfuso nella parte motiva delle più volte richiamate delibere di Giunta), esse risultano nel complesso giustificate e – in ogni caso – non palesano profili di irragionevolezza ed abnormità.
Al riguardo ci si limita ad osservare che, anche a voler tenere nella massima considerazione le deduzioni dell’appellante (la quale sottolinea che all’importo originario di aggiudicazione – pari ad euro 325mila i.e. – fossero da aggiungere ulteriori euro 120mila i.e. circa per il corrispettivo relativo all’attività di smaltimento), il punto è che il risultato finale resta pur sempre piuttosto lontano dagli oneri complessivi annui registrati per gli anni che hanno preceduto l’adozione delle delibere impugnate (euro 550.604,91 per il 2011 e 545.037,01 per il 2012). E le differenze in questione risultano tanto più rilevanti in considerazione delle ridotte dimensioni del Comune appellato e, in ultima analisi, palesano il carattere non irragionevole delle più volte richiamate delibere.
5. Con il secondo motivo di appello la M.A. lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano respinto il motivo di ricorso con cui si era lamentato che le delibere di Giunta impugnate in primo grado fossero viziate per il difetto di incompetenza in quanto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali), all’articolo 42, comma 2, lettera e) demanda al solo Consiglio comunale la materia “[dell’]organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione di pubblici servizi, partecipazione dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione”.
Al riguardo i primi Giudici avrebbero erroneamente dichiarato infondato il motivo di censura sottolineando che le ridette delibere di Giunta si ponessero “nel solco già tracciato dal precedente atto consiliare 21/6/2013, n. 25” con il quale era stata data disdetta al contratto già affidato all’appellante ed avente ad oggetto la gestione del servizio per cui è causa.
5.1. Il motivo è infondato.
5.1.1. Vero è, osserva il Collegio, che nel sistema delineato dal Testo unico degli enti locali del 2000 spetta al Consiglio (e non all’Organo esecutivo) l’adozione delle principali scelte (anche) per ciò che riguarda l’individuazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, ma il punto è che, nel caso in esame, l’Organo consiliare aveva espresso in modo chiaro ei del tutto significativo l’intenzione di superare la modalità di gestione basata sull’affidamento alla società appellante e sostituirla con il diverso modello basato sull’autoproduzione (in tal senso, la richiamata delibera consiliare n. 25 del 2013 con la quale, fra l’altro, era stata data la disdetta dell’affidamento precedentemente disposto in favore dell’appellante).
Pertanto, deve ritenersi che risulti compatibile con il legittimo esercizio delle competenze residuali della Giunta di cui all’articolo 48, comma 2, T.U. cit. (nonché con la generale competenza di attuazione degli indirizzi generali espressi dal Consiglio) l’adozione della delibera n. 61/2013 la quale (declinando in modo coerente gli indirizzi desumibili dalla delibera consiliare n. 25 del 2003) ha deliberato: a) di cessare gli affidamenti dei servizi di raccolta differenziata dei rifiuti ‘porta a porta’ e il conferimento degli stessi nel centro di raccolta comunale; b) di procedere alla gestione in economia dei servizi medesimi.
Il motivo in questione deve essere pertanto respinto.
6. Con il terzo motivo l’appellante lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano omesso di considerare che l’opzione per il contestato modello di internalizzazione dei servizi inerenti la gestione del ciclo dei rifiuti si ponesse comunque in contrasto con le pertinenti disposizioni eurounitarie e nazionali (le quali non consentono il legittimo ricorso a tale modalità di gestione), nonché con il principio di tipicità dei modelli organizzativi relativi alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
In particolare i primi Giudici avrebbe erroneamente affermato che, all’indomani della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 e dell’emanazione del decreto-legge n. 179 del 2012 (con particolare riguardo all’articolo 34, comma 20), la scelta dell’autoproduzione del servizio risulterebbe del tutto legittima per l’Ente locale il quale potrebbe adottarla in quanto forma del tutto legittima di esercizio della libertà di organizzazione dei servizi (in tal senso l’articolo 2 della c.d. ‘Direttiva concessioni’ 2014/23/UE).
Secondo l’appellante, in particolare, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare:
- che i servizi di raccolta e smaltimento per cui è causa sono qualificabili come servizi di interesse economico generale i quali, allo stato attuale di evoluzione del diritto eurounitario e nazionale, non possono essere indistintamente gestiti in economia (mediante amministrazione diretta o cottimo fiduciario);
- che, ai sensi del comma 23 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012 i servizi appartenenti al settore dei rifiuti urbani sono soggetti alla disciplina dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica per ciò che riguarda le modalità di gestione;
- che sin dalle prime discipline organiche della materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (articolo 22 della l. 142 del 1990; articolo 113 del decreto legislativo 267 del 2000; articolo 35 della l. 448 del 2001; articolo 14 del decreto-legge n. 269 del 2003; articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008) e sino ai nostri giorni ha trovato applicazione il principio del divieto di gestione diretta sei servizi pubblici locali da parte dell’Ente locale;
- che anche la pertinente disciplina regionale (articoli 2 e 15 della legge regionale n. 26 del 2003) stabilisce che il servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani sia affidato in via ordinaria a terzi soggetti (con esclusione della gestione diretta);- che la giurisprudenza di questo Consiglio richiamata dal T.A.R. a supporto delle proprie tesi (in particolare: Cons. Stato, V, 2716 del 2014) risulterebbe in realtà non pertinente per la soluzione della vicenda di causa;
- che neppure il comma 20 dell’articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012 (anch’esso richiamato dal T.A.R. a sostegno delle proprie tesi) consentirebbe la gestione diretta del servizio per cui è causa, in quanto la disposizione in questione presuppone pur sempre forme di affidamento ad operatori economici esterni;
- che, infine, la scelta dell’autoproduzione e dell’internalizzazione del servizio in questione confligge con il principio di gestione per ambiti territoriali idonei al conseguimento di economie di scala.
6.1. Il motivo nel suo complesso è infondato.
6.1.1. I primi Giudici hanno correttamente rilevato che, all’indomani dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 179 del 2012 (il cui articolo 34, comma 20 stabilisce che per i servizi pubblici locali di rilevanza economica è ammessa la gestione con ciascuna delle modalità ammesse dall’ordinamento eurounitario, a condizione che sussistano “[i] requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta”), non sussistono più limiti di sorta all’individuazione da parte degli Enti locali delle concrete modalità di gestione dei servizi pubblici locali di rispettivo interesse.
La disposizione da ultimo richiamata ha quindi superato il pregresso orientamento (da ultimo rappresentato dall’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e, in seguito, dall’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011) il quale disciplinava in modo estremamente puntuale le modalità di gestione ammesse e limitava oltremodo il ricorso al modello dell’autoproduzione.
Ma il punto è che, una volta rimossi i richiamati ostacoli legislativi (il primo per effetto del referendum abrogativo del giugno 2012 e il secondo per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012), il modello di autoproduzione scelto dal Comune di R. si qualifica come modalità del tutto legittima di esercizio dei richiamati servizi pubblici locali di rilevanza economica.
6.1.2. Deve al riguardo essere richiamato l’orientamento eurounitario secondo cui “un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e [può] farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche” (in tal senso: CGUE, sentenza 6 aprile 2006 in causa C-410/14 (ANAV).
E il medesimo principio è stato ulteriormente ribadito al considerando 5 della c.d. direttiva settori classici 2014/24/UE secondo cui «è opportuno rammentare che nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva».
Nel medesimo senso depone, inoltre, l’articolo 2 della c.d. direttiva concessioni 2014/23/UE (significativamente rubricato ‘Principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche’), il quale riconosce in modo espresso la possibilità per le amministrazioni di espletare i compiti di rispettivo interesse pubblico: i) avvalendosi delle proprie risorse, ovvero ii) in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici, ovvero – ancora iii) mediante conferimento ad operatori economici esterni.
Ed è qui appena il caso di osservare che la direttiva da ultimo richiamata pone le tre modalità in questione su un piano di integrale equiordinazione, senza riconoscere alla modalità sub iii) valenza – per così dire – paradigmatica e, correlativamente, senza riconoscere alle modalità sub i) e ii) valenza eccettuale o sussidiaria.
6.1.3. Del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio ha a propria volta stabilito che, stante l'abrogazione referendaria dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house), è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (Cons. Stato, VI, 11 febbraio 2013, n. 762).
Ad avviso del Collegio evidenti ragioni sistematiche connesse all’evidente portata liberalizzatrice di cui al più volte richiamato articolo 34, comma 20 del decreto-legge n. 179 del 2012 inducono a ritenere che le medesime conclusioni valgono anche per il caso – che qui viene in rilievo – in cui l’Ente locale decida di svolgere il servizio pubblico di proprio interesse in regime di piena autoproduzione.
6.1.4. Né può ritenersi che il Legislatore regionale possa legittimamente porre o mantenere una disciplina in tema di modalità di affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica difforme rispetto a quella recata dallo Stato. Si osserva al riguardo che la Corte costituzionale ha stabilito che la disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali afferisce alla materia ‘tutela della concorrenza’, di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost. (in tal senso, in particolare: Corte cost., 5 ottobre 2010, n. 325).
6.1.5. Anche per tale ragione il terzo motivo di appello deve essere respinto.
6.1.6. Per motivi del tutto connessi a quelli appena esposti, neppure può trovare accoglimento l’ottavo motivo di ricorso, con cui la M.A. ha altresì osservato che il ricorso al meccanismo dell’internalizzazione/autoproduzione avrebbe non avrebbe determinato significativi vantaggi economici per l’Ente.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la convenienza economica per l’Ente connessa al ricorso al meccanismo in questione rappresentava solo una delle motivazioni (pur se importantissima) perché si facesse ricorso a un modello gestionale che, in ogni caso, rientra(va) pienamente nell’ambito delle scelte legittimamente esercitabili dal Comune.
Si intende con ciò rappresentare che, quand’anche risultasse fondato l’argomento secondo cui l’autoproduzione non fosse in realtà idonea ad arrecare effettivi vantaggi economici all’Ente, ciò non determinerebbe ex sel’illegittimità della scelta del modello gestionale, che risulta comunque rimesso a scelte discrezionali dell’Ente, sindacabili in sede giurisdizionale solo nelle ipotesi (che qui non ricorrono) di palese irragionevolezza o incongruità.
E ciò, a tacere del fatto che l’argomento qui svolto dalla società appellante sembra porsi in sostanziale contraddizione con l’ulteriore argomento (svolto nell’ambito del settimo motivo di appello) secondo cui il Comune avrebbe tratto un effettivo vantaggio dal nuovo modello gestionale, ma al costo di operare un ricorso illegittimo all’istituto del lavoro accessorio di cui agli articoli 70 e 72 del decreto legislativo n. 276 del 2003.
6.1.7. Ed ancora, per motivi del tutto connessi a quelli appena esposti, neppure può trovare accoglimento il nono motivo di ricorso, con cui la M.A. ha altresì osservato che il Comune di R. non avesse dimostrato la convenienza di utilizzare impianti posti al di fuori della Provincia di Mantova in termini di efficienza, efficacia, economicità (anche alla luce della previsione di cui all’articolo 20, comma 3 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003).
Si osserva in primo luogo al riguardo che il motivo non può essere condiviso in quanto l’appellante si limita ad allegare in modo del tutto generico la circostanza della non convenienza dell’allocazione geografica dei rifiuti presso impianti extraprovinciali, in tal modo tentando di operare in danno del Comune una sorta di inammissibile inversione dell’onere della prova.
Per quanto riguarda, poi, l’asserito mancato rispetto dell’articolo 20, comma 3 della legge regionale n. 26 del 2003 (in seguito abrogata, ma ratione temporis vigente), ci si limita ad osservare – come condivisibilmente fatto dai primi Giudici – che la disposizione in questione non pone una prescrizione di carattere assoluto, come viene reso palese dalla locuzione “di norma” utilizzata nella sua formulazione (“di norma, il gestore del servizio destina i rifiuti urbani allo smaltimento e al recupero negli impianti eventualmente collocati nel territorio provinciale di provenienza (…)”).
Del resto il T.A.R. ha parimenti in modo condivisibile affermato (richiamando un proprio precedente confermato in appello) che la fonte primaria di riferimento pone unicamente un divieto espresso di smaltimento dei rifiuti in Regioni diverse da quelle di provenienza (in tal senso l’articolo 182, comma 3 del ‘Codice dell’ambiente’). Il che conferma per altra via che non emergono profili di illegittimità connessi al solo fatto che il Comune di R. avesse deciso di conferire i rifiuti prodotti sul suo territorio presso impianti localizzati in altre province.
7. Con il quarto motivo di appello la M.A. lamenta che la sentenza in epigrafe sarebbe erronea anche sotto un ulteriore profilo. In particolare i primi Giudici avrebbero erroneamente omesso di considerare che, quand’anche si ritenesse che la normativa nazionale consenta la gestione diretta dei servizi per cui è causa, nondimeno nel caso in esame difetterebbero le condizioni per una siffatta tipologia di gestione.
In particolare, i primi Giudici avrebbero erroneamente affermato la sussistenza dei presupposti per la contestata gestione in economia dal momento che il costo del servizio esternalizzato mediante cottimo fiduciario sarebbe inferiore a 200mila euro annui. In tal modo decidendo il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che il valore dell’affidamento in economia risulterebbe certamente superiore alla soglia legale di 207mila euro laddove si computasse (come dovuto): i) sia la parte del servizio in regime di gestione diretta; ii) sia la parte del servizio in regime di cottimo fiduciario.
7.1. Il motivo non può essere condiviso dovendosi – al contrario – condividere sul punto le conclusioni cui sono pervenuti i primi Giudici, secondo cui al fine di valutare le due fasi in cui si compone il servizio (i.e.: la raccolta con trasporto al centro comunale e lo smaltimento), esse devono essere considerate in modo distinto, ragione per cui correttamente è stato considerato il solo mancato superamento della soglia per l’affidamento a cottimo fiduciario della seconda di tali fasi.
Del resto, pur non potendosi negare la stretta interrelazione funzionale che esiste fra le due fasi in parola, non si ritiene che la soglia di cui all’articolo 125, comma 9 del ‘Codice dei contratti’ debba essere valutata operando la sommatoria dei valori di ciascuna di esse (anche in considerazione del fatto che la prima parte è svolta in regime di gestione diretta).
Né può essere condiviso il quinto motivo di appello, con il quale la M.A. ha lamentato nel caso di specie la violazione dell’articolo 28 (recte: 29), comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (il quale vieta il frazionamento artificioso degli affidamenti al fine di escluderli dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato).
Al riguardo si osserva che le modalità distinte che sono state seguite per l’individuazione del gestore delle due richiamate fasi non sembrano sottendere la volontà di mantenere artificiosamente l’affidamento in parola al di sotto delle richiamate soglie di rilevanza, ma sembrano piuttosto funzionali a riconoscere distinte modalità di esecuzione a fronte di fasi che restano chiaramente distinte, pur se nell’ambito di un’attività nel complesso omogenea e funzionalizzata.
Né si ritiene che nel caso di specie possa lamentarsi una violazione dell’articolo 200, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (il quale postula il superamento della pregressa frammentazione delle gestioni “attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti”) anche in considerazione del carattere strettamente integrato delle due fasi in cui si articola la gestione dei ciclo dei rifiuti in ambito comunale.
8. Con il sesto motivo di appello la M.A. lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano respinto il motivo di ricorso fondato sulla mancata iscrizione dell’appellata nell’Albo dei gestori ambientali di cui all’articolo 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Al riguardo il T.A.R. avrebbe erroneamente omesso di considerare:
- che l’iscrizione all’Albo in questione costituisce condizione necessaria per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti;
- che i Comuni non rientrano fra gli Enti che possono accedere alle procedure di iscrizione semplificata di cui all’articolo 212, comma 5 del ‘Codice dell’ambiente’;
- che, anzi, il Comitato dell’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali ha stabilito che i Comuni non sono ricompresi fra i destinatari dell’obbligo di iscrizione (e per tale ragione la Sezione regionale dell’Albo ha respinto in data 22 ottobre 2013 l’istanza di iscrizione proposta dal Comune);
- che la circostanza per cui i Comuni non siano ricompresi fra i destinatari dell’obbligo di iscrizione non significa di certo che gli stessi possano operare nel settore dei rifiuti in assenza di iscrizione all’Albo, ma significa più semplicemente che ai Comuni è in via di principio vietata l’attività di raccolta e trasporto di rifiuti.
8.1. Il motivo è infondato.
Al riguardo il Collegio ritiene di poter condividere le conclusioni cui sono pervenuti i primi Giudici secondo cui:
- nell’ambito dell’articolo 212 del ‘Codice dell’ambiente’ non è individuabile alcuna prescrizione che impedisca in radice ai Comuni di esercitare le attività di raccolta e trasporto di rifiuti;
- la mancata inclusione dei Comuni nel novero degli Enti che sono assoggettati a un regime abilitativo semplificato non sta certo a significare – contrariamente a quanto ritenuto sul punto dall’appellante – che agli stessi sia in radice precluso l’esercizio delle richiamate attività, bensì – più semplicemente – che tali enti possano operare anche in assenza di iscrizione all’Albo;
- il richiamato parere del Comitato dell’Albo Nazionale dei gestori ambientali secondo cui i Comuni non sono ricompresi fra i destinatari dell’obbligo di iscrizione all’Albo deve esser correttamente inteso nel senso che gli stessi possano esercitare le relative attività senza dover soggiacere a un adempimento formale come quello dell’iscrizione (e tanto, anche alla luce del generale principio secondo cui “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”).
Al riguardo il Collegio ritiene meritevole di condivisione l’avviso espresso dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani in data 6 marzo 2013 proprio sulla vicenda all’origine dei fatti di causa.
Nell’occasione l’ANCI ha rappresentato, appunto:
- che l’iscrizione all’Albo di cui all’articolo 212 del ‘Codice dell’ambiente’ è riservata alle sole imprese (in tal senso il d.m. 23 aprile 1998, n. 406) e che tale iscrizione non è in alcun modo prevista per gli Enti pubblici (e in particolar modo per quelli a carattere territoriale);
- che l’impossibilità per i Comuni di ottenere l’iscrizione all’Albo (rectius: la non necessità di tale iscrizione) non sta certamente a significare – contrariamente a quanto ritenuto sul punto dall’appellante – che sia in radice precluso ai Comuni l’esercizio delle attività di raccolta e conferimento di rifiuti;
- che, per quanto riguarda più in particolare le attività connesse alla gestione dei punti di raccolta, i Comuni possono certamente svolgere tale attività secondo il modello dell’internalizzazione, restando tuttavia obbligati al rispetto del decreto ministeriale in data 8 aprile 2008 (recante ‘Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche’).
Anche il quinto motivo di appello deve quindi essere respinto.
9. Con il settimo motivo la M.A. lamenta che erroneamente il T.A.R. abbia respinto il complesso di motivi di ricorso con cui si era lamentata l’illegittimità del ricorso a forme di lavoro accessorio di cui all’articolo 70 del decreto legislativo n. 70 del 2003 e successive modifiche.
9.1. Il motivo in questione è nel complesso infondato.
9.1.1. Al riguardo il Collegio osserva in via preliminare che il complesso di motivi di ricorso qui puntualmente riproposti non si incentra sulla scelta in se di procedere all’internalizzazione del servizio, quanto – piuttosto – sulle modalità di remunerazione degli operatori coinvolti.
Ciò significa che, quand’anche risultasse in atti una divergenza rispetto al paradigma normativo per ciò che riguarda le modalità di remunerazione del personale, ciò non comporterebbe (al contrario di quanto auspicato dall’appellante) il radicale travolgimento degli atti con cui il Comune ha deciso di internalizzare il servizio, bensì – e in modo ben più limitato – il solo obbligo per l’Ente di rimodulare le richiamate modalità di remunerazione in modo conforme alla legge.
9.1.2. Tanto premesso, si osserva che la sentenza in epigrafe merita puntuale condivisione per la parte in cui i primi Giudici hanno ritenuto:
- che la forma del lavoro accessorio di cui agli articoli 70 e 72 del decreto legislativo, inizialmente delineata per consentire forme di occupazione di carattere occasionale in favore di lavoratori cc.dd. ‘marginali’, ha conosciuto nel corso del tempo un’estensione del relativo campo di applicazione sia dal punto di vista soggettivo che dal punto di vista oggettivo (in tal senso l’articolo 1, comma 32, lettera a) della l. 92 del 2012, l’articolo 7, comma 2, lettera e) del decreto-legge n. 76 del 2013 e l’articolo 8, comma 2-ter del decreto-legge n. 150 del 2013);
- che nella configurazione dell’istituto ratione temporis rilevante (stante l’intervenuta abrogazione degli articoli 70 e 72, cit. ad opera dell’articolo 55, comma 1, lettera d) del decreto legislativo n. 81 del 2015) le prestazioni di lavoro accessorio tramite voucher possono essere svolte da un’amplissima categoria di potenziali prestatori;
- che, nella medesima configurazione, è pacifico che il ricorso a tale tipologia di prestazione sia consentita anche alle amministrazioni pubbliche, sia pure nei limiti di cui al comma 3 dell’articolo 70, cit. (“il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno”);
- che la chiara scelta del legislatore degli anni più recenti è stata nel senso di eliminare il riferimento al carattere meramente “occasionale” di tale tipologia di prestazioni, laddove (a fronte di una chiara scelta normativa espressa nel corpo delle disposizioni in esame) non può ritenersi che deponga in senso contrario la circostanza per cui sia rimasta invariata la rubrica legis del Capo II (“Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti”);
- che non risulta che il Comune di R. abbia utilizzato l’istituto in parola in modo distorto, risultando in atti: a) che esso è stato utilizzato in modo comunque sussidiario rispetto al ricorso alle prestazioni di lavoro subordinato, che rappresentano pur sempre la forma ordinaria e tipica del rapporto di lavoro; b) che il numero di ore settimanali richieste a ciascun prestatore sembra deporre altresì nel senso di un utilizzo non distorto dello strumento (in tal senso la relazione del responsabile comunale dell’Area servizi alla persona in data 17 gennaio 2015).
9.1.3. Tanto premesso si osserva in primo luogo che non possono essere condivisi gli argomenti con cui l’appellante lamenta un utilizzo distorto dell’istituto del lavoro accessorio anche in considerazione delle conseguenze di carattere sociale che l’esteso ricorso a tale modalità potrebbe determinare.
Al riguardo si osserva che, al di là delle considerazioni di carattere macrorganizzativo e di politica sociale (che sfuggono evidentemente alla cognitio di questo Giudice) non risulta che il Comune di R. abbia violato i limiti e le condizioni legittimanti di cui ai richiamati articoli 70 e 72 e che, quindi, abbia operato un ricorso men che legittimo all’istituto del lavoro accessorio.
9.1.4. Neppure può essere condiviso il motivo con cui si è chiesta la riforma della sentenza per la parte in cui ha disatteso il motivo di ricorso di primo grado relativo alla violazione (sotto altro profilo) dei limiti soggettivi ed oggettivi del ricorso all’istituto del lavoro accessorio.
In estrema sintesi l’appellante lamenta al riguardo che il T.A.R. abbia omesso di considerare che il ricorso a tale tipologia di lavoro da parte di un ente locale sarebbe risultata legittima, ma solo con il doppio vincolo (qui non rispettato): i) dell’importo massimo annuo di euro tremila per ciascun percettore; ii) della possibilità di riservare tale tipologia di contratti ai soli percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno del reddito.
L’argomento non può essere condiviso.
Anche in questo caso deve essere premesso che, quand’anche fosse dimostrata la violazione da parte del Comune delle prescrizioni e dei limiti di ricorso all’istituto del lavoro accessorio, ciò potrebbe rilevare ai fini delle conseguenze previste dalla disciplina lavoristica, ma non rappresenterebbe d per sé una circostanza idonea a determinare la radicale illegittimità del contestato modello di internalizzazione del servizio.
A conclusioni del tutto analoghe deve giungersi in relazione alle deduzioni con cui l’appellante tenta di confutare le risultanze di cui all’allegato 7 della produzione di promo grado.
Anche in questo caso, laddove risultasse confermata la deduzione dell’appellante (secondo cui la documentazione in atti potrebbe confermare che i lavoratori interessati siano stati remunerati in misura inferiore rispetto a quella spettante), ciò determinerebbe conseguenze – anche di rilievo – per ciò che riguarda la normativa lavoristica, ma non paleserebbe in alcun modo l’illegittimità del ricorso al meccanismo dell’autoproduzione in quanto tale.
Fermo restando il carattere dirimente ai fini del decidere di quanto appena osservato, si rileva altresì quanto segue.
Limitando la presente disamina al testo dell’articolo 70, cit., nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dall’articolo 7, comma 2 del decreto-legge n. 76 del 2013 (ed infatti, le annualità che vengono in particolare contestate sono il 2013 e il 2014), si osserva che non risulta condivisibile la tesi dell’appellante secondo cui il ricorso al lavoro accessorio da parte degli enti locali fosse ammesso soltanto entro il limite dei tremila euro per ciascun prestatore e soltanto a condizione che il singolo prestatore fosse percettore di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito.
Il comma 1 dell’articolo 70 prevede(va) che: “1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare, annualmente rivalutati sulla base della variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell'anno precedente. Fermo restando il limite complessivo di 5.000 euro nel corso di un anno solare, nei confronti dei committenti imprenditori commerciali o professionisti, le attività lavorative di cui al presente comma possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro, rivalutati annualmente ai sensi del presente comma. Per l'anno 2013, prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, fermo restando quanto previsto dal comma 3 e nel limite massimo di 3.000 euro di corrispettivo per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (…)”.
A sua volta, il comma 3 prevede(va) che “3. Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio da parte di un committente pubblico è consentito nel rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno”.
Ad avviso del Collegio (pur dandosi atto della complessiva opinabilità della questione, frutto anche di una formulazione normativa non chiarissima) il complessivo quadro disciplinare desumibile dalle richiamate disposizioni può essere così ricostruito:
- la legittimità del ricorso al lavoro accessorio da parte delle amministrazioni pubbliche è in via generale ammessa al ricorrere delle condizioni di cui al comma 3 - rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e, ove previsto, dal patto di stabilità interno – (si tratta di condizioni di cui non è qui contestata la sussistenza);
- il terzo periodo del comma 1 (sul quale si incentrano le doglianze dell’appellante) non può essere inteso nel senso di aver fissato le condizioni tassative per il ricorso all’istituto del lavoro accessorio da parte degli enti locali per l’anno 2003 (altrimenti, la disposizione in questione paleserebbe aspetti di evidente aporia interna con il richiamato comma 3 il quale fissa le – uniche – condizioni di ammissibilità del ricorso all’istituto). Al contrario, il terzo periodo del comma 1 individua condizioni di ammissibilità del ricorso all’istituto ulteriori ed aggiuntive rispetto a quelle previste in via generale dal successivo comma 3 (il che viene reso palese dall’utilizzo, nell’ambito del terzo periodo del comma 1 dell’avverbio ‘altresì’), in tal modo regolando la possibilità di cumulare i proventi derivanti dal lavoro accessorio a quelli provenienti da forme di integrazione salariale o di sostegno al reddito. In definitiva, per l’anno 2003, la possibilità di ricorrere a forme di lavoro accessorio nel limite dei tremila euro e in favore di percettori di forme di integrazione salariale o di sostegno al reddito non era l’unica forma possibile per gli enti locali, ma si aggiungeva alla generale possibilità di ricorrere aliunde all’istituto in questione, secondo le previsioni e le condizioni di cui al successivo comma 3.
9.2. Il settimo motivo di appello deve quindi essere respinto.
10. Le ragioni sin qui esposte palesano l’infondatezza del primo dei motivi aggiunti, con cui si è contestata la statuizione di primo grado in relazione alla determinazione comunale volta alla proroga del servizio.
Ciò, in quanto le ragioni poste a fondamento della rilevata illegittimità sono le medesime (già esaminate e qui ritenute infondate) poste a fondamento dell’impugnativa degli atti impugnati con il ricorso principale di primo grado.
11. Per le medesime ragioni non può essere accolto il secondo dei motivi aggiunti, con cui la M.A. ha nuovamente lamentato che gli atti di proroga siano affetti dal vizio di incompetenza (per violazione delle prerogative del Consiglio).
La questione è stata qui affrontata e dichiarata infondata in sede di disamina del secondo motivo, ragione per cui ci si limita a rinviare alle osservazioni ivi svolte.
12. Ed ancora, per le medesime ragioni già esposte neppure possono essere accolti il quinto e il sesto dei motivi aggiunti (qui riproposti), con cui la M.A. ha nuovamente lamentato che gli atti di proroga siano affetti dal vizio di violazione delle previsioni di cui all’articolo 125 del ‘Codice dei contratti’ per ciò che riguarda la legittimità degli affidamenti in economia.
Tali questioni sono state qui esaminate e dichiarate infondate in sede di disamina del quarto e del quinto motivo, ragione per cui ci si limita anche in questo caso a rinviare alle osservazioni ivi svolte.
13 Infine, non può trovare accoglimento il settimo motivo aggiunto qui riproposto, con cui la M.A. ha nuovamente lamentato che gli atti di proroga siano affetti dal vizio di violazione del principio di tipicità dei modelli organizzativi in tema di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
La questione è stata qui esaminata e dichiarata infondata in sede di disamina del terzo motivo, ragione per cui ci si limita ancora una volta a rinviare alle osservazioni in precedenza svolte.
14. L’infondatezza dei motivi di ricorso per le ragioni dinanzi esaminate palesa altresì l’infondatezza della domanda risarcitoria. Non emergono infatti nel caso di specie gli elementi costitutivi della fattispecie oggettiva foriera di danno.
15. Per le ragioni dinanzi esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.000 (cinquemila), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2016 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
|
|
|
|
|
|
L'ESTENSORE
|
|
IL PRESIDENTE
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Ultimo aggiornamento Domenica 05 Giugno 2016 11:31
Ordinanze extra ordinem: se ne faccia buon uso!
Giovedì 19 Gennaio 2012 07:57
Carmelo Anzalone
N. 1116/2011 Reg. Prov. Coll.
N. 811 Reg. Ric.
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 811 del 2011, proposto da:
A. Srl in Liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Damiano Lipani, Francesca Sbrana e Laura Mammucari, con i quali domicilia, ex lege, presso la Segreteria di questa Sezione in Latina, via A. Doria, 4;
contro
Comune di Formia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Di Russo, con il quale domicilia, ex lege, presso la Segreteria di questa Sezione in Latina, via A. Doria, 4;
Ministero dell'Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento,
previa sospensiva
dell'ordinanza sindacale del Comune di Formia n. 48 del 30 giugno 2011 con la quale è stato imposto alla Società ricorrente di proseguire il contratto di servizio di igiene urbana in essere "per la durata di mesi sei, a decorrere dal 1/7/2011";
dell'ordinanza sindacale del Comune di Formia n. 47 del 30 giugno 2011 con la quale è stata disposta la "proroga dell'efficacia delle disposizioni contenute nell'ordinanza sindacale contingibile ed urgente 77 del 30 dicembre 2010, per la durata di sei mesi e fino al prossimo 30.12.2011, ai sensi dell'art. 191 co. 4 D.Lgs. 152/2006", nella parte in cui viene autorizzata " l'operatività del centro di raccolta comunale sito in via ...omissis...";
di ogni alto atto preparatorio, presupposto, conseguenziale e/o comunque connesso;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Formia e di Ministero dell'Interno e di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2011 il dott. Maria Grazia Vivarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con contratto di servizio di igiene urbana rep. N. 10548 del 28 giugno 2006, il comune di Formia affidava alla ricorrente il servizio di igiene urbana e la gestione del centro di raccolta comunale per un periodo di cinque anni con scadenza al 30 giugno 2011. In vista della naturale scadenza del contratto, la ricorrente provvedeva a sollecitare il comune di Formia per l'adozione delle misure dirette alla dismissione dell'attività, considerato l'interesse della ricorrente diretto alla conclusione del procedimento di liquidazione in atto. Si invitava, pertanto, l'amministrazione comunale a trovare strumenti alternativi di gestione del servizio di igiene urbana, onde concludere i rapporti tra le parti entro la scadenza fissata al 30 giugno 2011. Di contro, in forza dell'asserita sussistenza di situazioni di pericolo per la pubblica igiene e la tutela della salute pubblica, il comune di Formia ha ritenuto necessario adottare l'ordinanza n. 48/2011 imponendo così alla ricorrente di proseguire il contratto di servizio di igiene urbana in essere " per la durata di mesi sei, a decorrere dal 1 luglio 2011... agli stessi patti e condizioni del contratto rep. N. 10548 del 28 giugno 2006". L'amministrazione ha posto a giustificazione dell'utilizzo del provvedimento extra ordinem la circostanza che " nelle more della predisposizione degli atti occorrenti e necessari per l'espletamento di una nuova gara d'appalto per l'affidamento del servizio di igiene urbana, si rende necessario ed urgente nonché indifferibile procedere ad assicurare la continuazione del servizio di igiene urbana...". Contestualmente, con ordinanza n. 47/2011 del 30 giugno 2011 l'amministrazione comunale ha disposto la "proroga dell'efficacia delle disposizioni contenute nell'ordinanza sindacale contingibile ed urgente 77 del 30 dicembre 2010, per la durata di sei mesi e fino al prossimo 30 dicembre 2011, ai sensi dell'art. 191 co. 4 D.Lgs. 152/2006", in tal modo procrastinando l'autorizzazione dell'operatività del centro di raccolta comunale sito in via ...omissis....
Senonché, a quanto consta, non solo la procedura di gara non si è conclusa, ma neppure è stata attivata, posto che non risulta pubblicato alcun bando di gara per l'affidamento del servizio di cui si discute. Con ordinanza collegiale R.P.C 404/2011 è stata accolta l'istanza incidentale di sospensiva. Nella pubblica udienza odierna la causa è trattenuta in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso deduce la ricorrente illegittimo utilizzo dei poteri extra ordinem per difetto dei presupposti di legge: contingibilità, urgenza, idonea motivazione a supporto. La censura va accolta. Difettano i presupposti della contingibilità ed urgenza essendo evidente che, con l'approssimarsi della scadenza contrattuale (ben nota al comune - e comunque evidenziata con diverse missive dalla parte ricorrente) l'amministrazione avrebbe potuto fronteggiare per tempo, con strumenti ordinari, l'esigenza di garantire il servizio essenziale, essendo tutt'altro che eccezionale, straordinaria ed imprevista tale necessità. Del resto la scarna, incongruente ed inconferente motivazione delle ordinanze impugnate non dava alcun conto di particolari, sopravvenute condizioni di rischio, atte a legittimare l'attivazione di poteri straordinari dell'organo procedente. La situazione di emergenza venutasi a creare in seguito alla scadenza del contratto deriva dunque esclusivamente dalla non adeguata cura dei pubblici interessi imputabile all'amministrazione resistente che, in palese elusione delle norme vigenti in materia, ha fatto uso dei poteri extra ordinem unicamente per sanare una criticità dalla stessa originata. La colpevole inerzia dell'amministrazione non è superabile nemmeno considerando, secondo quanto riferito dall'amministrazione, che in data 28 giugno 2011 sono state impartite le prime linee di indirizzo per procedere al nuovo affidamento del servizio di igiene urbana, ciò in considerazione che nessuna gara è stata ancora bandita e che soltanto in data 28 giugno 2011 sono state impartite le mere linee guida. Risultano peraltro violati anche i principi comunitari di libera prestazione dei servizi, di tutela della concorrenza e apertura dei mercati espressi nella disposizione di cui all'art. 23 bis L. 112/2008, all'epoca vigente (abrogato dall'art. 1 co. 1 d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113) secondo il quale "8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 e' il seguente:
e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante".
Con il secondo motivo di ricorso deduce la ricorrente violazione e falsa applicazione dell'art. 191 D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Anche questa censura è fondata in quanto la norma stabilisce che "3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali". Non risulta che le ordinanze qui gravate siano state adottate nel rispetto della procedura descritta dalla disposizione citata in quanto emesse in assenza della preventiva assunzione dei riferiti pareri (cfr. TAR Campania sez. I 6 luglio 2009, n. 3732).
Il ricorso è fondato e merita pertanto accoglimento. Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate in euro 2000, sono poste a carico del comune di Formia.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Condanna il comune di Formia al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 2000.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 1 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
IL PRESIDENTE
Francesco Corsaro
L'ESTENSORE
Maria Grazia Vivarelli
IL CONSIGLIERE
Santino Scudeller
Depositata in Segreteria il 29 dicembre 2011
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
|
|